Migranti

  • La Danimarca consente di lavorare agli immigrati in attesa di permesso, ma scoppiano le polemiche

    Nel centro di detenzione danese di Ellebæk gli immigrati in attesa di verifica della sussistenza dei presupposti per ottenere asilo possono lavorare e di essere retribuiti. «Lavoriamo perché non abbiamo scelta. Se non lo facciamo, restiamo seduti tutto il giorno in cella» raccontano. Alcuni ritengono che la loro situazione configuri una situazione di lavoro forzato indiretto, ma lavorare non è un obbligo per chi si trova nella struttura. Le cronache registrano che in questo centro danese sono stati avviati programmi in collaborazione con aziende private che permettono ai detenuti di lavorare all’interno della struttura. Le paghe molto basse (0,8 euro per ora) fanno pensare ad alcuni che il centro serva di fatto solo a fornire manodopera a basso costo alle aziende coinvolte.

    Tra le aziende che danno lavoro agli ospiti di Ellebæk figura Premium Acqua, il distributore danese di San Pellegrino, il marchio italiano di acqua minerale di proprietà della multinazionale svizzera Nestlé. Sanpellegrino ha comunicato di non essere direttamente presente nel mercato danese. Premium Acqua afferma di aver avviato la collaborazione con il servizio penitenziario danese nel 2015, descrivendola come parte di un’iniziativa volta a sostenere il reinserimento dei detenuti.

  • Oltre 100mila migranti libici sono rimpatriati volontariamente in 10 anni

    Oltre 100mila migranti sono tornati volontariamente nel loro Paese di origine dalla Libia da quando è stato lanciato nel 2015 il programma di rimpatrio volontario umanitario dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). È quanto riporta un comunicato dell’Oim, che sottolinea come “questa cifra riflette un decennio di sforzi per offrire un’ancora di salvezza ai migranti bloccati in condizioni precarie in tutto il Paese nordafricano”. “Ad oggi, decine di migliaia di migranti sono tornati in sicurezza e volontariamente in 49 paesi di origine in Africa e Asia, tra cui Nigeria, Mali, Niger, Bangladesh e Gambia. Tra coloro che hanno ricevuto assistenza, quasi 73mila erano uomini, quasi 17mila donne e oltre 10mila bambini, alcuni dei quali non accompagnati, a dimostrazione della diversità e della vulnerabilità della popolazione migrante libica”, si legge nel comunicato. Secondo la capo missione dell’Oim in Libia, Nicoletta Giordano, “in un contesto in cui i rischi per la protezione rimangono elevati e i percorsi regolari sono limitati” il programma di Rimpatrio volontario umanitario “offre un’opzione cruciale e salvavita per coloro che desiderano tornare a casa”. “Mentre continuiamo a fornire aiuti umanitari alle popolazioni vulnerabili, stiamo anche lavorando per sostenere soluzioni più sostenibili e a lungo termine”, ha aggiunto.

    Come riporta il comunicato dell’Oim, il programma ha rappresentato “un’ancora di salvezza per i migranti che desideravano tornare a casa volontariamente”. “In un contesto in cui l’instabilità prolungata, la scarsità di percorsi regolari e i rischi per la protezione lasciano molti migranti bloccati in condizioni precarie, il programma offre un’alternativa sicura, dignitosa e basata sui diritti”, prosegue la nota. Il programma di Rimpatrio volontario umanitario comprende “un pacchetto completo di assistenza pre-partenza e post-ritorno, tra cui servizi di protezione, screening sanitari, supporto psicosociale e per la salute mentale, facilitazione dei documenti di viaggio e assistenza per la reintegrazione”. L’Oim garantisce che ogni rimpatrio sia volontario e basato sul consenso informato, anche quando i migranti si trovano di fronte a opzioni limitate, in linea con la politica di rimpatrio, riammissione e reintegrazione dell’Organizzazione e con il suo processo di “dovuta diligenza”. Il programma include inoltre “solidi” meccanismi di monitoraggio e valutazione, tra cui valutazioni di rimpatrio e reintegrazione, per rafforzare la responsabilità e migliorare l’erogazione dei servizi.

