Migranti

  • E’ il momento di agire realizzando politiche nuove e giuste

    Piangiamo, parliamo, da anni, ma poi non si agisce concretamente, né In Italia né In Europa.

    Per impedire i troppi morti che ormai quasi quotidianamente rendono il Mediterraneo un cimitero a cielo aperto non basta trovare nuove regole per le Ong, cercare e colpire gli scafisti ed i trafficanti di uomini che li comandano, affermare che per evitare i morti la soluzione è non far partire i migranti.

    I migranti partono anche se sanno che molti di loro perderanno la vita perché, nella maggior parte, perderebbero la vita anche se restassero dove sono.

    Delle inumane situazioni dei campi lager della Libia ormai sappiamo molto, sono note, a chi segue la politica del terrore, le tragedie somale dove gli al-Shabaab imperversano con violenze e stragi di ogni genere e su quanto avviene in Afghanistan non c’è bisogno di aggiungere molte parole.

    Le persone cercano di sfuggire alle persecuzioni, cercano di rimanere in vita, di salvare i propri figli, cercano cibo dopo che in paesi come Eritrea ed Etiopia non piove da anni e siccità e carestia sono consolidate.

    Certo sicuramente tra i tanti disperati ci sono infiltrazioni di personaggi pericolosi o che non sono da annoverare tra le categorie sopra indicate: tra i migranti per fame, per guerra, per la ricerca della libertà, ma sta a noi individuare chi deve essere respinto e va fatta monte.

    Nessuna politica per l’immigrazione avrà mai successo senza regole chiare e condivise ed in assenza di un piano per i rifugiati, senza che si affrontino i drammatici e annosi problemi dei tanti campi profughi, non solo in Africa o in Turchia, senza che si risolva il problema delle quote, delle quali ogni paese europeo dovrebbe da tempo farsi carico.

    E nessuna politica avrà successo se mancherà una concreta politica di aiuti per quei paesi con i governi dei quali è possibile instaurare rapporti per evitare che gli aiuti si trasformino in elargizioni economiche per gli stessi governanti.

    Aiuti: significa costruire i pozzi per i villaggi africani, desalinizzare l’acqua del mare dove acqua dolce non c’è, significa dare vita a progetti agricoli, di sostegno alle donne, di lotta all’infibulazione, significa offrire ai più giovani qualche reale proposta e speranza di studio e di lavoro.

    Una delle prime iniziative dovrebbe essere, da parte europea, la presa in carico dei campi profughi in Libia e negli stati vicini, con personale europeo per il controllo della gestione, non si può chiedere a nessuno di morire di fame o di sopportare torture e privazioni ingiustificabili!

    Se vogliamo cominciare ad evitare le stragi, che periodicamente ci vedono spendere lacrime e parole sui morti del Mediterraneo, è arrivato il momento di agire non creando nuove sofferenze ma immaginando, realizzando politiche nuove e giuste.

  • Immigrazione: l’Europa non conclude, la Francia nasconde i problemi di Mayotte

    Mentre in Italia continuano gli sbarchi manca ancora una soluzione europea, vera ed applicata, per i ricollocamenti dei profughi, di quella moltitudine di migranti che troppo spesso per cercare una vita migliore o per scappare da guerre e violenze trovano la morte in mare o sulla rotta dei Balcani. La incapacità di decidere crea situazioni sempre più drammatiche e molti governi, di Orban in testa, hanno dimostrato la totale indisponibilità a quella collaborazione che è il collante dell’Europa.
    Manca anche un intervento europeo per contrastare i trafficanti di uomini, per imporre condizioni di vita più umane nei lager libici, né siamo a conoscenza della reale situazione in Turchia nonostante il grande flusso di denaro che dall’Europa è arrivato ad Erdogan.
    Nelle scorse settimane abbiamo assistito, stupefatti ed increduli, alle polemiche innescate dal governo francese contro l’Italia.
    Vale la pena allora, con calma e senza rivalse inutili ma per onore della verità, ricordare alcune realtà.
    Il governo francese deve affrontare uno dei più gravi problemi legati all’immigrazione ma al momento è risultato incapace e la sua politica è diventata un vero colabrodo che consente l’arrivo di migliaia di migranti a Mayotte, in Africa, il centunesimo dipartimento dell’esagono costituito principalmente dalle isole di Petite Terre e di Grande Terre dove i clandestini arrivano da ogni parte per tentare di diventare cittadini europei. Gli ospedali sono pieni di donne immigrate che partorendo a Mayotte, in territorio francese, per lo ius soli avranno figli francesi e cioè europei. E poi il ricongiungimento familiare farà il resto.
    Nelle isole di Mayotte, senza che Parigi sia intervenuta concretamente, vi sono vere e proprie guerre tra bande di ragazzini mandati avanti dai mercanti di esseri umani e i clandestini sono ormai quasi il doppio degli abitanti regolari. Da fonti giornalistiche risulta che l’unico aeroporto sia praticamente in mano ai trafficanti di uomini e i dieci reparti speciali mandati, più o meno tre mesi fa, da Parigi non ha che incrementato gli scontri.

