migrazione

  • Assordanti silenzi che nascondono interessi occulti

    Il silenzio è l’ultima arma del potere.

    Charles de Gaulle

    Sabato scorso, il 10 febbraio, è stato celebrato il “Giorno del Ricordo”. Una ricorrenza, un giorno per ricordare le tante ed ineffabili atrocità subite tra il 1943 ed il 1945, ma anche negli anni che seguirono, dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, Dalmazia ed altre aree circostanti. Atrocità messe in atto da alcuni reparti speciali dall’esercito jugoslavo con una freddezza disumana. Quella del “Giorno del Ricordo” è una ricorrenza per non dimenticare migliaia di morti innocenti istriani, fiumani e dalmati. Vittime incatenate con dei lunghi fili di ferro e portate sugli argini delle foibe, profonde fosse carsiche sul fondo delle quali si aprivano delle spaccature, spesso colme d’acqua. Gli spietati esecutori sparavano solo alle prime vittime che, cadendo dentro le foibe, trascinavano anche le altre, ancora vive, mentre precipitavano giù nei profondi inghiottitoi. Ma molte altre vittime innocenti hanno perso la vita nelle prigioni e nei campi di concentramento in Jugoslavia. Tutto è cominciato nel 1943, dopo la caduta del regime fascista in Italia ed il seguente armistizio. Sono stati resi attivi i cosiddetti “poteri popolari” e costituiti dei “tribunali speciali” gestiti da esponenti delle forze armate jugoslave. Tutto per fare giustizia e vendicarsi di quello che il regime fascista aveva fatto e causato in Venezia Giulia, in Dalmazia e in altre regioni. Si doveva “ripulire” tutto il territorio dai “nemici del popolo”. Quei tribunali hanno emesso migliaia di condanne a morte. Purtroppo la maggior parte delle persone condannate a morte non erano dei rappresentanti locali dei fascismo, ma bensì, dei semplici cittadini delle comunità italiane che vivevano da anni in quelle regioni. Simili atrocità continuarono fino alla firma del Trattato di Parigi, il 10 febbraio 1947. Come previsto in quel Trattato, alla Jugoslavia venivano assegnate l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia. Tutte regioni ed aree che fino ad allora erano dei territori dell’Italia.

    Ma le sofferenze e le violazioni dei diritti innati della popolazione italiana non finirono con la firma del Trattato di Parigi. Il regime comunista al potere in Jugoslavia aveva già pronta una strategia per gli italiani nelle zone annesse con il Trattato di Parigi. Coloro che appoggiavano il regime, considerati come i “meritevoli”, potevano rimanere ed integrarsi, invece tutti gli altri, che erano la maggior parte, si dovevano allontanare dai territori jugoslavi. Cominciò così un esodo drammatico degli italiani. Un esodo che, infatti, cominciò subito dopo la fine della seconda guerra mondiale e continuò fino al 1958. Un esodo che, secondo dei dati credibili, avrebbe coinvolto non meno di 250.000 persone, le quali sono state costrette a lasciare tutto, case ed averi lì dove abitavano. Purtroppo però gli esuli giuliani e dalmati, che sono arrivati in Italia, non sono stati bene accolti neanche lì. La maggior parte di loro è stata messa nei campi profughi allestiti dentro delle caserme ed altre strutture, costretti a subire anche un atteggiamento freddo e, non di rado, addirittura ostile degli italiani. Tra i tanti episodi, che non si dovevano mai e poi mai verificare, è molto significativo quello che ormai è noto come il ”treno della vergogna”. Nel 1947 erano sbarcati ad Ancona degli esuli arrivati da Pola. Da Ancona poi loro dovevano proseguire con treno per arrivare a La Spezia. Ma quegli esuli, considerati dalla popolazione locale come dei “fascisti in fuga”, sono stati trattati con ostilità. Il che ha reso necessario l’intervento dei militari. In seguito il viaggio degli esuli continuò a bordo di un treno merci. Era stata prevista una fermata di quel treno alla stazione di Bologna per offrire a coloro che erano dentro un pasto caldo. Ma tutto saltò in seguito ad una sassata contro il treno. Sassata organizzata ed attuata dai ferrovieri comunisti per impedire la fermata in stazione del “treno dei fascisti”! Il treno allora proseguì per poi arrivare finalmente e Parma dove gli esuli, tra i quali c’erano bambini ed anziani, ricevettero la necessaria assistenza ed ebbero qualche pasto prima di raggiungere La Spezia.

    Su tutte quelle atrocità subite dalla popolazione italiana in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località c’è stato per anni un continuo silenzio da parte dello Stato italiano, ma non solo. Silenzio che è stato causato dalle cosiddette “ragioni di Stato” e da “interessi geopolitici/geostrategici”. Dal 1948 la Jugoslavia si staccò dall’Unione Sovietica, assumendo un suo ruolo nello scacchiere geopolitico e geostregico. Il che costrinse i Paesi occidentali ad avere un diverso approccio ed un nuovo atteggiamento nei confronti della Jugoslavia, che era uno dei Paesi fondatori, insieme con India ed Egitto, nel 1955, del Movimento dei Paesi non allineati. Ma dopo tanti anni di “silenzio” sulle atrocità subite dagli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed altre località, finalmente c’è stata l’approvazione da parte del Parlamento, il 30 marzo 2004, e la successiva pubblicazione, il 13 aprile 2004, nella Gazzetta Ufficiale n.86, della legge n.92 che sanciva l’istituzione del “Giorno del Ricordo”. In quella legge si sanciva, tra l’altro, l’obbligo civile e morale per conservare e rinnovare “…la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati italiani, durante la seconda guerra mondiale e dell’immediato secondo dopoguerra (1943-1945), e della più complessa vicenda del confine orientale”. L’autore di queste righe ha sentito parlare per la prima volta delle disumane atrocità subite dalle popolazioni di Venezia Giulia e di Dalmazia da un suo collega. Erano gli inizi degli anni ’90. In seguito l’autore di queste righe ha avuto modo di incontrare anche la madre del collega, nato e vissuto fino alla giovanissima età a Lussinpiccolo. Poi è stato costretto, insieme con la sua famiglia, a lasciare l’isola di Lussino (ormai parte della Croazia; n.d.a.) e a sistemarsi a Trieste. Erano proprio il collega e sua madre, la quale parlava in dialetto, che hanno raccontato all’autore di queste righe di quello che i “titini” avevano fatto subire agli italiani. Foibe ed esodo forzato compresi. Racconti che egli ricorda ancora, soprattutto quando sente parlare delle foibe. Il “Giorno del Ricordo” offre perciò a tutti delle opportunità per conoscere la verità e, allo stesso tempo, ricorda l’obbligo civile e morale di non dimenticare tutte quelle atrocità.