    L’Oim riferisce che “solo la scorsa settimana sono stati organizzati cinque voli di ritorno, due da Bengasi, due da Sebha e uno da Misurata, a dimostrazione dell’ampia portata operativa del programma”. Tra coloro che hanno ricevuto assistenza di recente, si legge nel comunicato, ci sono John e Temnaia, una coppia nigeriana sposata che si è conosciuta in Libia. “Mentre cercavano di costruire una vita insieme, le difficoltà sono aumentate, soprattutto dopo la nascita della figlia, che non aveva accesso all’istruzione”. La loro storia rispecchia quella di molti altri che si rivolgono al programma di Rimpatrio volontario umanitario come a un percorso verso la sicurezza e l’opportunità di ricominciare in condizioni più stabili, sottolinea l’Oim. Sebbene il programma fornisca un supporto fondamentale a molti, l’Organizzazione “rimane profondamente preoccupata” per i rischi che i migranti affrontano lungo la rotta del Mediterraneo centrale. “L’Oim rimane impegnata a facilitare soluzioni sicure, dignitose e basate sui diritti per i migranti che scelgono di tornare a casa, continuando al contempo a collaborare con i partner per garantire protezione e perseguire risultati duraturi per tutti”, conclude il comunicato.

  • Attuazione del patto sulla migrazione e l’asilo: relazione della Commissione a metà percorso

    La Commissione riferisce sullo stato di attuazione del patto sulla migrazione e l’asilo, adottato nel giugno 2024. A metà del periodo di transizione sono stati compiuti importanti progressi sia a livello dell’Unione europea sia da parte degli Stati membri, ma sono necessari ulteriori sforzi per affrontare le sfide rimanenti e far sì che il nuovo solido sistema di gestione della migrazione dell’UE sia pienamente operativo nel giugno 2026.

    Nel piano di attuazione comune presentato nel giugno 2024, la Commissione aveva fissato le tappe fondamentali per mettere a punto le capacità giuridiche e operative necessarie per avviare con successo l’applicazione della nuova legislazione entro giugno 2026.

    La Commissione e l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (Frontex), l’Agenzia dell’UE per l’asilo (EUAA) e l’Agenzia dell’UE per la gestione operativa dei sistemi IT su larga scala (eu-LISA) sostengono gli Stati membri, anche attraverso orientamenti pratici, nuovi strumenti e un sostegno mirato. A maggio sono stati messi a disposizione altri 3 miliardi di euro provenienti dal bilancio dell’Unione europea per contribuire all’attuazione del patto e sostenere gli Stati membri che ospitano gli sfollati provenienti dall’Ucraina.

    La Commissione invita gli Stati membri a proseguire gli sforzi per far sì che il patto venga attuato con successo. Sebbene si stiano compiendo progressi a livello tecnico, un impegno politico costante e la titolarità a livello nazionale rimangono essenziali per affrontare efficacemente le sfide individuate ed essere completamente pronti entro la metà del prossimo anno. La prossima relazione di attuazione sarà pubblicata nell’ottobre 2025, insieme alla prima relazione europea annuale sull’asilo e la migrazione.

  • Bruxelles stanzia altri tre miliardi di euro per fronteggiare l’immigrazione

    La Commissione europea ha stanziato ulteriori tre miliardi di euro per il settore della migrazione. Lo ha annunciato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa congiunta con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, a Bruxelles. “È il risultato della revisione intermedia. E con il patto avremo frontiere esterne più forti e modi migliori per prevenire i movimenti secondari”, ha aggiunto von der Leyen. La migrazione è stata al centro dell’incontro bilaterale tra von der Leyen e il cancelliere Merz in quanto “è una sfida europea comune e richiede una soluzione europea comune” e “con questo spirito che abbiamo concordato il Patto su asilo e migrazione. Ora è importante attuarlo, renderlo realtà. E questo comporta investimenti e tanto duro lavoro”, ha spiegato la presidente dell’esecutivo europeo.

    “Il secondo pilastro è il partenariato con i nostri paesi confinanti, vicini all’Unione europea. E questi partenariati danno i loro frutti. Quest’anno gli arrivi illegali sono già diminuiti del 30% ed è positivo”, ha proseguito. Infine, “c’è il punto per cui gli Stati membri devono aumentare i rimpatri. Sappiamo che solo il 20 per cento dei migranti che hanno ricevuto una decisione negativa in materia di asilo vengono rimpatriati nei loro Paesi d’origine. Pertanto, la Commissione ha proposto una proposta sul rimpatrio a marzo. Per noi è molto importante che ora gli Stati membri e il Parlamento europeo svolgano il loro ruolo. Nel complesso, abbiamo dimostrato che insieme possiamo superare la sfida dell’immigrazione irregolare”, ha concluso.