    Mentre la Francia fa barriera a Ventimiglia contro i migranti, mentre chiude i suoi porti e contesta l’Italia, di fatto non è in grado di impedire quella che sta diventando una vera catastrofe ed un serio pericolo per tutta l’Europa, per questo è arrivato il momento che questo problema sia affrontato anche dagli altri membri dell’Unione.

  • Piano Ue per i migranti, servono norme per le navi soccorso

    La Commissione Europea scende in campo in vista con un corposo piano da 20 proposte tagliato sui bisogni del Mediterraneo Centrale, ovvero la rotta dei migranti che più impatta sull’Italia. “La situazione non è più sostenibile”, ha dichiarato la commissaria agli Affari Interni Ylva Johansson nel corso del punto stampa. Il piano, ad essere onesti, non prevede misure straordinarie – né potrebbe – ma ha raccolto alcune istanze avanzate dal governo italiano, come ad esempio un codice di condotta per le ong, cercando così di stemperare le tensioni delle ultime settimane. E infatti il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si è detto “soddisfatto”.

    Il documento – suddiviso in 3 pilastri – è un trionfo di espressioni come “rafforzare”, “riproporre”, “rilanciare” tuttavia riporta al centro dell’attenzione politica il Patto per la migrazione, che dovrà finalmente superare il trattato di Dublino.

    La riforma, presentata dall’esecutivo Ue già nel 2020, deve essere ora discussa e approvata dal Consiglio e dal Parlamento europeo (hanno promesso di farlo entro il 2024). La tregua concessa dal Covid a uno dei temi più spinosi di sempre è finita e, come certifica la Commissione, gli sbarchi sono aumentati del 50% nel 2022 riportando il Mediterraneo alla ribalta delle cronache. I ministri dell’Interno dei 27 venerdì dovranno dunque cercare delle convergenze per far sì che le proposte dell’esecutivo Ue possano davvero trovare applicazione. “Il testo – ha continuato Piantedosi – mette al centro alcune importanti

    questioni in tema di gestione dei flussi migratori, lo fa nella prospettiva già auspicata dal governo italiano e sono convinto che si tratti di una valida traccia di lavoro comune”.

    In estrema sintesi, le misure più interessanti vanno dal “rafforzamento delle capacità di Tunisia, Egitto e Libia per sviluppare azioni congiunte mirate a prevenire le partenze irregolari” all’attivazione per direttissima “dei partenariati per i talenti con Tunisia, Egitto e Bangladesh” in modo da favorire l’immigrazione regolare sulla base delle esigenze del mercato del lavoro; promuovere discussioni “in seno all’Organizzazione Marittima Internazionale sulla necessità di un quadro specifico e di linee guida per le navi che si dedicano alle attività di ricerca e salvataggio” e “migliorare il coordinamento fra gli Stati membri” superando le difficoltà attuali “fra i Paesi costieri” e i Paesi in cui sono registrate le navi di salvataggio (ed è il riferimento alle ong, che nel testo non sono mai citate espressamente); “rivedere le procedure operative standard per la ricollocazione per ottenere procedure più efficienti e rapide” nel quadro del “meccanismo volontario di solidarietà” (quello che la Francia ha al momento stracciato invitando gli altri partner al boicottaggio).

    Insomma, la Commissione ha riconosciuto diverse delle questioni da sempre sollevate dall’Italia (impennata negli sbarchi, lentezza nei ricollocamenti) ma ha poi anche sottolineato che salvare le vite in mare “resta una priorità” e che la soluzione resta quella dell’approccio comune. “Non possiamo gestire la migrazione caso per caso, barca per barca: è possibile trovare soluzioni strutturali solo adottando il nostro Patto Ue”, ha commentato il vice presidente della Commissione Ue Margaritis Schinas, che ha tra le sue deleghe quella alla migrazione.

    “Le dichiarazioni pubbliche sono state molto roboanti ma, dietro le quinte, il clima è molto più collaborativo e siamo senz’altro a un punto migliore di alcune settimane fa”, confida un funzionario Ue.

  • L’Europa sull’immigrazione è colpevole

    L’assurda e pericolosa polemica che il governo francese ha intrapreso contro l’Italia è l’ennesima testimonianza di quanta strada l’Unione Europea debba ancora fare per essere un’Unione a tutti gli effetti.

