militari

  • Defezione del Niger: stop all’accordo militare con gli Usa

    Il governo militare del Niger ha interrotto “con effetto immediato” l’accordo di cooperazione militare firmato con gli Stati Uniti nel 2012. L’annuncio è stato letto in un intervento trasmesso dalla televisione nazionale “Rtn” dal colonnello Amadou Abdramane, portavoce della giunta al potere dal colpo di stato dell’anno scorso, chiamata Consiglio nazionale per la salvaguardia della patria (Cnsp). Abdramane ha spiegato che il governo nigerino “tenendo conto delle aspirazioni e degli interessi del suo popolo” ha deciso “di interrompere con effetto immediato l’accordo relativo allo status delle forze armate degli Stati Uniti” e del personale civile del dipartimento della Difesa Usa in territorio nigerino. Il portavoce ha definito la presenza militare statunitense “illegale” e in violazione di “tutte le regole costituzionali e democratiche”. Non solo: secondo Niamey è illegittimo e “ingiusto” lo stesso accordo, che sarebbe stato “imposto unilateralmente” dagli Stati Uniti, tramite una “semplice nota verbale”, il 6 luglio 2012.

    L’annuncio giunge dopo una visita di tre giorni (12-14 marzo) di una delegazione Usa guidata da Molly Phee, assistente segretaria di Stato per gli Affari africani, e comprendente anche il generale Michael Langley, comandante del comando Africom. Il portavoce del governo militare di Niamey ha riferito che dalla delegazione è stata lanciata al Niger l’accusa “cinica” di aver stretto un accordo segreto per fornire uranio all’Iran e la “minaccia di ritorsioni”. Il colonnello ha contestato anche le obiezioni che gli Usa avrebbero sollevato sugli alleati scelti dal Niger, nonché il mancato rispetto del protocollo diplomatico: il Niger non sarebbe stato informato della composizione della delegazione, della data di arrivo e dell’agenda della missione.

    I militari statunitensi presenti in Niger sono più di 600. In risposta all’annuncio di Nyamey, Washington ha replicato con un post pubblicato su X del portavoce del dipartimento di Stato Usa, Matthew Miller. “Siamo a conoscenza della dichiarazione del Cnsp in Niger, che fa seguito alle franche discussioni a livello senior svoltesi questa settimana a Niamey riguardo alle nostre preoccupazioni per la traiettoria del Cnsp. Siamo in contatto con il Cnsp e forniremo ulteriori aggiornamenti come garantito”, ha scritto Miller.

    Il Niger ha precedentemente messo fine alla cooperazione militare con la Francia. Lo scorso 24 settembre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato il ritiro del contingente ancora presente in Niger, ritiro iniziato il 5 ottobre e completato il 22 dicembre. Dal 2015 la Francia ha inviato circa 1.500 militari nel Paese africano per contribuire a contrastare l’intensificarsi dell’insurrezione jihadista. Le truppe francesi erano stanziate nella capitale Niamey e nelle basi di Ouallam e Ayorou, vicino al confine con il Mali.

    Nel Paese è presente la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger (Misin), autorizzata dal Parlamento italiano nel 2018 e istituita al fine di incrementare le capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza, nell’ambito di uno sforzo congiunto di Unione europea e Stati Uniti per la stabilizzazione dell’area, il rafforzamento delle capacità di controllo del territorio da parte delle autorità nigerine e dei Paesi del G5 Sahel e le attività di sorveglianza delle frontiere e del territorio e di sviluppo della componente aerea. La missione – la cui area geografica di intervento è allargata anche a Mauritania, Nigeria e Benin – conta attualmente circa 350 effettivi e 13 mezzi, tutti terrestri.

