Migranti

  • US to consider mass release of detained migrants over budget woes

    A senior US immigration official has said that authorities plan to release thousands of migrants from detention amid a severe budget crunch.

    The official from Immigration and Customs Enforcement (ICE) told CBS, the BBC’s US partner, that between 4,000 and 6,000 migrants could be released.

    A bipartisan border bill that would have funded immigration detentions collapsed last week.

    More than 6.3 million migrants have entered the US illegally since 2021.

    ICE is currently holding about 38,000 migrants in long-term detention facilities.

    The bipartisan border bill that faltered due to Republican opposition last week would have earmarked $7.6bn (£6bn) for ICE, including an additional $3.2bn for detention capacity that would have boosted the agency’s ability to house detainees by several thousand beds.

    According to the Washington Post – which first reported the story – the bill’s collapse prompted ICE officials to circulate an internal proposal to slash costs by cutting detentions from 38,000 to 22,000.

    While the proposal would see some of the migrants deported back to their home countries, many would be released into the US, the report added.

    In response to a query from the BBC, a spokesperson for the Department of Homeland Security (DHS) – which includes ICE – said that Congress has “chronically underfunded” efforts to secure the border.

    The rejection of the border bill, the spokesperson added, will “put at risk DHS’s current removal operations” and “put further strain on our already overtaxed workforce”.

    The spokesperson said that without “adequate funding” for Customs and Border Patrol, ICE and US Citizenship and Immigration Services, “the department will have to reprogram or pull resources from other efforts”.

    A budget shortfall would also mean that ICE’s capacity to deport migrants would suffer, one of a number of potential changes to DHS operations cited by the spokesperson.

    Any such move would almost certainly face intense criticism from Republicans, who have long called for stricter enforcement and fewer migrants being “paroled” into the US to await immigration court proceedings.

    The border has become an extremely divisive issue in the US.

    A January poll conducted by CBS – the BBC’s US partner – suggests that nearly half of Americans view the situation at the border as a crisis, with 63% wanting “tougher” policies.

    More migrants have been held while crossing the border illegally since the start of President Joe Biden’s term than under either Donald Trump, Barack Obama or George W Bush.

    Of the more than 6.3 million total, about 2.4 million have been allowed into the US, mostly to await decisions from immigration courts.

    On a monthly basis, migrant detentions rose to an all-time high of over 302,000 in December 2023, but fell by 50% to about 124,00 in December.

    CBP officials have attributed the drastic decline to “seasonal trends, as well as enhanced enforcement efforts”.

    Experts have also credited increased enforcement by the Mexican government for the drop in migrants “encounters” at the border in the wake of a December meeting between Secretary of State Antony Blinken and Mexican President Andrés Manuel López Obrador.

  • Valutazione positive del regolamento Frontex nonostante le sfide

    Il 2 febbraio la Commissione ha adottato la valutazione del regolamento relativo alla guardia di frontiera e costiera europea (regolamento Frontex) unitamente a un piano d’azione a sostegno della sua attuazione. Con questa prima valutazione del regolamento Frontex, che costituisce un obbligo giuridico, la Commissione ha valutato l’impatto, l’efficacia e l’efficienza di Frontex.

    Dalla valutazione emerge che, nonostante le sfide importanti, tra cui la pandemia di COVID-19, la strumentalizzazione della migrazione e la guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina, Frontex ha contribuito notevolmente a rafforzare la gestione delle frontiere esterne dell’UE nel pieno rispetto dei diritti fondamentali. Per attenuare e affrontare le sfide individuate, la Commissione ha inoltre proposto un piano d’azione a sostegno dell’attuazione del regolamento Frontex, con una serie di raccomandazioni che saranno attuate dall’Agenzia, dal suo consiglio di amministrazione, dagli Stati membri e dalla Commissione.

    La Commissione collaborerà con gli Stati membri e Frontex per affrontare le carenze individuate e monitorare attentamente l’attuazione del piano d’azione.

  • Oltre 200mila migranti sbarcati in Italia nel 2023

    Oltre 200 mila migranti hanno cercato di raggiungere l’Italia via mare nel corso del 2023, un numero in netto aumento rispetto allo scorso anno. Il dato è stato elaborato da “Agenzia Nova” sommando gli arrivi accertati sul territorio italiano e le persone intercettate in mare e riportate in Libia e in Tunisia dalle rispettive Guardie costiere nordafricane.

    Sono complessivamente 153.647 i migranti arrivati in modo irregolare via mare e sbarcati nei porti italiani a decorrere dal primo gennaio al 20 dicembre, con un aumento del 55 per cento rispetto ai circa 99.191 arrivi registrati nello stesso periodo del 2022. Si tratta, a ben vedere, di numeri inferiori ai 181 mila arrivi del 2016 e ai 170 mila del 2014, indice di una situazione non emergenziale ma comunque preoccupante anche per i morti nel Mediterraneo centrale: oltre 2.220 da gennaio. Gli ultimi dati del Viminale visti da “Nova” confermano il picco di arrivi via mare dalla Tunisia, 96.156 da inizio anno al 20 dicembre, una media di quasi 272 migranti sbarcati al giorno: più che triplicato il dato di 30.135 arrivi complessivi dalla rotta tunisina in tutto il 2022. A questi numeri vanno aggiunti almeno altri 48.074 migranti che sono stati intercettati dal primo gennaio al 30 novembre, secondo gli ultimi dati disponibili pubblicati dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (Ftdes). Complessivamente, inoltre, Ftdes ha conteggiato 1.300 morti e dispersi in mare, fino al 30 novembre, lungo la rotta tunisina.