    Il finanziamento aggiuntivo al Patto per la migrazione e asilo annunciato oggi dalla presidente deriva dalla revisione dell’attuale Quadro finanziario pluriennale per 1,8 miliardi di euro e da un’integrazione al Fondo asilo, migrazione e Integrazione (Amif) per lo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti (Bmvi) per 1,2 miliardi di euro. Lo rende noto con una comunicazione l’esecutivo europeo. Il finanziamento è anche indirizzato per l’accoglienza dei rifugiati dall’Ucraina e si aggiunge ai quasi 11 miliardi di euro già stanziati per la gestione delle frontiere e della migrazione nell’ambito di Amid e Bmvi per il periodo 2025-2027 e ai 450 milioni di euro assegnati agli Stati membri che ospitano beneficiari di protezione temporanea dall’Ucraina dal 2022, aggiunge l’esecutivo. “Gli Stati membri potranno utilizzare questo sostegno finanziario aggiuntivo fino alla fine del 2027 per l’attuazione del Patto e per l’accoglienza delle persone in fuga dalla guerra di aggressione russa contro l’Ucraina, si legge. “A ciascun Stato membro verrà assegnato un importo specifico in base a una serie di criteri di ammissibilità” e “dovranno modificare i propri programmi nazionali esistenti entro la fine del 2025 per accogliere questo finanziamento aggiuntivo”, spiega la nota.

  • Flussi migratori

    Verso la fine degli anni ‘60 del secolo scorso la popolazione mondiale era di poco più di due miliardi di persone, negli anni ’90 era già arrivata a cinque miliardi e 300 milioni e oggi abbiano da poco superato gli otto miliardi. Secondo alcuni demografi, gli umani continueranno a crescere fino a diventare circa dieci miliardi entro il 2100 (Detto per inciso, forse anche i fanatici che attribuiscono alla CO2 e agli allevamenti di bestiame la causa del cambiamento climatico perché non parlano di controllo delle nascite? Possibile che, per loro, l’aumento della popolazione non causi alcun effetto?).

    La crescita del genere umano non è però omogenea sul pianeta poiché le Americhe, l’Europa e l’Asia, hanno, seppur in maniera diversa, cominciato una costante decrescita: l’attuale maggiore responsabile dell’enorme crescita della popolazione è il continente africano. Meno di 50 anni fa l’Africa era popolata da poco più di 750 milioni di unità mentre oggi ce ne sono un miliardo e 300 milioni. La più accreditata previsione è che attorno al 2050 gli africani saranno due miliardi. In altre parole, dopo quella data almeno uno ogni quattro abitanti della terra sarà originario di quel continente.

    Se le cose stanno così, sarà ineluttabile dover assistere a un sempre maggior numero di migranti che dall’Africa si riverseranno verso il resto del pianeta durante tutto questo secolo. E’ pur vero che molti osservatori ritengono che per poter mantenere il loro attuale livello di vita le zone ora più ricche e cioè l’Europa e le Americhe hanno bisogno di mediare l’invecchiamento della propria popolazione con l’arrivo di forze fresche in età lavorativa ma il problema è che né i demografi né gli economisti prendono in considerazione le conseguenze sociali delle migrazioni incontrollate. Gli storici e i “benemeriti dell’accoglienza” ricordano che grandi flussi migratori sono sempre stati una costante nello sviluppo del genere umano e non dovremmo spaventarci. Tuttavia, ciò che tutti i suddetti negligono o fingono di dimenticare è che quegli spostamenti di masse, ovunque siano avvenuti, hanno sempre provocato conseguenze nefaste per gli autoctoni. Senza dover risalire fino a quando l’uomo di Neanderthal fu soppiantato definitivamente dall’Homo Sapiens che aveva invaso i suoi territori basta ricordare gli effetti, nel breve e nel medio termine, causati dalle invasioni barbariche nell’impero romano o, ancora più recentemente, il dilagare dell’Homo Europeensis nel nord e nel sud America o in Australia. Qualcuno ricorda come sia finita per chi vi abitava prima?

    Pur accettando, quindi, che negli anni a venire i flussi migratori potrebbero essere quasi sicuramente inarrestabili, il minimo che politici responsabili debbono fare è cercare, in tutti i modi possibili, di disciplinare questi arrivi contingentandoli nel tempo, nel numero e nella loro distribuzione territoriale.