    Anche l’Italia ha delle gravi responsabilità, infatti i tanti governi che si sono succeduti hanno prima firmato l’accordo di Dublino, senza comprenderne le conseguenze, e poi, in tutti questi anni, non hanno mai avuto la capacità e la volontà politica di chiederne la revisione.

    L’Europa ha lasciato che il problema immigrazione diventasse sempre più drammatico ed esplosivo senza trovare soluzioni adeguate per impedire il lercio mercato di esseri umani e per garantire degne possibilità di vita ai tanti che scappavano e scappano da guerre, soprusi, siccità e miseria.

    L’Italia, e non solo, è stata per anni, ed è ancora, abbandonata di fronte a flussi migratori che nessuno Stato può reggere da solo, mentre ad altri paesi è stato concesso, senza tante polemiche e ritorsioni, di chiudere di fatto le loro frontiere ai migranti e su questo tema né Francia né Spagna hanno il diritto di parlare.

    Già molti anni fa l’Europa mandò commissioni d’inchiesta a Lampedusa e già molti anni fa fu chiaro che i cittadini italiani e le istituzioni locali facevano tutto quanto potevano per soccorrere i migranti e già da allora l’Italia chiedeva, ma non con sufficiente determinazione, e comunque rimanendo inascoltata, una politica comune per l’immigrazione.

    Vale inoltre ricordare che altri immigrazioni sono aumentate, basti pensare all’Afghanistan, e che i molti soldi europei dati alla Turchia, per evitare che gli immigrati entrassero in occidente, non sono stati una soluzione né per contrastare l’immigrazione né per garantire condizioni di vita umane Ai tanti profughi.
    Ora la storia continua a ripetersi e tutti i buoni propositi, a parole, di dividersi i migranti per quote sono rimasti lettera morta e la situazione, non solo in Africa, è diventata sempre più esplosiva.

    Quanti denari europei e dei singoli paesi sono stati dati per aiuti alla cooperazione ma sono mai arrivati dove servivano e cioè alle popolazioni che, in troppe aree, hanno continuato a rimanere prive di acqua e perciò impossibilitate a qualunque attività, alla stessa sopravvivenza, prive di sanità, prive di un minimo di sicurezza?

    Si sarebbero dovuti portare direttamente aiuti concreti sul territorio, si sarebbe dovuto dar vita ad accordi, con quegli Stati africani con i quali era possibile, per instaurare controlli corretti e non lasciare decine di migliaia di persone in balia dei trafficanti di esseri umani, si sarebbe dovuto affidare alle Marine dei Paesi dell’Unione il controllo del mare e Il soccorso a coloro che ne avevano bisogno.

    Si sarebbero potute affittare grandi aree, nei paesi come il Marocco, la Tunisia, l’Egitto, con i soldi ed il controllo costante dell’Europa, per costruire villaggi di transito con scuole, laboratori artigianali, assistenza sanitaria. In questi villaggi i profughi avrebbero potuto essere identificati, controllati, i richiedenti asilo avrebbero potuto presentare le loro richieste, i bambini, i ragazzi studiare, imparare le lingue europee, imparare un mestiere per potere poi, arrivati in Europa, essere preparati alla nuova vita. Si sarebbero in questo modo evitate le tante, troppe, atroci violenze subite da donne ed uomini lasciati alla mercé di feroci aguzzini e i morti per mare.

    Si dovevano e potevano prendere molte iniziative concrete e invece siamo agli scazzi tra Paesi, alle infruttuose e sterili polemiche mentre i migranti continuano a morire ed i trafficanti di uomini ad arricchirsi.

  • Scontri diplomatici e governativi sui migranti

    Se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica

    per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!