    Più distaccata invece la rotta libica, al secondo posto con almeno 49.714 migranti illegali sbarcati al 20 dicembre, secondo i dati del Viminale visti da “Nova”. Più della metà dei migranti sbarcati in Italia dalle coste libiche, circa 33 mila, è partito dalla Tripolitania, regione occidentale del Paese nordafricano sotto il controllo del governo guidato del premier Abdulhamid Dabaiba. Dalla Cirenaica, regione orientale dominata dal generale Khalifa Haftar e colpita lo scorso settembre dal devastante ciclone “Daniel”, sono invece arrivati ad oggi oltre 16 mila migranti. Secondo le ultime stime dell’Oim, aggiornate al 9 dicembre, 15.383 migranti sono stati intercettati in mare e riportati in Libia, di cui 11.423 uomini, 1.066 donne, 556 minori e 2.443 persone i cui dati di genere non sono disponibili. Di 955 migranti è stata invece accertata la morte, mentre 1.255 risultano ancora dispersi nei tentativi di emigrazione verso le coste europee attraverso la rotta del Mediterraneo centrale (che include sia Libia che Tunisia), per un ammontare complessivo di 2.210 persone decedute. I numeri del ministero dell’Interno italiano visionati da “Nova” mostrano infine un sensibile calo di arrivi dalla rotta turca dalla tragedia di Cutro di febbraio, 7.017, a fronte degli oltre 15 mila dello stesso periodo dello scorso anno. Resta marginale, infine, la rotta che dall’Algeria ha portato in Italia almeno 535 migranti irregolari, a fronte di 1.273 arrivi dello scorso anno.

    “Tante persone provano una traversata più volte, quindi è difficile capire quanti respinti poi siano arrivati o meno. Potremmo effettivamente essere a 200 mila partenze, ma non possiamo consideriamo il 2023 un anno emergenziale. Sono comunque dati inferiori al 2016 e al 2014. L’emergenza numerica non c’è”, commenta a “Nova” Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) a Roma. “Anche qualora fossero 200 mila le persone partite, si tratta di un numero obiettivamente basso: non è paragonabile agli oltre 850 mila arrivati in Grecia nel 2015”, ha aggiunto Di Giacomo, sottolineando come i 153 mila sbarcati in Italia da inizio anno siano pari allo 0,26 del totale della popolazione italiana e allo 0,03 per cento del totale della popolazione europea. Il problema, secondo il portavoce, è soprattutto a Lampedusa, dove fino a due mesi fa si concentrava almeno il 70 per cento degli arrivi. “L’emergenza non è numerica per l’Italia, ma lo è sicuramente per Lampedusa, anche al livello operativo e logistico”, ha aggiunto l’esponente di Oim.

    Secondo i dati del cruscotto statistico giornaliero pubblicato nel sito web del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Viminale, al primo posto degli sbarchi in Italia al 20 dicembre 2023 c’è la Guinea con 18.204 arrivi, mentre nello stesso periodo del 2022 c’era l’Egitto con circa 20.486 sbarcati dalla rotta libica, in particolare quella “orientale” che dalle coste della Cirenaica punta alla Sicilia. Segue poi un altro Paese dell’Africa, la Tunisia, con 17.203 arrivi al 20 dicembre, circa 500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Dalla Tunisia partono soprattutto subsahariani, meno di due su dieci è di nazionalità tunisina. I cittadini della Costa d’Avorio risultano al terzo posto degli sbarchi irregolari in Italia, con 16.004 arrivi via mare, mentre lo scorso anno erano i bengalesi (più di 14 mila) a occupare il gradino più basso del podio in questo periodo. Da segnalare poi l’arrivo quest’anno di 12.122 cittadini del Bangladesh che hanno molto probabilmente percorso la rotta libica per sbarcare in Italia.

    Secondo Di Giacomo, i flussi migratori del 2023 sono stati caratterizzati dalla partenza di persone che vivevano in Nord Africa (e non necessariamente nordafricani) e che sono state costrette a scappare. “Tendenzialmente molte persone arrivate quest’anno sono fuggite da contesti drammatici. Molte persone arrivate dalla Tunisia vivevano lì da anni e sono scappate a causa delle discriminazioni. Sappiamo che la Libia è sia un Paese di transito, ma anche di destinazione: molte persone che si trovano a vivere in Libia scappano, anche se in realtà volevano rimanere”, ha detto ancora Di Giacomo, sottolineando come a influire sul fenomeno sia soprattutto il contesto geopolitico. “L’instabilità economica e geopolitica del Nord Africa crea un flusso migratorio che, se ci fosse più stabilità politica in questi paesi, probabilmente sarebbe più basso”, ha puntualizzato il portavoce di Oim, evidenziando il drammatico dato di 2.271 morti nel Mediterraneo, in netto aumento rispetto ai 1.400 morti del 2022. “E’ un numero ancora per difetto. Ci sono tantissimi naufragi di cui nessuno sa niente. L’emergenza vera è che non si fa abbastanza per salvare le vite in mare”, conclude Di Giacomo.

  • L’UE presenta le buone prassi per migliorare la cooperazione tra gli Stati membri sulle procedure di asilo

    La Commissione ha presentato una serie di buone prassi per garantire l’efficacia del regolamento Dublino III, come annunciato dalla Presidente von der Leyen all’inizio di giugno nell’ambito dell’attuazione della tabella di marcia di Dublino.

    Nella lettera inviata agli Stati membri in vista del Consiglio europeo del febbraio 2023 la Presidente von der Leyen si è impegnata ad assicurare la piena attuazione della tabella di marcia di Dublino, elaborata dalla Commissione e approvata dagli Stati membri nel novembre 2022. La tabella di marcia di Dublino stabilisce azioni pratiche per ridurre gli incentivi ai movimenti secondari grazie a una migliore cooperazione tra gli Stati membri.

