Musica

  • Musica e società

    L’arte non vuole più essere apparenza e gioco ma intende diventare conoscenza (T. Mann- Doctor Faustus)

    Hans Heinrich Eggebrecht (Musicologo tedesco, nato a Dresda il 5 gennaio 1919 e morto nel 1999) dichiarò: “emozione matematizzata, o mathesis emozionalizzata, la musica induce la sensualità alla ragione, l’emozione all’armonia, in questo sta la sua forza etica, formativa, religiosa, utopistica…”

    Ci sono molti modi di ascoltare la musica e altrettanti di considerarla. Il compositore americano Aaron Copland ne ha scelti tre: “l’amatore indifferente” che la ascolta magari come sottofondo o, comunque per distrarsi da altre occupazioni; il “tecnico” che ne coglie la costruzione, che sta attento a identificarne il tema o i temi, che la giudica in base alla sua originalità compositiva; l’”espressionista” che la ascolta nel suo insieme cercando di coglierne il significato intrinseco.

    Anche T. W. Adorno (Introduzione alla sociologia della musica – 1962 – ed ital. 1971) suddivide in modo simile i vari modi di ascoltare la musica. Per lui i tipi di ascolto sono sei. Comincia con il “professionista”, solitamente un esecutore o un compositore, che affronta ciò che sente in modo puramente tecnico-formale. Ciò che attira la sua attenzione è la logica costruttiva dell’opera. Poi c’è il “buon ascoltatore” che capisce la musica come ciascuno capisce la propria lingua: vi trova un significato che lui coglie (o crede di cogliere) e gli interessa poco la costruzione strutturale. Solitamente non è un tecnico e non dà particolare importanza ai dettagli musicali preferendo cercare di cogliere il filo conduttore di ogni composizione, ascoltata nel suo insieme dall’inizio alla fine. Il terzo tipo è il “consumatore di cultura”. Costui è informato sulla biografia dei compositori e la storia delle opere cui assiste nei concerti con una certa assiduità. Il quarto è colui che non si interessa per nulla della partitura e del compositore e preferisce abbandonarsi al semplice flusso sonoro. Quasi come lui è il quinto ascoltatore che, tuttavia, predilige la musica detta “leggera”. Questo tipo può essere un ferrato seguace di tale tipologia musicale oppure uno che ascolta le note per puro passatempo ed è indifferente, o quasi, a chi canta o cosa è suonato. L’ultimo tipo identificato da Adorno, il sesto, è lo “ascoltatore risentito” che suddivide in due categorie: chi ascolta solo musica pre-romantica e disprezza il resto e chi ama soprattutto il jazz. Il primo è un fan acceso di Bach e magari apprezza pure il canto gregoriano o la monodia secentesca. Il secondo è un esperto del jazz e considera “superata” o “inutilmente intellettualistica” la musica detta “classica”. Costui vede nel jazz una forma di ribellione alle regole sociali consuetudinarie. Ciò avviene nonostante anche il jazz, come successo pure al rock, sia oramai totalmente integrato nella comune vita sociale e sia stato assorbito dalla logica del mercato.

    Se consideriamo utile accettare le suddivisioni sopra citate di Copland e di Adorno, noteremo che il tipo “espressionista” espresso dal Copland e il “buon ascoltatore” identificato da Adorno sono pressoché coincidenti. È ovvio che, come in tutte le ripartizioni in tipologie, non esistano tipi “puri” e tra di loro esistano sfumature e sovrapposizioni.

    A prescindere in quale “tipo” ci si immedesimi nell’ascoltarla o per giudicarla, nella musica succede ciò che caratterizza tutte le altre forme artistiche: gli stili, i concetti, le forme appartengono all’epoca in cui sono concepite e, consciamente o inavvertitamente, ne sono l’espressione. Quasi sempre, indipendentemente dalla volontà dell’autore, ogni opera d’arte esprime un pensiero che non può prescindere dalle circostanze culturali dell’epoca o del segmento di società in cui si trova l’autore.

    Adorno scrive: “…quel che la musica dice è determinato in quanto cosa che appare, ma che è anche nascosto…la musica coglie l’assoluto senza mediazioni…” E il sociologo Gilbert Durand attribuisce alla musica “la funzione di metaforizzare, nel contrasto delle sonorità, l’intero dramma cosmico”. Schopenhauer, ancora più precisamente sostenne che ogni tipo di musica rappresenta una weltanschauung, cioè una “visione del mondo”.

    Nella formazione di un brano musicale la capacità tecnica del compositore è sicuramente importante e fa la differenza verso quella composta da chi è meno preparato o meno abile. Tuttavia, Croce sosteneva che nell’arte la “forma” è, in sé, anche “contenuto” e nella musica questa realtà diventa particolarmente evidente.

    Ogni autore è contemporaneamente, spesso inconsciamente, figlio del suo tempo oppure propositore di uno nuovo. Ciò non significa che tutte le opere musicali rappresentino nella loro completezza l’intera società o rispecchino esattamente tutto il periodo in cui vengono composte, né che la “proposta” tecnicamente più innovativa anticipi sempre il mondo che verrà. Comunque, che il compositore lo sappia o no, ciò che sta scrivendo risponde almeno in parte a quello che l’epoca gli chiede. O gli sta suggerendo.

    La musica di Bach, ad esempio, è “perfetta”, rassicurante, ordinata. Se riandate alle composizioni del periodo bachiano è naturale sentire come tutto sia perfettamente equilibrato e confortante. Non che manchi il movimento, tutt’altro, ma avviene all’interno di una struttura ben ordinata. “Matematica”, sostiene qualcuno. Non va dimenticato che si trattava di un artista che componeva da “direttore di Cappella” e che il clero e i nobili, suoi maggiori fruitori (e finanziatori), avevano tutto l’interesse a vedere la società come armonica e stabile. Tale doveva essere la percezione che si voleva fosse trasmessa al popolino e lì dentro non dovevano avere spazio sentimenti o desideri che si contrapponessero all’ordine costituito. Nessuna rivoluzione sociale, dunque: solo perenne stabilità. Esattamente come a molti potrebbe piacere che fosse la società in cui vivere. Anche ai nostri giorni. L’amatore di Bach è, magari inconsapevolmente, un conservatore.