    Sandro Pertini

    Continuano gli sbarchi dei migranti a Lampedusa. Anche durante tutta la scorsa settimana sono arrivati con delle piccole imbarcazioni, centinaia di uomini, donne e bambini provenienti da diversi Paesi dell’Africa. Un continuo flusso di migranti, sofferenti, sfruttati e anche violentati esseri umani che da anni stanno cercando di trovare accoglienza in Italia e, tramite l’Italia, anche in altri Paesi europei. Un flusso quello che da anni ha generato anche molti problemi logistici, ma non solo, sia a Lampedusa che altrove in Italia. Si tratta soprattutto di migranti dai Paesi subsahariani ma anche dall’Asia e dall’Africa settentrionale. Prima una parte di quei flussi migratori, soprattutto siriani, che scappavano dalla guerra in corso nel loro Paese, passavano attraverso quella che venne denominata come la rotta del Mediterraneo orientale. Facendo tappa in Turchia e nelle isole della Grecia, i migranti poi cercavano di entrare nei Paesi dell’Unione europea attraversando la Grecia, la Bulgaria ed altri Paesi balcanici. Si creò un serio e preoccupante problema, sia per i Paesi lungo la rotta che per quelli che rappresentavano l’obiettivo finale dei migranti. Sono ancora vive nella memoria collettiva le reti di filo spinato che sono state messe per impedire il passaggio delle frontiere tra gli Stati europei da migliaia di migranti in cerca di un posto sicuro. I capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’Unione europea, nell’ambito del Consiglio europeo convocato il 17 e 18 marzo 2016, insieme con i massimi rappresentanti delle istituzioni dell’Unione, hanno deciso di stabilire un accordo tra l’Unione europea e la Turchia per gestire la grave crisi generata dai flussi dei migranti, soprattutto siriani, ma non solo, che cercavano di arrivare nei Paesi dell’Europa occidentale. Il 18 marzo 2016 è stata firmata dai rappresentanti dell’Unione europea e dal presidente della Turchia quella che ormai è nota come la Dichiarazione dell’Unione europea con la stessa Turchia. Quel documento prevedeva e sanciva che “…tutti i nuovi migranti irregolari che arrivano sulle isole greche saranno rimpatriati in Turchia se non fanno domanda d’asilo o se la loro domanda è respinta”. Si sanciva anche che “Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche, un altro siriano sarà reinsediato nell’Unione europea”. Si trattava di “misure straordinarie volte a porre fine alle sofferenze umane e a ripristinare l’ordine pubblico”. Si trattava di misure e regole che dovevano essere attuate “nel pieno rispetto del diritto dell’Unione europea ed internazionale, escludendo pertanto qualsiasi forma di espulsione collettiva”. Con la sottoscrizione di quella Dichiarazione la Turchia si impegnava ad “…adottare misure più severe per evitare l’apertura di nuove rotte marittime o terrestri di migrazione irregolare verso l’Unione europea”. Per sostenere quanto prevedeva e sanciva la Dichiarazione, il 24 novembre 2015, in seguito alla richiesta degli Stati membri dell’Unione, è stato costituito lo Strumento dell’Unione europea per i rifugiati in Turchia. Si tratta di un meccanismo di coordinamento tramite il quale si garantisce tutta l’assistenza necessaria per i rifugiati. Sono stati previsti ed allocati 6 miliardi di euro, stanziati in due rate. La prima, di 3 miliardi, era stata resa disponibile il 29 novembre 2015, mentre la seconda rata, sempre di 3 miliardi di euro, è stata erogata nel marzo 2018. Ma due anni dopo, nel marzo 2020, l’Unione europea ha dovuto stanziare anche altri 700.000 milioni di euro, questa volta per la Grecia, sempre però riguardanti i migranti.

    Per regolamentare i flussi migratori e il trattamento delle richieste d’asilo da parte dei migranti che entrano in un Paese dell’Unione europea, dal 1 gennaio 2014 è entrato in vigore il Regolamento di Dublino. Quel documento stabilisce i criteri ed i meccanismi necessari per l’esame, da parte di uno Stato membro dell’Unione, di una domanda d’asilo e di protezione internazionale, presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Il regolamento di Dublino, tra l’altro, stabilisce anche quale sia lo Stato membro dell’Unione europea che dovrebbe farsi carico del trattamento della richiesta d’asilo presentata da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide. Secondo il Regolamento di Dublino si stabilisce che “…qualsiasi domanda di asilo deve essere esaminata da un solo Stato membro, quello individuato come competente e la competenza per l’esame di una domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri, salvo eccezioni”. Perciò una richiesta d’asilo deve essere presentata dal richiedente nel primo Paese dell’Unione europea dove lui entra fisicamente.

    Dall’inizio della settimana scorsa ha avuto inizio uno scontro diplomatico tra l’Italia e la Francia. Tutto cominciò dopo che la nave Ocean Viking, appartenente all’organizzazione non governativa SOS Mediterranée e battente bandiera norvegese, con a bordo 234 migranti, aveva chiesto il permesso di attraccare in un porto sicuro in Italia. Non avendo avuto il richiesto permesso da parte delle autorità italiane, la nave si è diretta verso la costa francese. Si era parlato del porto di Marsiglia e di Tolone. Ma nel frattempo si era generato anche uno scontro diplomatico tra l’Italia e la Francia. Citando e facendo riferimento anche al sopracitato Regolamento di Dublino. Lunedì 7 novembre, durante la Conferenza sul clima dell’ONU in Egitto, c’è stato un incontro tra la presidente italiana del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica francese. Nonostante non ci siano degli annunci ufficiali di quello che hanno discusso e trattato i due durante quell’incontro, da fonti mediatiche risulterebbe che abbiano trattato anche la spinosa questione dei migranti nel mediterraneo e della nave Ocean Viking. Risulterebbe che durante quell’incontro in Egitto, il presidente francese avesse, tra l’altro, garantito la disponibilità di dare accoglienza ai migranti che si trovavano nella nave diretta, nel frattempo, verso un porto francese.