    Uno degli aspetti incancellabili della natura umana è il bisogno di percepire una propria identità che si costruisce automaticamente assieme a chi si sente come “prossimo”. Ogni volta che tale identità, fatta di storia, di cultura presente e passata e di abitudini quotidiane si trova attaccata e messa a rischio, nasce una spontanea reazione di rigetto nei confronti di chi vi attenta o sembra farlo. Naturalmente, la necessità di sentirsi appartenente a un “gruppo” (uno Stato?, una lingua comune?, le consuetudini?, la religione?, altro?) non è solo degli autoctoni ma, quando ne ricorrono le circostanze, anche degli ultimi arrivati e, spesso, dei loro immediati discendenti. Quando si parla di “integrazione” si intende che i nuovi arrivati accettino di diluire le proprie identità passate assorbendo gran parte (o tutta) l’identità collettiva di chi li ha accolti. Quando ciò non avviene, gli autoctoni vivono sentimenti di rigetto verso i “diversi” e questi ultimi enfatizzano le loro “diversità” finendo con il trovarsi in contrapposizioni anche violente con i primi. I problemi delle periferie e delle città inglesi, francese e tedesche e i comportamenti delinquenziali di alte percentuali immigrati sono una dimostrazione che, in quei casi, l’integrazione non è avvenuta e al suo posto esiste uno scontro tra identità diverse. Oggettivamente, ovunque sia possibile non avere forti concentrazioni di immigrati con culture molto diverse dalle autoctone e simili tra loro e il mantenimento di identità pregresse e contrapposte è più facilmente superato e l’integrazione diventa fattibile. Riuscire da parte dei politici a contingentare i numeri, i tempi e razionalizzare i luoghi di accoglienza degli “stranieri” può addirittura far sì che l’incontro tra le culture diventi arricchente per tutti. Purtroppo, quando ciò non è possibile a causa di arrivi illegali e incontrollati, nasce una naturale, seppur non desiderabile, conflittualità sociale.

    Ogni governo in Europa e negli Stati Uniti cerca da tempo, pur con scarsi successi, di controllare i numeri di chi vuole entrare nei confini senza seguire le trafile previste ufficialmente. Anche l’attuale governo italiano, guidato da Giorgia Meloni, sta cercando di intervenire sul fenomeno contemporaneamente con tre sistemi relativamente innovativi. Il primo, il cosiddetto “piano Mattei”, punterebbe ad aiutare lo sviluppo economico interno dei principali Paesi d’origine dei migranti in Africa, in modo da crearvi condizioni che incoraggino la permanenza anziché la partenza. Purtroppo, anche se questo sistema funzionasse occorreranno anni, se non decenni, prima di ottenere effetti positivi. Inoltre, anche a causa dell’enorme natalità citata più sopra, pur se aumentasse la ricchezza generale di ogni Paese il prodotto nazionale lordo per abitante non potrà crescere. Nello stesso momento il governo Meloni, così come fece qualcuno dei suoi predecessori, ha firmato accordi con i maggiori Paesi di transito dei flussi migratori affinché non si consenta loro di partire e, ove possibile, i potenziali clandestini vengano rimandate nel Paese di provenienza. La terza misura presa dal Governo Meloni e apprezzata anche da altri Paesi europei è stata quella di aprire centri di raccolta di migranti irregolari in Albania e cioè in un Paese che non fa parte dell’Unione Europea. Di là dall’effetto pratico immediato (considerati pochi numeri finora coinvolti) l’apertura di questo centro ha lo scopo di rimandare il più presto possibile nel loro Paese gli immigrati giudicati non autorizzati a rimanere all’interno dell’Unione Europea e impedire loro di continuare a rimanere illegalmente in Italia. E’ risaputo che, ad oggi, i “non autorizzati” che ricevono un “foglio di via” continuano a permanere nel nostro Paese ma, essendo a tutti gli effetti “espulsi” non possono né lavorare né trovare casa. E’ quindi naturale per loro o ricorrere al lavoro nero o unirsi a bande delinquenziali. Già per il fatto di esistere, i due centri aperti in Albania dovrebbero svolgere una funzione deterrente: chi vuole entrare illegalmente in Italia provenendo da Paesi giudicati “sicuri” deve sapere ancora prima di partire che non riuscirà a restare all’interno del territorio europeo e molto presto sarà rimandato indietro.

    Purtroppo, come abbiamo dovuto constatare in Italia e in altri Paesi, esistono persone e lobbies che fanno di tutto per rendere vano ogni sforzo dei governi per cercare di disciplinare i flussi in arrivo. A volte, tra costoro ci sono persone in buona fede, seppur disinteressati degli effetti negativi che i flussi incontrollati possono causare alla stabilità di una società. Si tratta spesso, in questo caso, di pseudo-idealisti di stampo religioso o politico che si gratificano dei loro buoni sentimenti fregandosene delle conseguenze spiacevoli per tutti gli altri concittadini. Al loro fianco però, e sono molto più numerosi, ci sono tutti quelli che speculano per profitto personale sugli arrivi delle masse di (presunti) diseredati. Tutti sanno che il racket delle partenze verso l’Europa dalle coste africane e turche è un business immenso, ma quello che è meno citato dai media è il business di coloro che godono dei contributi statali per gestire l’accoglienza e il mantenimento dei clandestini. Tra costoro c’è una gran quantità di varie onlus sedicenti “caritatevoli”, siano esse costituite con o senza scopo di lucro. Alcune di loro, oltre ad ospitare gli irregolari grazie a ricche prebende statali, si sono anche dotate di sportelli dedicati alle richieste e ai successivi ricorsi contro il diniego di permessi di soggiorno. Tra i tanti, oltre alla Caritas e a Save the Children, ci sono in prima fila i patronati creati dai sindacati CGIL e CISL. Per dare un esempio di cosa succede, il solo TAR della Lombardia nel 2024 ha dovuto emettere ben 424 sentenze su ricorsi di immigrati che chiedevano la regolarizzazione del permesso di lavoro rifiutata dalla Prefettura poiché si trattava di lavori giudicati fittizi. E’ facile calcolare i costi per la collettività in termini di denaro e di intasamento dei tribunali.