    Già le cose cambiano con Vivaldi. Se si va a guardare la sua vita privata si scopre che pur facendo in qualche modo parte dell’élite non vi si trovava completamente a suo agio. Probabilmente ciò era dovuto al suo essere un prete, professione che, molto probabilmente, non viveva con intima convinzione. Era il tempo in cui nella sua società nascevano fermenti disorganici: le guerre che colpivano i vari territori arrivavano sempre più vicine e Venezia, dove viveva il “prete rosso”, era una realtà in espansione. Non una città ripiegata su sé stessa in un’auto-contemplazione, ma lanciata verso commerci ogni volta più lontani. Quella società ambiva a conquistare nuovi mercati, lottava contro i concorrenti. In altre parole era sempre alla ricerca di un nuovo “futuro”. È per questo che la sua era una musica viva, forte, evocativa. Pur rispettando i canoni tecnici richiesti dall’epoca, non si trattava di una musica “rilassante”. Era “ambiziosa” e, in un certo senso, sempre insoddisfatta.

    Con Mozart le cose furono ancora diverse. Gli esecutori (i “professionisti”), per loro natura più attenti alla forma che ai contenuti, lo trovano “geniale” e nessuno potrebbe affermare che i suoi pezzi musicali manchino di alcunché. La sua capacità creativa era eccezionalmente multiforme e, per lui come per tutti gli altri maestri, dobbiamo guardare le opere nel loro complesso e non considerarle singolarmente. Poiché nella sua epoca tutti i musici vivevano grazie al favore dei committenti, era naturale che componessero quel che loro era richiesto anche se personalmente avrebbero preferito fare altro. A suo modo, Mozart fu contemporaneamente a disagio e a suo agio nella società in cui viveva. Aveva un carattere giocoso e la sua ironia musicale divertiva e contestava nello stesso tempo. Rimaneva però attento ad offrire un piacere immediato agli ascoltatori. A rischio di diventare perfino “superficiale”. La sua musica non entra mai nel merito di possibili conflitti sociali esistenti e, tantomeno, fa riferimento a possibili drammi esistenziali individuali. È un’eccezione la sua “Messa da Requiem” nella quale il dramma della vita e della morte emergono con forza. In questa sua ultima opera, nemmeno da lui completata per morte sopraggiunta, viene a galla un’intima disperazione e per quanto anch’essa fosse stata commissionata probabilmente vi affioravano i suoi sentimenti più nascosti. Chissà se il motivo stava nella sensazione che la sua fine fosse vicina… Una composizione ben diversa dalle sue solite composizioni fu, stranamente, il concerto per clarinetto K622 ove si respira una certa volontà di affermare sé stesso e non solo assecondare l’auditorio. Anche lo “Scherzo musicale” K522 è dissonante rispetto alle sue solite composizioni. Lì sembra prendersi gioco degli ascoltatori dipingendo una vera e propria parodia in musica.

    Con una capacitò creativa quasi uguale a quella di Mozart si distinse in quell’epoca il nostro Boccherini. Anch’egli seppe sviluppare una originale capacità tecnica ma, forse per la ragione che non “serviva” alla Corte Reale e stava invece presso il fratello cadetto del Re, era molto più libero di “contestare” il potere costituito, pur senza esagerare. Non a caso le sue opere offrono al “buon ascoltatore” spunti concettuali a loro modo “rivoluzionari”.

    Nietzsche, che di musica ne capiva molto, aveva visto in Wagner il portatore di una musica “dionisiaca”, e la identificava in una volontà di affermazione virile, immediata, a suo modo sposa del mondo, della natura e dell’uomo che si “impone”. Quando entrambi cambiarono il loro modo di vedere il mondo, la loro amicizia finì. Wagner compose il Parsifal cedendo a sentimenti meno “rivoluzionari” anche per l’età che avanzava o perché non era più un paria musico-sociale come in gioventù ma era diventato, nel frattempo, una “star” riconosciuta. Le sue opere divennero più “mistiche” e più conformiste. Nietzsche, che intanto aveva approfondito il suo distacco dai valori dominanti (contemporaneamente alla “conversione” di Wagner, lui pubblicava “Umano troppo Umano” dedicandolo a Voltaire), lo rinnegò e per contrapporsi a lui decise di preferirgli Brahms o, soprattutto, Bizet. Brahms era un nuovo “classico” che tuttavia rompeva gli schemi precedenti e Bizet, da vero musicista mediterraneo, suggeriva una visione del mondo immediata, solare, vitalistica. Dionisiaca, appunto (Di certo, questa scelta portò Nietzsche anche ad esagerarne i meriti artistici ma ciò era legato al suo bisogno di “liberarsi” da Wagner). A proposito della musica wagneriana, non è per caso o per i contatti personali di Hitler con la famiglia del compositore che Wagner divenisse il compositore prediletto dai nazisti: la sua musica, piena di melodie che si accavallano e intrecciano e non lasciano alcuno spazio uditivo libero per l’ascoltatore è esattamente “totalitaria” così come voleva esserlo il mondo nazista. Una delle accuse che Nietzsche fece alla musica wagneriana fu proprio di voler arrivare al “ventre” saltando ogni contatto con il “cervello” dell’ascoltatore.