    Ma quanto è accaduto dopo quell’incontro ha generato, invece, uno scontro diplomatico con dei toni aspri. Dopo che le autorità italiane hanno rifiutato il permesso di attraccare in un porto sicuro italiano per la nave Ocean Viking, il ministro dell’Interno francese ha criticato il comportamento del governo italiano, considerandolo come un “comportamento inaccettabile”. Aggiungendo anche che il governo italiano aveva preso una “decisione incomprensibile”. In seguito c’è stato uno scontro verbale che ha coinvolto direttamente, con delle accuse reciproche, anche la presidente del Consiglio dei ministri italiano e la segretaria di Stato per gli Affari Europei del governo francese. Durante una sua conferenza stampa l’11 novembre scorso, la Presidente del Consiglio ha detto che “La Francia aveva dichiarato a voi [giornalisti] che il ministero degli Interni francese avrebbe accolto l’Ocean Viking. Addirittura dichiarava che non avrebbero fatto una selezione come invece accadeva in Italia, e la notizia non è stata smentita per circa otto ore e dopo otto ore ho ringraziato per il gesto di solidarietà”. In più, dopo le reazioni della scorsa settimana delle autorità del governo francese sulla crisi dei migranti a bordo della nave Ocean Viking, la Presidente del Consiglio dei ministri italiano ha considerato quella della Francia una “reazione aggressiva”. Lei ha anche ribadito che “non bisogna isolare l’Italia ma gli scafisti”. La presidente del Consiglio ha dichiarato convinta che “Quando si parla di ritorsioni in una dinamica dell’Unione europea qualcosa non funziona”. Aggiungendo che era rimasta “molto colpita dalla reazione aggressiva del governo francese, incomprensibile e ingiustificabile”. Riferendosi poi agli obblighi internazionali derivanti dagli accordi da rispettare, lei ha chiesto: “Cosa fa arrabbiare? Il fatto che l’Italia deve essere l’unico porto di sbarco per i migranti del Mediterraneo? Questo non c’è scritto in nessun accordo!”. Mentre la segretaria di Stato per gli Affari Europei del governo francese ha dichiarato, sempre riferendosi alla crisi dei migranti, che “Con l’Italia si è rotta la fiducia”. In seguito lei si è riferita agli accordi presi dall’Italia nell’ambito del meccanismo di solidarietà dell’Unione europea. Ragion per cui “…i trattati si applicano al di là della vita di un governo, altrimenti se dovessimo cambiare ogni volta le regole sarebbe insostenibile”. Aggiungendo che il governo italiano “non ha rispettato il meccanismo per il quale si era impegnato”. Per lei da parte del governo italiano “… c’è stata una decisione unilaterale che ha messo vite in pericolo e che, del resto, non è conforme al diritto internazionale”.

    Dopo questi aspri scontri verbali, nella mattinata di lunedì, 14 novembre, c’è stato un pacificatore colloquio telefonico tra il Presidente della Repubblica italiana ed il suo omologo francese. Dopo delle trattative diplomatiche durante questi ultimissimi giorni e dopo quel colloquio c’è stata anche una nota ufficiale congiunta delle due presidenze. Secondo questa nota “Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha avuto con il Presidente della Repubblica Francese Emmanuel Macron un colloquio telefonico, nel corso del quale entrambi hanno affermato la grande importanza della relazione tra i due Paesi e hanno condiviso la necessità che vengano poste in atto condizioni di piena collaborazione in ogni settore sia in ambito bilaterale sia dell’Unione Europea”. Lo stesso giorno, lunedì 14 novembre, a Bruxelles si è riunito il Consiglio degli Affari esteri dell’Unione europea. I temi previsti, su cui discutere, erano l’aggressione russa in Ucraina, la regione dei Grandi Laghi in Africa ed i Balcani occidentali. Ma dopo lo scontro diplomatico della scorsa settimana tra l’Italia e la Francia sui migranti, è stata presentata, da parte della delegazione italiana, la richiesta di trattare anche la “…cooperazione in materia di flussi migratori, con particolare riferimento alla gestione dei soccorsi operati da navi private e all’attuazione di meccanismi effettivi di solidarietà europei”.

