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  • L’India è la nuova superpotenza

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimomdi apparso su ‘ItaliaOggi’ il 18 aprile 2023

    L’India sta preparando la sua moneta, la rupia, a giocare un ruolo sui mercati internazionali simile a quello dello yuan. Pur essendo parte importante nel gruppo dei Paesi Brics, l’India non vede di buon occhio l’espansione cinese in Asia e non intende essere trainata dall’attivismo di Pechino.

    La riflessione indiana parte dall’energia, come riportato anche da un documento dell’Istituto Gateway House di Mumbai. Si afferma nello scenario energetico globale cambiato negli ultimi due decenni, l’unica costante è stata il dollaro Usa come valuta usata nel commercio di energia. Ultimamente lo yuan cinese è emerso per sfidare il dollaro. Nuova Delhi adesso si chiede se la rupia possa essere un terzo giocatore. Una petro rupia?

    Com’è noto, l’India è il terzo consumatore mondiale e il secondo importatore di energia. Gli indiani lamentano che il commercio mondiale di petrolio e di gas si svolga quasi interamente in dollari sulle borse occidentali e con prezzi che non rappresentano la domanda reale. Una serie di fattori politici, economici e finanziari, stanno creando un nuovo equilibrio. Uno di questi è il cambiamento nella bilancia del commercio energetico. Mentre negli Usa, in Europa e in Giappone il consumo di petrolio sta diminuendo o si sta stabilizzando, in India, con la sua economia in crescita, il consumo energetico aumenta. Si prevede, infatti, che il fabbisogno passerà dagli attuali 4 milioni di barili al giorno ai 10 milioni entro il 2040.

    Viene anche fatto notare che i due benchmark petroliferi globali, il Wti e il Brent, sono datati e che spesso sono anche manipolati. Oggi i due maggiori importatori, Cina e India, fanno riferimento a produttori e mercati totalmente diversi. È implicito che il nuovo orientamento vada a intaccare antiche posizioni di privilegio occidentale o, per meglio dire, del vecchio colonialismo.

    L’India sostiene che la crisi del 2008 ha messo in discussione il ruolo del dollaro come moneta unica globale e che la sua instabilità avrebbe fatto raddoppiare il debito degli Usa, inducendo Washington a una ritirata dai processi di globalizzazione. Si rileva che le sanzioni unilaterali e motivate geopoliticamente avrebbero suscitato forti risentimenti nei confronti del potere americano. Secondo lo studio succitato, il processo dell’Ue e dell’euro, che si sarebbe accontentato di controllare il 20% degli scambi monetari e commerciali e delle riserve mondiali, si è fermato.

    New Delhi è consapevole che sui due mercati principali, quello di New York e quello di Londra, la stragrande maggioranza delle operazioni finanziarie, future e altri derivati riguardanti l’energia, è di carattere puramente speculativo. I contratti future sono almeno 10 volte il volume del petrolio realmente trattato. Secondo gli esperti indiani anche sul mercato di Shanghai, creato nel 2018, dominerebbe incontrastata la speculazione finanziaria. Inoltre,

    Nuova Delhi vede che la Cina, attraverso l’Asian infrastructure development bank e la Belt and road iniziative, la nuova Via della seta, starebbe penetrando in molti Paesi dell’Asia, nell’Oceano Indiano e in altri continenti. Con lo yuan vorrebbe anche influenzare l’architettura finanziaria globale. Da qui nasce l’azione per l’internazionalizzazione della rupia attraverso la creazione di un hub per un nuovo mercato internazionale del petrolio e del gas, eventualmente collegato alle borse di Mumbai. Così il governo indiano potrebbe far sentire il suo peso sulla formazione dei prezzi dell’energia.

    La Reserve Bank of India ha autorizzato alcune banche indiane a operare in rupie in 60 contratti commerciali che coinvolgono 18 Stati, tra cui la Gran Bretagna e la Germania. Con la Malesia detto meccanismo è già a uno stadio più avanzato. Al prossimo summit del G20 di Nuova Delhi saranno annunciati nuovi passi verso l’internazionalizzazione della rupia.

    L’Europa non può essere indifferente ai mutamenti nello scenario globale e dovrebbe relazionarsi meglio anche con la nuova emergente superpotenza. Guai, però, a pensare di giocare l’India contro la Cina: sarebbe la solita politica miope e perdente.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Chi ritiene negativa la globalizzazione si goda lo spettacolo della Turchia

    Di seguito l’analisi che il giurista Sabino Cassese ha pubblicato sul Corriere della Sera alcuni giorni fa per spiegare perché il sovranismo non possa pretendere di sconfiggere la globalizzazione e possa solo rappresentare un problema, come dimostra la Turchia, non solo per i Paesi i cui governi scelgono quella via ma anche per chi a quei governi non soggiace e non li ha eletti.