    Prima di Wagner, Beethoven e Schubert hanno descritto e rappresentato un mondo che voleva cambiare ed è quello che stava accadendo attorno a loro. In Europa c’era stata la Rivoluzione Francese e in tutto il continente le domande di rinnovamento della società e l’avanzare verso il potere di nuove classi sociali imponevano nuove sensibilità e un nuovo modo di essere. L’individuo diventava più importante della società nel suo complesso e l’affermazione personale, per realizzarsi, richiedeva una descrizione ottimista, forte, vincente. Tali sono le sinfonie di Beethoven: un singolo che si afferma contro tutti e davanti a tutto. Dice: io ci sono, esisto come individuo e mi relaziono con gli altri mettendo in evidenza le mie speranze e le mie ambizioni. Nessuna mediazione sociale, né verso il potere né verso la natura. L’individuo, in quanto tale, diventa “padrone del mondo”. Ecco il Romanticismo! Meno “romantiche” alcune delle Sonate, e soprattutto le ultime, la numero 31 opera 110 e la 32 Op. 111. Queste due, pur molto innovative nella forma, riportano al trionfo dell’ordine sul caos, della certezza contro l’incertezza. Della “pace” sulla “guerra”. Fu l’avanzare dell’età a spingerlo verso un atteggiamento più conservatore? O fu solo una questione anagrafica coincidente con la società stanca delle “rivoluzioni”?

    La metà dell’ottocento vide in tutta Europa il nascere di sentimenti di appartenenza nazionale e anche la musica, così come la letteratura, la pittura ecc., ne risentì. Smetana, Glinka, Dvorak e Liszt tra gli altri lo testimoniarono, recuperando e rielaborando le musiche popolari tradizionali. Ciò sta a dimostrare che ogni forma artistica risente allo stesso modo delle tendenze culturali della società che cambia (Un esempio più vicino a noi è rappresentato dalle reazioni localistiche alla globalizzazione: mentre le comunicazioni e gli intrecci si fanno sempre più veloci, si riscoprono i canti popolari e le canzoni in dialetto).

    Piu’ tardi, Stravinskij fu un maestro tra coloro che ruppero con il passato. I suoi balletti all’inizio fecero scandalo perché totalmente anticonformisti. Diede l’addio alla melodia, simbolo di valori comunemente riconosciuti e portatori di certezze. Pezzi come Il Rito della Primavera o Pulcinella sono la testimonianza immediata della natura che si auto-impone. Si affermano in modo autonomo, sfuggono gli schemi, suggeriscono la forza che la natura esprime, senza mediazioni: il mondo si afferma da sé!

    Che dire degli impressionisti? Come nella pittura, rinunciano alla razionalizzazione costruita dalla mente umana e si limitano a “sentire” ciò che li circonda. In Debussy, nonostante la tecnica usata sia sempre “umana”, sono le cose a imporsi, anche qui senza mediazione. Vi si ribellano gli espressionisti come Schoenberg e Webern che tornano a voler “leggere” il mondo scavando dentro sé stessi e riportando a galla un loro estremo soggettivismo come reazione alla solitudine e alla crisi create da un mondo alienato. La loro musica è a-tonale. Anch’essi contestano la tradizione, fino al punto in cui Schoenberg se ne scosta del tutto aprendo alla dodecafonia che è il vero rifiuto di ogni ordine costituito. Non è per caso che questa tendenza musicale sia contemporanea all’astrattismo pittorico di vario genere: è immediatezza e tuttavia soggettiva e interpretativa. I valori di riferimento sono sempre meno comuni e condivisi all’interno delle singole società e la loro assenza la si “vede” esplicitamente nella musica di Stockhausen o, per esempio, nel nostro Nono. In loro tutto è musica e niente lo è. Mancano i canoni comuni, i suoni si impongono tutti allo stesso modo e uno vale l’altro. È la società frammentata, conflittuale, che si auto-presenta come rifiuto dell’ordine costituito. È la perdita dei “valori comuni” o, in altre parole, l’atomizzazione del sociale. È quindi naturale che tutte le società totalitarie, sia comuniste sia fasciste, abbiano combattuto con tutti i mezzi questa forma artistica.

    Forse più di tutti, Il primo compositore (inizio novecento) che coscientemente e razionalmente (e pur rispettando i canoni classici) ha voluto rappresentare una sua personale e manifesta Weltanschauung attraverso le note è Gustav Mahler. Nelle sue opere diventa evidente come lui stesso identifichi la musica con la filosofia e gran parte del suo fascino, apprezzato da molti anche ai nostri giorni, sta esattamente in questo. Meno melodico, ma ugualmente “filosofo” seppur con un’altra “visione del mondo” fu anche Richard Strauss (In una società molto diversa perché di un altro tempo, pure il suo bisavolo Johann Strauss i cui valzer restano contemporaneamente la celebrazione di un impero e la premonizione della sua fine raffigurò perfettamente il tempo e il mondo in cui viveva.).

    Chi non ascolta la musica con costanza trova difficile coglierne il senso intimo e la dimostrazione del perché di questa difficoltà la si ha nella musica dodecafonica. Pensiamo, per capire tale meccanismo, a ciò che accade con le lingue straniere: se non le conosci, alle tue orecchie quel suono si presenta semplicemente come un insieme di rumori vocali senza significato. In quel caso, e nella migliore delle ipotesi, ci si limita ad apprezzare o, al contrario, essere negativamente colpiti dal loro puro tono, come se fosse fine a sé stesso. Di una lingua straniera che non si riesce a decifrare sfugge totalmente il senso, cioè il significato che chi la parla attribuisce ai suoni che pronuncia. Claude Levi-Strauss: “Fra tutti i linguaggi, soltanto la musica riunisce i caratteri contradditori di essere a un tempo intelligibile e intraducibile”.