    Da due settimane ormai è in corso un altro scontro diplomatico tra due altri Paesi europei. Anche questo scontro, con lo scambio di aspre accuse reciproche verbali, riguarda i flussi migratori che arrivano dall’Albania nel Regno Unito. Sono dati veramente preoccupanti. Secondo il ministero britannico della Difesa nella sola giornata di sabato scorso hanno attraversato il canale della Manica 972 migranti con 22 piccole imbarcazioni. Mentre il numero totale dei migranti entrati nello stesso modo nel Regno Unito è, ad oggi, 40.885. Lo stesso ministero conferma che la maggior parte di quei migranti arrivano dall’Albania. Due settimane fa la ben nota agenzia inglese BBC (British Broadcasting Corporation – Corporazione britannica di trasmissione; n.d.a.) ha pubblicato i dati ufficiali riguardanti il numero dei migranti che arrivano nel Regno Unito con delle piccole imbarcazioni, attraversando il canale della Manica. Ebbene, dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!

    Subito dopo la pubblicazione di questi dati si è generato lo scontro diplomatico tra l’Albania ed il Regno Unito. Uno scontro verbale con delle accuse da parte del primo ministro albanese, seguito dalle repliche della segretaria di Stato britannico per l’Interno. Anche in questo caso, il primo ministro, cercando come sempre di sfuggire alle sue responsabilità per la grave e drammatica realtà albanese, ha “attaccato” verbalmente le autorità britanniche. Si tratta di un nuovo scandalo tuttora in corso, sul quale il nostro lettore verrà informato di nuovo.

    Chi scrive queste righe pensa di non aggiungere altro. Condivide però pienamente quanto affermava Sandro Pertini. E cioè che se c’è qualche uomo politico che approfitta della politica per fare i suoi sporchi interessi, deve essere denunciato!

  • In Germania 114mila richieste di asilo, in Italia 37mila

    Quanti sono gli arrivi di migranti in Europa? E quanti in Italia? Quali sono le disparità tra il nostro Paese e quelli dell’Unione? Secondo i dati forniti da IOM (International Organization for Migration), Ministero dell’Interno e Ministero del Lavoro, più della metà degli arrivi europei è verso l’Italia via mare. In Italia infatti, secondo quanto racconta il cruscotto statistico del Ministero dell’interno, quest’anno sono sbarcati, al 4 novembre 2022, 87.370 migranti di cui 9.930 sono minori stranieri non accompagnati. In Europa nello stesso anno, fino al 31 ottobre sono arrivati 149.102 migranti.

    Altri numeri sono quelli sui minori stranieri non accompagnati che sono schizzati verso l’alto come ai tempi dell’emergenza migranti del 2017. Vedendo un altro database molto aggiornato, quello del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali si vede mese per mese l’andamento dell’arrivo dei Msna, la sigla per i minori stranieri non accompagnati, nel 2022 al 30 settembre erano entrati nel nostro territorio 18.967 MSNA. C’è da considerare in ogni caso un buon numero di minori ucraini, sopra i 5000, in Italia senza i genitori.

    Per quanto riguarda gli obiettivi di chi arriva in Europa i dati si invertono: per quanto riguarda le richieste di asilo è in Germania che nel 2022 si sono registrati i numeri più alti con 114mila domande mentre l’Italia è ferma a 37mila. Chi arriva, arriva in Italia insomma ma non ci vuole rimanere.

    L’altro dato importante però per il 2022 è proprio quello relativo all’emergenza Ucraina che è stata considerata dall’Unhcr la più grossa crisi di rifugiati dalla seconda guerra mondiale. In Europa dal 24 febbraio ad oggi sono arrivati 7.785.514 ucraini in fuga dalla guerra di cui 4.460.847 hanno chiesto protezione temporanea. Secondo l’UNHCR i primi tre Paesi di accoglienza sono la Polonia con 1.469.032 ucraini che si sono registrati, la Germania con 1.008.935 persone e la Repubblica Ceca con 455.731 ucraini in cerca di riparo. L’Italia, secondo il ministero dell’Interno, ha accolto finora 171.546 persone di cui 49.172 minori.