    Purtroppo attualmente si stanno verificando altri esodi drammatici in diverse parti del mondo. Così come si sta verificando anche un preoccupante aumento di flussi delle persone che scappano da guerre e da altre difficoltà nei propri paesi natali. Quanto accade da anni ormai a Lampedusa ed in altre località dell’Italia meridionale ne è una inconfutabile testimonianza. Scappano i siriani, gli afghani, gli africani subsahariani ed altri. Scappano perché in Siria ancora ci sono degli scontri etnici armati. Scappano perché in Afghanistan, dopo il vergognoso ritiro nell’agosto 2021 del contingente internazionale, guidato dagli Stati Uniti d’America, i talebani, sopravvissuti per ben venti anni e poi ritornati di nuovo al potere, stanno reprimendo tutte le innate libertà degli afghani. Scappano i subsahariani ed altre popolazioni africane per sfuggire alle carestie ed altre sofferenze. Ma in questi ultimi dieci anni scappano in tanti anche dall’Albania, nonostante lì non si combatta una guerra. Ma in Albania in questi ultimi anni è stata restaurata e si sta consolidando, ogni giorno che passa, una pericolosa nuova dittatura. Il nostro lettore ormai da anni è stato sempre informato con la dovuta e richiesta oggettività e con tanti fatti accaduti e documentati alla mano, di questa vera, preoccupante, pericolosa e sofferta realtà. Realtà causata da quella dittatura camuffata da una ingannatrice facciata di pluripartitismo. Si tratta però di una dittatura, espressione dell’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale e/o internazionale, quella italiana e latino americana comprese, e determinati raggruppamenti occulti internazionali. E non a caso, ormai da alcuni anni, gli albanesi stanno scappando numerosi dalla madre patria. Il che sta generando un altrettanto preoccupante e pericoloso problema a lungo termine: lo spopolamento dell’Albania. Purtroppo c’è una ben studiata, ideata e attualmente attuata strategia per lo spopolamento dell’Albania. Il governo jugoslavo, subito dopo la seconda guerra mondiale, ha costretto gli italiani in Venezia Giulia, in Dalmazia ed in altre località a scappare per poi impadronirsi dei loro territori. Mentre adesso, la strategia per lo spopolamento dell’Albania prevede l’uso dei territori abbandonati, da coloro che gestiscono tutto, per la diffusa coltivazione della cannabis e la necessaria base logistica. Il Paese deve diventare, con il passare degli anni e dopo il continuo spopolamento, una specie di “porto franco” sia per i traffici internazionali degli stupefacenti che per il successivo smistamento verso i Paesi dell Europa occidentale.

    Durante lo scorso autunno in Albania è stato svolto un censimento della popolazione. Ebbene il risultato di quel censimento non è stato ancora reso noto. Gli specialisti, con la loro esperienza professionale, affermano che sia per l’elaborazione dei dati, sia per la pubblicazione dei risultati era necessario non tanto tempo. Comunque meno del tempo ormai passato. Ad oggi però nessun risultato del censimento è stato reso pubblico. Secondo fonti credibili risulterebbe che la ragione è una sola: l’allarmante spopolamento del Paese. Nel 2011, in base al censimento fatto allora, risultava che in Albania la popolazione residente era di circa 2.800.000 abitanti. Invece attualmente la popolazione residente, nel migliore dei casi, non è mai superiore a 1.700.000! Mentre le cattive lingue dicono che attualmente in Albania la popolazione residente non supera i 1.500.000 abitanti. Chi sa che anche in questo caso le cattive lingue non abbiano avuto ragione?!

    L’autore di queste righe da anni ha trattato per il nostro lettore questo preoccupante e pericoloso fenomeno demografico. Già nel settembre 2015 egli scriveva: “…Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”(Accade in Albania; 7 settembre 2015). Mentre nell’estate del 2022 l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: L’Albania si sta paurosamente spopolando! Solo questo fatto dovrebbe essere un assordante campanello d’allarme per tutte le persone responsabili, per tutti gli albanesi patrioti. Solo questo fatto dovrebbe essere un buon motivo, non solo per protestare, ma per ribellarsi contro il nuovo regime restaurato in Albania” (La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere; 12 luglio 2022). Solo alcuni mesi dopo, sempre riferendosi agli albanesi che scappano, egli scriveva: “…dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!” (Scontri diplomatici e governativi sui migranti; 14 novembre 2022).

    Chi scrive queste righe è convinto che nei territori abbandonati in Albania ci sono dei progetti anche per far costruire dei centri per profughi, che altri Paesi europei possono trasferire in Albania. L’Italia ne sta approfittando. Ci sta seriamente pensando anche la Germania. In cambio i dirigenti di questi Paesi rimangono silenziosi di fronte alla molto preoccupante realtà albanese. Come si è fatto per tanti anni con la verità sulle foibe e sull’esodo degli italiani. Si tratta di assordanti silenzi che nascondono interessi occulti. Chi scrive queste righe, stimando Charles de Gaulle, condivide anche la sua convinzione sul silenzio. E cioè che il silenzio è l’ultima arma del potere.

  • Accordo Italia-India sulle migrazioni

    Subito dopo Natale il governo indiano guidato dal primo ministro Narendra Modi ha approvato l’accordo con l’Italia su migrazione e mobilità, firmato lo scorso 2 novembre dai ministri degli Esteri Antonio Tajani e Subrahmanyam Jaishankar. Lo si legge in un comunicato stampa diramato al termine di una riunione dell’esecutivo federale a Nuova Delhi.

    L’intesa agevolerà i contatti tra i due popoli, favorirà la mobilità di studenti, lavoratori qualificati, imprenditori e giovani professionisti, e rafforzerà la cooperazione su questioni legate ai flussi migratori irregolari. L’accordo prevede anche agevolazioni per la concessione di visti in casi di opportunità di studio, stage e formazione professionale. Gli studenti indiani che lo desiderano, per esempio, possono ottenere un permesso temporaneo di residenza in Italia per un periodo fino a dodici mesi dopo aver completato la propria formazione nel Paese.

    In base al Decreto flussi, l’Italia ha offerto quote aggiuntive ai lavoratori stagionali e non stagionali indiani per il periodo 2023-2025. L’accordo, inoltre, formalizza il lavoro congiunto sull’apertura di percorsi di mobilità tra i due Paesi attraverso il reclutamento di giovani indiani qualificati nel settore sanitario, questione che sarà discussa da un gruppo di lavoro ad hoc. Viene formalizzata anche la cooperazione tra Italia e India nella lotta ai flussi migratori irregolari. L’accordo rimarrà in vigore per cinque anni e, se non sarà disdetto da uno dei due Paesi, sarà automaticamente rinnovato per un altro quinquennio.

  • Gestione della migrazione: il Vicepresidente Schinas a Roma

    Il 13 e 14 luglio il Vicepresidente Schinas a Roma per una visita incentrata sulla migrazione. Previsti incontri con funzionari di alto livello italiani per portare avanti l’accordo sul nuovo patto sulla migrazione e l’asilo e per discutere delle priorità dell’UE nei settori delle competenze e dell’istruzione superiore.

    Il Vicepresidente Schinas ha incontrato la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni e la Ministra dell’Università e della ricerca, Anna Maria Bernini, il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi e il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari esteri, Antonio Tajani.

  • Irresponsabile abuso di potere e scandali molto altolocati

    La base per qualunque scandalo è un’assoluta certezza immorale.

    Oscar Wilde, da “Il ritratto di Dorian Gray”

    Diversi scandali stanno attirando tutta l’attenzione dell’opinione pubblica in Albania durante queste ultimissime settimane. Alcuni sono degli scandali che durano da anni, nonostante gli sforzi di offuscarli da parte della propaganda governativa, dei media controllati e degli “opinionisti” a pagamento. Altri sono degli “scandali minori” di vario tipo, generati a proposito per spostare ed annebbiare l’attenzione pubblica. Durante queste ultimissime settimane altri fatti sono stati resi noti. Fatti e dati che denunciano un’irresponsabile abuso di potere da parte di coloro che sono convinti di essere ormai degli “intoccabili”, dopo aver messo finalmente sotto controllo anche il potere giudiziario. A partire dal primo ministro albanese. Proprio da lui che, sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, in connivenza con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali e/o internazionali sta, ogni giorno che passa, clamorosamente ed irresponsabilmente abusando della cosa pubblica. Durante queste ultimissime settimane altri dati e fatti, rendendosi pubblici, evidenziano cosa è accaduto e sta accadendo con quelli che ormai, da qualche anno, sono noti come lo scandalo degli inceneritori e del porto di Durazzo. Il nostro lettore è stato informato di tutti e due a tempo debito e a più riprese. Sono scandali che in qualsiasi Paese normale, dove il potere giudiziario, il terzo potere dello Stato, indipendente dal potere esecutivo e da quello legislativo, secondo Montesquieu, avrebbero portato a giudizio ed avrebbero pesantemente condannato tante persone. Alcune molto altolocate. Scandali che, in qualsiasi Paese normale, nel caso fossero accaduti, avrebbero portato immediatamente alla caduta del governo, come atto dovuto, politico, istituzionale e morale. Ma in un Paese normale sarebbe stato molto difficile, se non addirittura impossibile, che una e/o più persone avrebbero avuto il coraggio di ideare e portare a compimento simili scandali. In Albania invece, dove da anni è stato restaurato e consolidato un regime totalitario, una dittatura sui generis, tutto può accadere. Si, purtroppo tutto può accadere, se a volerlo e a deciderlo sia proprio il primo ministro e/o, tramite lui, i rappresentanti della criminalità organizzata e di certi raggruppamenti occulti locali e/o internazionali. Sono tanti i fatti accaduti in questi ultimi anni che dimostrano e testimoniano una simile pericolosa, grave e molto preoccupante realtà vissuta e sofferta dai semplici cittadini.

