Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli
L’articolata situazione internazionale che vede coinvolte istituzioni politiche e militari dispiegate in scenari di guerra, non può essere spiegata e tanto meno semplificata nella solita infantile contrapposizione tra due schieramenti, cioè favorevoli e contrari alle forze in campo.
Partendo dall’ultimo conflitto, in ordine di tempo, indipendentemente dal fatto che l’Iran abbia concluso o meno il ciclo di arricchimento dell’uranio (@bricsnews lo confermò trenta giorni addietro), andrebbe ricordato come la sua attività di sostegno finanziario alle organizzazioni terroristiche di Hamas, Hezbollah e Fratelli musulmani abbia trovato nel 2021 un implicito sostegno da un errore ed una leggerezza politica senza precedenti concessa dall’amministrazione Biden alla teocrazia sciita ed ovviamente approvata dall’Unione Europea.
Appena insediato il Presidente democratico azzerò l’alleanza con l’Arabia Saudita (sunnita), la quale aveva come terzo elemento di forza anche il consenso di Putin, ed aprì un nuovo fronte diplomatico con l’Iran, sottostimando clamorosamente il pericolo legato all’attività di arricchimento e al sostegno finanziario per le organizzazioni terroristiche della teocrazia iraniana.
Fino a pochi giorni fa, Israele aveva risposto al concreto attacco alla sua stessa esistenza rappresentato dall’Iran con la preziosa attività dei propri servizi segreti, che avevano dimostrato di esprimere le capacità di colpire in profondità strutture e persone legate alla corsa nucleare proprio in nome della salvaguardia della propria integrità.
L’attuale situazione, invece, e cioè il bombardamento sistematico del territorio iraniano e viceversa di quello israeliano da parte dell’Iran, cambia completamente il ruolo e lo scenario bellico anche per un possibile e diretto coinvolgimento degli Stati Uniti e persino della Germania.
Il primo ministro tedesco Merz, infatti, ha dichiarato che “Israele sta facendo il lavoro sporco mentre non esclude un coinvolgimento diretto della Germania”.
Questo delirio guerresco rappresenta senza ombra di dubbio il primo effetto, in ambito militare, della politica del ReArm europeo voluta dalla Commissione Europea presieduta da Ursula Von der Leyen che conferma ancora una volta la propria assoluta inadeguatezza nella valutazione delle proprie strategie. La Germania, infatti, ha già ratificato gli accordi europei creando le condizioni per conseguire l’obiettivo principale espresso sempre dal primo ministro tedesco, cioè di creare “il più grande esercito europeo”.
Una volontà talmente radicata nella strategia germanica, tanto da portarla già ora a non escludere un coinvolgimento diretto della potenza tedesca negli scenari di guerra mediorientali.
In pochi mesi, quindi, si è passati dalla assoluta assenza di qualsiasi iniziativa diplomatica relativa al conflitto russo ucraino attribuibile all’Unione Europea, al volontario e diretto coinvolgimento militare della prima economia europea, e finanziata proprio dalla stessa Unione, nella crisi mediorientale.
In questo contesto, che dimostra come la storia del secolo scorso non abbia insegnato nulla, dispiace vedere come, ancora una volta, gli Stati Uniti, detentori della supremazia militare nel mondo e della tecnologia ad essa collegata, anche se in parte condivisa con la Cina, continuino in politica estera ad esprimere quella presunzione che li illude della automatica trasformazione della supremazia militare nel controllo dello scenario di guerra. Con questo presupposto confermano di non avere ancora compreso nulla della disfatta in Vietnam e in Afghanistan.
In altre parole, nella realtà non si può, né tantomeno si dovrebbe, contare su di una automatica conversione della supremazia militare statunitense in un controllo del territorio di guerra.
L’analisi della complessità della situazione, quindi, non si può ridurre ad una banale contrapposizione prettamente politica e ideologica tra chi si dimostra favorevole sic et nunc all’azione bellica di Israele sia nei confronti dell’Iran e a Gaza, e chi invece intravede in Israele il nuovo nazismo, insultando così i milioni di vittime dell’Olocausto.
Molti commentatori, in più, discutono se si sia stata oltrepassata o meno la linea rossa, la quale, a seconda delle interpretazioni, giustificherebbe l’intervento militare dello stato fino addirittura all’utilizzo di ordigni nucleari.
La situazione attuale internazionale e le diverse strategie che emergono dimostrano, invece, con estrema chiarezza come ormai l’opzione bellica non rappresenti più un fattore deterrente da utilizzarsi come elemento di pressione e con essa l’armamento nucleare.
Viceversa, in considerazione dell’escalation di conflitti la scelta del conflitto sul territorio diventa una vera e propria opzione operativa, dimostrando come anche nel democratico occidente sia cambiato decisamente il paradigma di interpretazione della scelta bellica.
In un simile contesto, allora, si può constatare come siano risultati sufficienti poco più di 80 anni e neanche quattro generazioni per dimenticare gli effetti devastanti delle ultime due guerre mondiali avvenute nel secolo precedente.
Proprio per questo motivo mai come ora risultano contemporanei i pensieri del poeta greco del 500 a.C. Pindaro “La guerra è dolce solo per chi non la conosce” oppure del teologo Erasmo da Rotterdam “Chi ama la guerra non l’ha mai vista in faccia”.
Una “civiltà” senza memoria non può avere alcun futuro.