Merkel

  • Merkel tardivamente preoccupata per gli sbarchi in Italia, che farà il governo Conte sugli immigrati?

    Desta una certa perplessità la dichiarazione della cancelliera tedesca Angela Merkel sulla necessità di un sistema di asilo, di una polizia di frontiera comune e di un’agenzia per i rifugiati in tema di emigrazione. Se la Merkel riconosce che sugli sbarchi l’Italia è stata lasciata sola, non può certo ignorare che da molti anni è la Germania che indirizza gran parte delle scelte della Ue e che tuttora anche la proposta di revisione dell’accordo di Dublino non risolve i problemi dei Paesi, in primis dell’Italia, che essendo largamente costieri sono i primi a subire gli sbarchi e a provvedere ai migranti che rischiano naufragi o addirittura soccombono nell’attraversata. Se siamo stupiti da una dichiarazione di solidarietà che avrebbe dovuto da tempo tramutarsi in azioni concrete e non solo in affermazioni di intenti, siamo altrettanto stupiti che il nuovo governo si senta maggiormente in sintonia con chi non accoglie la propria quota di migranti e di conseguenza condanna l’Italia a rimanere con tutto il peso di una realtà molto difficile.

    Certamente sono urgenti e necessarie nuove norme e nuove regole per arrivare a far sì che il flusso migratorio possa essere controllato e non stravolga le realtà economico-culturali dei Paesi europei. Ma in attesa di queste norme, nazionali e comunitarie, ogni Paese europeo dovrebbe farsi carico della necessaria solidarietà verso l’Italia mentre invece al vertice di fine mese sulla revisione di Dublino molti Paesi della Ue proporranno la possibilità di rispedire al Paese europeo di primo sbarco gli immigrati giunti sul loro territorio anche dopo 10 anni dal loro arrivo.

  • Fallimento (vergognoso) di una visita a Berlino

    Non ho mai conosciuto un uomo che, vedendo i propri errori,
    ne sapesse dar colpa a se stesso.

    Confucio

    Il 25 aprile scorso il primo ministro albanese era a Berlino. Una visita ufficiale, per tentare di trovare ed avere l’appoggio della cancelliera e delle istituzioni tedesche per l’apertura dei negoziati per l’Albania come Paese candidato all’adesione nell’Unione europea. Decisione quella, che spetta al Consiglio europeo e che verrà presa a fine giugno prossimo. Ma viste le non poche dichiarazioni e prese di posizione da parte di alcuni rilevanti esponenti politici, sia di singoli Paesi che di quelli vicini alla cancelliera Merkel, le aspettative non sono per niente rassicuranti per il primo ministro albanese, il quale è consapevole che una mancata decisione positiva del Consiglio europeo gli potrebbe costare molto caro, politicamente parlando. Ragion per cui, da arrogante e volgarmente offensivo qual’è in patria, a Berlino ha sfoggiato l’altra faccia della sua personalità. E cioè quella del vigliacco leccapiedi di fronte ai potenti e quelli che non controlla, ma che gli servono. In questa sua seconda veste, durante un’intervista prima dell’incontro con la Merkel, ha detto “…È normale che quando un capo di un governo balcanico viaggia verso Berlino si senta come un pellegrino che incontrerà il Papa”. Un “pellegrino” sulla cui coscienza però peserebbero tante, ma tante malefatte e peccati, difficilmente assolvibili dal “Papa” Merkel.

    Per la cronaca, il 17 aprile scorso, a Strasburgo, la Commissione europea raccomandava al Consiglio europeo l’apertura dei negoziati con l’Albania, come Pease candidato all’adesione nell’Unone europea. Lo stesso giorno, durante la plenaria del Parlamento europeo, il Presidente francese Macron, ha fatto capire che non è tempo adesso per l’allargamento dell’Unione. Dichiarazione che ha messo in imbarazzo il primo ministro albanese (Patto Sociale della scorsa settimana). Perciò ha tentato di avere almeno “una buona parola” dalla tedesca Merkel, per poi sperare in un voto positivo per l’Albania, sia del Bundestag (Parlamento federativo) che del Bundesrat (Consiglio federativo). Purtroppo il soggiorno berlinese è stato tutt’altro che rassicurante per il primo ministro albanese.

