montagne

  • Le due montagne

    In tono trionfalistico il presidente della Regione Veneto annuncia un accordo per il “decongestionamento” dei passi tra Veneto e Trentino Alto Adige. Ancora una volta, attraverso una tempistica addirittura offensiva, la classe politica, in questo caso regionale, offre una dimostrazione del proprio distacco dalla realtà oggettiva vissuta dall’area veneta e montana in generale.

    Il nostro Paese è ancora alle prese con la difficile gestione della pandemia i cui termini ultimi non si possono considerare ancora definiti. In più ci si trova alla soglia di un timido allentamento del quadro di norme restrittive (26 aprile) invece di “liberare e togliere” ogni vincolo di accesso tanto alla montagna quanto al mare e alle città d’arte con il fine di riattivare i flussi turistici, perlomeno fino alla fine dell’emergenza sanitaria ed economica.

    Lascia decisamente sbalorditi la tempistica di questa scelta, forse dettata dall’unico fine di accreditarsi una visione ambientalista, imponendo, ancora in piena pandemia, dei nuovi vincoli, perché altrimenti non troverebbe giustificazione.

    Francamente risulta inqualificabile ed espressione di una imbarazzante mancanza di conoscenza delle reali condizioni economiche che stanno vivendo le realtà montane: imporre nuovi vincoli conferma il fatto  che ancora oggi, e molto probabilmente per i prossimi 24 mesi,  la montagna avrà bisogno di ulteriori supporti economici e non certo di aggravi normativi che impediscano o quantomeno limitino ogni  libertà di movimenti e di facilità d’accesso che non  siano quelle legate alla sola capacità infrastrutturale. Questa iniziativa rappresenta una forma di disprezzo nei confronti della crisi economica che la montagna ha dovuto subire per la seconda stagione invernale.

    Il mondo politico non perde occasione per dichiarare la propria vicinanza alle specificità montane ma in realtà non le conosce e neppure esprime la decenza di approcciarsi con rispetto ad esse. Al tempo stesso dimostra di non possedere alcuna idea relativa alla gestione della movimentazione turistica in un periodo così particolare come quello che stiamo vivendo.

    Questo accordo tra il Veneto ed il Trentino Alto Adige si inserisce all’interno dello scellerato Decreto Salva Montagna il quale destina il 55% (385 milioni) dei 700 (anche se ora forse se ne dovrebbero aggiungere altri cento) in dotazione al Trentino Alto Adige mentre alle altre regioni dell’arco alpino ed appenninico (*) rimane il 45% (315 milioni).

    In questo senso giova ricordare come il Trentino Alto Adige abbia 653 (poco più del 38,1%) impianti di risalita sui 1742 totali dislocati sull’intero territorio nazionale. E’ evidente come la distribuzione delle risorse risulti sproporzionata e non in linea con le imprese degli impianti di risalita italiani: ad un 38,1% corrisponde un 55% delle risorse finanziarie dimenticando, tra l’altro, l’importante apporto delle stazioni minori come vere e proprie palestre per lo sci funzionali proprio alle località più lontane ed attrezzate come quelle del Trentino Alto Adige.

    Quantomeno si sarebbe dovuto articolare per il calcolo delle risorse finanziarie da destinare alle diverse regioni una quota relativa ai costi fissi ed un’altra In rapporto ai titoli di viaggio (skipass).

    Il settore turistico del Trentino Alto Adige risulta quindi, sotto profilo economico e finanziario, già “fuori” dalla problematica legata alla pandemia, potendo contare anche sulle operazioni di finanza straordinaria assicurate dalle province autonome di Trento e Bolzano.

    Nel Veneto, esattamente come nelle altre regioni, arriveranno le briciole di questi Ristori mantenendo l’intero settore a combattere contro gli effetti di questa crisi economica e privo di un reale aiuto economico.

    Basti in questo senso ricordare come il solo fondo di ristoro per i maestri di sci sia passato nella definizione finale del decreto statale da 80 a 40 milioni.