  • La Commissione concede finanziamenti per nuovi progetti a sostegno dei sistemi di accoglienza, asilo e rimpatrio a Cipro, in Spagna, in Grecia, in Italia e in Polonia

    La Commissione europea ha concesso 171 milioni di € di finanziamenti per progetti a sostegno dei sistemi di accoglienza, asilo e rimpatrio a Cipro, in Spagna, in Grecia, in Italia e in Polonia. Questo è il risultato di un bando di gara lanciato all’inizio del 2022 nell’ambito del Fondo Asilo, migrazione e integrazione per finanziare progetti negli Stati membri sotto pressione.  Il sostegno a Cipro sarà destinato alla costruzione di un alloggio e di centri di pre-partenza nella zona di Menoyia, a Larnaka. In Spagna il sostegno andrà a rafforzare la capacità del sistema di accoglienza a Ceuta e nelle isole Canarie, contribuendo così ad attenuare il sovraccarico della capacità di accoglienza derivante dall’aumento della pressione migratoria. Il progetto dell’Italia si concentrerà sul rafforzamento della capacità del sistema di accoglienza dall’arrivo a tutte le fasi dell’accoglienza, al fine di proteggere e assistere i minori e le donne rifugiati più vulnerabili. Il sostegno finanziario alle organizzazioni internazionali in Grecia contribuirà a migliorare la qualità della protezione nei confronti dei richiedenti asilo ospitati nel sistema di accoglienza. Questo sostegno andrà in particolare alla gestione personalizzata dei rifugiati in situazione di vulnerabilità e al supporto all’istruzione per i bambini in età scolare rifugiati in Grecia. Infine, il finanziamento attribuito all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM) in Polonia sarà destinato prevalentemente a rafforzare un approccio all’assistenza diretta basato sui diritti e sensibile alla protezione e a migliorare le procedure di rimpatrio. Nuovi bandi potrebbero essere programmati nell’ambito del bilancio  2023 del Fondo Asilo, migrazione e integrazione (AMIF).

    Fonte: Commissione europea

  • L’Onu stima che ci siano oltre 100 milioni di sfollati nel mondo

    “Cento milioni è una cifra netta, che allarma e fa riflettere allo stesso tempo. È un record che non avrebbe mai dovuto essere stabilito”. Le parole sono di Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. La cifra cui fa riferimento sono i cento milioni di sfollati che le guerre hanno generato nel mondo. Una soglia raggiunta e superata con il conflitto nel cuore dell’Europa dopo l’invasione russa dell’Ucraina: tre mesi – un lasso di tempo tutto sommato limitato – per arrivare a un numero di persone in fuga che così alto fino ad ora non era mai stato calcolato. Una cifra record che “deve servire da campanello d’allarme per risolvere e prevenire conflitti, porre fine alla persecuzione e affrontare le cause che costringono persone innocenti a fuggire dalle loro case”, ha insistito Grandi.

    Dell’esodo innescato dall’invasione lanciata da Mosca 90 giorni fa si sono viste le immagini in tutto il mondo, si è assistito alla mobilitazioni dei paesi confinanti con l’Ucraina e all’accoglienza in Europa e non solo. Immagini che si traducono, dall’inizio del 2022, in otto milioni di persone sfollate sullo stesso territorio ucraino e sei milioni che hanno lasciato il Paese. E vanno ad aggiungersi ai 90 milioni di persone che l’Unhcr indicava già per la fine del 2021 costrette alla fuga in tutto il mondo, per nuove ondate di violenza o il perpetrarsi di conflitti in paesi come Etiopia, Burkina Faso, Birmania, Nigeria, Afghanistan e la Repubblica Democratica del Congo.

    La lettura dei numeri non è un mero esercizio, ma contribuisce a visualizzare una realtà e a spiegare l’urgenza nella ricerca di strumenti che invertano la tendenza. E’ questo in sostanza l’appello dell’Onu perché 100 milioni di persone vuol dire l’1% della popolazione globale. Oppure un intero Paese, nello specifico il 14esimo per popolazione al mondo. “La reazione a livello internazionale verso chi fugge dalla guerra in Ucraina è stata straordinariamente positiva – ha concluso Grandi – c’è bisogno di una simile mobilitazione per tutte le crisi nel mondo. Ma l’aiuto umanitario è solo un palliativo, non la cura. Per invertire la tendenza serve pace e stabilità”.

  • Ukraine war could worsen crises in Yemen and Afghanistan

    “Don’t make us take food from children that are hungry to give to children that are starving,” pleads the United Nations World Food Programme (WFP).

    Soaring food and fuel costs, together with budget cuts in some traditional donor countries, have forced the WFP to halve the amount of food it is giving to millions of people in Yemen, Chad and Niger.

    In December 2021, the UN made a record appeal for $41bn (£31bn) to help 273 million people this year.

    As aid workers stress, these are not people who will be made a bit more comfortable by help from the UN. They are people, particularly children, who will probably die without it.

    But that appeal was made before Russia invaded Ukraine. Both countries used to sell grain to the WFP.

