nascite

  • La pandemia abbatte le nascite di italiani nel 2021

    La pandemia da Covid 19 sta contribuendo ad abbassare la natalità in Italia e per il 2021 per il 70% degli esperti e docenti universitari di demografia, su un campione di 75, ritiene verosimile aspettarsi una riduzione sotto le 400 mila nascite. Emerge da un sondaggio realizzato da un gruppo di dieci esperti, voluto nell’aprile 2020 dalla ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti, che stanno studiando gli impatti della crisi epidemiologica da Covid 19 sulla natalità e sulle scelte familiari in Italia. Il gruppo ha presentato i risultati del proprio lavoro in un webinar “Emergenza pandemia: quale impatto su natalità e nuove generazioni?”, promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, spiegando, tra l’altro, che la pandemia sta avendo “un impatto negativo non irrilevante sui progetti di vita dei giovani italiani” dovuto prima di tutto “all’incertezza economica e lavorativa” che il Covid ha determinato poiché “non solo le categorie più deboli sul mercato del lavoro ma anche quelle più tutelate stanno sospendendo i progetti di vita”.

    “È chiaro che affinché questa crisi non si traduca in ulteriore compressione della scelta di avere un figlio – viene spiegato nella ricerca coordinata da Alessandro Rosina, professore ordinario di demografia e statistica sociale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – serve tempestività nello sviluppare politiche che sostengano fortemente i giovani nella realizzazione di propri progetti di autonomia e familiari”.

    Secondo la ministra Bonetti “i numeri raccontano di un Paese che ha il desiderio di ripartire ed è su questo che bisogna insistere e orientare le nostre scelte, avendo il coraggio e la lungimiranza di attivare processi”.  Per la ministra attualmente in Italia “poche donne lavorano” e vi è “un basso tasso di natalità” perché sono state “poste davanti alla decisione di essere madri o lavoratrici”, quando invece “il lavoro femminile – puntualizza – è esso stesso incentivo alla natalità”. E proprio perché “l”antitesi tra maternità e lavoro non ha funzionato. Adesso occorre un cambio di visione” ed esorta: “Il Paese deve aprire gli occhi e dire che ha usato la strategia sbagliata, anche da un punto di vista culturale. Dobbiamo smettere di pensare che per essere una buona madre una donna non possa lavorare e viceversa”.  L’occasione da non mancare per la Bonetti è proprio il Next Generation Ue con questa nuova idea di società e soprattutto con un cambio di mentalità.

  • L’Europa non può sottovalutare il problema demografico

    La rivitalizzazione demografica deve essere posta in cima alle politiche dell’UE. E’ questo il monito scaturito dalla conferenza del Comitato economico e sociale europeo (CESE), tenutasi a Zagabria il 14 novembre scorso. Nel suo discorso di apertura il ministro croato per la demografia, la famiglia, la gioventù e le questioni sociali, Vesna Bedeković, ha sottolineato come la Croazia si stia muovendo in questa direzione attraverso l’attuazione delle varie misure quali l’aumento dell’indennità per maternità e il prolungamento del congedo per maternità/paternità. Il filo conduttore della conferenza è stato l’analisi della situazione demografica del paese ospitante, così come evidenziato dai diversi relatori presenti. Il fine è quello di proporre suggerimenti sui quali confrontarsi per delineare una politica comune europea. Tema che sarà inserito tra le priorità nell’agenda del primo semestre del 2020 del Consiglio dell’UE, la cui presidenza sarà appunto affidata alla Croazia. Numerose le tematiche affrontate e sviluppate durante il convegno: rapido calo della popolazione europea, tasso di natalità negativo (per metà dei paesi UE), invecchiamento e riduzione della popolazione in età lavorativa e in età riproduttiva, discriminazione basata sull’età sui mercati del lavoro, aumento dell’emigrazione, soprattutto di persone giovani e istruite, nei paesi dell’Europa centrale, meridionale e orientale, in rapporto ad una minore immigrazione nelle stesse nazioni, differenze sociali ed economiche tra i vari stati europei, generale tendenza negativa degli indicatori demografici. Nel suo intervento, il presidente del CESE Luca Jahier ha sottolineato come tutte queste problematiche, se confermate nel lungo periodo, possano influire negativamente sul ruolo dell’Europa all’interno della scacchiera mondiale, in termini sia economici che politici.

  • Nel 2018 il minimo storico di nati in Italia dal 1861

    La popolazione residente in Italia alla fine del 2018 è calata di oltre 124mila unità rispetto al 2017 (-0,2%). Rilevando questo dato l’Istat segnala che in Italia si assiste per il quarto anno consecutivo ad un calo demografico: dal 2015, infatti, il Paese ha perso oltre 400mila residenti, facendo registrare una popolazione complessiva di 60 milioni 359.546 persone. E se si fanno i conti dal 2014, il calo di italiani risulta equivalente alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila persone)

    Il 2018 è stato anche l’anno che ha visto il nuovo minimo storico delle nascite, calate di oltre 18mila unità (-4%). All’anagrafe sono stati iscritti infatti soltanto 439.747 bambini, il numero più basso dall’Unità d’Italia. Il saldo naturale, la differenza tra i nati e i morti, è stato di -193 mila unità, il che significa che i morti sono stati 193mila in più dei nuovi nati. La Regione dove maggiore è lo spopolamento, dove maggiore è la differenza tra nati e morti, è la Liguria, seguita da Toscana, Friuli Venezia Giulia, Piemonte e Molise, l’area dove migliore è il saldo tra nati e morti è quella della provincia di Bolzano (+880 unità).