    Durante questi ultimi giorni nuovi dati documentati e denunciati riguardanti i due scandali occulti e miliardari sopracitati, sono emersi, ma nonostante siano tanti i documenti resi pubblici, nonostante siano tante le inchieste fatte da quei pochi giornalisti e media non controllati personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui, nonostante siano tante anche le denunce depositate dall’opposizione politica presso le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, gli scandali continuano a  far “svanire” milioni e ad attirare, giustamente e doverosamente l’attenzione pubblica. Anche perché, essendo veramente tali e funzionando come dei diabolici meccanismi e sistemi ben coordinati, con tutta la necessaria copertura e protezione governativa e giuridica, continuano a far circolare ed ingoiare centinaia di milioni della cosa pubblica in un Paese tra i più poveri dell’Europa. In un Paese dal quale, proprio anche a causa della povertà diffusa, ma non solo, stanno scappando verso altri Paesi europei, soprattutto verso il Regno Unito, migliaia di albanesi. Una diretta e gravissima conseguenza questa degli abusi di potere e della paurosa irresponsabilità di coloro che gestiscono la cosa pubblica in Albania. Perché il continuo e massivo spopolamento di un Paese rappresenta veramente una realtà drammatica e molto preoccupante. Uno spopolamento, le cui ripercussioni si stanno già sentendo e subendo in Albania. Ma si faranno purtroppo sentire molto di più nel futuro. Anche perché quelli che stanno scappando in questi mesi verso altri Paesi europei, soprattutto verso il Regno Unito, sono i giovani.

    Una realtà quella dei flussi migratori dall’Albania verso il Regno Unito che sta preoccupando, nelle ultime settimane, anche il governo britannico. E proprio riferendosi a questa realtà, dall’inizio del mese, si è “sviluppato” uno scontro diplomatico e governativo tra il primo ministro albanese e alcuni ministri del governo britannico. Il più aspro e diretto è stato quello con la segretaria di Stato per l’Interno. La scorsa settimana il nostro lettore è stato brevemente informato su quanto stesse accadendo. L’autore di queste righe evidenziava la scorsa settimana un fatto veramente molto preoccupante, una vera e propria testimonianza dello spopolamento massivo dell’Albania. Egli, riferendosi ai dati ufficiali sui migranti arrivati con delle piccole imbarcazioni nel Regno Unito, attraversando il canale della Manica. scriveva: “…dai dati risulta che durante i primi sei mesi di quest’anno nel Regno Unito sono arrivati 2165 albanesi, 2066 afghani, 1723 iraniani, 1573 iracheni, 1041 siriani, 850 eritrei, 460 sudanesi, 305 egiziani, 279 vietnamiti e 198 kuwaitiani. I numeri parlano da soli e meglio di qualsiasi commento!” (Scontri diplomatici e governativi sui migranti; 14 novembre 2022). Secondo la ben nota agenzia inglese BBC (British Broadcasting Corporation – Corporazione britannica di trasmissione; n.d.a.), che si riferiva poche settimane fa ai dati ufficiali del governo britannico, circa l’80% dei migranti che attraversano il canale della Manica sono albanesi. Non solo, ma la BBC evidenziava che il numero dei migranti albanesi è aumentato moltissimo durante quest’anno. Da circa 50 che erano nel 2020 e da circa 800 nel 2021, quest’anno sono arrivati sulle coste del Regno Unito circa 12.000 migranti! Un simile flusso, soprattutto di giovani, non può essere spinto che dalla disperazione, causata dalla diffusa povertà, dalla mancanza di speranza per un futuro migliore nella madre patria, dalla diffusa e sempre più soffocante corruzione, dal sistema “riformato” della giustizia che “giudica” soltanto seguendo gli “orientamenti” pervenuti dagli piani alti del potere politico ecc.. Dai dati ufficiali dell’Eurostat (Ufficio statistico dell’Unione europea; n.d.a.), pubblicati alcune settimane fa, risulta che i migranti albanesi hanno superato anche quegli ucraini che scappano dalla guerra! Avendo precedentemente superato i siriani, gli afghani, gli iracheni ed altri. Secondo i dati pubblicati dall’Eurostat, solo durante il periodo gennaio–agosto 2022 sono state registrate 6860 richieste d’asilo dai cittadini albanesi, con un incremento del 68% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Solo nel mese d’agosto 2022 gli albanesi richiedenti asilo sono stati circa 1100. Mentre gli ucraini richiedenti asilo, durante il mese di luglio scorso (ultimi dati ufficiali per loro disponibili dall’Eurostat; n.d.a.), sono stati circa 950. Ma quello che rende queste cifre ancora più significative, oltre alla guerra in corso in Ucraina, è anche il numero totale delle due popolazioni. Ebbene, in Albania vivono circa 2.800.000 abitanti, mentre in Ucraina, prima dell’inizio della guerra, il 24 febbraio scorso, erano circa 43 milioni di abitanti!

    Il flusso migratorio dei cittadini albanesi che scappano non è però iniziato adesso. Adesso gli albanesi hanno semplicemente “cambiato rotta”, scegliendo il Regno Unito. Il flusso migratorio, dopo quello degli anni ’90 verso l’Italia, è ricominciato, massivo e preoccupante, dal 2015 e cioè due anni dopo l’ascesa al potere dell’attuale primo ministro nel 2013. L’autore di queste righe informava nel settembre del 2015 il nostro lettore che la guerra in Siria, i vari conflitti armati nel Medio Oriente ed in alcuni Paesi africani avevano generato flussi migratori verso alcuni Paesi dell’Europa occidentale, soprattutto verso la Germania. E poi sottolineava che “Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”, aggiungendo che “…i principali responsabili sono i politici, i quali tentano di sdrammatizzare la situazione agli occhi del mondo con una leggerezza inquietante” (Accade in Albania; 7 settembre 2015).

    Era l’inizio di questo mese quando la segretaria Britannica di Stato per l’Interno, preoccupata per il flusso massivo dei migranti albanesi che, attraversando il canale della Manica, entravano nel Regno Unito clandestinamente, dichiarava che molti di loro, arrivati quest’anno sono stati albanesi, perciò il governo britannico stava lavorando in stretto contatto con il governo albanese per incoraggiare i rientri dei migranti in patria. Poi, riferendosi proprio ai migranti albanesi, i primi come numero assoluto tra tutte le altre nazionalità, la segretaria di Stato Britannica per l’Interno ha aggiunto: “Noi, allo stesso tempo, stiamo constatando che molti albanesi stanno facendo delle false affermazioni, pretendendo di essere degli ‘schiavi moderni’, indipendentemente dal fatto che abbiano pagato migliaia [di euro] per arrivare in questo paese [Regno Unito]”. In più sia la segretaria britannica di Stato per l’Interno che altri membri del governo e del Parlamento hanno fatto riferimento alla criminalità organizzata albanese, molto attiva anche in Inghilterra. Una realtà purtroppo ormai verificata ed ufficialmente confermata. Dopo quelle dichiarazioni il primo ministro albanese ha reagito aspramente, dichiarando che “Il Regno Unito deve lottare [contro] le bande della criminalità di tutte le nazionalità e fermare la discriminazione degli albanesi per giustificare i fallimenti delle [sue] politiche”. In seguito lui ha avviato ed alimentato uno scontro diplomatico e governativo con il Regno Unito. Uno scontro che durò per circa due settimane.