    Nella “Tabella di marcia di Dublino in azione – aumentare l’efficacia del regolamento Dublino III: individuare le buone prassi negli Stati membri“, la Commissione ha individuato una serie di buone prassi che hanno un impatto positivo sul funzionamento della procedura Dublino, tra cui:

    • la comunicazione ai richiedenti di informazioni dettagliate sul trasferimento mediante colloqui prima della partenza od opuscoli mirati per spiegare i motivi della decisione di trasferimento e le aspettative derivanti dal trasferimento;
    • la garanzia di un controllo più rigoroso di ciascun trasferimento, ad esempio introducendo un sistema di registrazione di chi entra ed esce dai centri di accoglienza, che permette di monitorare la presenza nei centri di accoglienza e può anche contribuire a limitare la fuga;
    • il ricorso a misure alternative al trattenimento, quali il sequestro dei documenti di viaggio o la designazione di funzionari speciali nei centri di accoglienza per controllare regolarmente la presenza fisica delle persone oggetto di trasferimento;
    • il miglioramento della comunicazione tra lo Stato membro che provvede al trasferimento e lo Stato membro competente, concludendo accordi bilaterali, designando funzionari di collegamento, organizzando riunioni bilaterali periodiche e missioni di accertamento dei fatti;
    • il potenziamento dei sistemi informatici esistenti e lo sviluppo di nuove soluzioni digitali per monitorare tutte le fasi della procedura Dublino.

    Nell’ultimo anno gli Stati membri, sulla base della tabella di marcia di Dublino, hanno avviato varie iniziative con il sostegno della Commissione per aumentare l’efficienza delle procedure Dublino.

    Le buone prassi individuate in questo documento saranno discusse nella prossima riunione del comitato di contatto Dublino che si terrà il 4 dicembre. La Commissione continuerà a sostenere gli Stati membri nel conseguimento di tutti gli obiettivi fissati nella tabella di marcia di Dublino. Il nuovo patto sulla migrazione e l’asilo proposto dalla Commissione nel settembre 2020 comprende una serie di strumenti per rendere più efficace il sistema di Dublino, in particolare nell’ambito della proposta di regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione, attualmente in fase di negoziazione da parte dei colegislatori. La Commissione è pronta a continuare a collaborare con il Parlamento europeo e il Consiglio per garantire un accordo sul patto entro la fine del presente mandato legislativo, in linea con la tabella di marcia comune.

  • Number of Venezuelan migrants at US-Mexico border halves

    The number of Venezuelans illegally crossing the US-Mexico border has nearly halved since deportation flights restarted last month.

    Statistics from Customs and Border Patrol (CBP) indicate a 46% drop in such arrivals.

    In early October, US President Joe Biden’s government announced it would deport Venezuelans who were ineligible for asylum or temporary legal status.

    More than seven million people have fled Venezuela in recent years.

    According to the CBP figures released on Tuesday, border agents apprehended 29,637 Venezuelans at the border last month, a sharp drop from September’s record high of 54,833.

    Overall illegal entries along the southern border also decreased in October by 14% – from nearly 219,000 in September.

    On 18 October, US Immigration and Customs Enforcement (ICE) began deportation flights to Venezuela. Since then, hundreds of Venezuelans have been sent home.

    Acting CBP Commissioner Troy Miller said the “resumption of removal flights… consistent with delivering consequences for those who cross the border unlawfully” had contributed to the dramatic decline of Venezuelan illegal migrant detentions.

    In September, the US also said that about 472,000 Venezuelans would be eligible for Temporary Protected Status (TPS) for a period of 18 months.

    Those granted TPS status are eligible to work while they wait for their asylum cases to be heard.

    The influx of Venezuelan migrants into US cities such as New York, Denver and Chicago has become a politically contentious issue, with even some Democratic elected officials criticising the Biden administration for its handling of the issue.

    New York City Mayor Eric Adams, for example, blamed the federal government for not providing enough assistance to help the city house and provide services for newly arrived migrants.

    The economy of oil giant Venezuela has collapsed under socialist President Nicolás Maduro, who has been in power since 2013.

  • Le preoccupanti conseguenze degli interessi geopolitici

    L’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni

    genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

    François de La Rochefoucauld; da “Massime”, 1678

    Il 20 settembre scorso a Siracusa si sono incontrati il presidente della Repubblica dell’Italia ed il presidente della Repubblica Federale di Germania. L’occasione era la cerimonia della seconda edizione del Premio dei Presidenti per la Cooperazione comunale tra Germania e Italia, istituito dai due presidenti nel settembre 2020 a Milano. Un premio che si assegna ogni anno, partendo dal 2021, e premia le città e i comuni in Italia ed in Germania che hanno attivato tra loro degli accordi di gemellaggio. Una visita quella del presidente tedesco in Sicilia, ospite del suo omologo italiano, che è proseguita l’indomani, 21 settembre, nel comune di Piazza Armerina, parte integrante del libero consorzio comunale di Enna. I due presidenti sono stati anche nella sede dell’Associazione Don Bosco 2000 a Piazza Armerina, dove è stata presentata loro l’attività che svolge l’associazione e che riguarda l’accoglienza e l’integrazione dei migranti. Un grave problema quello dei migranti che da anni sta generando delle serie preoccupazioni in Italia. Ma non solo. Quanto sta accadendo ormai da anni a Lampedusa ne è una chiara ed inconfutabile testimonianza. Soprattutto il naufragio di un barcone proprio dieci anni fa, il 3 ottobre 2013, a circa mezzo miglio dalle coste dell’isola, che causò 368 vittime umane e 20 dispesi. Ma anche quello che ormai è noto come il “naufragio dei bambini”, accaduto sempre a Lampedusa. Un altro barcone, partito dalla Siria, in piena guerra civile, affondò l’11 ottobre 2013 a poca distanza da Lampedusa. Morirono 268 profughi, tra cui circa sessanta bambini e minorenni.