    Il 25 aprile scorso, durante una congiunta conferenza stampa con il primo ministro, la cancelliera tedesca ha messo subito in chiaro che “ci sono un numero di precondizioni per aprire i negoziati”. Ricordando però che nel frattempo si devono adempire anche “alcune condizioni per l’inizio dei negoziati dell’adesione”. Si tratta proprio di quelle ben note “cinque condizioni” poste dal 2013 all’Albania dalle istituzioni dell’Unione europea. Ma la cancelliera ha parlato, per la prima volta, anche di “un numero di precondizioni”. Voci di corridoio dicono che si tratterebbe di richieste concrete e inderogabili, indirizzate al primo ministro albanese nell’ambito della lotta contro la criminalità organizzata e la corruzione. Ma questa volta si chiedono prove concrete e non soltanto belle parole. Sarà un miracolo se tutto ciò si avverasse nell’arco di due mesi, quando il Consiglio europeo dovrà decidere. E il primo ministro lo sa benissimo. Ragion per cui, durante la stessa conferenza stampa, ha cercato di ingannare, dichiarando senza battere ciglio “Noi abbiamo fatto dei progressi incredibili” (Sic!). Chi sa di quale realtà virtuale si tratta? Di certo non dell’Albania. Per poi proseguire con le sue ormai solite allusioni e “minacce geopolitiche”, riferendosi alla Russia, alla Turchia e al radicalismo islamico. Facendo così leva su quando dichiarava il presidente della Commissione europea da Strasburgo il 17 aprile scorso (Patto Sociale n.307). “Minacce” espresse esplicitamente soprattutto durante un’intervista, poche ore prima dell’incontro con la Merkel, rilasciata dal primo ministro all’agenzia Reuters. Secondo lui, negando “all’Albania un giorno l’adesione nell’Unione europea, si potrebbe alimentare il radicalismo islamico in questo Stato balcanico, mettendo in pericolo la stabilità regionale. Non lasciate [spazi] vuoti che potrebbero essere riempiti da altri Stati!”. Parla, come suo solito, di minacce e non di meriti, non di criteri adempiti e non di riforme realmente attuate con verificabili risultati. Chi conosce la vissuta realtà albanese capisce bene anche il perché.

    Dopo la sopracitata dichiarazione della raccomandazione positiva della Commissione per il Consiglio europeo sull’apertura dei negoziati con l’Albania, la ben nota Deutsche Welle tedesca ha intervistato il presidente della Commissione per gli Affari dell’Unione Europea del Bundestag tedesco. Lui, Gunther Krichbaum, noto per essere una persona vicina alla Merkel, ha dichiarato tra l’altro che “l’Albania ha ancora molto da fare nella lotta contro la corruzione e la criminalità organizzata”. Subito dopo quest’intervista, alcuni media controllati dal primo ministro albanese hanno iniziato una campagna diffamatoria, contro il deputato tedesco. Una campagna risultata subito come totalmente infondata, basata su calunnie e notizie false. Come nel novembre 2016, così anche nell’aprile 2018. E guarda caso, lo stesso accusato e gli stessi accusatori (Patto Sociale n. 245). Le reazioni istituzionali e politiche in Germania sono state immediate, con delle conseguenze pesanti per il presunto autore e regista della campagna stessa, il primo ministro albanese. La prima riguardava il rifiuto, da alcuni deputati del Bundestag, dell’invito per la cena ufficiale, all’onore del primo ministro, offerta dall’ambasciatore dell’Albania a Berlino la sera del 24 aprile scorso. Fatto grave e messaggio chiaro e premonitorio.