    L’autore di queste righe pensa che, con molta probabilità, più che un “dovere patriotico”, quelle aggressive dichiarazioni del primo ministro albanese siano state un suo misero tentativo, suggerito anche dai suoi “amici e consiglieri” di madre lingua inglese e precedentemente membri di altissimo livello del governo britannico, per spostare l’attenzione da molti abusi di potere e altrettanti scandali che lo coinvolgerebbero personalmente, dati e fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano. Tra cui anche i due sopracitati scandali: quelli degli inceneritori e del porto di Durazzo. Lo scandalo degli inceneritori rappresenta un diabolico e ben protetto meccanismo per “macinare” e “bruciare”, centinaia di milioni della cosa pubblica, mettendo in atto uno sperpero gigantesco di denaro pubblico, dal quale il primo ministro ed i suoi più stetti collaboratori hanno avuto e tuttora stano avendo la loro parte milionaria. Il nostro lettore ha avuto modo di informarsi di tutto ciò negli ultimi mesi. Mentre lo scandalo del porto di Durazzo, oltre ad essere un clamoroso ed irresponsabile abuso di potere, oltre ad essere anche uno spaventoso e preoccupante affare corruttivo miliardario, rappresenta soprattutto un atto di alto tradimento degli interessi nazionali. Anche di questo scandalo il nostro lettore è stato informato precedentemente. Essendo però tutti e due degli scandali in corso, l’autore di queste righe continuerà ad informare il nostro lettore dei futuri sviluppi. Su quello del porto di Durazzo il primo ministro dovrebbe riferire giovedì prossimo in Parlamento. Di certo però cercherà, come suo solito, di scaricare su chiunque altro le sue colpe, i suoi irresponsabili e clamorosi abusi di potere, la responsabilità per la diffusa corruzione e per le preoccupanti conseguenze e ripercussioni della connivenza del potere politico con la criminalità organizzata e con certi raggruppamenti occulti.

    Chi scrive queste righe, fatti accaduti alla mano, è convinto che qualsiasi cosa possa dire il primo ministro albanese è sempre una bugia, un inganno, una bufala.  Una sola volta lui ha detto la verità: quando, appena ricevuto il suo primo mandato, nel settembre 2013, ha minacciato in Parlamento l’opposizione, dicendo “non avete visto niente ancora!”. Chi scrive queste righe condivide l’opinione di Oscar Wilde. Si, la base per qualunque scandalo è un’assoluta certezza immorale.

  • Severe hunger threatens 13m in Horn of Africa – UN

    The United Nations’ World Food Programme (WFP) says 13 million people across the Horn of Africa face severe hunger because of continued drought.

    Failed harvests and food shortages are forcing families from their homes, the WFP says, and immediate assistance is needed to prevent a humanitarian crisis.

    The rainy season has failed three years in a row – and the drought continues.

    Crops are ruined, livestock are dying, and 13 million people in Ethiopia, Somalia, and Kenya are going hungry.

    Food prices are rising, and with little to harvest, demand for agricultural labour is falling, increasing the pressure on families trying to feed themselves.

    Without immediate assistance, the WFP says, a humanitarian crisis is unavoidable.

    The WFP is appealing for $327m (£242m) to respond to the drought – in the short term to provide food and cash grants, and in the long term to build resilience among farming communities where less rain and more drought could, with climate change, become the norm.

  • Interessi, indifferenza, irresponsabilità, ipocrisia e gravi conseguenze

    L’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni
    genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

    François de La Rochefoucauld

    Il 14 novembre è stata celebrata la quinta Giornata mondiale dei Poveri. Papa Francesco ha scelto di onorare questa Giornata ad Assisi, la città che diede i natali al “poverello d’Assisi”, a San Francesco, a colui al quale si ispirò lo stesso il Santo Padre, scegliendo di essere chiamato proprio Francesco, come “l’uomo della povertà e della pace”. Perciò venerdì scorso, 12 novembre, è stato ad Assisi in forma privata, nella Basilica di Santa Maria degli Angeli, per partecipare all’Incontro di preghiera e testimonianze, insieme con un gruppo di 500 poveri provenienti da diverse parti d’Europa. Durante il suo intervento Papa Francesco ha ribadito determinato la necessità che “…ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate”. Aggiungendo, convinto e perentorio, che “è tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza”. E si riferiva anche all’indifferenza di tutte le persone che hanno delle responsabilità istituzionali ai più alti livelli e in tutto il mondo. Perché la loro irresponsabilità ha causato enormi danni, mentre con la loro ipocrisia, cercano di coprire e nascondere i propri interessi e la loro indifferenza di fronte alle inderogabili evidenti necessità, di fronte alla tanta povertà, alle tante sofferenze e, purtroppo, anche di fronte alle tantissime perdite di preziose vite umane. Sempre in occasione della quinta Giornata mondiale dei Poveri, domenica 14 novembre, il Santo Padre ha celebrato la messa nella basilica di San Pietro a Roma. Nell’omelia, durante la Santa messa, Papa Francesco, rivolgendosi sempre ai “potenti” del mondo, ha detto che “…non serve parlare dei problemi, polemizzare, scandalizzarci, [perché] questo lo sappiamo fare tutti; serve imitare le foglie, che senza dare nell’occhio ogni giorno trasformano l’aria sporca in aria pulita”. E non a caso ha fatto riferimento alla foglia, all’aria sporca e all’aria pulita. Ha usato la metafora della foglia e dell’aria per ribadire la grave situazione ambientale e sociale, a livello globale, e le tantissime preoccupanti conseguenze che ne derivano. Dopo l’Angelus, Papa Francesco ha parlato anche del vertice sul clima, concluso un giorno prima a Glasgow. “Il grido dei poveri, unito al grido della Terra, è risuonato nei giorni scorsi al Vertice delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP26, a Glasgow. Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ed economiche ed agire subito con coraggio e lungimiranza” ha detto il Santo Padre. Un appello che da anni sta ripetendo. Un appello, il cui contenuto è stato trattato ed analizzato dettagliatamente nella sua enciclica Laudato sì pubblicata nel 2015. E non a caso anche il titolo dell’enciclica, ispirata direttamente al Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi. In quella enciclica l’autore tratta le gravi crisi, quella ambientale e quella sociale, con le quali si sta affrontando da anni l’umanità, nonché tutte le loro derivanti e gravi conseguenze.