    Back then, Ukraine was a supplier, not a country in need of humanitarian assistance, as the WFP’s Geneva director Annalisa Conte points out.

    Food shortages

    In the first month of the war, the WFP reached a million people inside Ukraine. But its supply of Ukrainian grain, destined to feed some of the hungriest on the planet, has dried up.

    Meanwhile, many African countries, while not dependent on UN aid, import grain from Ukraine.

    Somalia gets more than 60% of its grain from Ukraine and Russia, while Eritrea gets nearly 97% of its wheat from Ukraine.

    They now have to bid against Europeans and North Americans on the international market in search of food.

    Jan Egeland, former head of UN emergency relief and now with the Norwegian Refugee Council, describes this as a “catastrophe” for the poorest parts of the world. “They will starve,” he says.

    Selective aid?

    This March, in the hope of reminding donors of the continued needs in Yemen and Afghanistan, the UN launched emergency “flash” appeals.

    UN Secretary General Antonio Guterres warned that Afghans were “selling their children, and their body parts, in order to feed their families”. But the flash appeal for Afghanistan achieved about half of what the UN asked for.

    A similar appeal for Yemen, which the UN says is the world’s worst humanitarian crisis, got less than a third.

    Although aid workers don’t like to say it publicly, there is an uneasy feeling that traditional donor countries in Europe, who in recent weeks have raised record sums for Ukraine and offered tens of thousands of places in their homes for Ukrainian refugees, are being somewhat selective about who they help.

    There is no question that vulnerable civilians in Ukraine “deserve all our compassion, and the outpouring of generosity that we have seen”, says Robert Mardini, director general of the International Committee of the Red Cross.

    But, he adds, there is a long list of unresolved conflicts elsewhere that continue to unfold day in, day out.

    The crises in Afghanistan, Yemen and Syria among others have only got worse since the Ukraine war. Jan Egeland admits aid agencies feel “overstretched, underfunded, overwhelmed like never before”.

    Compassion for all

    The generosity towards Ukrainians who have fled their homes has been welcomed by the UN Refugee Agency. But aid workers also know that until quite recently, many European countries, among them Hungary and Poland, were pushing Syrian refugees back across their borders.

    The refugee agency’s Shabia Mantoo thinks the Ukraine war could be an opportunity for the world to come to a better understanding of what it is to be a refugee, or to be a neighbouring country, like Lebanon, Uganda or Turkey, hosting hundreds of thousands of people.

    She hopes the countries now throwing their doors open to Ukrainian refugees will “extend that solidarity, that compassion to all others in a similar situation”.

    Tough year ahead

    But even if this crisis does cause a surge in global solidarity, aid agencies know this will be a very difficult year.

    The fact that Russia, a permanent, veto-wielding member of the UN Security Council, is the aggressor in this latest war will probably make the delivery of aid more complicated.

    The UN needs co-operation between Russia and the West, for example, for cross-border deliveries to Syria. But this relationship is now “in the deep freeze”, as Jan Egeland puts it.

    Meanwhile, food and fuel prices are set to rise still further, while wealthy countries are looking to balance their books after spending tens of billions on their Covid recovery programmes.

    It’s a perfect storm, aid workers say, which shows once again that humanitarian aid is never a solution and usually only an inadequate sticking plaster on the gaping wound of war.

    Peace is the precondition to everything else, says Annalisa Conte.

  • Migrants clash with police in Mexico border town

    More than 20 people have been injured in clashes between migrants and police in the town of Tapachula, on Mexico’s southern border, officials say.

    Mexico’s National Migration Institute (INM) said about 100 migrants, mainly from Cuba, Haiti and countries in Africa, joined in “violent protests”.

    The INM said the migrants were trying to jump the queue for permits to allow them to continue their journey north.

    Every year, hundreds of thousands of people cross Mexico headed to the US.

    Migrants threw stones and sticks at members of the National Guard and scuffles broke out between the two sides.

    Rights activist Irineo Mujica told Reuters news agency that the migrants were “desperate” after waiting for months to be given an appointment with Mexico’s immigration authorities.

    Most have been sleeping rough by the roadside and are relying on handouts to feed themselves.

    While many want to reach the United States and are waiting for papers that will allow them to cross the country without being detained, others are applying for refugee or asylum status to be able to stay in Mexico.

    Official data suggests that the number of people requesting refuge or asylum in Mexico almost doubled between 2019 and 2021, overwhelming the authorities.

    The immigration centre in Tapachula – the biggest in Mexico – has become one of the main bottlenecks on migrants’ journeys and the United Nations refugee agency has urged the authorities to do more to clear the backlog.

    Last week, a group of migrants in the town sewed their mouths shut in protest at the slow pace at which their requests are being processed.

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