    Il contingente, dislocato in un hub operativo-logistico completato nel giugno 2022 e situato all’interno dell’aeroporto di Niamey, comprende squadre di ricognizione, comando e controllo, e addestratori, da impiegare anche presso il Defense College in Mauritania, personale sanitario e del Genio per lavori infrastrutturali, squadra rilevazioni contro minacce chimiche-biologiche-radiologiche-nucleari (Cbrn), unità di supporto, force protection, raccolta informativa, sorveglianza e ricognizione a supporto delle operazioni.

  • Le giunte militari di Mali e Niger ripristinano la doppia imposizione fiscale con la Francia

    Le giunte militari di Mali e Niger hanno firmato il 5 dicembre un comunicato stampa congiunto in cui denunciano le convenzioni firmate con la Francia per il superamento della doppia imposizione fiscale. La decisione, si legge nella nota congiunta, fa seguito al “persistente atteggiamento ostile della Francia” e al “carattere squilibrato” di queste convenzioni che costituiscono “un notevole deficit per il Mali e il Niger”. Le convenzioni fiscali denunciate dalle giunte golpiste disciplinano le norme per la tassazione del reddito o delle successioni e permettono inoltre lo scambio di informazioni e la collaborazione tra amministrazioni, ad esempio per la riscossione delle imposte. Tali convenzioni verranno quindi abolite “entro tre mesi”, secondo quanto affermato nel comunicato. La decisione è destinata ad avere serie ripercussioni sia per i privati che per le imprese domiciliate in Francia e che svolgono un’attività in Mali o in Niger, e viceversa, con conseguenze inevitabili sia per i francesi che lavorano in Niger, sia per i maliani della diaspora in Francia, ma anche per le aziende che espatriano alcune filiali. La mossa segna una nuova tappa nel riavvicinamento tra i Paesi golpisti del Sahel – Mali, Niger e Burkina Faso – che a settembre hanno dato vita a una coalizione militare, nota come Alleanza degli Stati del Sahel (Aes).

    La decisione fa peraltro seguito a quella con cui ieri la giunta militare del Niger – salita al potere dopo il colpo di Stato dello scorso 26 luglio – ha annunciato l’intenzione di porre fine agli accordi di difesa e sicurezza con l’Unione europea, stipulati per sostenere le autorità nigerine nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata e all’immigrazione irregolare. In un comunicato pubblicato lunedì sera, il ministro degli Esteri di Niamey ha annunciato di voler revocare l’accordo stipulato con l’Ue relativo alla missione civile europea denominata Eucap Sahel Niger, attiva dal 2012 e che attualmente conta su circa 130 gendarmi e agenti di polizia messi a disposizione dagli Stati membri dell’Ue per svolgere la sua azione. Oltre alla missione Eucap, la giunta nigerina ha comunicato di aver ritirato il consenso concesso per il dispiegamento della Missione di partenariato militare dell’Ue in Niger (Eumpm), attualmente a guida italiana.

  • Russia e Libia cooperano per creare un corpo militare in Africa

    Le autorità russe stanno collaborando con quelle libiche per la creazione di un Corpo militare russo in Africa. La notizia, contenuta in un annuncio che compare sui canali Telegram russi a firma del direttore della rivista “Difesa Nazionale” Igor Korotchenko, segue la visita in Libia del viceministro della Difesa della Federazione Russa, Yunus-Bek Evkurov, su invito del comandante dell’Esercito nazionale libico (Lna), il generale Khalifa Haftar. La missione di Evkurov è l’attuazione pratica degli accordi russo-libici raggiunti nel quadro dell’undicesima Conferenza sulla sicurezza internazionale di Mosca e del forum tecnico-militare Esercito, che si sono svolto ad agosto in Russia. Per il Cremlino, si legge nel testo, i principali oppositori nel continente nero sono gli Stati Uniti e i loro alleati della Nato, tra cui la Francia. “Il ministero della Difesa russo contrasterà l’influenza occidentale e rafforzerà la posizione di Mosca in Africa. Il Corpo africano russo dovrà condurre operazioni militari su vasta scala nel continente a sostegno dei paesi che cercano di liberarsi finalmente della dipendenza neocoloniale, ripulire la presenza occidentale e ottenere la piena sovranità”, recita la dichiarazione