    Ciò che resta nell’ombra, perché raramente se ne parla, è il business degli “avvocati d’ufficio”. Dato che ai non abbienti (ed è automatico che un immigrato clandestino venga giudicato tale) lo stato prevede per legge il “gratuito patrocinio” è nata allora una casta di avvocati “specialisti” che vive e lucra proprio sul numero di questi ricorsi. La prima sezione civile della Cassazione, quella che tratta il tema dell’immigrazione, tra dicembre e marzo ha dovuto emettere ben 12 sentenze, precedute dalle necessarie istruttorie, riguardante immigrati che, guarda caso, erano tutti patrocinati dallo stesso avvocato di Roma. Negli ultimi tre anni un altro avvocato ha tutelato da solo ben 291 ricorrenti. Per capire quanto valga economicamente la professione di quegli avvocati che “tutelano” i migranti irregolari basta sapere che nel 2023 lo stato ha pagato loro quasi 400 milioni di euro.

    A questo business già florido è facile prevedere che gli stessi (o altri) avvocati inoltreranno nuovi ricorsi (e quindi nuovi costi per lo Stato) grazie alla recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione che sancisce il diritto a un copioso risarcimento per i clandestini trattenuti sulla nave Diciotti per pochi giorni e non immediatamente sbarcati. E’ facile immaginare, visto il precedente, quanti altri immigrati irregolari aiutati da onlus, patronati e avvocati “specializzati” chiederanno ricchi risarcimenti per non essere stati sbarcati immediatamente, magari nel porto da loro preferito.

  • La Commissione propone di accelerare l’applicazione di alcuni aspetti del patto sulla migrazione e l’asilo

    La Commissione propone di accelerare l’applicazione di alcuni aspetti del patto sulla migrazione e l’asilo adottato lo scorso anno e che dovrebbe entrare in vigore a giugno 2026. Nella fase iniziale, la Commissione propone di anticipare due elementi chiave del regolamento sulle procedure di asilo, con l’obiettivo di aiutare gli Stati membri a esaminare le richieste di asilo in modo più rapido ed efficiente nel caso dei richiedenti le cui domande sono probabilmente infondate.

    Inoltre, con lo stesso obiettivo, la Commissione propone di avvalersi di una delle novità del patto e di istituire un elenco europeo dei paesi di origine sicuri, per esaminare con procedura accelerata o di frontiera le domande dei rispettivi cittadini. La Commissione quindi propone di istituire un primo elenco europeo di paesi di origine sicuri.

  • Nuovi finanziamenti dell’UE disponibili per progetti a sostegno dell’integrazione dei migranti

    La Commissione europea ha pubblicato un nuovo invito a presentare proposte per sovvenzioni di azioni dell’UE pari a 34 milioni di €  per finanziare progetti di integrazione dei migranti nell’Unione europea. Tale invito viene lanciato nell’ambito del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF) al fine di sovvenzionare progetti in cinque settori: la protezione di minori migranti, il miglioramento dell’accesso all’assistenza sanitaria, l’aiuto alle donne migranti per accedere al mercato del lavoro, l’apertura di percorsi d’istruzione per i rifugiati e il miglioramento delle competenze digitali. Le sovvenzioni sono destinate alle autorità pubbliche, alle parti economiche e sociali, agli attori dell’economia sociale e alle organizzazioni della società civile. L’invito a candidarsi è aperto fino al 16 settembre 2025 alle ore 17.

    Il Fondo Asilo, migrazione e integrazione mira a rafforzare le capacità nazionali e a migliorare le procedure di gestione della migrazione. Promuove inoltre la solidarietà e le responsabilità condivise tra gli Stati membri, in particolare attraverso l’assistenza emergenziale e il meccanismo di ricollocazione. L’attuale arco temporale del finanziamento, per un totale di 9,88 miliardi di €, è il periodo 2021-2027.