    ‘Perché Erdogan è messo in difficoltà dalla crisi che ha quasi dimezzato il valore di scambio della lira turca? A quale titolo l’Unione Europea ha stabilito nel 2014, e successivamente ampliato, sanzioni contro la Russia? Perché Polonia e Ungheria debbono dar conto all’Unione Europea delle loro leggi sull’ordinamento giudiziario? Perché l’Italia deve sottostare ai criteri dell’Unione Europea sul deficit e sul debito pubblico? Questi vincoli hanno origini e ragioni diverse e discendono da fonti diverse, da regole del diritto internazionale, da accordi tra Stati, dai mercati.

    L’Unione Europea ha un accordo di associazione e uno di libero scambio con l’Ucraina e ha introdotto sanzioni (restrizioni economiche e individuali) contro la Russia, colpevole di aver annesso illegalmente la Crimea e di aver destabilizzato l’Ucraina. Vuole, quindi, punire una evidente violazione del diritto internazionale. I mercati (risparmiatori e investitori, possessori di lire turche) hanno scarsa fiducia sia nei programmi politici ed economici del governo turco, sia nella qualità dell’«équipe» che li gestisce. Chi possiede una valuta vuole aver assicurazioni sull’affidamento che dà l’emittente.

    I Paesi membri dell’Unione hanno sottoscritto trattati in cui si impegnano a rispettare alcuni principi giuridici (indipendenza dei giudici) ed economici (equilibrio di finanza pubblica.

    Essi debbono quindi dar conto all’Unione del rispetto di tali principi, se limitano l’indipendenza dei giudici o hanno un alto debito pubblico con bassa crescita economica (lo spread sale e la borsa scende).

    Pur provenendo da fonti diverse, questi vincoli hanno un tratto in comune. Discendono dalla interdipendenza che lega gli Stati nel mondo. Essi non sono più isole separate. Si influenzano reciprocamente. Le sorti dell’uno sono legate alle sorti dell’altro. Un vicino aggressivo può domani essere un pericolo. La politica economica allegra di un «partner» deve preoccupare gli Stati che sono associati ad esso. A dispetto dei «sovranisti», quindi, gli Stati non sono interamente sovrani, devono godere anche della fiducia dei propri vicini e dei mercati. Quelli che chiamiamo mercati sono anche loro, in ultima istanza, composti di risparmiatori-investitori, quindi di «popolo». Se, per un verso, gli Stati controllano i mercati, per altro verso sono i mercati a controllare gli Stati. Tra gli studiosi della globalizzazione, questa viene chiamata «horizontal accountability», per dire che i governi non debbono rispondere solo ai propri elettorati, ma anche, orizzontalmente, ad altri governi e ad altri popoli. Non basta godere della fiducia dei propri elettorati, bisogna anche rassicurare i mercati e dare affidamento ai propri vicini. È bene che questo accada? Se le sorti sono comuni, se la crisi di un Paese può trascinare altri nella caduta, è certamente utile che tutti vengano richiamati al rispetto delle regole condivise. I «sovranisti» lamenteranno l’invasione di altri protagonisti nella vita degli Stati, una diminuzione dei poteri del popolo. Ma questo perché hanno un concetto troppo elementare della democrazia, intesa come un rapporto esclusivo, stretto soltanto tra un popolo e il suo governo’.

  • Draghi rassicura: la Ue cresce nonostante le turbolenze commerciali

    «Nonostante le incertezze sul commercio globale, i dati indicano che l’Eurozona precede su un terreno di crescita solida e diffusa», ha detto il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, spiegando che anche l’inflazione continuerà a riavvicinarsi ai livelli desiderati dalla Bce, ma «uno stimolo monetario significativo è ancora necessario».

    Nel sesto anniversario dal ‘whatever it takes’, la promessa con cui Draghi assicurò qualsiasi intervento per la tenuta dell’euro durante la grande crisi finanziaria, «oggi l’euro poggia su basi molto più solide di allora» e la Bce «è una banca centrale diversa, con un insieme di strumenti di politica monetaria molto più ricco».

    La Bce ha mantenuto i tassi d’interesse invariati, come da attese. In una nota l’Eurotower spiega che il costo del denaro rimarrà ai livelli attuali almeno fino a tutta l’estate 2019. La Banca centrale europea annuncia inoltre che terminerà a dicembre gli acquisti netti di titoli con cui conduce il ‘quantitative easing’.

    Il presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker è intanto riuscito a strappare un accordo con il presidente Usa Donald Trump in tema di commercio. Le preoccupazioni maggiori per le mosse di Trump riguardano Berlino, in ansia per il piano di imporre dazi per 200 miliardi di dollari sulle auto straniere: Trump in vista delle elezioni in Congresso del prossimo novembre – secondo molti osservatori – potrebbe convincersi che la linea dura e nazionalista paghi di più per sostenere i repubblicani. Anche perché nel frattempo la Casa Bianca segue con grande interesse gli sviluppi politici in tutta Europa, con l’avanzare dei movimenti e partiti populisti un po’ ovunque.

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