    Allo stesso tempo, prosegue il testo, “non stiamo parlando di beneficenza: l’uso del fattore forza in Africa dovrebbe portare alla Russia non solo benefici politici (l’avvento al potere di governi e regimi amici) e militari (fornitura di locazione gratuita di basi, aeroporti, centri logistici per la Marina), ma anche dividendi economici (controllo dei giacimenti di oro, platino, cobalto, uranio, diamanti, petrolio, terre rare e loro sviluppo a condizioni reciprocamente vantaggiose con i partner africani)“. Lo stipendio minimo di un soldato del Corpo africano è di 204 mila rubli (2.100 euro al cambio odierno). La pubblicità che accompagna la dichiarazione recita così: “Il servizio a contratto nel Corpo africano è la scelta giusta per te! Sei giovane? Forte? Coraggioso? Pensi al futuro? Ritieni che sia tuo dovere servire la Patria? Allora il servizio a contratto nel Corpo africano è la scelta giusta per te! Ti garantiamo: alta indennità in denaro; assistenza medica gratuita; un futuro sicuro per la tua famiglia; assicurazione vita e sanitaria a spese del bilancio federale.

  • La Ue sanziona i mercenari russi della brigata Wagner

    “L’Ue è unita nel sostenere la sovranità e l’integrità dell’Ucraina”. Nell’ultimo Consiglio Affari Esteri dell’anno sono il dossier Kiev e lo spettro dell’invasione russa, a tenere banco tra i ministri degli esteri europei. Ed emerge un filo rosso che unirà i prossimi step di Bruxelles, che l’Alto Rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell, ha riassunto così: “Ci auguriamo il meglio e ci prepariamo al peggio”. Di fatto, nelle prossime settimane l’Ue manterrà un approccio graduale, puntando alla dissuasione e al lavorio diplomatico. Nel frattempo, però, un passo lo ha fatto, approvando all’unanimità un pacchetto di sanzioni per i mercenari russi della Wagner. Fautori di “azioni destabilizzanti” in Libia, Siria e, appunto, in Ucraina.

    Le sanzioni consistono nel divieto di viaggiare in Ue e nel congelamento dei beni che si trovano nel vecchio continente non solo per l’agenzia paramilitare finanziata dal ‘cuoco’ di Putin, l’oligarca Yevgeny Prigozhin, ma anche per otto persone fisiche e tre società legate al gruppo. Oltre a questo, però, l’Ue non è andata, aspettando che ad esprimersi sul dossier siano i leader, al Consiglio Ue di giovedì.

    La “determinazione” di Bruxelles è affidata all’ipotesi, più volte ventilata, di pesanti sanzioni economiche nei confronti di Mosca se davvero si concretizzerà un attacco all’Ucraina. “Qualsiasi aggressione contro avrà un costo elevato per la Russia”, ha assicurato Borrell prima di vedere i titolari delle diplomazie europee, Luigi Di Maio incluso. Sul dossier irrompe anche il nuovo corso della Germania, meno ‘morbida’ con Mosca. “Il Nord Stream 2 è sospeso perché non soddisfa i requisiti del diritto europeo e permangono altre questioni legate alla sua costruzione”, ha sottolineato la neo-ministra degli Esteri Annalena Baerbock nel giorno in cui, tra l’altro, Minsk ha minacciato di tagliare il gas all’Europa “se costretta”.