    E’ facilmente ipotizzabile come le province di Bolzano e Trento potranno integrate questa ridicola somma per una categoria di operatori della montagna con il famoso 55% della somma complessiva. Una scelta che privilegia l’industria del turismo del Trentino Alto Adige ma che penalizza oltremodo tutto il mondo legato alla economia della neve dell’arco alpino e della dorsale appenninica.

    In questo contesto risulta ancora più imbarazzante l’accordo tra il Veneto e Trentino Alto Adige, cioè tra due realtà turistiche ed economiche che stanno vivendo in modo assolutamente diverso l’emergenza pandemica ma soprattutto due realtà che godono di sostegni finanziari assolutamente non bilanciati. Di fatto il Trentino Alto Adige gode di un doppio aiuto legato alla propria autonomia alla quale si sommano i Ristori nazionali, mentre il Veneto e tutte le altre regioni alpine e montane stanno pagando pesantemente le conseguenze.

    Due situazioni tra la realtà montana delle province autonome e le altre. Due montagne, quindi.

    (*) Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Emilia Romagna assieme alle località sciistiche di tutte le altre latitudini

  • La montagna: Belluno ed il Cadore dimenticati

    La provincia di Belluno conta circa 202.000 abitanti, poco più della città di Taranto. Per la sua conformazione presenta una bassissima intensità abitativa che la rende molto vulnerabile alle evoluzioni economiche. In questo contesto, allora, risulterà devastante il piano che prevede 700 esuberi della Safilo (il 25% dei dipendenti) in quanto alle aziende dell’occhialeria bellunese e  cadorina fanno capo dei flussi di vero e proprio pendolarismo professionale dai comuni di tutto il Cadore.

    Nello specifico, questa drammatica evoluzione della crisi Safilo è legata alla perdita della licenza Dior del Gruppo Lvmh ed il passaggio della gestione del Brand francese alla Thelios, sempre a Longarone (BL). Una scelta con la nascita di Thelios (nata dalla “fusione o acquisizione” del gruppo Marcolin con il colosso Lvmh) che conferma la volontà dei grandi gruppi del lusso di internalizzare l’intero ciclo di creazione del valore, dalla fase della produzione fino alla commercializzazione (*) (https://www.ilpattosociale.it/2018/09/27/svizzera-e-toscana-i-modelli-di-sviluppo-richemont/).

    A questa legittima e corretta strategia si aggiungono gli effetti (negati dai più) legati al processo di assoluta digitalizzazione della produzione (industria 4.0) che determina una minore concentrazione di manodopera per milione di fatturato. Ad una situazione già seria si aggiunge poi il blocco inspiegabile (giustificato con vincoli ambientali insistenti) opposto dal ministero all’ampliamento degli impianti di risalita per collegare la Val Comelico alla Val Pusteria la cui realizzazione permetterebbe ad una valle come quella del Comelico di ottenere un adeguamento e miglioramento dell’offerta turistica con evidenti positive ripercussioni occupazionali.

    E’ evidente, quindi, come la montagna sia dimenticata dalla centralità dello Stato nelle elaborazioni  delle proprie prospettive di crescita e di conseguenza nel conseguente ed inevitabile spopolamento.

    Ben vengano, quindi, i mondiali di sci alpino 2021 a Cortina e le Olimpiadi 2026, ma per evitare lo spopolamento della montagna l’unica soluzione rimane una prospettiva di lavoro stabile per chi non vuole abbandonarla in cerca di un futuro migliore.

    Nell’attuale contesto nazionale, viceversa, si avverte una certa indifferenza da parte della politica e dei media per le problematiche economiche della montagna bellunese e cadorina. Nella centralità delle politiche di sviluppo e nella gestione delle 150 crisi aziendali gestite dal Ministero dell’Economia l’area montana della provincia di Belluno dovrebbe ricevere un’attenzione particolare (oltre alla crisi della Wanbao di Mel BL) con il duplice obiettivo di assicurare una crescita economica e contemporaneamente evitare lo spopolamento e l’abbandono della montagna stessa.

    (*) un cambiamento epocale che non trova alcun riferimento nei dibattiti di natura economica, tutti imperniati sulla inevitabile digitalizzazione ma non sulla creazione e sopratutto gestione del valore complessivo del ciclo produttivo.

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