    Sabato scorso, 13 novembre, con un giorno più del previsto, si è conclusa a Glasgow, in Scozia, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, iniziata il 31 ottobre scorso. Si tratta della “COP26” (COP è l’acronimo della Conference of Parties – Conferenza delle Parti, che è il vertice annuale dei Paesi firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici; n.d.a.). Questo di Glasgow, che si doveva tenere l’anno scorso, e stato il 26esimo in ordine di tempo, di una serie di vertici, iniziati nel 1992 a Rio de Janiero, in Brasile. Dopo il secondo vertice, quello del 1995 a Berlino, tutti gli altri sono svolti annualmente, eccezion fatta per quello ultimo di Glasgow, dovuto all’impedimento pandemico. Sono però rimasti nella memoria collettiva soltanto alcuni di questi vertici, sia per quanto è stato deciso, che per quanto non è stato in seguito adempiuto. Tra questi si possono annoverare la “COP3”, quella del 1997 a Kyoto in Giappone, durante la quale è stato approvato il “Protocollo di Kyoto” sul riscaldamento globale; la “COP21” svoltasi nel 2015 a Parigi e la “COP 25” svoltasi nel 2019 a Madrid. Durante il vertice di Parigi tutti i Paesi firmatari hanno deciso di contenere il riscaldamento globale “ben al di sotto dei 2°C dal livello pre-industriale” attraverso un taglio delle emissioni di gas serra. Per attuare quell’impegno preso, tutti i Paesi firmatari dovevano avere e gestire un programma per garantire la riduzione delle emissioni a livello nazionale, che è ormai noto come “Contributo determinato a livello nazionale” (NDC – Nationally Determined Contribution; n.d.a.). Si tratta di dati che dovranno essere esaminati e aggiornati ogni cinque anni.  Da quello che è stato reso noto durante il vertice di Glasgow, gli obiettivi posti dal “COP21” di Parigi e dai programmi nazionali dei Paesi firmatari sono risultati insufficienti. Purtroppo, dati alla mano, anche la Conferenza “COP25” di Madrid, organizzata ed ospitata dal governo cileno, è risultata un fallimento. I negoziati, che dovevano portare ad un accordo sui mercati del carbonio, durante quel vertice presero molto tempo e poi, alla fine, non si decise niente di concreto, tranne che tutto si doveva trattare durante la Conferenza di Glasgow.

    Gli obiettivi posti e concordati da tutti i Paesi partecipanti durante la “COP26” sono tre. Il primo riguarda “l’impegno a mantenere l’innalzamento della temperatura entro gli 1,5o C rispetto all’era preindustriale”. Il che rappresenterebbe, se adempiuto, un passo avanti rispetto all’Accordo di Parigi, che fissava il tetto al 2o C. Il secondo obiettivo prevede “l’impegno a ridurre entro il 2030 le emissioni di CO2 del 45% rispetto ai livelli del 2010 ed a dimezzarle entro il 2050”. Il terzo stabilisce “l’impegno a riformulare, entro il 2022, i piani nazionali per la decarbonizzazione”. Bisogna però sottolineare che i negoziati svolti durante le due settimane del “COP26” a Glasgow miravano a degli obiettivi più impegnativi. Soprattutto per quello che riguarda l’abolizione delle fonti fossili più inquinanti. Obiettivo, la cui formulazione è stata modificata, dopo lunghi negoziati risultati non positivi, con i rappresentanti dell’India e della Cina. Ragion per cui nel documento finale della Conferenza di Glasgow, riferendosi alle centrali a carbone, invece della formulazione “eliminazione graduale” sostenuta dalla maggior parte dei Paesi, si è adottata la formulazione “riduzione graduale”. Un altro obiettivo sul quale si è discusso e negoziato era quello dei sussidi, il cosiddetto carbon budget, per i Paesi poveri ed in via di sviluppo. Alcune delle loro delegazioni, soprattutto quelle africane, hanno chiesto di prevedere un sostegno di 1.300 miliardi di dollari l’anno, mentre i rappresentanti dei Paesi ricchi si sono opposti. E tutto è stato rimandato alla prossima Conferenza, quella del 2022 a Sharm el-Sheik, in Egitto. Per gli analisti e i rappresentanti delle organizzazioni ambientaliste, i risultati della “COP26” hanno testimoniato un fallimento nel raggiungimento degli obiettivi preposti. Secondo loro i Paesi ricchi hanno rifiutato e bloccato le richieste dei Paesi poveri e più vulnerabili, che rappresentano più di 6 miliardi di persone. La sintesi della Conferenza di Glasgow, sui cambiamenti climatici, l’ha fatto il suo presidente, il Segretario di Stato del governo britannico per gli Sviluppi internazionali. Alla fine dei lavori, il 13 novembre scorso, commosso, riferendosi alla tanta discussa bozza sui combustibili fossili e il carbone ha detto: “Mi scuso per il modo in cui questo processo si è svolto”, per poi concludere aggiungendo: “Sono profondamente dispiaciuto, ma è fondamentale proteggere questo pacchetto”. Una Conferenza quella di Glasgow, durante la quale, purtroppo, hanno prevalso di nuovo le “ragioni” e gli interessi dei “più forti”, lasciando soli, nelle loro sofferenze e nei loro sforzi di sopravvivenza intere popolazioni in diverse parti del mondo. Un’ulteriore dimostrazione dell’indifferenza, dell’irresponsabilità e dell’ipocrisia dei “grandi del pianeta”! Le conseguenze del loro operato, delle loro scelte e decisioni andranno di nuovo a colpire i più poveri.

    La settimana appena passata è cominciata con un altro preoccupante avvenimento. Lunedì scorso, 8 novembre, al confine tra la Polonia e la Bielorussia, centinaia di profughi provenienti da Paesi orientali e del nord Africa, sono stati bloccati dalla polizia polacca. Da allora i profughi, che nel frattempo sono aumentati, hanno dovuto subire tante sofferenze legate al freddo e a tanto altro. Le autorità della Polonia accusano il presidente della Bielorussia di aver provocato questa nuova crisi umanitaria, in accordo con la Russia. L’8 novembre scorso, con la crisi in corso, durante una sessione speciale del Parlamento, il primo ministro polacco ha dichiarato che “La nostra sicurezza esterna viene brutalmente violata”, considerando quanto stava accadendo come un tentativo da parte della Russia di “ricostruire il suo impero nell’Europa dell’Est”. Le autorità bielorusse hanno smentito e respinto le accuse. In una nota ufficiale del ministero degli Esteri si afferma: “Vogliamo anticipatamente mettere in guardia la parte polacca contro l’utilizzo di qualsiasi provocazione”. Durante la scorsa settimana sono state rese note anche le dichiarazioni ufficiali delle massime autorità dell’Unione europea, che accusano il presidente bielorusso di aver fomentato questa crisi e promettono nuove sanzioni contro la Bielorussia. La crisi è tuttora in corso. Anche in questo caso si scontrano degli interessi, compresi quegli geostrategici. Mentre l’irresponsabilità di alcuni autocrati causa sofferenze umane. Come, purtroppo, anche l’indifferenza. E, come spesso accade, si cerca di camuffare tutto con una cinica e ripugnante ipocrisia.

    Venerdì scorso, 12 novembre, a Parigi è stata organizzata e svolta una Conferenza internazionale sulla Libia. I promotori sono stati l’Organizzazione delle Nazioni Unite, la Germania, l’Italia e la Francia. Gli obiettivi posti erano quegli di “assicurare lo svolgimento delle prossime elezioni in Libia”, previste per il 24 dicembre prossimo e di “concretizzare il ritiro dei mercenari stranieri ancora presenti nel paese, inviati da Russia e da Turchia”. I partecipanti alla Conferenza hanno sottolineato il loro pieno sostegno “alla piena applicazione del cessate il fuoco del 23 ottobre 2020” e al nuovo governo ad interim, costituito a febbraio scorso, il quale ha messo fine all’esistenza di due governi diversi in Libia. Secondo gli organizzatori della Conferenza le elezioni previste per il 24 dicembre potrebbero rappresentare una significativa svolta per il processo di pacificazione della Libia. Da dieci anni ormai, dopo l’intervento militare internazionale iniziato nel marzo 2011, che portò alla caduta del regime di Gheddafi, la Libia in pieno caos, è stata dilaniata da lotte interne fra i due campi rivali. Lotte e conflitti generate, anche nel caso della Libia, da diversi interessi, compresi soprattutto quegli economici e geostrategici. E anche in questo caso tutto è stato causato dall’irresponsabilità politica ed istituzionale e dall’indifferenza quando, invece, si doveva reagire con determinazione.  Da parte di tutti, che poi, per giustificarsi, hanno fatto uso dell’ipocrisia.