    La riunione dell’Europa Builging è giunta una manciata d’ore dopo il G7 dei ministri degli Esteri. Le posizioni, superficialmente, sembrano convergere. Ma fonti diplomatiche europee spiegano come l’approccio degli Usa e quello dell’Ue in realtà divergano sensibilmente. Washington ha aperto un canale di dialogo con Mosca sostanzialmente su 3 temi: il controllo degli armamenti, la cybersecurity e la reciproca limitazione imposta alle sedi diplomatiche. Il ventaglio di temi con cui Bruxelles dialoga con la Russia, spiegano le stesse fonti, è più ampio. E nei corridoi delle istituzioni europee c’è una duplice convinzione: da un lato quella di non credere che Mosca, alla fine, invaderà davvero l’Ucraina; dall’altro il considerare l’imminente attacco russo quasi come un cavallo di battaglia portato avanti dagli Usa per alzare la posta dell’interlocuzione con Putin.

    Dal canto suo, il Cremlino ha annunciato che in settimana consegnerà agli Usa le proposte sulle garanzie di sicurezza. Proposte che puntano i fari soprattutto sul ruolo della Nato. Il ministero degli Esteri russo (Mid) ha infatti ricordato che i Paesi della Nato hanno “obblighi” relativi alla sicurezza nell’area euro-atlantica e nell’intero spazio Osce. Secondo il Mid “in violazione del principio della sicurezza indivisibile, la Nato ha continuato a muoversi verso est trascurando le preoccupazioni di Mosca”. Nel mirino c’è l’avvicinamento di Ucraina e Georgia all’Alleanza, punto sul quale l’Ue è tutt’altro che sorda ai timori della Russia. Anche per questo, Bruxelles non accelera. Mercoledì, nel vertice del Partenariato Orientale, i leader europei ribadiranno il pieno sostegno a Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaigian (la Bielorussia ha sospeso gli accordi), in particolare ai primi 3, considerati più avanti nel percorso di riforme. Ma a chi gli chiedeva se l’Unione vuole “armare” Kiev Borrell ha frenato: “Abbiamo garantito 35 milioni per la logistica ma l’obiettivo è la deterrenza, evitare una crisi militare”. Su questo, il consenso europeo è concreto. Come concreta è la divisione sulla scelta del boicottaggio diplomatico per le Olimpiadi invernali cinesi. “Non ne abbiamo discusso”, ha tagliato corto Borrell.

  • In attesa di Giustizia: il ponte delle spie

    Glavnoe, Razvedyvatel’noe Upravlenie, siglato G.R.U., tradotto in italiano Direttorato principale per l’informazione, è il servizio segreto delle Forze Armate russe (fino al 1991, sovietiche) ed è tutt’oggi una componente molto importante del sistema di intelligence della Federazione Russa, specialmente perché non è stato mai ristrutturato, diviso e persino diversamente denominato come accaduto al Comitato per la Sicurezza dello Stato, meglio noto come K.G.B.

    Sospettato, tra l’altro, di essere stato, di recente, artefice di attacchi informatici a livello globale e di interferenza nelle elezioni presidenziali degli Stati Uniti, ha nel suo DNA le competenze nello sviluppo di nuove tecnologie: fu, infatti, Stalin a chiedere ai suoi ingegneri di concentrarsi sulle modalità di danneggiamento dei paesi nemici a distanza.

    Come dire: non si tratta di un cimelio dell’U.R.S.S. bensì di una struttura pienamente operativa e la circostanza che il russo coinvolto nella spy story con un ufficiale della nostra Marina Militare fosse anch’egli un militare con il grado di colonnello fa pensare che la sua reale funzione nel nostro Paese – con adeguata copertura diplomatica – fosse quella di operativo del G.R.U.

    Questa vicenda sta tenendo banco ormai da giorni proprio per la sua originalità con il retrogusto da Guerra Fredda, quella guerra che sembrava ormai conclusa da decenni, da quando – come disse Margaret Thatcher – Ronald Reagan la vinse “senza sparare un colpo”.

    Intelligenza con una potenza straniera, e nel provvedimento di arresto del Capitano Walter Biot si legge di una sua elevata pericolosità, giudizio che non può che ricollegarsi alla natura delle informazioni che passava ai russi. Tanto è vero che il Governo sta considerando di mettere il segreto di Stato su quei dati che, verranno – di conseguenza – omissati negli atti giudiziari.