  • Sentenza della Corte di Cassazione

    Tutti sappiamo, o almeno ne abbiamo sentito parlare, della saggezza di re Salomone. Costui dovendo decidere, tra due donne che ne rivendicavano entrambe la maternità, a chi affidare un bambino, propose di tagliare l’infante a metà affinché tutti fossero soddisfatti. Naturalmente la vera madre dichiarò di preferire rinunciare al figlio piuttosto che causarne la morte. Così per Salomone fu evidente da che parte stesse la verità.

    La logica che l’antico sovrano applicò fu quella che noi oggi definiamo “intelligenza parallela” e cioè, anziché ricercare una soluzione tra leggi, codici e codicilli usò il semplice buonsenso e la vera intelligenza.

    La questione sembra porsi come esempio anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione che ha deciso che lo stato paghi un indennizzo ai migranti trattenuti per otto giorni su di una nave soccorso prima che questa ottenesse il permesso di attraccare ad un porto italiano.  Non vorrei qui, né potrei discutere nel merito strettamente giuridico della cosa, anche perché non sono a conoscenza dei dettagli della sentenza. Ciò che mi permetto, invece, di affermare è che, giuridicamente giusta o sbagliata quella sentenza, è ben difficile farla collimare con il buon senso e, a mio giudizio, con il senso ultimo della giustizia.

    Qualcuno ha recentemente ipotizzato che grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale anche la funzione dei giudici potrebbe diventare superflua: poiché tutte le leggi sono già scritte sembrerebbe sufficiente affidare il compito di emettere sentenze ad un computer che sicuramente (?) non sbaglierebbe.

    In realtà, un computer può pure essere dotato di una inarrivabile intelligenza logica ma mai, poiché non gli sarebbe possibile, potrebbe utilizzare anche il buon senso.

    Nel caso del processo in questione credo che proprio il buon senso e una intelligenza non aritmetica ci consiglierebbe di considerare anche questi fattori:

    1 – gli emigranti in questione non erano, a stretto rigore, dei naufraghi e le loro vite non erano più in pericolo. Infatti, la nave soccorritrice aveva già provveduto a salvarli e rifocillarli. Nel momento in cui si trovavano su quella nave essi erano solamente delle persone qualunque che cercavano di entrare, senza averne ottenuto preventivamente il permesso, in un Paese straniero che non li aveva richiesti né desiderava la loro presenza.

    2 – Il vero e proprio naufragio avvenne nelle acque libiche e tutte le persone in pericolo furono salvate da un rimorchiatore, il Vos Thalassa. Ricevuto quest’ultimo l’ordine delle autorità libiche di sbarcare in un loro porto nacque una ribellione violenta a bordo, cosa che costrinse il comandante a richiedere l’aiuto della nave italiana Diciotti. Quest’ultima dovette attraversare la zona di mare di competenza maltese e chiese l’autorizzazione allo sbarco in un loro porto, sicuramente “sicuro”. Tuttavia, le autorità dell’isola rifiutarono di lasciare attraccare la nave che si indirizzò così verso l’Italia. Il ministro Salvini autorizzò lo sbarco solo a condizione che i violenti fossero sottoposti a un processo ma la sua richiesta fu rifiutata.  I minori, e altre cinque persone considerate a rischio per la loro salute furono allora autorizzate a sbarcare e il comandante della nave fu invitato dalle autorità italiane competenti ad indirizzarsi verso altra destinazione sicura. Durante i sei giorni che, disubbidendo all’invito, il comandante rimase fermo in porto, la nave avrebbe potuto raggiungere qualunque altro porto del Mediterraneo, magari più volenteroso di accoglierli.

    3 – L’allora Ministro degli Interni venne subito iscritto nel registro degli indagati per il reato di sequestro aggravato di persona insieme a Matteo Piantedosi, all’epoca suo capo di Gabinetto. Il fascicolo venne poi trasferito al Tribunale dei ministri, che però ne chiese l’archiviazione. Il tribunale ordinario tuttavia non accolse la richiesta trasmettendo l’incartamento al Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro. A febbraio 2019, la giunta per le autorizzazioni – con i voti della maggioranza Lega-M5S – respinse la richiesta bloccando di fatto l’iter giudiziario. Oggi, invece, la decisione della Cassazione di accogliere il ricorso di 41 migranti e concedere il risarcimento danni (stimato da 42.000 a 72.000 euro a persona). Se è pur vero che la magistratura resta indipendente dagli altri poteri istituzionali, è altrettanto vero che scelte strettamente politiche non dovrebbero essere sindacate dai magistrati, salvo che dalla Corte Costituzionale.