    Chi scrive queste righe è fermamente convinto che gli interessi, l’indifferenza, l’irresponsabilità e l’ipocrisia causano sempre delle gravi e molto sofferte conseguenze. Proprio come la storia, anche quella molto recente, ci insegna. L’autore di queste righe ha trattato spesso questo argomento per il nostro lettore (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019; Bisogna reagire, 17 maggio 2021 ecc..). Bisogna sempre ricordare e tenere ben presente che, come affermava François de La Rochefoucauld, l’interesse parla ogni genere di lingua e interpreta ogni genere di personaggio, perfino quello del disinteressato.

  • Un nuovo e più preoccupante esodo

    Costruire condizioni concrete di pace, per quanto concerne i migranti e i rifugiati,

    significa impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto il diritto a non emigrare,

    a vivere cioè in pace e dignità nella propria Patria.

    San Giovanni Paolo II

    Così scriveva Papa Giovanni Paolo II nel terzo paragrafo del suo messaggio per la 90ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, reso pubblico il 15 dicembre 2003, evidenziando proprio il diritto a non emigrare. E poi continuava, ribadendo che “…ogni Paese deve essere posto in grado di assicurare ai propri abitanti, oltre alla libertà di espressione e di movimento, la possibilità di soddisfare necessità fondamentali quali il cibo, la salute, il lavoro, l’alloggio, l’educazione, la cui frustrazione pone molta gente nella condizione di dover emigrare per forza”. Proprio così, considerando il diritto a non emigrare un sacrosanto diritto dei cittadini! Come quello della libertà d’espressione, per il quale i popoli hanno combattuto a lungo nel corso dei secoli. Diventa perciò obbligo dei governi e delle istituzioni di ogni Paese garantire questi diritti ai cittadini. Cosa che, purtroppo, non sempre si verifica, anzi! Come è dimostrato anche in questi ultimi anni in Albania. E come si è drammaticamente verificato trent’anni fa.

    Era il 6 marzo 1991. Mai i brindisini avrebbero immaginato quello che sarebbe accaduto nella loro città quella notte e nei giorni successivi.  Nelle ultime ore di quel giorno due navi entrarono nel porto di Brindisi. Due navi che portavano un carico mai visto prima in quel porto. Era un carico umano. Venivano dalla costa di fronte. Erano partite dall’Albania. Sul bordo di quelle due navi erano accatastati circa 6500 albanesi. Avevano attraversato, stremati, circa 50 miglia marine del canale d’Otranto, fino a raggiungere le coste pugliesi. In seguito, durante la notte del 6 marzo e le prime ore del 7 marzo 1991, al porto di Brindisi ed in altri porti sulla costa salentina arrivarono altre imbarcazioni. Tutte partite dall’Albania. Secondo dati mediatici del tempo, tra il 6 e il 7 marzo 1991, nei porti pugliesi arrivarono circa 25.000 albanesi. Erano uomini e donne, giovani e persone di una certa età, ma anche bambini, che scappavano dal loro Paese. Fuggivano speranzosi, sognando una vita migliore, dopo aver vissuto e sofferto sotto la dittatura comunista, una delle più atroci dittature in tutta l’Europa dell’Est. Quello del 6 e 7 marzo 1991 era soltanto l’inizio di un vero e proprio esodo che continuò, inarrestabile, anche nei mesi e negli anni seguenti, per circa un decennio. La mattina del 7 marzo 1991 si diede finalmente il permesso a quel “carico umano” di scendere a terra. Scendevano stremati, affamati e anche malvestiti, ma felici di aver finalmente toccato il suolo italiano. Come se fosse la terra promessa dei testi biblici. Colte impreparate di fronte ad una simile situazione di emergenza, le autorità locali si rivolsero alla popolazione con un breve messaggio “Gli albanesi arrivati a Brindisi hanno fame e freddo. Aiutateli!”. Subito dopo in tutta la città si allestirono i centri di assistenza, con cibo e vestiti. In più di trenta scuole, sia a Brindisi che nei suoi dintorni, gli appena arrivati trovarono una prima sistemazione. Con un’ordinanza delle autorità locali, le mense di Brindisi hanno preparato e distribuito i necessari pasti per gli albanesi. Rimarranno impresse nella memoria collettiva le immagini di quei giorni. Come non si dimenticherà mai la straordinaria generosità e l’ospitalità dei pugliesi nei confronti dei profughi arrivati dall’altra costa del mare.

    Purtroppo quell’esodo massiccio degli albanesi verso l’Italia e altri Paesi non finì nei primi anni ’90 del secolo passato. Un esodo quello, che allora era dovuto alle tante sofferenze e privazioni subite quotidianamente dagli albanesi, per più di 45 anni sotto la dittatura comunista. Purtroppo, dalla metà del decennio appena passato, si sta attuando un nuovo e più preoccupante esodo degli albanesi, ben più massiccio e preoccupante di quello del marzo 1991. L’autore di queste righe ha cominciato ad informare il nostro lettore di questo nuovo ed allarmante esodo dal 2015. Già da allora i richiedenti asilo con cittadinanza albanese erano secondi, come numero assoluto, soltanto ai siriani che scappavano da un devastante conflitto armato. Egli scriveva allora: “…E bisogna tenere presente che la popolazione albanese è di circa 3 milioni di abitanti, mentre quella siriana, secondo il World Population Review per il 2015, è di circa 22 milioni di abitanti!” (Accade in Albania; 7 settembre 2015). Ma, da allora la situazione si sta ulteriormente aggravando e il numero degli albanesi che decidono di lasciare tutto e di partire, senza neanche avere una minima garanzia, tranne la speranza per un futuro migliore, sta aumentando di anno in anno. L’autore di queste righe crede che ci sia proprio una ben ideata, programmata ed attuata strategia internazionale per lo spopolamento dell’Albania. Una strategia che, ovviamente, non riguarda soltanto l’Albania. Una strategia geopolitica ed occulta, quella, che sembrerebbe sia stata ideata e gestita da un raggruppamento che fa capo ad un miliardario speculatore di borsa di oltreoceano. L’autore di queste righe scriveva un anno fa che “…Da alcuni anni però, dati e fatti accaduti e che accadono di continuo alla mano, sembrerebbe che ci sia un “progetto” che prevederebbe anche l’allontanamento dei cittadini albanesi dalla madre patria. Lo dimostrano i numeri sempre più allarmanti di questi ultimi anni dei richiedenti asilo albanesi in diversi paesi europei e non solo”. In seguito continuava, specificando: “…guarda caso, sembrerebbe che il governo albanese, dal 2013 in poi, abbia adottato una strategia che porti a tutto ciò” (Drammatiche conseguenze dell’indifferenza; 3 febbraio 2020). L’autore di queste righe continua a ritenere che “Un significativo e inconfutabile indicatore del funzionamento della “strategia di spopolamento” dell’Albania sarebbe anche il preoccupante incremento, in questi ultimi anni, del numero dei cittadini albanesi richiedenti asilo, spesso famiglie intere, in vari paesi europei. Non solo, ma per numero relativo, sono i primi, lasciando dietro i siriani, gli afgani ecc.” (Crescente spopolamento come sciagura nazionale; 10 febbraio 2020).