    La difficoltà per molti di “leggerla”, e quindi capirla, fu la fortuna personale di Dimitri Shostakovich. Costui certamente non fu propriamente “organico” al sistema politico in cui si trovò a vivere. Eppure compose di tutto, dal jazz al balletto leggero, alle opere celebrative (vedi ad esempio la sinfonia N.7, Leningrado). A volte, pur correndo dei rischi, seppe musicare una critica sardonica allo stesso sistema totalitario che lo circondava (es.: la sinfonia N.3- Il primo di maggio oppure il concerto N.1 per piano, violino, orchestra e tromba N.35 del 1933). Nelle sue opere più intime, i quartetti, la sua anima si evidenzia in una weltanschauung esistenziale e il suo tema discorsivo è l’angoscia dell’esistere. A differenza di Tchaikovsky, pure autore di eccezionali opere drammatiche (vedi ad es. la sinfonia N. 4), per Shostakovich la sofferenza intima non è dramma: è tragedia.  i drammi colpiscono la vita degli individui, le tragedie sono universali. Il primo, attraverso sinfonie e balletti, è l’autore di un sistema musicale che resta organico con la società circostante e vive il personale disagio (era omosessuale in una società ancora omofoba) quasi intimamente, subendone le conseguenze senza ribellarsi. Il secondo, invece, vive virilmente il senza-senso del quotidiano essere: conosce il vuoto dell’esistenza, sa che la vita non ha un fine trascendente ma finisce con sé stessa. Allora vi si contrappone come uomo pensante e indomito. Fa venire alla mente Camus con il suo Prometeo: chi comanda è Zeus ma: “O Zeus, io sono un uomo è in quanto tale io sono la mia libertà”. Shostakovich non era ligio alle tematiche che il partito si aspettava da lui e il suo sentire non era quello del “realismo socialista”. Pur senza comprenderne il significato intrinseco, i gerarchi del PCUS (e lo stesso Stalin) a volte “percepivano” che la sua musica non era in linea con i “dettami” che avrebbe dovuto rispettare.  I custodi dell’ortodossia sovietica capivano che qualcosa non andava ma non riuscivano a coglierne esattamente il perché. Ogni tanto i sospetti furono così forti che il compositore fosse messo sotto accusa ed emarginato dalla nomenclatura artistica. Allora, come fece con la terza sinfonia chiestagli affinché celebrasse il Primo Maggio dei Lavoratori, compose qualcosa che potesse sembrare “organica” al regime eppure, se la si ascolta tenendo presenti le altre sue composizioni, si capisce che in fondo finisce con l’essere una parodia di quella stessa celebrazione. Un’altra ancora più evidente parodia del sistema totalitario sovietico la si coglie nel Concerto N. 1 citato poco sopra. Questa composizione è, di fatto, una caricatura. Comincia con citazioni pianistiche classiche che si trasformano in una marcia militare festosa e celebrante. Ben presto, tuttavia, si tramuta per ben due volte in una musica da circo, tipo quelle usate in quelle occasioni per accompagnare l’apparizione dei clown.

    Dove la vera weltanschauung di Shostakovich appare in tutta la sua evidenza è soprattutto nei quartetti. Di loro si potrebbe dire che, se anziché musica fossero state prosa, avrebbero potuto essere libri scritti da qualche esistenzialista alla Jaspers o alla Sartre.

    L’intrinseco significato filosofico e sociale della musica si riscontra anche nella musica cosiddetta “leggera”. Non è per caso che dopo la guerra le canzonette italiane furono sempre edificanti, melodiche, e i loro testi toccassero solamente temi intimi come l’amore o la natura. Più tardi, durante il miracolo economico e con l’avvicinarsi del sessantotto. si cominciò anche da noi a importare lo stile e i testi dei cantautori francesi alla Boris Vian, ai Brassens e ai Brel. Il benessere sembrava raggiunto e si cominciava la critica della società dei consumi e del perbenismo conformista. Fu in quel periodo che nacquero i nostri famosi cantautori, più o meno contestatori e più o meno politicamente impegnati. Detto ciò, una vera contestazione (anche generazionale) verso la società costituita arrivò in tutto il mondo con il rock. Questo ritmo fu una vera cesura col passato della musica “facile”. Basta con le melodie scontate: si imponeva la “protesta”, simbolizzata dallo spazio e dal ruolo dati alla batteria. Il ritmo diventa sincopato e dominante e rappresenta musicalmente la ribellione contro la società che altri, i “vecchi”, ancora controllano. La società dei consumi, però, sa tutto conglobare e perfino i Beatles, nati contestatori, furono presto trasformati in prodotto di consumo. Anche i Rolling Stones che sembravano essere impossibili da “assorbire” seguirono la stessa sorte. In poco tempo il rock fu assimilato smussandone la valenza “anarchica”. Nacque allora l’”hard rock”, ultimo tentativo di mostrarsi, in qualche modo, “contro”. In Francia i primi a provarci furono, con i loro testi e meno con la musica, gli Antoine e, dopo di loro, i Renaud. Quest’ultimo cantava esplicitamente: “Société tu m’aura pas”.

    Anche per loro, tuttavia, il destino è stato quello di essere inglobati e, se non è avvenuto a livello personale (nel caso di Renaud), lo è stato per la loro musica.

    Quella che non è mai stata inglobata, almeno fino a ora, è la musica dodecafonica. In questo caso la rottura di ogni ritmo o melodia è talmente difficile dall’essere accettata dal comune sentire che la sua diffusione popolare diventa pressocché impossibile. Eppure, è la rappresentazione più evidente delle società odierne nelle quali è impossibile identificare i valori comuni di riferimento. È la dissoluzione dei valori condivisi, la mancanza di orientamento collettivo nelle comunità. In questo tipo di musica ogni rumore diventa suono musicale e il pentagramma viene abbandonato per note nuove, improbabili, irripetibili nella razionalità quotidiana pur essendo proprio niente di più che totale quotidianità.

    Un’osservazione a parte merita il jazz. Nato come espressione di gruppi emarginati, ha trovato una ampia legittimazione in tutti gli strati della società nonostante fosse inizialmente la voce di chi di quella “società” non faceva parte. Con il tempo, anche questa musica è stata assorbita e introiettata. Questo stile musicale è sempre più diffusamente popolare e apprezzato anche da chi ne era contestato, fino a snaturarsi totalmente nel diventare perfino un sottofondo musicale da supermercato o da musica per le hall degli alberghi. “La funzione sociale del jazz coincide con la propria storia, che è la storia di un’eresia recepita dalla cultura di massa” (Adorno, op. citata).