    Il numero di figli per donna in età fertile, ricorda il presidente della Società Italiana di Neonatologia (Sin) Fabio Mosca, «è 1,34, siamo fanalino di coda in Europa e, secondo le ultime previsioni Eurostat, nel 2050 nasceranno appena 375 mila bambini. Questo vuol dire che stiamo ridisegnando l’idea di famiglia: tre quinti dei nostri bambini non avrà fratelli, cugini e zii; solo genitori, nonni e bisnonni».

    Il calo ha in effetti riguardato anche i decessi, che nel 2018 sono stati 633mila, cioè 15mila in meno rispetto al 2017. Il numero delle morti, però, dipende ovviamente da fattori che non hanno praticamente nulla a che fare con la volontà degli italiani e che dipendono da fattori esterni. Le condizioni climatiche e le maggiori o minori virulenze delle epidemie influenzali stagionali, per esempio, possono influire sull’andamento del fenomeno come è avvenuto nel 2015 e nel 2017, anni in cui si è registrato un visibile aumento.

  • Più morti che nati tra gli europei, ma gli immigrati aumentano la popolazione della Ue

    La popolazione della Ue è cresciuta di 1,1 milioni tra l’1 gennaio 2017 (511,5 milioni) e l’1 gennaio 2018 (512,6 milioni) e l’aumento, certifica Eurostat, è stato principalmente dovuto alla migrazione netta verso l’Ue, la cui popolazione indigena ha fatto invece registrare un saldo negativo tra nascite (5,1 milioni) e decessi (5,3 milioni). In Italia la popolazione ha segnato un calo di circa 105.000 persone, passando dai 60.589 milioni del 2017 ai 60.484 milioni del 2018: il Paese si conferma quello con la più bassa natalità e tra i peggiori per nel saldo nascite-morti.

    Nel 2017 la popolazione è cresciuta in 19 stati membri ed è calata in 9, con gli aumenti maggiori registrati a Malta (+32,9 per mille residenti), seguita da Lussemburgo (+19 per mille), Svezia (+12,4 per mille), Irlanda (+11,2 per mille) e Cipro (+11 per mille). I cali maggiori sono invece stati registrati in Lituania (-13,8 per mille), Croazia (-11,8 per mille), Lettonia (-8,1 per mille), Bulgaria (-7,3 per mille) e Romania (-6,2 per mille). In totale, la popolazione Ue è aumentata del 2,1 per mille nel 2017.

    In Italia, invece, il calo è stato dell’1,7 per mille. La popolazione italiana costituisce l’11,8% di quella Ue, la quarta maggiore dietro alla Germania che è prima (82,9 milioni pari al 16,2% sui 28, +4 per mille rispetto agli 82,5 dell’anno precedente), poi Francia seconda (67,2 milioni pari al 13,1%, +3,5 per mille rispetto ai 66,9), Gran Bretagna terza (66,2 milioni pari al 12,9%, +5,7 per mille dai 65,8). Dopo l’Italia, seguono quinta la Spagna (46,7 milioni pari al 9,1%, +2,8 per mille dai 46,5) e Polonia (quasi 38 milioni pari al 7,4%, +0,1 per mille da 37,97). Nel 2017 sono nati in Ue 90mila bimbi in meno rispetto al 2016, per un tasso di natalità Ue pari a 9,9 per mille residenti, con il più alto registrato invece in Irlanda (12,9 per mille), Svezia (11,5 per mille), Gran Bretagna e Francia (11,4 per mille). Il più basso tasso di natalità, invece, è appannaggio dell’Italia, con 7,6 per mille, seguita da Grecia (8,2 per mille), Portogallo e spagna (8,4 per mille) Croazia (8,9 per mille) e Bulgaria (9 per mille).

    Tra i Paesi che hanno registrato un saldo naturale negativo tra nascite e decessi l’Italia è la settima peggiore (-3,2 per mille, record negativo la Bulgaria con -6,5 per mille), nonché la terza peggiore, preceduta solo da Bulgaria e Croazia, per l’equilibrio peggiore tra nascite e morti con appena poco più del 40% di nascite e quasi il 60% di decessi. Anche la Germania ha i decessi che superano le nascite, con circa il 45% di nascite a fronte del 55% di decessi. I Paesi dove invece il saldo è positivo e i nuovi nati sono di più rispetto ai deceduti sono Irlanda (quasi 70% nascite e un po’ più del 30% di decessi), Cipro, Lussemburgo, Francia, Svezia e Gran Bretagna.

  • La Germania torna a fare figli

    L’economia tedesca, alle prese con la peggiore crisi demografica tra i Paesi del G7, sta registrando il più grande boom della fertilità in 45 anni. I dati rilasciati dall’ufficio federale di statistica tedesco il 29 marzo attestano che la quarta economia mondiale ha registrato un’ondata di 800.000 nati nel 2017, in aumento del 7% su base annua (si è passati da 1,5 a 1,59 parti per donna).

    Nonostante la forte immigrazione (pari al 12% della popolazione), le Nazioni Unite stimano che entro un decennio l’età media tedesca sarà di 50 anni o più. La Germania ha cercato di emulare i sistemi scandinavi aumentando di due terzi la spesa per le prestazioni di assistenza all’infanzia negli ultimi anni (in Francia, l’assistenza all’infanzia ha portato a un impressionante miglioramento dei tassi di fertilità) e ha anche esteso le indennità di maternità ai padri, sempre seguendo il modello svedese, che si è dimostrato particolarmente significativo dopo la nascita di un secondo figlio.

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