    Il presidente tedesco, prima di arrivare in Sicilia, a Siracusa, il 20 settembre scorso, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera. Il giornalista ha fatto, tra l’altro, anche la domanda: “Signor presidente, lei ha sempre detto che l’Italia non dev’essere lasciata da sola dall’Europa sulla questione dei migranti”. A quella domanda il presidente tedesco ha risposto: “Quella frase è ancora valida e voglio ringraziare l’Italia per avere mostrato negli ultimi anni tanta responsabilità umanitaria verso i rifugiati venuti dal Mediterraneo. Non è la prima volta che dico che noi nel resto d’Europa non abbiamo riconosciuto abbastanza questa assunzione di responsabilità da parte italiana”. Il 21 settembre scorso, durante la comune conferenza con i giornalisti a Piazza Armerina, il presidente italiano ha detto: “Abbiamo ascoltato qui a Piazza Armerina le iniziative messe in campo innanzitutto per accogliere i migranti che sono giunti qui attraverso sofferenze indicibili, ma anche per integrarli e inserirli in progetti di crescita, incentivando oltretutto programmi nei Paesi d’origine dove possano assumere iniziative grazie alle competenze acquisite, creando nuove aspettative di vita in quei luoghi dove resterebbero volentieri se non fossero spinti dalla fame, dalla miseria, dalle intolleranze”. Il presidente italiano ha, altresì ribadito: “Quello che è importante è che tutti comprendano in Europa che il problema esiste e non si rimuove ignorandolo, ma va affrontato per non lasciare il protagonismo di questo fenomeno plurale ai crudeli trafficanti di esseri umani”. E poi ha aggiunto che “Le regole di Dublino sono la preistoria, nessuno ha la soluzione in tasca”. Mentre il presidente tedesco, durante la stessa conferenza con i giornalisti, riferendosi ai migranti, ha affermato che la Germania “è il Paese che ha partecipato di più alla redistribuzione di quelli giunti in Italia. Ma gli arrivi devono diminuire e servono regole dell’Unione europea se le frontiere interne devono essere aperte”. Un’affermazione quella che ha suscitato speranze per una concreta e sostanziale collaborazione tra i due Paesi, anche nell’ambito delle strutture dell’Unione europea, soprattutto del Consiglio europeo, per risolvere lo spinoso problema dei migranti che arrivano continuamente e massicciamente in Italia. Ma purtroppo quella speranza si è spenta alcuni giorni dopo. Si perché il cancelliere tedesco e i suoi ministri degli Esteri e dell’Interno la pensano diversamente dal presidente della Repubblica di Germania. Ovviamente ci sarebbero dei motivi politici, viste le elezioni regionali in Baviera ed Assia, domenica prossima, 8 ottobre. Ma anche le elezioni per il Parlamento europeo, che in Germania si svolgeranno il 9 giugno 2024. Elezioni che secondo gli opinionisti e i sondaggi vedono in difficoltà sia il partito del cancelliere che quelli dei suoi alleati. Ma potrebbero esserci anche altri interessi, oltre a quelli politici, che hanno portato a delle decisioni del governo, in pieno contrasto con quanto ha dichiarato il presidente della Repubblica di Germania, sia alla sopracitata intervista al Corriere della Sera che durante la conferenza con i giornalisti a Piazza Armerina il 21 settembre scorso.

    Ebbene, proprio un giorno dopo, il 22 settembre, la ministra tedesca dell’Interno ha dichiarato: “L’Italia non rispetta il sistema delle riammissioni [previste dal Trattato] di Dublino, e finché non lo farà, nemmeno noi accoglieremo rifugiati dall’Italia con il meccanismo di solidarietà”. Ed ha preteso che “Roma venga di nuovo incontro a noi per adempiere ai suoi impegni”. Bisogna sottolineare che la Convenzione (Trattato) di Dublino sulla determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri della Comunità Europea è stata firmata il 15 giugno 1990 ed è resa attiva sette anni dopo, il 1º settembre 1997, per i primi dodici Stati firmatari. In seguito altri Paesi hanno aderito e la stessa Convenzione è stata modificata nel corso degli anni. Dal 19 luglio 2013 è diventato attivo il Regolamento di Dublino III che deve essere rispettato da tutti gli Stati dell’Unione europea, eccezion fatta della Danimarca. Ma i tanti sviluppi geopolitici di questi ultimi anni hanno reso necessario la revisione del Trattato di Dublino. Ragion per cui anche il presidente italiano, il 21 settembre scorso a Piazza Armerina, lo ha considerato come un atto che appartiene alla “preistoria”. Ma oltre alle sopracitate dichiarazioni della ministra tedesca dell’Interno, lo stesso giorno c’è stata anche una dichiarazione di un portavoce del ministero degli Esteri. In più il governo tedesco prevede il finanziamento di un’organizzazione non governativa (Ong) impegnata con le sue navi nei salvataggi di profughi. Subito dopo è arrivata anche la replica dall’Italia. “Grande stupore per la notizia secondo la quale un portavoce del ministero degli Esteri della Germania avrebbe annunciato un imminente finanziamento ad alcune Ong per un progetto di assistenza di migranti sul territorio italiano e un progetto di salvataggi in mare”. Mentre la presidente italiana del Consiglio dei ministri ha scritto una lettera al cancelliere tedesco, ribadendo che “…il finanziamento della Germania di attività di Ong in territorio italiano rappresenterebbe una gravissima anomalia nelle dinamiche che regolano i rapporti fra Stati ….”. Sullo stesso argomento c’è stata anche una replica, senza peli sulla lingua, da parte del ministro italiano della Difesa.In merito alle recenti e rinnovate dichiarazioni sull’operato del governo italiano e, in particolare, sulla questione dei salvataggi dei migranti e dei finanziamenti alle Ong, voglio ricordare che mi sarei aspettato aiuto e solidarietà in un momento di difficoltà, come abbiamo l’abitudine di fare noi italiani con tutte le nazioni, quando sono in difficoltà. A noi italiani viene naturale”.