    Tecnicamente, a suo modo e pur nella grande diversità formale, il jazz è come la musica dodecafonica: senza schemi, con il rifiuto (o almeno la lontananza) dall’ordine costituito. A differenza della dodecafonica però resta più “digeribile” e popolare. Questa accessibilità non è necessariamente una virtù perché il fatto che il jazz sia improvvisato, sedicente “spontaneo” e comprensibile da chiunque, deriva proprio dal fatto che non richiede né in chi lo suona né in chi lo ascolta, studi, regole, “letture” filosofiche. Ovviamente non alludo alla bravura necessaria in chi lo esercita perché, comunque, occorre essere in grado di ben padroneggiare note e strumenti. Penso, piuttosto, al fatto che chi lo suona vuole lasciarsi andare al sentimento del momento e, se non è solista, si coordina con gli altri esecutori che lo seguono o lo anticipano in modo istintivo come fa lui. È la vittoria del contingente sul necessario, dell’improvvisazione sull’elaborato. È il tipico sintomo di una società senza prospettive, senza meritocrazia. Una società ove studiare, programmare, razionalizzare non sono più valori riconosciuti e condivisi. Una società abbandonata a sé stessa, una società che non vede futuro o che non ha nemmeno più la consapevolezza di poterlo costruire.

    Quali saranno le future evoluzioni della musica nelle società del futuro? Quali le nuove “visioni del mondo” che troveranno forma attraverso i suoni? Nessuno, per ora, lo può prevedere con certezza salvo affidarsi agli indovini. Comunque, poiché l’arte, musica compresa, è sempre lo specchio della società che la circonda, poco per volta, qualche nuovo artista comincerà ad esserne interprete.

    Dario Rivolta (dicembre 2024)

  • Al Festival ‘Pescasseroli Legge’ numerosi gli ospiti dell’organizzatrice Dacia Maraini

    Dopo averlo ascoltato in un concerto di violino a New York, accompagnato dalla pianista e compositrice Cristiana Pegoraro, Dacia Maraini ne è rimasta così sorpresa, ammirandone fortemente il talento, tanto da volerlo fortemente all’apertura del Festival ‘Pescasseroli Legge’, che ogni anno organizza nella cittadina abruzzese. Leonardo Moretti è stato così uno degli ospiti più ammirati della rassegna di quest’anno, che ha visto protagonisti del mondo del giornalismo, della letteratura, della cultura. Il Concerto di Moretti, svoltosi nella cattedrale cittadina, è stato interamente dedicato alle donne, in duo con la nota pianista giapponese Yuki Ito, originaria di Nagoya, paese limitrofo al campo di prigionia dove Dacia Marini con la sua famiglia fu segregata nel ’43.  Dopo l’introduzione a cura della scrittrice, sono state infatti eseguite le opere delle più importanti compositrici dall’epoca classica a quella moderna (da Maria Theresia von Paradis a Lili Boulanger) senza dimenticare il romanticismo delle sognanti musiche di Clara Schumann e Fanny Mendelssohn.

    La rassegna del 2024 ha ospitato Sigfrido Ranucci e Victoria Cabello, ma negli anni si sono susseguiti nomi da Roberto Saviano a Elly Schlein.

    Presenti, per l’occasione, il Sindaco e gli assessori. Al termine del recital dopo la richiesta di più bis è seguita una standing ovation a cui ha partecipato con gioia anche la Maraini che il 13 novembre festeggerà il suo compleanno.

  • Quel milione e 900mila spettatori ad eventi musicali che contribuisce all’aumento del Pil

    Presentato a Roma, al ministero della Cultura, il Rapporto annuale attività musicali in Italia e all’estero, curato da Aiam (Associazione Italiana Attività Musicali). Sono intervenuti il sottosegretario Gianmarco Mazzi, Roberto Marti, presidente Commissione Cultura Senato, Federico Mollicone, presidente Commissione Cultura Camera, Antonio Parente, direttore generale Spettacolo del MiC, numerosi esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni.

    “Con il Fondo Nazionale dello spettacolo dal vivo, nel 2023, abbiamo supportato 800 operatori musicali. Tra questi, 188 realtà private aderenti all’Aiam sono state finanziate con oltre 20 milioni di euro. Numeri che testimoniano l’importanza attribuita alla musica come motore di cultura e di coesione sociale”, ha sottolineato il sottosegretario Mazzi.

    I 206 soci dell’Associazione Italiana Attività Musicali, alla luce dei risultati ottenuti nel corso del 2023, chiedono al Governo di aumentare la capienza del Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo e fare in modo che raggiunga gradualmente l’1% del Pil. “La cultura che produciamo è benzina per il Paese, capace di incrementare per ben tre volte l’investimento fatto dallo Stato su di noi”, ha spiegato Francescantonio Pollice, presidente di Aiam, Numeri alla mano, infatti, a fronte di un contributo Fnsv di 20.540.583,81 euro le istituzioni Aiam hanno una spesa di costo del lavoro di 64.192.578,19 euro. L’insieme dei soci Aiam versa allo Stato, per lavoro dipendente o assimilato, una somma pari al 76,23% dell’importo assegnato.

    Le sponsorizzazioni e i contributi privati sono pari al 22,68%, seguiti dalle erogazioni delle fondazioni bancarie e dell’Art Bonus. Del tutto residuale, infine, l’apporto di risorse Ue con 217mila euro di cui il 71,82% dei fondi vanno in Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte, il 22,08% in Sicilia e il 6,10% in Campania.

    Dal rapporto scaturiscono però anche delle criticità. Le attività musicali non sono diffuse su tutto il territorio nazionale, e non per una disomogeneità nella distribuzione dei fondi ma per la mancanza, in numerose regioni e città, di teatri, orchestre, società di concerti e attività di formazione e promozione (soprattutto al Sud e nelle isole). Persiste inoltre anche la sproporzione fra l’investimento statale in formazione e quello nella produzione, con il conseguente abbandono del settore da parte di tanti giovani musicisti che studiano e si formano, ma che, non trovando una occupazione, alla fine cambiano professione.