    L’esodo degli albanesi non si è fermato neanche dalla pandemia. Lo dimostrano i dati pubblicati dall’Ufficio europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO, una struttura dell’Unione europea; n.d.a.). In base al rapporto ufficiale per il 2020 dell’EASO risulta che “… in proporzione alla rispettiva popolazione, l’Albania ha continuato ad essere seconda al mondo, dopo la Siria, i cui cittadini scappano dalla guerra”! Una guerra, quella in Siria, che, guarda caso, cominciò esattamente dieci anni fa, proprio il 15 marzo 2011. E durante questi drammatici dieci anni di guerra in Siria risulterebbero circa 400 mila vittime, 12 milioni di sfollati e 12,4 milioni persone, pari al 60% della popolazione, colpite dall’insicurezza alimentare. In Albania, durante questi anni, non c’è stata una guerra come in Siria, ma purtroppo in Albania, dal 2013 ad oggi, una sola persona, il primo ministro, abusa sempre più del potere istituzionale conferito, controllando quasi tutte le istituzioni dello Stato, sistema della giustizia compreso! Diventando così un autocrate, con tutte le drammatiche conseguenze. Una delle quali è anche il continuo spopolamento del Paese. Da alcuni anni ormai in Albania si è restaurata una nuova e sui generis dittatura, controllata e gestita da un’alleanza tra il potere politico e la criminalità organizzata e alcuni raggruppamenti occulti internazionali. Una realtà quella che sta costringendo gli albanesi a scappare, come i siriani, nonostante in Albania non c’è la guerra!

    E proprio al primo ministro albanese, il 5 marzo scorso, veniva conferito in Italia un premio. Il presidente della Regione Puglia, in presenza anche del ministro italiano degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, consegnò al primo ministro il premio “Radice di Puglia”. Un riconoscimento per “un pugliese di nazionalità albanese” (Sic!), come ha dichiarato il presidente della Regione Puglia. Una “novità” questa, perché, ad oggi, nessuno sapeva che il primo ministro albanese fosse pugliese! In realtà, il motivo di quella inattesa e ingiustificata premiazione dovrebbe essere stato ben altro. Comunque viene naturale la domanda: chissà perché proprio a lui, che è anche il principale responsabile del secondo esodo massiccio degli albanesi di questi ultimi anni?! Il secondo, dopo quello drammatico del marzo 1991 sulle coste pugliesi. Un’altra “premiazione” questa conferita per delle ben altre ragioni da quelle pubblicamente dichiarate. Un “premio” molto simile a quegli altri, di cui l’autore di queste righe informava il nostro lettore due settimane fa (Un vergognoso, offensivo e preoccupante sostegno alla dittatura; 1 marzo 2021).

    Chi scrive queste righe considera il conferimento del premio “Radice di Puglia” al primo ministro Albanese, il 5 marzo scorso, una vera e propria ipocrisia, un affronto ed un’offesa agli albanesi e alle loro sofferenze, causate proprio da quel “pugliese di nazionalità albanese”. Ma lo considera un affronto ed un’offesa fatta anche a tutti i pugliesi che trent’anni fa accolsero con tanta generosità gli albanesi che arrivarono nella terra di Puglia. Chi scrive queste righe da tempo è convinto che il primo ministro albanese ha volutamente ignorato e violato, tra molte altre cose, anche il diritto a non emigrare degli albanesi. Proprio quel diritto, al quale si riferiva San Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la 90ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, reso pubblico il 15 dicembre 2003. Ma il Santo Padre si riferiva a dei governanti responsabili e non a degli individui che hanno fatto patto con il Male.

  • Continua la fuga degli italiani all’estero, la pandemia frena l’immigrazione

    Non si ferma la fuga degli italiani all’estero, soprattutto se giovani, donne e laureati, che anzi hanno visto un aumento del 4,5 in un anno. È il quadro che emerge dal rapporto migrazioni di Istat relativo al 2019 – quindi pre-pandemia – ma che contiene numeri importanti e che, soprattutto, confermano una tendenza in atto da anni.

    Nel 2019 sono stati 122mila i connazionali che sono emigrati all’estero: di questi tre italiani su quattro hanno 25 anni o più (circa 87mila) e uno su tre (28mila) è in possesso di almeno la laurea. Rispetto all’anno precedente i laureati emigrati è in lieve aumento (+1,4%). L’incremento è però molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto a cinque anni prima gli emigrati con almeno la laurea crescono del 23%. In questa fascia d’età, le italiane emigrate sono meno numerose (il 43%) ma sono più frequentemente in possesso di almeno la laurea (il 36% contro il 30% dei loro coetanei). Rispetto al 2010, inoltre, l’aumento degli espatri di laureati è più evidente per le donne (+8%) che per gli uomini (+3%). A lasciare il Belpaese sono dunque ancora una volta i giovani più qualificati – più spesso donne – a cui non subentrano forze nuove dall’estero visto che diminuiscono gli ingressi dei cittadini stranieri (265mila, -7,3%). Il Nord si conferma come la zona di maggior attrattiva per i migranti stranieri, tanto che uno su cinque sceglie la Lombardia come destinazione: la regione, da sola, accoglie 57mila immigrati (22% del totale flussi). Un altro dato che segnala come l’immigrazione italiana sia sempre più spesso definitiva è quello degli espatri verso il Regno Unito che nel 2019 registra la cifra record di 31mila cancellazioni anagrafiche, +49% rispetto all’anno precedente, superando il picco dei 25mila espatri del 2016. Durante il cosiddetto ‘periodo di transizione’, molti cittadini italiani, già presenti nel territorio britannico ma non registrati come abitualmente dimoranti, hanno preferito ufficializzare la loro posizione trasferendo la residenza nel Regno Unito.

    Il report Istat ha voluto scattare una prima fotografia anche dell’anno della pandemia, a significare l’impatto della chiusura delle frontiere interne ed esterne. I dati provvisori sull’andamento dei flussi migratori nei primi otto mesi del 2020 mettono infatti in evidenza una forte flessione delle migrazioni per un calo complessivo del -17,4%. A calare in particolare sono stati gli ingressi dai Paesi africani: si riducono a poche centinaia gli immigrati provenienti da Gambia (-85%) e Mali (-84%), sono fortemente in calo i flussi dalla Nigeria (-73%), quasi dimezzati quelli provenienti da Egitto (-47%) e Marocco (-40%). Forti diminuzioni anche per gli ingressi da Cina (-63%), Brasile (-49%), e Romania (48%).

  • Crescente spopolamento come sciagura nazionale

    Ti verrà addosso una sciagura che non saprai scongiurare;
    ti cadrà sopra una calamità che non potrai evitare.
    Su di te piomberà improvvisa una catastrofe che non prevederai.

    Bibbia; Isaia (47,11)

    Proprio così! Il profeta Isaia affermava che non era lui, ma il Signore, “il nostro redentore che si chiama Signore degli eserciti, il Santo di Israele” che ammoniva la “vergine figlia di Babilonia” e le ordinava: “Scendi e siedi sulla polvere […]. Siedi a terra, senza trono […].Siedi in silenzio e scivola nell’ombra, figlia dei Caldei, perché non sarai più chiamata Signora di regni”. Proprio quella figlia di Babilonia, alla quale il Signore aveva affidato il suo popolo prediletto. Ma la Signora dei Regni non rispettò e non onorò la Sua fiducia. Perciò il Signore, amareggiato e deluso dal suo comportamento, le disse severamente: “…tu non mostrasti loro pietà; perfino sui vecchi facesti gravare il tuo giogo pesante”. Il profeta Isaia affermava anche che ella si illudeva che l’incarico dato dal Signore sarebbe durato per sempre e ne abusava. Ma al Signore non sfugge niente e le disse: “Tu pensavi: Sempre io sarò signora, sempre. Non ti sei mai curata di questi avvenimenti, non hai mai pensato quale sarebbe stata la fine”.

