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  • Accordo del Consiglio europeo sulle nomine

    Nel tardo pomeriggio di ieri l’accordo sulle nomine in seno al Consiglio europeo è stato faticosamente e felicemente raggiunto. Faticosamente, perché in fasi successive, sono state eliminate due candidature di “spitzencandidaten”, il democratico cristiano bavarese del PPE, Manfred Weber, e il socialista olandese Frans Timmermans. Ad entrambi i candidati erano collegate candidature per la presidenza del Consiglio europeo e per la banca Centrale europea, che erano state annullate a seguito della scomparsa delle due candidature di punta. Era stata chiusa inoltre la sessione del 30 giugno senza risultati. Felicemente perché, con le nuove candidature, il risultato è stato a portata di mano ed approvato dal Consiglio europeo. Ecco le nuove nomine:

    1. Ursula von der Leyen, attuale ministro tedesco della Difesa, alla presidenza della Commissione europea, al posto di Jean-Claude Juncker.
    2. Christine Lagarde, attuale direttore generale del Fondo Monetario internazionale, alla Banca Centrale europea, al posto di Mario Draghi.
    3. Josef Borrell, attuale ministro socialista per la Affari europei nel governo Spagnolo ed ex presidente del Parlamento europeo, è stato indicato come Alto rappresentante per la politica estera e la sicurezza, in sostituzione dell’italiana Federica Mogherini.
    4. Charles Michel, Primo ministro del Belgio, liberale, alla presidenza del Consiglio europeo, al posto del polacco Donald Tusk.

    Nella mattinata di oggi il Parlamento europeo ha eletto alla sua presidenza il socialista italiano David Sassoli, in sostituzione di Antonio Tajani. Tutto fatto, dunque? No, bisognerà aspettare che il Parlamento voti per l’approvazione della nomina della presidente della Commissione e per i Commissari. Non è vero che la Commissione – come affermano ad alta voce gli euroscettici nostrani – sia una istituzione antidemocratica perché composta da burocrati non eletti. A votarla in secondo grado sono i rappresentanti di più di mezzo miliardo di cittadini europei che sono stati eletti in primo grado nelle elezioni europee del 26 maggio scorso. Il Parlamento può votare contro certi candidati proposti, come è successo all’on. Rocco Buttiglione nel 2004. Allora il presidente del Parlamento europeo era Josef Borrell, lo spagnolo oggi indicato come Alto Rappresentante per la politica estera. La scelta di due donne per incarichi così prestigiosi ci fa bene sperare. La loro esperienza politica e la qualità del lavoro svolto fino ad ora ci rassicurano sul loro equilibrio e sul loro rifiuto per i giochi di corrente o della politica “politicante”. Chi sembra aver perduto peso in tutto questo lungo negoziato è il gruppo del PPE, il cui presidente è stato respinto come candidato alla presidenza della Commissione e come presidente del Parlamento europeo, al quale sembrava destinato dopo la prima fase dei negoziati. La Germania ha avuto in eredità la presidenza della Commissione, ma ha perso la BCE, alla quale da due anni sembrava fosse destinato il presidente della Bundesbank. Bisognerà vedere se alla presidenza del gruppo del PPE rimarrà Weber, o se sarà sostituito. Il gruppo nel suo insieme lo ha sostenuto nel corso dei negoziati, ma è stato un sostegno che non è servito a nulla. La Francia di Macron, alla fine, ha avuto partita vinta contro il principio dei “candidati di punta”, ma ha perso l’efficacia dell’esperienza di Michel Barnier, il capo negoziatore dell’UE per la Brexit. Dell’Italia è meglio non parlare. Dei tre posti di grande prestigio da noi detenuti nella legislatura appena terminata, ne è rimasto uno solo, quello della presidenza del Parlamento europeo. Ma il merito spetta al gruppo socialista europeo e non al governo italiano. Noi avremo, a detta di Tusk, una vicepresidenza della Commissione europea da lui perorata con insistenza, Ma per averne conferma bisognerà attendere le nomine dei Commissari. Così come attendiamo che il nostro governo proponga il nome del commissario che dovrà rappresentarci. Speriamo che tra una litigata e l’altra trovi il tempo di presentarlo in tempo utile, e non in prorogatio, come siamo abituati a chiedere.

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