  • L’industria della canzone, un manuale per comprendere la comunicazione musicale

    Come viene raccontata la musica pop? Come lavorano con e per la canzone la discografia, i promoter live, i media, i social network e le piattaforme? Come è cambiata la figura dell’artista? Queste e altre domande trovano risposta nel libro L’industria della canzone di Gianni Sibilla, direttore del Master in Comunicazione Musicale dell’Università Cattolica e giornalista di Rockol.it.

    Il volume aiuta a comprendere l’evoluzione della musica pop e delle sue figure professionali, dalle origini ai media digitali. Al centro dell’analisi, la canzone, uno dei più diffusi oggetti culturali della nostra era, uno dei più potenti strumenti per raccontare storie. Sebbene siano ovunque, dalle piattaforme più note ai social alle sigle di film e programmi tv o radio, tanto da dare per scontata la loro presenza nelle nostre vite, le canzoni sono invece un oggetto complesso. L’industria che le produce e le diffonde, dalla discografia ai live, dai media tradizionali a quelli digitali, è cresciuta in maniera esponenziale.

    Basandosi su ricerche, studi e osservazione sul campo, l’autore, con esempi che vanno dalla canzone italiana tradizionale al rap e alla trap, da Elvis Presley a Taylor Swift, dai concerti e dai videoclip al Festival di Sanremo, presenta uno studio sistematico che ricostruisce il ruolo narrativo, produttivo e simbolico della canzone e del suo rapporto con l’industria e i media, raccontando in maniera documentata e accessibile un settore in continua evoluzione.

  • La Commissione infligge ad Apple una multa di oltre 1,8 miliardi di euro per le norme abusive applicate dall’App store nei confronti dei fornitori di streaming musicale

    La Commissione europea ha multato Apple per oltre 1,8 miliardi di euro per aver abusato della propria posizione dominante sul mercato ai fini della distribuzione agli utenti iPhone e iPad (“utenti iOS”) di applicazioni di streaming musicale sul suo App store. In particolare, la Commissione ha constatato che Apple applicava restrizioni agli sviluppatori di app, impedendo loro di informare gli utenti iOS in merito alla disponibilità di servizi alternativi di abbonamento musicale meno costosi rispetto all’applicazione (“disposizioni anti-steering“): ciò è illegale ai sensi delle norme antitrust dell’UE.

    La decisione giunge alla conclusione che le disposizioni anti-steering di Apple costituiscono condizioni commerciali sleali che violano il trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Tali disposizioni non sono né proporzionate né necessarie alla tutela degli interessi commerciali di Apple in relazione all’App Store sui dispositivi smart mobili di Apple e incidono negativamente sugli interessi degli utenti iOS, impossibilitati a prendere decisioni consapevoli ed efficaci su dove e come acquistare abbonamenti musicali in streaming da utilizzare sul proprio dispositivo.

    La Commissione ha deliberato che l’importo totale della multa, pari a oltre 1,8 miliardi di euro, è proporzionato alle entrate globali di Apple ed è necessario per ottenere un effetto dissuasivo, intimando ad Apple di eliminare le disposizioni anti-steering e di astenersi dal ripetere l’infrazione o dall’adottare in futuro pratiche dall’oggetto o effetto equivalente.

  • Per la prima volta in Italia i Siae Music Awards per premiare la creatività musicale

    Appuntamento il 25 novembre con i SIAE Music Awards, i premi che celebrano gli autori e gli editori italiani di maggior successo nel nostro Paese e all’estero.

    Una First Edition d’eccezione, una serata evento voluta e organizzata da SIAE che rappresenta per l’Italia una novità assoluta, ma che nel mondo da tempo rende omaggio e celebra le personalità che hanno costruito la storia della musica e che ancora oggi sono la fonte creativa del mondo musicale nazionale e non solo.

    E così sulla scia dei rinomati Ascap Awards negli Stati Uniti, Ivor Novello Awards nel Regno Unito, Grands Prix Sacem in Francia, la Società Italiana degli Autori ed Editori con i suoi Awards si appresta a celebrare la creatività nazionale con musica, grandi ospiti e spettacolo.

    La location dell’evento è il Superstudio di Milano, nel cuore del quartiere Tortona, centro nevralgico della Milano Music Week: la settimana dedicata interamente alla musica, che vede il suo culmine proprio in questa serata con la direzione artistica e la produzione de LaTarma Entertainment. Un luogo che sabato 25 novembre si accenderà per unire – grazie anche a un palco a 270° – l’intera industry nel nome dell’eccellenza e della creatività.

    Guidata da Salvatore Nastasi, la SIAE ha annunciato le categorie premiate: Canzone Club, Canzone locali da ballo con musica live, Canzone locali con musica, Canzone locali con musica live, Canzone Radio, Canzone Italiana all’Estero, Canzone Online, Colonna Sonora Cinema, Colonna Sonora TV, Autore Video Streaming, Autore Audio Streaming.

    Nel corso della serata saranno anche annunciati il Miglior Autore Megaconcert (venue con più di 5.000 posti) e il Miglior Autore Concert (venue con meno di 5.000 posti).

    Le nomination si basano sulle rilevazioni dei consumi di musica certificati da SIAE e delle royalties distribuite e pagate nel 2023. E ci sarà musica per tutti i gusti: da Vasco Rossi a Blanco, a Moigol, a Sfera Ebbasta a Modugno, Annalisa, Paolo Conte.

  • Al via le attività di AssoConcerti

    Martedì 31 ottobre AssoConcerti, associazione di categoria che riunisce i maggiori produttori ed organizzatori di spettacoli di musica dal vivo in Italia, ha siglato a Roma un importante accordo con la SIAE (Società Italiana Autori ed Editori).

    Questo agreement si fonda sul riconoscimento del ruolo di AssoConcerti come realtà associativa che rappresenta in termini sia di fatturato sia di presenza di pubblico oltre l’80% del mercato dei concerti in Italia. Sulla base di tale accordo, gli associati potranno usufruire di particolari condizioni nell’utilizzo del repertorio tutelato da SIAE, impegnandosi da parte loro a contrastare l’utilizzo abusivo delle opere che godono di tutela legale grazie al diritto d’autore e la pratica del fenomeno del secondary ticketing.