    Nella mattinata del 25 aprile il primo ministro albanese aveva un’udienza nella Commissione per gli Affari dell’Unione Europea del Bundestag. Udienza durante la quale alcuni deputati, di varie appartenenze politiche e ben informati, hanno argomentato perché il primo ministro non stava dicendo la verità, dandogli del bugiardo. Dopo l’udienza, il presidente della sopracitata Commissione ha dichiarato di aver detto “anche molto personalmente (al primo ministro albanese; n.d.a.) che l’apertura dei negoziati è prematura. Gli sforzi ad oggi per le riforme non bastano”.

    Nel frattempo è stata cancellata la visita a maggio, in Albania, di una delegazione del Bundestag. Si tratterebbe di una visita informativa, per raccogliere dati, nell’ambito del processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea. Un altro fatto grave e un altrettanto messaggio chiaro e premonitorio. Purtroppo potrebbe non essere l’ultimo fino a fine giugno, quando il Consiglio europeo deciderà sull’apertura dei negoziati con l’Albania. Periodo in cui il primo ministro cercherà, in attesa di un probabile terzo rifiuto da parte del Consiglio europeo, di passare la colpa a “certi deputati tedeschi” e/o a chi sa qual’altro. Una nuova strategia propagandistica per passarla liscia anche questa volta.

    Chi scrive queste righe pensa che il primo ministro, invece di arrampicarsi sugli specchi, ha l’obbligo istituzionale, almeno una volta, di assumere le proprie responsabilità. E riconoscendo i propri errori, magari ne sapesse finalmente, traendo consiglio da Confucio, dar colpa anche a se stesso.

  • Merkel: Nord Stream 2 not possible without clarity for Ukraine

    German Chancellor Angela Merkel said after meeting Ukrainian President Petro Poroshenko on Tuesday that the Nord Stream 2 gas pipeline could not go ahead without clarity on Ukraine’s role as a gas transit route, appearing to harden her stance towards the project.

    “I made very clear that a Nord Stream 2 project is not possible without clarity on the future transit role of Ukraine,” Merkel said. “So you can see that it is not just an economic issue but there are also political considerations”, she added. She said that “it is not just an economic issue but there are also political considerations”.

    Merkel had in the past called Nord Stream 2 a purely “economic project” with no need for political intervention.

    Nord Stream 2, which is to run from Russia through the Baltic Sea to Germany — the European Union’s biggest economy — would double the existing Nord Stream pipeline’s annual capacity of 55 billion cubic meters. But critics argue it will increase dependence on Russia and enrich its state-owned energy companies at a time when Moscow stands accused of endangering European security.

    Merkel said she had told Russian President Vladimir Putin in a phone call on April 9, “It cannot be that through Nord Stream 2, Ukraine has no further importance regarding the transit of gas”.

    She insisted that Ukraine relied heavily on income from transit fees.

    In an interview with German business daily Handelsblatt on April 9, Poroshenko urged Berlin to abandon plans to build Nord Stream 2, saying it would enable an “economic and energy blockade” against Ukraine and blasting it as “political bribe money for loyalty to Russia.”

    He accused Russia of being an “extremely unreliable partner” as a gas supplier, citing state-owned energy firm Gazprom’s refusal to pay Ukraine billions of dollars after shutting off supplies in the middle of winter.

    Poland and the Baltics oppose Nord Stream 2, and U.S. officials have spoken out against it.

     