    Ma alcuni giorni dopo, un’altra decisione arriva dalla Germania. Di nuovo la ministra dell’Interno ha dichiarato che si effettueranno “…ulteriori controlli flessibili e mirati sulle rotte del traffico di esseri umani”. E lei si riferisce a controlli ai confini statali con la Polonia, l’Austria, la Svizzera e la Repubblica Ceca. La ragione di queste nuove e restrittive misure è legata, sempre secondo la ministra tedesca dell’Interno, all’aumento eccessivo del numero degli arrivi, sul territorio tedesco, di profughi. Profughi provenienti dalle stesse aree da dove partono continuamente, ma molto più numerosi, i profughi che ogni giorno arrivano in Italia, soprattutto a Lampedusa. Il che mette in evidenza l’incoerenza del ragionamento e delle decisioni prese dal governo tedesco in questi ultimi giorni. Lo sottolinea anche il ministro italiano della Difesa che considera, con ironia, la decisione del governo tedesco come “coerente e geniale”. E poi aggiunge, sempre riferendosi alle sopracitate decisioni del governo tedesco, che “si cerca di bloccare l’immigrazione in una parte d’Europa e se ne agevola il trasporto in un’altra”. Chissà perché?! E chissà come si sente il presidente della Repubblica Federale di Germania, dopo le sue dichiarazioni fatte il 20 e 21 settembre scorso al Corriere della Sera e a Piazza Armerina in Sicilia?!

    Nel frattempo, anche durante questa settimana, quanto è accaduto domenica 24 settembre nel nord del Kosovo sta attirando l’attenzione sia delle cancellerie europee e statunitense, che delle istituzioni dell’Unione europea. Il nostro lettore è stato informato di quello che era accaduto il 24 settembre in Kosovo. “Non erano ancora le tre del mattino quando una pattuglia delle forze speciali della polizia del Kosovo, arrivata sul posto, è stata attaccata da persone armate che sparavano da diverse postazioni. In quell’attacco è rimasto ucciso un poliziotto e due sono stati feriti. Le forze speciali della polizia del Kosovo hanno seguito gli aggressori armati […]. Gli scontri sono continuati per tutta la giornata di domenica, per finire solo in serata. Durante gli scontri intorno al monastero, le forze speciali della polizia del Kosovo hanno ucciso quattro degli aggressori ed hanno catturato altri sei. (Si sentono responsabili alcuni rappresentanti internazionali;25 settembre 2023). Durante tutta la scorsa settimana sono continuate le denunce e la presentazione di nuovi fatti che dimostrano il diretto coinvolgimento di strutture paramilitari serbe. Lo testimonia anche un video in cui si vede chiaramente il vice presidente del partito Srpska lista (Lista serba, un partito che rappresenta la popolazione di etnia serba in Kosovo; n.d.a.). Un partito quello in stretto contatto con i massimi rappresentati politici della Serbia, presidente della repubblica incluso. Il vice presidente del partito Srpska lista è stato da tempo inserito nella cosiddetta Lista nera sia negli Stati Uniti d’America che nel Regno Unito per le sue attività. Lui era il dirigente del gruppo paramilitare che ha aggredito la pattuglia della polizia del Kosovo nelle primissime ore del 24 settembre scorso. Bisogna sottolineare che le cancellerie europee e quella statunitense, nonché i massimi rappresentati delle istituzioni dell’Unione europea hanno condannato l’aggressione del 24 settembre scorso. Mentre il presidente della Serbia ha dichiarato un giorno di lutto nazionale il 27 settembre scorso, in onore dei sei serbi uccisi durante l’aggressione. Il che smaschera tutta la sua demagogia e la sua falsità durante questi giorni, cercando di “tenersi fuori” da quella “aggressione terroristica”. E come consolazione ha avuto soltanto e come sempre l’appoggio della Russia. Bisogna sottolineare che durante questa settimana si sono “pentiti” e hanno cambiato linguaggio anche tutti quei rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea, la Commissione in primis, che hanno sempre appoggiato il presidente della Serbia per delle “ragioni geopolitiche e geostrategiche”, senza, però, nessuna basata e credibile giustificazione. Adesso loro possono costatare però e purtroppo anche le conseguenze di quel comportamento. Le cattive lingue da tempo parlano anche di “interessi geopolitici” ai quali “ubbidiscono” quei rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. E le cattive lingue sanno molto più delle altre persone.