    «L’ufficializzazione del rapporto tra la nostra Associazione, neonata ma già preponderante sul mercato, e la S.I.A.E., principale Ente preposto alle attività di tutela, intermediazione e gestione dei diritti d’autore – commenta il Presidente di AssoConcerti Bruno Sconocchia – sancisce l’inizio di un legame estremamente importante che ha basi solide e obiettivi comuni»

    Entrano così nel vivo le attività della realtà associativa nata a giugno ma già protagonista della scena dell’industria della musica dal vivo nel nostro Paese, che rappresenta oggi una delle realtà trainanti dell’intero settore dello spettacolo.

    AssoConcerti in questi quattro mesi dalla sua costituzione è già attiva su diversi fronti che sottendono tutti alla sua mission, ovvero la promozione e lo sviluppo, sia in Italia che all’estero, della diffusione della musica in generale e di quella popolare contemporanea italiana in particolare. Le attività dell’Associazione, che rappresenta e tutela gli interessi degli operatori e delle imprese del settore della musica dal vivo e promuove il riconoscimento e la valorizzazione delle loro professionalità, sono focalizzate sul ruolo essenziale della musica – e in modo più ampio della cultura – nell’arricchire il tessuto sociale e civile delle realtà locali e nazionali.

    L’Associazione si è già posta come interlocutore attivo dei Ministeri di competenza. Nel mese di ottobre ha partecipato presso la Commissione cultura della Camera alla discussione sul tema delle disposizioni per la valorizzazione e la tutela del Made in Italy, avanzando proposte concrete finalizzate alla promozione e alla diffusione all’estero della musica italiana.

    Sempre in ottobre AssoConcerti ha partecipato all’insediamento presso il Ministero per le Disabilità del Tavolo di lavoro che dovrà predisporre un protocollo che fissi gli standard per garantire l’accessibilità e la fruibilità degli eventi e degli spettacoli dal vivo alle persone portatrici di disabilità.

    Relativamente al futuro della musica, l’Associazione ha anche partecipato al primo ciclo di incontri presso il Ministero della Cultura sul tema dei decreti attuativi del cosiddetto Codice dello Spettacolo, presieduto dal Sottosegretario alla Cultura On. Gianmarco Mazzi, avanzando proposte concrete per ridefinire in modo organico e strutturato le normative relative al mondo dello spettacolo dal vivo.

    AssoConcerti è inoltre tra i promotori della edizione 2023 della MILANO MUSIC WEEK, un punto di riferimento per il pubblico e gli addetti al settore con il patrocinio del Ministero della Cultura che quest’anno si terrà tra il 20 e il 26 novembre e che vedrà tra i panel in calendario 3 meeting organizzati dall’Associazione.

    La prima Assemblea Generale delle società che ad ora hanno aderito ad AssoConcerti è stata fissata per il 22 novembre a Milano.

    Alla carica di presidente di AssoConcerti è stato nominato Bruno Sconocchia, grande professionista del settore che è stato lo storico manager e organizzatore di eventi per alcuni degli artisti che maggiormente hanno segnato la storia della musica italiana, tra cui Lucio Dalla, Fabrizio De André, Gino Paoli, Ornella Vanoni e Zucchero.

  • La cultura muove l’Europa: il più grande programma di mobilità dell’UE offre nuove opportunità agli artisti e ai professionisti della cultura

    La Commissione ha avviato La cultura muove l’Europa, il suo nuovo programma di mobilità permanente per gli artisti e i professionisti della cultura, nonché un primo invito alla mobilità individuale. Beneficiando di un bilancio totale di 21 milioni di € nell’ambito del programma Europa creativa per un periodo di tre anni (2022-2025), il programma La cultura muove l’Europa diventa il più grande programma europeo di mobilità per artisti e professionisti della cultura destinato a tutti i paesi e i settori di Europa creativa contemplati dalla sezione Cultura del programma.

    Tra i partecipanti figureranno rappresentanti delle istituzioni dell’UE, dei portatori di interessi e delle organizzazioni del settore culturale. Il programma La cultura muove l’Europa risponde alle esigenze dei settori culturali e creativi in termini di opportunità di mobilità inclusiva e sostenibile, con una particolare attenzione agli artisti emergenti.

    Attuato dal Goethe-Institut per conto della Commissione, La cultura muove l’Europa prevede due azioni: mobilità individuale e residenze. Grazie alle borse di mobilità, offrirà a circa 7.000 artisti e professionisti della cultura l’opportunità di recarsi all’estero, nell’UE e nel resto del mondo, per lo sviluppo professionale o le collaborazioni internazionali, per partecipare a residenze artistiche o per ospitare artisti e professionisti della cultura. L’azione relativa alle residenze sarà avviata all’inizio del 2023.

    Il primo invito alla mobilità individuale è rivolto ad artisti e professionisti della cultura che operano nei seguenti settori: architettura, patrimonio culturale, design, moda, traduzione letteraria, musica, arti visive e arti dello spettacolo dai paesi che partecipano al programma Europa creativa e che si recano in un altro paese del programma Europa creativa, per una durata compresa tra 7 e 60 giorni per i singoli artisti e tra 7 e 21 giorni per i gruppi (da 2 a 5 persone).

    L’attuale invito è aperto dal 10 ottobre 2022 al 31 maggio 2023. L’azione di mobilità individuale opererà sulla base degli inviti a presentare proposte aperti ogni anno, dall’autunno alla primavera, con valutazioni mensili.

    La sovvenzione per la mobilità del programma La cultura muove l’Europa comprende: spese di viaggio standard (350 € per i viaggi di andata e ritorno per le distanze inferiori a 5.000 km e 700 € per quelle superiori a 5.001 km) e 75 € di indennità giornaliera per contribuire alle spese di soggiorno e alloggio.

    Inoltre sono previste diverse integrazioni, in linea con le priorità orizzontali del programma, quali l’inclusione e la sostenibilità.