  • In Germania c’è il nuovo governo (e in Italia?). Ma l’Europa non si muove

    Sono occorsi oltre cinque mesi per fare il nuovo governo in Germania, a seguito delle elezioni politiche del 24 settembre dello scorso anno. Angela Merkel è stata eletta cancelliere per la quarta volta e il nuovo governo, dopo il fallito tentativo con i liberali ed i Verdi, è stato fatto di nuovo con i socialisti dell’SPD, riesumando la cosiddetta “Grande Coalizione” che sembrava impossibile a farsi dopo le elezioni. E’ stato un percorso accidentato quello di questi cinque mesi, con morti e feriti metaforici, con cambiamenti d’orientamento quasi improvvisi, con il timore di portare sostegno indiretto ai populisti dell’ultradestra dell’AFD (Alternativa per la Germania), con il timore di sminuire il valore della stabilità e della governabilità, considerati sacri dalla tradizione politica tedesca dopo i disastri di Weimar. La prima vittima, reale e non metaforica, è stata il leader dell’SPD Martin Schulz, dimissionario dalla presidenza del partito e scartato poi per il ministero degli Esteri nel nuovo governo. Sembra scomparso d’un colpo dalla vita politica e i media hanno smesso di fare il suo nome. Anche Angela Merkel è rimasta ferita lei, per fortuna, metaforicamente. Al momento della sua elezione alla Cancelleria le sono mancati al Bundenstag 34 voti. “Franchi tiratori”, ha detto la stampa italiana, assuefatta a questa nascosta presenza nel nostro parlamento da decine di episodi simili durante la vita accidentata della prima Repubblica. Ma anche a governo installato, voci discordanti di alcuni ministri, come quello dell’Interno, si sono discostate dalle posizioni assunte dalla CDU nel precedente governo sulla questione dei migranti e dell’accordo di Schengen e sul delicato e sensibilissimo problema della presenza dell’Islam in Germania. L’Islam fa parte della Germania – aveva dichiarato la Merkel. Ora le si precisa: I musulmani fanno ormai parte della Germania, non l’Islam, che è incompatibile con i nostri valori e le nostre tradizioni cristiane. Un governo, quello nuovo con, al suo interno, posizioni diverse su temi sensibilissimi. Ciò non ha tuttavia impedito alla Merkel di incontrare il presidente francese Macron per una rapida scorsa dell’attualità mondiale e europea e per esprimere un certo timore sui risultati delle elezioni italiane che sembrano, appunto, sancire l’ingovernabilità e l’instabilità per la mancanza di una maggioranza  e confermare timori in ordine ai rapporti con l’Unione europea per la vittoria elettorale di forze politiche euroscettiche o assolutamente contrarie all’Euro. Non è mancata tuttavia la dichiarazione comune sulla necessità di riformare l’Europa, ma non è stata presa nessuna decisione operativa immediata. Quindi un po’ di delusione è stata espressa da quanti da mesi attendevano la soluzione del problema governo in Germania per consentire all’Europa di fare passi avanti e di uscire dal guado. Senza la Germania – si diceva – non è possibile progredire verso una stagione di riforme. Il che rimane vero, com’è altrettanto vero che la Germania di oggi non è più quella coesa e determinata di ieri. La riduzione del peso della CDU-CSU e dell’SPD hanno lasciato segni d’incertezza, non nel senso che la Germania è meno europeista di una volta, ma nel senso che sarà più difficoltoso e irto di ostacoli il cammino che porta a decidere riforme, in accordo con la Francia e con chi ci sta, per rimettere sui binari dell’integrazione questa Unione europea un po’  stordita da quanto le è successo in questi ultimi due o tre anni.

    E l’Italia? Sarà in grado di ritrovare stabilità e governabilità? E’ ormai certo che la legge elettorale usata per queste ultime elezioni è quanto di meno indicato per garantire questi due valori. Se avessero incaricato degli specialisti per redigere una legge così anomala, mai sarebbero riusciti a produrne una così perfetta nella sua negatività. Ma i politici allo sbando sono geni nel trovare soluzioni complicate ed impossibili. Le procedure comunque sono avviate, dopo la nomina dei presidenti di Camera e Senato. Attendiamo, fiduciosi a metà, che le procedure continuino, nella speranza che, se riusciranno a trovare una soluzione di governo, anche l’Italia non rinunci a dire pacatamente la sua, non contro, ma accanto a Francia e Germania per migliorare questa Europa un po’ infiacchita e senza immaginazione. Confidare in Macron e nella Merkel, dopo le loro dichiarazioni, ci sembra quasi naturale, ma non vorremmo che l’Italia rimanga soltanto al traino. I suoi interessi, in numerosi campi, coincidono con quelli franco- tedeschi, ma in altri ci distinguiamo per la nostra particolarità di produttori e di tessitori di rapporti che possono giovare all’intera comunità di destino. Siamo geograficamente a Sud dell’Europa, ma la nostra vocazione non è mediterranea ed africana soltanto, è continentale, tanto a livello culturale che a quello economico, anzi, per quest’ultimo la nostra visione è globale ed universale come quelle di Francia e Germania. Le quali, ci piace pensarlo anche se non è del tutto vero, non possono non attendere la formazione del nostro governo, prima di consultarlo e/o di lanciare nuove iniziative. Ma tutto ciò dipenderà anche dal governo che riusciremo ad imbastire.