    Chi scrive queste righe continuerà a seguire gli sviluppi, tuttora in corso, che riguardano tutti gli aspetti relativi all’aggressione del 24 settembre scorso nel nord del Kosovo. Chi scrive queste righe considera preoccupante la situazione, tenendo presente anche determinati e ben presenti interessi geopolitici e geostrategici, soprattutto della Russia. Mentre, riferendosi a quei rappresentanti istituzionali e governativi che hanno finora appoggiato il presidente della Serbia, egli condivide quanto affermava François de La Rochefoucauld. Bisogna perciò ricordare che l’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

  • Polemiche pretestuose ed evidenze

    È evidente che i migranti non possono essere lasciati morire in mare. È evidente che se non si fermano a monte le partenze, attraverso controlli sulle coste africane, se non ci sono corridoi umanitari per chi ha diritto di rifugiarsi subito in Europa e se non c’è una battaglia comune contro i trafficanti di uomini, le partenze continueranno e i naufragi ed i morti anche.

    È evidente che ogni Paese può aiutare economicamente delle Ong che si attivano per salvare persone che rischiano di morire in mare ma dovrebbe essere altrettanto evidente che le Ong finanziate da un Paese europeo devono garantire di portare i migranti in quello stesso Paese, via mare o via terra. Il trattato di Dublino era sbagliato prima ed è anacronistico da tempo, che la Germania, od altri, vi faccia ancora riferimento è un evidente pretesto per non adempiere ai suoi obblighi, o forse anche per ottenere di più dall’Europa.

    È evidente che la politica europea non solo è in grave e colpevole ritardo ma che anche ora annaspa senza affrontare, alla radice, il problema immigrazione che ha due principali aspetti: come risolvere nell’immediato l’arrivo di decine di migliaia di persone e come affrontare per l’imminente, prossimo futuro la gestione di quello che è diventato un esodo biblico.

    Dovrebbe essere evidente che ciascuno dei paesi europei deve accogliere un numero di immigrati in rapporto alla propria capacità territoriale e al numero dei suoi abitanti e che vi è la necessità di una politica economica per i Paesi africani che soffrono per la mancanza dei beni primari. Occorrono aiuti alle popolazioni che passano anche da investimenti per la produzione agricola e che per i profughi da paesi in guerra, oltre ai corridoi umanitari, occorrono centri di istruzione ed avviamento al lavoro, in caso contrario, se le persone, specie i giovani, non hanno l’istruzione necessaria e non conoscono le leggi e le regole europee parlare di integrazione è pura utopia.

    Altrettanto evidente è che la guerra ai trafficanti di uomini non può essere fatta che in maniera dura, con il coinvolgimento di quegli stati dai quali partono i barconi e che sono noti per i lager nei quali la criminalità, con il silenzio compiacente o la complicità di molte autorità, sevizia, ricatta e sfrutta donne, uomini e bambini.

    Ed è anche evidente che se un Paese come la Germania, che anche ora continua a ritenersi capofila in Europa, ha un Presidente della Repubblica che in Italia condivide la necessità di rivedere il trattato di Dublino ed una ministro che, dalla Germania, il giorno dopo lo smentisce è imminente il pericolo che la crisi immigrazione si tramuti in una crisi che mette a repentaglio il futuro dell’Europa e perciò di tutti noi.

  • Piano in 10 punti per Lampedusa

    La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, alla luce della situazione attuale a Lampedusa, in cui di recente si è recata in visita, ha presentato una serie di azioni immediate, da realizzare nel pieno rispetto dei diritti fondamentali e degli obblighi internazionali. In particolare sarà necessario rafforzare il del sostegno all’Italia da parte dell’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA) e della guardia di frontiera e costiera europea (Frontex) per gestire l’elevato afflusso di migranti per garantire la registrazione degli arrivi, il rilevamento delle impronte digitali, il debriefing e l’indirizzamento verso le autorità competenti; sostenere il trasferimento delle persone fuori da Lampedusa, anche verso altri Stati membri, avvalendosi del meccanismo volontario di solidarietà e prestando particolare attenzione ai minori non accompagnati e alle donne; rafforzare i rimpatri, avviando rinnovati e concertati contatti con i principali paesi di origine dei nuovi arrivi, vale a dire Guinea, Costa d’Avorio, Senegal e Burkina Faso, in modo da migliorare la cooperazione e facilitare la riammissione, e aumentare il sostegno da parte di Frontex per garantire la rapida attuazione dei rimpatri; sostenere la prevenzione delle partenze, istituendo partenariati operativi con i paesi di origine e di transito per la lotta al traffico di migranti. Ciò include la possibilità di un accordo di lavoro tra la Tunisia e Frontex; rafforzamento della sorveglianza di frontiera aerea e marittima, anche attraverso Frontex, e studio di opzioni per espandere le missioni navali nel Mediterraneo; adottare misure per limitare l’uso di imbarcazioni non idonee alla navigazione e contrastare le catene di approvvigionamento e logistica dei trafficanti e per garantire lo smantellamento delle imbarcazioni e dei gommoni recuperati; aumentare il sostegno da parte dell’EUAA per l’applicazione di procedure di frontiera rapide e accelerate, compreso l’uso del concetto di paese di origine sicuro, il rifiuto di domande manifestamente infondate, l’emissione di divieti d’ingresso e la loro registrazione nel sistema d’informazione Schengen (SIS); aumentare le campagne di sensibilizzazione e comunicazione per scoraggiare le traversate del Mediterraneo, continuando a lavorare per offrire alternative quali l’ammissione umanitaria e i percorsi legali; cooperare più intensamente con l’UNHCR e l’OIM per adottare un approccio globale basato sulle rotte al fine di garantire la protezione lungo il percorso e aumentare il rimpatrio volontario assistito dai paesi di transito; attuare il protocollo d’intesa UE-Tunisia e priorità alle azioni con impatto immediato per affrontare la situazione attuale e agevolare la contrattazione di nuovi progetti nel quadro di tale protocollo.