    3 – il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa è indubbiamente un fenomeno epocale ma è chiaro a tutti che immigrazioni incontrollate e abusive sono foriere di forti disagi, se non peggio, per le popolazioni autoctone. È quindi facilmente intuibile il perché la maggioranza dei popoli europei cerchi di scoraggiarle. La scelta del governo italiano di impedire o almeno ritardare l’attracco di una nave con migranti clandestini a bordo fu una scelta politica con finalità deterrente. Tra l’altro, una scelta condivisa dalla stragrande maggioranza dei cittadini che, a suo tempo, avevano scelto i politici autori di quelle scelte.

    4 – Come ha correttamente detto la Presidente del Consiglio Meloni una sentenza come quella recentemente emessa dalla Cassazione costituisce un precedente che potrebbe portare migliaia di altri immigrati clandestini ad avanzare la stessa richiesta di indennizzo causando così un pesante potenziale grave vulnus ai bilanci dello Stato. Non va sottovalutato l’effetto di incoraggiamento che tale sentenza potrebbe costituire per altri milioni di persone che ambirebbero ad entrare in Italia, e quindi in Europa, senza averne alcun titolo o diritto.

    Non sono un giurista e quindi, come già detto, non intendo entrare nel merito legale ma se l’avvenimento riguardante Salomone, mito o realtà che fosse, un insegnamento doveva darci, sembra proprio che i giudici della Corte di Cassazione non ne abbiano tenuto conto.

    Purtroppo, mi nasce uno spiacevole sospetto: che la scelta fatta da quei magistrati rientri nel filone della guerra che il potere giudiziario ha intrapreso contro quello politico per la decisione di quest’ultimo (a mio avviso necessaria) di separare le carriere dei magistrati giudici da quelli inquirenti.

  • Il Botswana paga coi diamanti l’accoglienza ai migranti di cui ha bisogno

    Il aprire i confini ai migranti, anche sprovvisti di documenti. L’iniziativa, rivolta anzitutto ai vicini dello Zimbabwe (paese che dall’indipendenza non ha visto certo la popolazione governata meglio di quanto era una colona nuovo presidente del Botswana, paese africano a nord-ovest del Sud Africa, Duma Boko ha promesso di nota come Rhodesia), mira a risolvere, senza intralci legali o burocratici da parte delle amministrazioni pubbliche, il fabbisogno degli operatori economici di braccianti nei campi, nell’edilizia o nei servizi di cura domestica. Il neopresidente è convinto che molte di queste persone accetteranno mansioni che gli abitanti del posto trovano ormai poco attraenti e che così si colmerà il gap di unità produttive di cui il Botswana ha bisogno. Secondo Boko, «in qualsiasi cantiere del Botswana la maggior parte dei lavoratori qualificati arrivano dallo Zimbabwe» e piuttosto che respingerli conviene dunque «apprendere le loro competenze».

    All’Espresso Christian John Makgala, professore di Storia e politica economica presso l’Università del Botswana, ha spiegato che «finora il governo ha speso una fortuna per arrestare e deportare i migranti, che poi riattraversavano nuovamente il confine appena possibile. Non è affatto detto che le regolarizzazioni abbiano un impatto profondo sull’economia, ma almeno così si allarga la base imponibile e si aumentano le entrate fiscali dello Stato». Per far fronte ai costi dell’iniziativa Boko punta a ridiscutere con De Beerà e Anglo American la quota di spettanza del governo di Gaborone dei proventi dei diamanti, di cui il paese è ricco.

    I kenyoti, che non vivono particolarmente vicino al Botswana, fanno invece gola alla Germania. Secondo l’Ufficio federale per il lavoro di Berlino mancano all’appello 400mila persone l’anno e già sono in arrivo i 500 medici e infermieri, mentre nel Paese africano c’è chi denuncia il rischio di un impoverimento della sanità locale.

    In Asia invece la Thailandia ha appena avviato la più grande regolarizzazione della storia di persone senza cittadinanza a beneficio di oltre 335mila rohingya in fuga dal Myanmar o appartenenti ad altre comunità neglette (in quasi la metà dei casi a beneficiare della misura saranno bambini nati in Thailandia da genitori migranti). L’iniziativa è in linea con gli obiettivi fissati da una campagna delle Nazioni Unite che si chiama “Global Alliance to End Stateless”.

  • Satellite inglese per controllare i flussi migratori, Orban punta sul Ciad

    Il Regno Unito lancerà nel 2025 il satellite Amber-2, sviluppato dall’azienda britannica Horizon Technologies, per migliorare la sicurezza marittima e contrastare attività illegali come l’immigrazione clandestina e il traffico di stupefacenti.