    • Integrazione “verde”: ulteriori 350 € per incoraggiare gli artisti e i professionisti della cultura a non utilizzare il trasporto aereo.
    • Sostegno agli artisti e agli operatori culturali con esigenze particolari legate alla disabilità.
    • Sostegno ai richiedenti provenienti da paesi, territori e regioni ultraperiferici o che viaggiano verso tali destinazioni.
    • Integrazione familiare per artisti che hanno un figlio di età inferiore a 10 anni.
    • Integrazione per l’acquisto di un visto.

    Inoltre gli artisti ucraini, che potrebbero non essere in grado di lasciare il paese, avrebbero la possibilità, in via eccezionale, di chiedere direttamente la mobilità virtuale. In tal caso, essi riceverebbero 35 € di indennità giornaliera.

  • In vendita la casa-museo di Giuseppe Verdi

    Chiude il museo di Villa Sant’Agata, la residenza nella quale abitò il compositore Giuseppe Verdi per circa cinquant’anni. Chi la occupa attualmente e gestisce anche la piccola ma visitatissima struttura museale, cioè Angiolo Carrara Verdi, discendente diretto del Cigno, è stato “sfrattato” per decisione della giustizia civile che ha messo fine ad una battaglia legale, tra fratelli, durata 20 anni. Domenica 30 ottobre sarà l’ultimo giorno di apertura del museo.

    La Corte di Cassazione ha infatti deciso che l’eredità di Alberto Carrara Verdi, scomparso nel 2001, deve essere divisa tra i figli in parti uguali (Maria Mercedes, Ludovica, Angiolo ed Emanuela, quest’ultima deceduta nel 2020). Ma siccome nessuno dei 3 è in grado di rilevare le quote dell’altro, la casa-museo dovrà essere messa in vendita. “Devo lasciare l’abitazione che ho tutelato e salvaguardato per 53 anni – annuncia amaramente oggi sul quotidiano Libertà di Piacenza Angiolo Carrara Verdi – quando sono tornato, dopo la morte di mia madre, ho rilevato tutte le quote della parte museale. Per me villa e museo non sono mai state due entità separate. E dato che non posso più abitare a Sant’Agata, non posso nemmeno più occuparmi del museo. Liquiderò la società”.

    Museo dunque chiuso, anche se per legge c’è un vincolo di visitabilità del bene che diventerà ora un onere del giudice o di chi subentrerà. “Il Tribunale probabilmente invierà un custode o un notaio che la possa tutelare – conclude l’erede di Giuseppe Verdi – mi auguro solo che qualcuno intervenga, colga l’attimo per l’acquisto, perché la paura è che rimanga abbandonata a se stessa. Speriamo ci si qualche filantropo, o lo Stato stesso che ha diritto di prelazione, che eviti succeda”.

    Contro lo sfratto sono intervenuti in parecchi, a partire da Luciana Dallari, presidente dell’associazione LeVerdissime.com , gruppo al femminile  impegnato a diffondere la musica del Cigno, che sottolinea come il “subordinare a una mera questione di eredità tra fratelli la casa di Giuseppe Verdi sia assurdo, non si può (RPT) pensare che venga venduta magari a un russo, un coreano, un cinese o un americano”. Il consigliere regionale Giancarlo Tagliaferri (FdI), dal canto suo, interroga il presidente Stefano Bonaccini su come la Regione di attiverà “affinché la Villa e il museo non cadano nel dimenticatoio” mentre il sindaco di Villanova Romano Freddi, infine, ricorda di aver scritto già nel giugno scorso al Ministero della cultura e all’allora ministro Dario Franceschini senza ottenere risposta.

    “In quella lettera – spiega – paventavo quello che ora sta accadendo, con la chiusura del museo e il probabile avvio di un’asta”.

    La proprietà in comune di Villanova venne acquisita da Giuseppe Verdi nel 1848, dopo di che il maestro, decise di costruire la villa che fu completata nel 1880. Originariamente, la casa fu acquistata per i genitori dal compositore, Carlo Verdi e Luigia Uttini, messi nella villa di Sant’Agata per volontà del maestro, ma dopo la morte di sua madre, il padre tornò a vivere a Busseto. Verdi e Giuseppina Strepponi, cantante d’opera con la quale visse da allora prima di sposarsi nel 1859, si stabilirono a Sant’Agata nel 1851. Verdi fece aggiungere due ali alla costruzione originale, completando il tutto con una imponente terrazza sulla facciata, le serre, una cappella e la rimessa per le carrozze sul retro. Verdi e Giuseppina dedicarono molto tempo per l’espansione del parco.

  • Ciascuno faccia quello che deve

    La vittoria della Kalush Orchestra all’Eurovision Song Contest con una musica coinvolgente ed un brano le cui parole, dense di significato, riconducono anche i più giovani a valori imprescindibili come l’affetto per la propria madre e per la propria patria ha visto uniti popoli diversi in una scelta comune.

    Questo successo, che rappresenta per tutta l’Ucraina un nuovo inno di speranza, dovrebbe far comprendere, anche ai più distratti, la portata ed il valore della cultura e della determinazione di un popolo aggredito che ha visto uccisi i suoi cittadini inermi, rapiti bambini, seviziati civili, distrutte le proprie case e la propria economia, e che con determinazione continua a difendere l’integrità nazionale, il diritto e la libertà.

    L’Ucraina difende se stessa ma anche, per tutti noi, difende le regole internazionali che Putin ha coscientemente e volutamente calpestati e che invece devono continuare a rappresentare, per tutto il mondo, i limiti invalicabili oltre i quali c’è solo la barbarie.

    Mentre risuonano le note e ascoltiamo le parole d Stefania il nostro pensiero, come tutti i giorni, da molti giorni, è là nei cunicoli dell’acciaieria Azovstal tra i soldati feriti, i civili rimasti, i combattenti irriducibili e coraggiosi che vorremmo aiutare e salvare e per i quali continuiamo  a sperare.

    Ciascuno, per quello che può, faccia quello che deve.

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