     

  • L’Ucraina chiede sanzioni Ue contro Schroeder

    L’Ucraina sta facendo pressioni affinché l’Ue imponga sanzioni contro l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schroeder, per le sue attività di lobbying pro-russo. In un’intervista al quotidiano Bild, il ministro degli esteri ucraino Pavlo Klimkin ha definito Schroeder «il più importante lobbista dei progetti di Putin in tutto il mondo, ecco perché l’Unione europea dovrebbe analizzare le sue possibili azioni».

    Divenuto presidente di Nord Stream, una società a maggioranza controllata dal gruppo energetico russo Gazprom, poco dopo aver lasciato il Bundeskanzlerant nel 2005, Schroeder, da capo del governo tedesco aveva autorizzato il controverso gasdotto Nord Stream per spedire il gas russo direttamente in Germania attraverso il Mar Baltico, bypassando così Polonia e Ucraina (non proprio grandi amici di Mosca). E l’anno scorso Schroeder è diventato presidente di Rosneft, altro gigante petrolifero russo di proprietà statale.

    Sostenitore del gasdotto, Nord Stream 2, ma contrario a qualsiasi progetto di bypassare l’Ucraina, il governo di Angela Merkel ha cercato in passato di prendere le distanze da Schroeder (visto abbracciare il presidente russo Vladimir Putin poco dopo che la Russia aveva invaso l’Ucraina e poi annessa la Crimea nel 2014).

    Di recente, Mosca si è rifiutata di vendere gas all’Ucraina, ma gli Stati dell’Ue, inclusa la Germania, hanno alleviato il boicottaggio russo sull’Ucraina condividendo con essa il gas importato dalla stessa Russia.

    Una fonte europea ha affermato che è giuridicamente possibile imporre il congelamento dei beni e il divieto di visto dell’Ue a cittadini dell’UE, come Schroeder. Il divieto di visto significherebbe che non avrebbero il permesso di lasciare il loro paese di origine per recarsi in altri Stati dell’Unione. L’Ue ha già congelamenti di beni e divieti di viaggio in atto su diversi cittadini francesi, tedeschi e britannici e cittadini con doppia nazionalita, per via dei loro legami con Al-Qaeda.

  • Angela Merkel di nuovo cancelliere per il sì dei socialdemocratici alla «grande coalizione»