    Il progetto, sostenuto dalla Uk Space Agency con un investimento di 1,2 milioni di sterline (1,4 miliardi di euro), mira a migliorare le capacità di sicurezza marittima del Regno Unito, monitorando le cosiddette “navi fantasma”, ossia quelle che disattivano il loro Sistema di Identificazione Automatica (Ais) per evitare il rilevamento. Il satellite sarà in grado di rilevare segnali a radiofrequenza, permettendo l’identificazione delle navi anche quando i loro sistemi sono spenti. Tuttavia, l’amministratore delegato di Horizon Technologies, John Beckner, ha osservato che il mercato dell’osservazione terrestre basata su frequenze radio è ancora in fase di sviluppo, simile al tracciamento tramite Ais. Ciò indica che il successo di questo nuovo satellite richiederà una combinazione di sistemi terrestri e dati spaziali.

    Per contrastare l’immigrazione irregolare verso l’Europa il primo ministro ungherese Viktor Orban ha invece stipulato con il governo del Ciad un accordo di partenariato di cooperazione. Il documento è stato firmato a settembre dal ministro ungherese degli Affari esteri e del commercio, Peter Szijjarto, e dall’omologo ciadiano Abderahman Koula Allah, e si declina in quattro accordi di cooperazione distinti, due dei quali nel settore della difesa. Secondo la presidenza del Ciad, uno di questi riguarda lo status dei soldati ungheresi di stanza in Ciad, Paese crocevia dei traffici migratori e partner tradizionale dell’Occidente nel contrasto all’immigrazione illegale.

    Il governo Orban puntava da mesi a fare del Ciad, dopo il Niger, il nuovo bastione saheliano contro i flussi irregolari provenienti dall’Africa sub sahariana. “La migrazione dall’Africa verso l’Europa non può essere fermata senza i Paesi della regione del Sahel. Questo è il motivo per cui l’Ungheria sta costruendo un partenariato di cooperazione con il Ciad”, ha scritto Orban su X nei giorni degli incontri. Soddisfazione è stata espressa in modo esplicito dalla presidenza ciadiana, secondo cui “con questo bilaterale” fra Orban e Deby “l’asse N’Djamena-Budapest è ormai chiaro”: per la giunta militare “si apre ora una nuova era grazie al desiderio manifestato dai due leader di dare impulso alle relazioni tra i due Paesi”. In base agli accordi, peraltro, il figlio 32enne del primo ministro ungherese, Gaspar Orban, oggi capitano dell’esercito nazionale, diventerà “agente di collegamento per aiutare a preparare la missione in Ciad”.

    Per contribuire alla lotta contro l’immigrazione clandestina ed il terrorismo, il parlamento ungherese ha autorizzato a novembre del 2023 il dispiegamento di 200 militari in Ciad. Secondo diversi osservatori internazionali, tuttavia, inviando queste unità nel Paese africano, Orban ha sostenuto unicamente i propri interessi economici nella regione. L’Ungheria ha di recente concluso accordi di cooperazione per la promozione del commercio e degli investimenti in Ciad, e le autorità dei due Paesi stanno valutando l’apertura di un centro di assistenza umanitaria e diplomatica nella capitale N’Djamena, oltre che altri accordi nei settori dell’agricoltura e dell’istruzione. L’agenzia governativa ungherese per gli aiuti umanitari e lo sviluppo, Ungheria Helps, ha inoltre aperto il suo primo ufficio di rappresentanza in Africa proprio a N’Djamena, all’inizio del 2024.

    L’avvicinamento di Budapest a N’Djamena si inserisce, non da ultimo, nei mutati equilibri geopolitici che interessano il Sahel. Il Ciad, infatti, ospita oggi l’ultima delle basi francesi ancora presenti nella regione, dove Parigi ha lasciato circa mille uomini, ma da tempo ormai il governo Deby – così come già fatto, in maniera più plateale, dai vicini Mali, Niger e Burkina Faso – guarda alla Russia, di cui subisce l’influenza politica e diplomatica. Agli occhi ciadiani, dunque, l’Ungheria – che intrattiene ottimi rapporti con Mosca – si configura come un collegamento con l’Europa alternativo alla Francia, con cui sviluppare molteplici ambiti di cooperazione ma, soprattutto, rafforzare l’apparato di difesa regionale in un territorio fortemente instabile, dove i combattenti dell’ex gruppo paramilitare russo Wagner – ora ribattezzato Africa Corps – sono sempre più presenti.

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