    Walter Biot si è avvalso del diritto al silenzio durante l’interrogatorio davanti al G.I.P. ma poche ore dopo ha fatto sapere che vuole essere sentito dai P.M., annunciando due argomenti: la irrilevanza dei documenti sottratti dal punto di vista della compromissione della efficienza militare delle nostre forze armate e la sua condizione di indebitamento.

    Non è consuetudine, in questa rubrica, anticipare giudizi soprattutto quando non si dispone di documentazione completa: tuttavia, proprio dalle poche battute del Capitano Biot traspare una implicita confessione (difficile, peraltro, negare essendo stato colto “con le mani nel sacco”) volta a minimizzare e impietosire: mutuo, figli, animali domestici da mantenere con lo stipendio della Marina e poche scartoffie senza valore rifilate ai russi.

    Due conclusioni si possono trarre a questo punto: la prima è che lo spionaggio è punito con l’ergastolo se il fatto ha compromesso il potenziale bellico dello Stato, una decina di anni in assenza di questa aggravante. Quindi, di fronte all’innegabile è meglio cercare una via di uscita dal “fine pena mai”. La seconda è che tutti i pari grado di Walter Biot guadagnano circa 2.200 euro netti al mese ma per mettere insieme il pranzo con la cena non diventano dei traditori in cambio del corrispettivo di un paio di mensilità extra.

    E il G.R.U. metterebbe in piedi un’operazione di spionaggio compromettendo agenti operativi di alto grado e mettendo dei soldi, ancorchè non molti, sul piatto per informazioni che si possono trovare digitando su Google?

    La verità sarà un’altra, quasi certamente non quella che intende offrire Walter Biot, ma per la posta in gioco, forse, non la sapremo mai del tutto; resta la triste considerazione che il traditore della Patria che ha giurato di proteggere è il peggiore dei servitori infedeli dello Stato. Anche se per pochi soldi (anzi, peggio…), anche se per informazioni di scarso valore.

    La pena che verrà inflitta al Capitano della Marina lascerà intuire qualcosa: poi bisognerà vedere se la sconterà tutta o se – come ai tempi della Guerra Fredda – verrà magari liberato e scambiato con qualcuno, forse sul Ponte Umberto che attraversa il Tevere proprio di fronte alla Corte d’Appello Militare.

  • Birmania in piazza, i generali minacciano la repressione

    Minacce di una repressione armata, idranti sparati sulla folla nella capitale, la legge marziale nella seconda città più popolosa del Paese: in Birmania il regime golpista fa capire di essere pronto a usare la forza, ma nel Paese le manifestazioni di protesta contro il colpo di stato di inizio mese diventano ogni giorno più grandi. Da una parte un esercito abituato a comandare, dall’altra una risposta popolare che i generali probabilmente non avevano messo in conto: due forze contrapposte che fanno aumentare il rischio di violenze con il passare delle ore.

    In centinaia di migliaia sono scesi nelle strade di Yangon, l’ex capitale, in scia ad altre imponenti manifestazioni degli ultimi giorni. Ma altre proteste si sono viste a Mandalay, nonostante la proclamazione della legge marziale con coprifuoco notturno, e persino nella vasta capitale Naypyidaw, costruita negli ultimi anni della dittatura con il chiaro intento di rendere difficili assembramenti anti-governativi. Qui – dove vivono molti dipendenti statali – in mattinata la polizia ha usato gli idranti nel tentativo di disperdere la folla, mentre a Yangon e in altre città del Paese, le forze dell’ordine si sono limitate a impedire l’accesso ai palazzi del potere.