    Il sì degli iscritti all’SPD (socialdemocratici) è finalmente arrivato: si farà la «grande coalizione» e Angela Merkel sarà cancelliere per la quarta volta. Non era scontata questa soluzione. Subito dopo le elezioni del settembre 2017, dalle quali tanto la CDU quanto l’SPD sono usciti scornati, perdendo quasi 15 punti percentuali, a favore del partito nazionalista di destra, l’ipotesi dell’alleanza socialisti-democratici cristiani era da scartare perché l’SPD riteneva che la sua sconfitta fosse da addebitarsi proprio al fatto d’aver governato con la Merkel. Schulz era stato categorico: mai più con la Merkel! (Mai dire mai in politica!) Ma dopo il fallimento del tentativo di formare il governo con i liberali ed i Verdi, anche per le pressioni esercitate sull’SPD dal presidente della Repubblica Steinmeier, contrario all’instabilità e a nuove elezioni, l’ipotesi di un ritorno alla grande coalizione si è ripresentata. I negoziati tra SPD e CDU hanno faticosamente ripreso, tra lo scetticismo di una parte importante degli iscritti all’SPD, capeggiata dal presidente del movimento giovanile. Il negoziato è stato faticoso, ma produttivo. Si è giunti ad un accordo, contenuto in 177 pagine, che ha conferito all’SPD il ministero delle Finanze, regno incontrastato ed austero fino ad allora del ministro CDU Schauble, e il ministero degli Affari Esteri. Due ministeri chiave che potrebbero permettere ai socialdemocatici di caratterizzare a loro favore la politica tedesca. Il merito di questo successo, bisogna riconoscerlo, va a Schulz, che è diventato invece la sola vittima di questa situazione. Era previsto come ministro degli Esteri nel nuovo governo, data la competenza acquisita nello svolgere la funzione di presidente del Parlamento europeo per ben due mandati, era presidente dell’SPD, eletto un anno fa all’unanimità, è stato il firmatario del difficile accordo con la Merkel, ma proprio per questo, paradossalmente, ha pagato il prezzo più alto: essere escluso da ogni incarico e uscire umilmente di scena. Se si farà il nuovo governo, come è certo, espressione della Grande coalizione, quindi dell’accordo firmato con Schulz, il successo andrà a beneficio del nuovo commissario dell’SPD, Olaf Scholz, già borgomastro di Amburgo e ministro del lavoro, ora designato come nuovo ministro delle Finanze al posto di Schauble. A lui l’onere di garantire capacità e visibilità all’SPD all’interno della Grande coalizione, onde evitargli una perdita di identità e ridurre ancora di più il consenso da parte degli elettori, come temono gli iscritti che hanno votato «no» al referendum sull’accordo, che oltretutto ha anche il merito di aver evitato un secondo turno elettorale e di garantire la stabilità, tema sacro per i tedeschi. La Merkel sarà cancelliere per la quarta volta, anche se la sua immagine e la sua credibilità sono state intaccate dal fallimento del primo negoziato con i Liberali e i Verdi e dalle concessioni, quasi obbligate, fatte all’SPD nel secondo. Oltre alla politica interna, la Merkel deve salvaguardare i rapporti con il presidente francese Macron, per assicurare che Francia e Germania possano operare di comune accordo per realizzare le riforme europee, o parte di esse, già enumerate da Macron nell’ormai famoso discorso della Sorbona del 26 settembre dell’anno scorso. Una nuova Europa è necessaria. Si tratta di mettere nuovamente in moto quella che c’è e di realizzare quei nuovi indirizzi che incontrino il consenso degli europei e battano sulla breccia quei movimenti populisti che s’affermano un po’ dovunque in Europa e che si prefiggono di far uscire dall’Euro i loro Paesi, se avessero la ventura di giungere al governo. Una Merkel forse indebolita in Germania, ma che ha tutti i numeri per rafforzarsi in Europa se anche l’SPD sarà d’accordo. Questa conferma della Grande coalizione è anche una garanzia di stabilità, dunque, non solo per la Germania, ma anche per l’Europa. Una Germania debole ed instabile è una minaccia per il processo d’integrazione europea e mai come ora, invece, l’Europa ha bisogno d’essere presente e protagonista sulla scena mondiale.

  • Raggiunto l’accordo a Berlino per la formazione del nuovo governo

    Sono passati cinque mesi dalle elezioni che hanno avuto luogo nel settembre scorso e soltanto ora si intravvede una possibile soluzione per la formazione del governo. Come è noto, il primo tentativo della Merkel di formare una maggioranza con i liberali ed i verdi è miseramente fallito. La coalizione detta «Giamaica» non è riuscita a causa della distanza siderale tra i liberali ed i verdi su alcuni temi considerati importanti e per il rifiuto dei liberali di continuare il negoziato. Non è escluso che il loro presidente puntasse su nuove elezioni per rafforzare il fronte anti-Merkel e il suo partito, in modo da renderlo determinante nei nuovi negoziati per la formazione della maggioranza governativa. Ma le cose, come si sa, presero un’altra piega.