  • Riconoscimento morale a Lampedusa

    Se non ricordo male… nell’anno 2005 e dintorni vi furono molte polemiche con l’Unione europea per i continui sbarchi a Lampedusa e per come, secondo certe forze politiche di sinistra, l’Italia non era sufficientemente attenta ai problemi dell’immigrazione. Anche l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva ricordato che c’era bisogno di più Europa e di un’Europa che parlasse con una voce sola, almeno per quanto riguardava – e continua a riguardare – il problema dell’immigrazione.

    Non torneremo su quanto abbiamo già detto innumerevoli volte, e cioè che sarebbe stato necessario allora ed è quanto mai necessario ora, da un lato rivedere il trattato di Dublino e dall’altro avere finalmente il coraggio di interventi specifici nei Paesi del Nord Africa nei quali i migranti sono spesso, in campi lager, vittime di abusi, soprusi e preda dei trafficanti di esseri umani.

    La recente crisi economica e politica in Tunisia, con decine e decine di migliaia di persone pronte a sfidare la morte per raggiungere l’Italia, così come l’annosa instabilità politica in Libia, dove anche i miliziani putiniani della Wagner hanno la loro parte di responsabilità, fanno ben comprendere come ogni giorno di più si dovranno affrontare salvataggi e contare le vittime di chi in mare non ha trovato il necessario soccorso.

    Certamente nelle ultime settimane la Commissione europea ha dimostrato maggiori aperture e più concreto interesse ad affrontare con l’Italia quei problemi dell’immigrazione che Paesi come Malta, la Grecia e la stessa Francia non possono o non vogliono condividere. Ma ora c’è bisogno di atti concreti immediati per i quali ancora non vediamo iniziative sufficienti: soltanto nelle ultime ore più di 1.500 migranti sono sbarcati a Lampedusa ed altri 1.500 sono su pescherecci o barchini in balia delle onde (l’Italia sta cercando di salvarli).

    Credo che, mentre attendiamo le soluzioni urgenti che occorrono, sia necessario anche che l’Europa dia un giusto riconoscimento morale a Lampedusa e a tutti gli altri punti di approdo che in questi mesi hanno affrontato l’arrivo di decine di sbarchi. Quella stessa Europa che in parte contestava Lampedusa oggi forse dovrebbe chiedere scusa per i deputati che allora la mettevano sotto accusa.

  • Campi profughi a gestione europea, Cristiana Muscardini scrive alla Presidente del Parlamento europeo Roberta Metzola

    A seguito dell’articolo sul problema migranti pubblicato da Il Patto Sociale lo scorso 8 marzo, l’On Muscardini ha scritto alla Presidente del Parlamento europeo, Roberta Metzola.

    Nella lettera si chiede che la Presidente 1) si faccia promotrice, presso le altre Istituzioni europee, della costituzione di campi profughi a gestione europea, previo accordo con i paesi che si affacciano sul Mediterraneo nei quali i migranti vivono spesso in condizioni disumane  e dai quali  partono verso l’Europa, incontrando anche la morte; 2) di costituire una delegazione di parlamentari europei con lo scopo di visitare i campi profughi di questi paesi per potere concretamente relazionare sulle condizioni di vita dei migranti.

    Dopo la notizia arrivata dall’intelligence che segnala la reale possibilità dell’arrivo, specie dalla Libia, di centinaia di migliaia di migranti l’On. Muscardini ha inoltre dichiarato che: “vi può essere una specifica regia dietro l’aumento di questo esodo. Vi sono noti interessi a cercare di dividere, destabilizzare l’Europa, tuttora priva di una politica comune efficace anche sul tema immigrazione. L’arrivo di centinaia di migliaia di extracomunitari porterebbe a nuove tensioni tra i paesi membri stornando in parte l’attenzione dagli aiuti all’Ucraina. Per questo andrebbe valutato quanto la presenza russa e della Wagner in Libia, possa influire su quanto sta avvenendo, tenuto conto dell’aumento esponenziale di sbarchi dall’inizio della guerra e delle sanzioni europee alla Russia”

    On. Roberta Metzola

    Presidente del Parlamento europeo

    Rue Wiertz, 600

    1047 Bruxelles

    Milano, 13 marzo 2022

    Gentile stimata Presidente,

    sono stata per 25 anni parlamentare europeo e ora mi sento in dovere di rivolgermi a lei per alcune proposte e considerazioni sul tema immigrazione.

    Non staremo a ripetere che l’immigrazione è un problema che l’Europa non ha affrontato a tempo debito e che anche ora, per problemi politici nazionali, lunghezze burocratiche ed istituzionali, non riesce a risolvere con la necessaria tempestività.

    Non tutti sembrano conoscere, con la sufficiente chiarezza, la reale situazione dei campi profughi esistenti da anni non solo in vari Paesi africani, campi a volte gestiti o controllati dall’Unhcr, a volte da autorità locali o da nessun soggetto istituzionale.

    Nei campi, abitati da centinaia di migliaia di persone disperate, senza nulla, non vi è un minimo di vita dignitoso, si consumano inaudite violenze e si propagano malattie ed epidemie mentre i bambini perdono ogni speranza di poter aspirare ad un futuro degno.

    Come pensare di fermare la disperata volontà di tanti di scappare per cercare, anche a rischio della morte, di attraversare il Mediterraneo e arrivare in Europa? Non certo soltanto fermando gli scafisti, né facendo ipotetici accordi con governi, come quello libico, che non possono garantire sicurezza neppure a se stessi, o che hanno un concetto della libertà e dei diritti inesistente.