    Un’eloquente allegoria, una significativa e sempre valida lezione questa che ci viene dalle Sacre Scritture. Una lezione anche, e soprattutto, per coloro ai quali è stata data la responsabilità e la fiducia di governare e di prendersi cura di un popolo. A nessuno, in ogni tempo, niente è dato per sempre. Neanche il potere di governare. E men che meno di abusare con quel potere dato. Una significativa lezione che dovrebbe essere un forte e severo ammonimento, anche per coloro che stanno consapevolmente e gravemente abusando del potere politico in Albania. Proprio loro che hanno, o meglio, dovrebbero avere la responsabilità e l’obbligo di gestire, nel miglore dei modi, la cosa pubblica e le sorti del popolo, ma che non lo hanno fatto e continuano a non farlo. Anche a tutti loro spetterà la stessa sorte della “Figlia di Babilonia”.

    Una delle più gravi sciagure che potrebbe colpire l’Albania nei prossimi decenni sarebbe quella legata al continuo e massiccio spopolamento in atto da alcuni anni. Uno spopolamento che più di un fenomeno non ben gestito, risulterebbe essere la conseguenza diretta di una ben ideata strategia. Strategia che non è la prima nel suo genere. Il nostro lettore ha avuto modo di informasi la scorsa settimana, in occasione della commemorazione del “Giorno della Memoria”, che una simile strategia è stata concepita e adottata durante il secolo passato dalla Serbia contro la popolazione albanese del Kosovo. Strategia aggiornata a più riprese e tuttora in atto.

    Tenendo presente tutto quanto è accaduto e sta accadendo durante questi ultimi anni in Albania, la vissuta e sofferta realtà, alcune rivelazioni mediatiche e gli sviluppi socio-politici, diventa non difficile pensare e credere che una simile strategia sia veramente in atto in Albania. Una strategia per lo spopolamento del paese. A questo punto viene naturale la domanda: “Perché, con quali obiettivi e a chi interessa l’attuazione di una simile strategia?”. Le cattive lingue dicono che si tratterebbe di interessi di alcuni raggruppamenti occulti, capeggiati e rappresentati da un certo miliardario speculatore di borse dell’oltreoceano e/o da chi per lui. Sempre le cattive lingue affermano che l’obiettivo della “strategia di spopolamento” dell’Albania sarebbe quello di annientare la memoria storica e di far diventare il territorio dello Stato albanese una specie di “zona franca”. Una “zona franca” nella quale si potrebbero svolgere delle attività illecite, come riciclaggio di denaro sporco proveniente da varie parti del mondo, traffico e/o smistamento di stupefacenti di ogni genere, attività bancarie simili e/o del tipo “off-shore” ecc. Ovviamente tutto con il beneplacito e il diretto coinvolgimento dei massimi rappresentanti politici e non solo, dietro, naturalmente dei cospicui e garantiti guadagni. Naturale, però, verrebbe la domanda: “ma se tutti stanno andando via, dove si troveranno la mano d’opera e coloro che presteranno i dovuti e/o i necessari servizi. E non soltanto servizi riguardanti le attività illecite, ma anche quelli indispensabili/necessari per la vita quotidiana di tutti coloro che rimarranno e vivranno in Albania nei prossimi decenni. Perché di quei servizi si tratta, visto che le attività produttive si stanno chiudendo l’una dopo l’altra e gli investimenti stranieri hanno abbandonato e/o ignorato, durante questi anni, l’Albania. Tranne i miliardari “investimenti” della criminalità organizzata, locale e internazionale. Ma anche a questa naturale e logica domanda c’è la risposta. La mano d’opera a basso costo, arriverebbe da paesi orientali e/o da dove si stanno svolgendo scontri etnici e vere e proprie guerre. Paesi da dove partono, da anni ormai, milioni di profughi verso l’Europa. Non a caso negli ultimi mesi il Parlamento albanese, controllato totalmente dal primo ministro, ha approvato leggi che facilitano sia l’ingresso che la cittadinanza, “per motivi di lavoro”, di mano d’opera straniera. E non a caso adesso si vedono in Albania sempre più persone con tratti somatici diversi da quelli locali. Tutto questo dicono le cattive lingue e, purtroppo, le cattive lingue hanno spesso avuto ragione in Albania durante questi ultimi anni.

    Un significativo e inconfutabile indicatore del funzionamento della “strategia di spopolamento” dell’Albania sarebbe anche il preoccupante incremento, in questi ultimi anni, del numero dei cittadini albanesi richiedenti asilo, spesso famiglie intere, in vari paesi europei. Non solo, ma per numero relativo, sono i primi, lasciando dietro i siriani, gli afgani ecc… Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di questo allarmante fenomeno sociale e demografico.

    La “strategia di spopolamento” si baserebbe su alcuni pilastri come l’impoverimento sistematico e crescente della popolazione, la delusione della fiducia data, maltrattata e abusata, la perdita della speranza per un futuro migliore, il disinteresse, l’indifferenza e l’apatia per quello che accade e potrebbe accadere. Ma non solo. Per arrivare a tutto ciò, e si è riusciti, la “strategia di spopolamento” prevede, tra l’altro, l’abbandono forzato di quelle poche attività che generano dei guadagni per il sostentamento quotidiano delle famiglie. Attività soprattutto legate all’agricoltura e/o agli allevamenti che coinvolgono e interessano una grande fascia sociale e demografica. Negli ultimi anni, ma soprattutto durante l’anno appena passato, hanno chiuso le attività, a malincuore e buttando via gli investimenti di una vita, molti piccoli proprietari. Anche perché, non avendo sovvenzioni statali e altre agevolazioni, come promesso, non riescono a vincere la concorrenza dei prodotti importati da paesi confinanti.  In più, dal 2013, non sono stati previsti e, perciò non sono stati effettuati, aumenti salariali e delle misere pensioni. Non sono state effettuate neanche le dovute indicizzazioni dei salari e delle pensioni con l’inflazione. Il che ha pesato ancora di più sul potere d’acquisto dei cittadini, di per se ormai compromesso. Sono dati ormai ufficiali che testimoniano questa grave e allarmante situazione. Quanto sopracitato, sono soltanto alcune delle cause che stanno spingendo gli albanesi a lasciare il paese, in seguito all’attuazione continua e attiva della “strategia di spopolamento”. Il nostro lettore sarà di nuovo e come sempre informato dell’attuazione e delle inevitabili conseguenze di questa strategia.

    Chi scrive queste righe è convinto e considera il crescente spopolamento dell’Albania come un fatto veramente allarmante. Lo considera come una vera e propria sciagura che, nei prossimi decenni, la “figlia d’Albania” non riuscirà e non saprà come scongiurare. Sarà una calamità le cui conseguenze non si potranno evitare. Perciò, finché c’è ancora tempo, è doveroso ricordare quanto affermava il profeta Isaia, compresa la condanna del Signore per la “figlia di Babilonia”.

     

  • L’ONU afferma che il cambiamento climatico può essere causa di asilo

    Un comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite ha stabilito che le persone in fuga per gli effetti dei cambiamenti climatici possono chiedere asilo.Il gruppo di lavoro ha emesso il parere dopo che un uomo di Kiribati è stato rimandato nel suo paese perché gli è stato negato l’asilo dalla Nuova Zelanda. Anche se gli esperti del comitato hanno concluso che l’espulsione era legale, hanno comunque affermato che casi simili potrebbero in futuro giustificare le richieste di asilo.”Il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e lo sviluppo insostenibile costituiscono alcune delle minacce più urgenti e gravi per la possibilità delle generazioni presenti e future di godere del diritto alla vita”, ha spiegato il comitato, aggiungendo che le persone in cerca di asilo non sono tenute a dimostrare che subirebbero danni immediati, se rimandati nei loro paesi d’origine.Hanno anche spiegato che, in quanto eventi legati al clima, possono verificarsi all’improvviso, come nei casi di tempeste o alluvioni, o nel tempo, come l’innalzamento del livello del mare.

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