    Il capo delle forze armate, generale Min Aung Hlaing, è apparso in televisione per giustificare il golpe, di nuovo con la motivazione dei “brogli elettorali” nelle elezioni dello scorso novembre in cui ha trionfato la “Lega nazionale per la democrazia” di Aung San Suu Kyi, e annunciando nuove inchieste sulle presunte irregolarità. Ma sono spiegazioni che non convinceranno una folla fatta in gran parte di giovani, che scendono in piazza in un’atmosfera di protesta gioiosa e con scritte, chiaramente ispirate a “meme” imparati in fretta nei pochi anni su Internet, che deridono il regime. Con l’accesso a Internet ormai ristabilito, per quanto le connessioni siano molto rallentate (forse anche per i picchi di utenti collegati per informarsi e condividere immagini delle proteste), nessuno sembra avere ormai paura di esprimere il proprio dissenso.

    Diversi negozi hanno inoltre iniziato a togliere dagli scaffali prodotti dei conglomerati dell’esercito, come la popolare Myanmar Beer.

    Il rischio è però che una popolazione giovane, senza memoria della repressione della “rivoluzione di zafferano” del 2007 e ancor meno del massacro che schiacciò le proteste pro-democrazia nel 1988, sottovaluti la determinazione di un esercito che si sente il garante indispensabile della stabilità nazionale e ha enormi interessi in ballo. “Provvedimenti devono essere presi contro le infrazioni che mettono in pericolo la stabilità dello Stato e la sicurezza pubblica”, ha ammonito la rete statale. Da parte sua, la giunta è probabilmente conscia che la Birmania del 2021 è distante anni luce da quella del 2007: un’eventuale repressione armata finirebbe su tutti i social media, con conseguenze disastrose sull’immagine dei militari in patria e nelle relazioni internazionali. Oggi è arrivato anche l’appello di papa Francesco, che ha espresso la sua solidarietà al popolo birmano e esortato la giunta a rimettere in libertà gli almeno 160 politici e altri dissidenti arrestati.

  • Tutto continuerà come prima?

    La follia, la spregiudicatezza, l’ignoranza, l’avidità di un uomo hanno procurato la tragica morte di tre vigili del fuoco, hanno spezzato la vita delle loro famiglie creando voragini di disperazione e dolore. Li abbiamo ricordati dicendoci ancora una volta di quanto coraggio ci voglia a domare incendi, a scavare sotto le macerie, a mettere a repentaglio vita e sicurezza per salvare altre vite.

    Ma dopo le cerimonie, le parole, gli articoli, per noi tutto tornerà come prima mentre nelle loro case resterà il buio della loro assenza.

    La follia, l’odio, la crudeltà e la vigliaccheria hanno ferito in modo gravissimo i nostri soldati a Kirkuk, in Iraq. Ancora una volta uomini coraggiosi sono stati colpiti dall’Isis e da quel terrorismo che da anni miete vittime. Il dolore e la rabbia sono forti mentre pensiamo a quei militari che, dopo anni di addestramento e di pericoli affrontati e vinti, si trovano ora invalidi, pensiamo alle loro famiglie che si sono trovate sbattute con i nomi in prima pagina senza che alcuno pensasse ai rischi che ne possono derivare. Ma per noi tutto tornerà come prima.

    O forse no? Forse ci possono essere modi diversi con i quali la politica e l’informazione possono affrontare queste tragedie? Forse c’è un modo anche per noi cittadini di provare a non dimenticare, di provare a dare una solidarietà che non si esaurisca in una lacrima o in un fiore? Forse possiamo chiedere di più alle istituzioni e chiedere di più a noi stessi, forse possiamo anche semplicemente, quando incontriamo una persona in divisa, dirgli grazie perché sta servendo il suo, il nostro Paese, la comunità civile nel mondo, la nostra vita messa troppo a rischio sia dalle calamità naturali che dalla scelleratezza di altri uomini.

    Noi possiamo fare che non sia più come prima, possiamo provare a migliorare noi e le cose intorno, basta volerlo e poi farlo.

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