    Nonostante le dichiarazioni di Schulz, dopo il disastroso risultato elettorale inflitto al suo partito, l’SPD socialdemocratico, che con la percentuale del 20% è stato il peggiore dalla fine della guerra ad oggi, che affermavano: «Staremo all’opposizione»… «mai più una coalizione con la Merkel», il presidente della repubblica Steinmeier, anch’egli socialdemocratico, nel rispetto del principio della stabilità, è riuscito a convincerlo a smentire le infuocate dichiarazioni e a lavorare per la ricostituzione di una «Grosse Koalition». E bisogna riconoscere che, nonostante le difficoltà intrinseche ed il parere contrario di una parte del suo stesso partito, Schulz è riuscito a ricomporre la vecchia alleanza con la Merkel e a trovare un accordo che offre parecchi vantaggi al suo partito, fra i quali il principale è l’assegnazione all’SPD del ministero delle Finanze. E’ carica di simboli questa decisione. Infrange un mito, quello del ministro Schauble, che ha diretto le finanze per più di 20 anni, imprimendo all’Europa quella linea d’austerità criticata da molti e ritenuta responsabile della stagnazione in cui si trova da un paio di decenni. Vorrebbe dire che i socialdemocratici modificherebbero la rigidità imposta fino ad ora dalla CDU, il partito della Merkel e dalla CSU, il partito bavarese  E’ troppo presto per dirlo, ma è indubbio che la scelta del ministro delle finanze in Olaf Scholz, riformatore dai toni ruvidi, dice Il Foglio, già sindaco di Amburgo e ministro del Lavoro e degli Affari sociali dal 2007 al 2009, indica la volontà del partito di puntare su uomini nuovi e di mirare a nuove riforme. Anche Schulz era stato indicato come nuovo ministro degli Affari esteri, ma le tensioni nel suo partito e l’immagine non modificata di «voltagabbana» gli hanno consigliato di fare un passo indietro e di non presentarsi come ministro del nuovo governo. Eppure il lavoro dei negoziati con la Merkel è stato condotto bene e non ha assolutamente mortificato l’SPD. Al contrario. Le 177 pagine dell’accordo stanno a dimostrare che sono stati esaminati non soltanto i temi dell’attualità politica nazionale ed europea, ma anche le prospettive riformatrici per lo stato sociale relative alla diminuzione delle ore settimanali di lavoro, a parità di salario, per i metalmeccanici e un aumento volontario delle stesse ore per un ulteriore guadagno. Schultz, eletto un anno fa alla preidenza del partito con il 100 per cento dei consensi, si è messo in disparte per non ostacolare il nuovo indirizzo politico e le nuove prospettive. Ha fatto capolino in questa dialettica interna all’SPD anche il vecchio ex cancelliere Schröder, attraverso uomini che hanno lavorato con lui, come il capo dello Stato, lo stesso Scholz e Sigmar Gabriel, ministro degli Esteri dal gennaio 2017. Per Schulz non c’è più posto. Dopo aver raggiunto un accordo molto favorevole al suo partito, la sua funzione è terminata e si è dimesso da leader dell’SPD, a favore di Andrea Nahlesritrovandosi senza amici in un partito che ha contribuito a far risorgere dignitosamente.

    Non tutto però è giocato. Occorreranno ancora tre settimane per permettere ai circa 450mila iscritti al partito di pronunciarsi sull’accordo. Se la risposta sarà un «sì» si avrà un governo entro Pasqua. Nel caso contrario, l’instabilità farà capolino, maliziosamente, anche in Germania. Dopo di che Macron, con la sua maggioranza di partito e di governo, diventerà il nuovo re dell’Unione europea. Ma senza la Germania non potrà fare molti passi avanti sulla strada delle riforme.

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