    Penso che si potrebbe cercare un accordo dell’Europa con Paesi come Marocco, Tunisia, Egitto, in base al quale l’Unione prenda in affitto per tot anni aree sufficienti per costruire campi profughi organizzati come veri villaggi, con scuole, negozi, luoghi dove le persone possano vivere senza torture e vessazioni e i più giovani possano studiare, imparare un mestiere per essere pronti alla vita sia in Europa che tornando nei loro Paesi una volta terminati guerre e terrorismo. Campi villaggio ovviamente sotto il controllo di personale europeo.

    Gli Stati dell’Unione spendono molto per la cooperazione e gli aiuti ai Paesi più poveri che però non arrivano agli abitanti dei villaggi africani, privi di acqua e condannati a non poter né coltivare né allevare. Siccità significa carestia, morte per fame, chi non tenterebbe di scappare?

    E’ cosi difficile dare vita subito a progetti per i pozzi e la desalinizzazione nei villaggi?

    Chi, potendo provare, non tenterebbe di scappare dall’Afghanistan, dalla Somalia, dai lager libici?

    Possiamo dimostrare con nuove iniziative che il grado di civiltà della nostra parte di Occidente è capace di impedire che noi si sia sopraffatti da un’immigrazione incontrollata e che coloro che fuggono trovino la morte.

    I campi come quelli terribili vicino a Garrissa in Kenya, gestiti dalle Nazioni Unite, non ci competono ma quanto avviene nei Paesi sulle coste del Mediterraneo,Turchia compresa, è un nostro problema.

    Credo inoltre si debba chiedere, visti i recenti numerosi sbarchi e la notizia che ci sono decine di migliaia di persone pronte ad imbarcarsi dalla Libia, se non ci sia dietro un disegno specifico dovuto alla presenza russa e della Wagner. Sappiamo infatti che l’arrivo di altre decine di migliaia di immigrati potrebbe destabilizzare l’Unione ed i rapporti tra i suoi membri e questo sarebbe vantaggioso per la Russia. Non sono forse aumentate gli sbarchi da quando è noto l’appoggio europeo all’Ucraina?

    La ringrazio per l’attenzione, spero che Lei possa dare un forte segnale e che valuti l’invio di una delegazione del PE col compito di visitare i campi profughi siti nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Se i parlamentari vedranno coi propri occhi forse riusciranno a smuovere le istituzioni europee e i loro governi.

    In attesa di cortese risposta Le rinnovo il mio vivo apprezzamento per il suo lavoro.

    Cristiana Muscardini

    Alcuni esempi

    Algeria

    Quattro campi a sud est della città di Tindouf accolgono circa 175.000 persone su un altopiano desertico. Risalgono agli anni 70.

    Etiopia

    Il campo di Nguenyyiel nella regione di Gambella ospita 424mila persone. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Gibuti

    Il campo di Marzaki accoglie profughi dallo Yemen.

    Kenya,

    A Dadaab contea di Garissa 350mila persone sono distribuite in 5 campi. La gestione dei migranti avviene in collaborazione con l’Unhcr.

    Libia

    Misrata, Khoms e Tajoura erano centri di detenzione di migranti intercettati in mare, risultano ufficialmente chiusi dal 2019.

    Marocco

    I campi sono suddivisi in 5 wilaya (province) che derivano il nome da 5 città del Sahara occidentale, ora territorio occupato: El Aaiun, Auserd, Smara, Dakhla e più recentemente anche Capo Bojador che ha inglobato il piccolo campo 27 Febbraio, costituito dal collegio femminile; infine Rabouni.

    Siria

    Campi profughi al Hol (60-70mila persone, perlopiù bambini) e al Roj. Il campo Shallash, a nord di Raqqa, in una zona vicina al confine con la Turchia, ospita circa 300 persone. L’Unhcr fornisce assistenza.

    Tunisia

    Er-roued, a 20 km da Tunisi, è un campo di recente istituzione. Prima c’erano i campi di Sfax, Medenine, Zarzis, nel Sud del Paese. L’Unhcr è attiva nel Paese.

    Turchia

    Campi profughi Nizip 1 e Nizip 2. Il campo profughi di Boyunyogun nei pressi della cittadina di Altınözü nella provincia di Hatay/Antiochia a pochi chilometri dal confine siriano, ospita circa 5.000 persone; sul confine ci sono altri 3 campi profughi analoghi e un quinto è in costruzione. E ancora: struttura informale (non ufficiale) presso Izmir; nel 2018 c’erano 21 Temporary Accomodation Centers (TACs) locati nelle province turche a ridosso del confne siriano vicino le 10 città di Sanlurfa, Gaziantp, Hatay, Kilis, Osuaniye, Adana, Mardin, Adiyauan, Malatya e Kahrauanuarasxii.

    L’Unhcr collabora con le autorità del Paese.

    Uganda

    I 10 campi profughi operativi sono: Achol Pii e Palabek nel nord del paese (ospitano per lo più rifugiati del Sud Sudan); Bidi Bidi, Imvempi, Rhino, Palorinya e Pagirinya situati nel nordovest del Paese ed essi pure hanno in maggioranza rifugiati sud-sudanesi. Kyakaii, Nakivale e Kyangwali si trovano nell’Uganda dell’ovest e ospitano rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Rwanda ed Eritrea. Mentre Kiryandongo – nell’area centronord del Paese ospita profughi da Sud Sudan, Repubblica democratica del Congo ed Eritrea. Infine Kampala ospita rifugiati da Repubblica democratica del Congo, Eritrea, Etiopia, Rwanda, Burundi e Sud Sudan.

    L’Unhcr è presente nel Paese.

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