Olanda

  • Svolta dell’Olanda per rendere il Patto di stabilità europeo più accettabile agli Stati cicala

    L’Olanda accanto alla Spagna. Da acerrima nemica ad alleata. Da rigorista a riformista. Da falco del Nord e custode dell’austerità, a sostenitrice di un cambiamento delle regole europee sui conti pubblici. La conversione che nessuno si aspettava da L’Aja non è totale ma segna una svolta, quella dell’unità di intenti, degna di nota. E lo fa proprio mentre l’economia dell’Eurozona vacilla sotto i colpi della guerra in Ucraina, sempre più in apprensione per quelle che saranno le conseguenze certe della reazione all’orrore visto a Bucha con le nuove sanzioni contro Mosca in arrivo. Una svolta che rafforza anche il nuovo corso già inaugurato sul finire dell’anno scorso dal premier Mario Draghi e dal presidente francese Emmanuel Macron verso nuove regole di bilancio Ue per “abbassare i livelli del debito” senza intervenire con tagli insostenibili sulla spesa o tasse più alte.

    A fare da capofila al cambio di rotta politico è stata la ministra delle Finanze olandese, la social-liberale dei D66 Sigrid Kaag, arrivata a Lussemburgo con in tasca un documento non ufficiale, in gergo diplomatico non-paper, firmato insieme all’omologa spagnola e socialista Nadia Calvino. Il documento va nella direzione di quanto indicato in questi mesi anche dalla Commissione europea: servono nuove regole di rientro del debito “specifiche per Paese”, “graduali” e “realistiche”. Più realistiche di quel percorso di rientro scolpito nei trattati che prevede di tagliare di un ventesimo all’anno il debito eccedente il 60% del Pil. Più coerenti con la realtà dei fatti, sconvolta prima dalla pandemia e poi dalla guerra e segnata oggi da livelli di debito inediti – ben al di sopra del 100% per Italia, Grecia, Francia, Spagna, solo per citarne alcuni. Tutte indicazioni che il commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, è andato ripetendo negli ultimi mesi. Auspicando di lasciarsi alle spalle vecchi dibattiti tra Nord e Sud e insanabili divisioni tra ‘falchi’ e ‘colombe’. Una speranza che l’Aja non ha reso vana. “In tempi di crisi e di sofferenza umana, il nostro messaggio è di forza, speranza e di resilienza. Il punto politico è: non sprechiamo energie e tempo per differenze superficiali, concentriamoci su un terreno comune, costruiamo da esso e dimostriamo a cittadini e contribuenti che l’Ue è più di un mercato interno, è una comunità di valori e una potenza economica pronta a spiegare le ali”, sono state le parole della ministra Kaag a suggello di un’alleanza che rimette l’Europa al di sopra delle più piccole e ideologiche dispute nazionali per scongiurare un fallimento collettivo. Perché, le ha fatto eco Calvino, il solo fatto che due Paesi che su questi temi hanno sempre avuto “posizioni divergenti” si siano compattati “enfatizza la necessità di trovare unità e determinazione” nella risposta europea “alle sfide emergenti”.

    Certo, la conversione olandese non è totale e non su tutto c’è accordo. Sulla golden rule per scorporare gli investimenti verdi dal debito, per esempio, l’Olanda non è convinta che sia “il modo più saggio” di procedere. E anche sulla possibilità di un nuovo Recovery per l’energia e la difesa c’è grande cautela. Occorre prima avere una misurazione più chiara del reale impatto della guerra sull’economia europea, ha chiarito Kaag. Ma intanto proprio il Next Generation Eu può ispirare la nuova governance economica, conferendo ai governi nazionali la responsabilità di quegli investimenti e quelle riforme necessarie a raggiungere gli obiettivi politici dell’Ue, transizione verde in testa. Nell’attesa di cosa riserverà il futuro, la svolta è sancita dallo scenario per il 2023: per l’Aja sospendere ancora una volta le regole sui conti pubblici – congelate dall’inizio della pandemia – non è più un dramma. Anzi, sarebbe “giustificato” nelle circostanze attuali.

  • Olanda al voto, il premier Rutte parte come favorito

    Non ci si attende un terremoto politico alle elezioni legislative che si sono svolte da lunedì a mercoledì in Olanda e che dovrebbero riconfermare l’inossidabile premier uscente, il liberale Mark Rutte, al potere dal 2010, che otterrebbe così un quarto mandato.

    Restano però le incognite legate alle alleanze e al colore politico della futura coalizione di governo; ma soprattutto se la prossima maggioranza sarà in grado di essere autosufficiente considerato che i sondaggi conferiscono un buon piazzamento al populista anti-Islam Geert Wilders, del Partito della Libertà (Pvv). Il leader di estrema destra, osservato speciale, è pronto a dare battaglia fino all’ultima scheda e dovrebbe ottenere il secondo posto con una forbice compresa tra l’11 ed il 13% dei voti, confermando una performance simile a quella ottenuta nel 2017 quando, pur senza sfondare, era arrivato secondo sull’onda della Brexit e del populismo ispirato a Donald Trump. Il voto sarà dunque l’occasione per fare una verifica sul sentiment populista-sovranista a livello europeo e sul ruolo degli altri partiti come i Verdi, anche all’indomani delle elezioni regionali in Germania nel Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato che hanno segnato una sconfitta dei conservatori tedeschi ed un trionfo degli ecologisti.

    Ma oltre a questo il voto in Olanda rappresenta anche un test politico sulla gestione della pandemia da parte del governo dell’Aja. Secondo le ultime rilevazioni il Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd) di Rutte dovrebbe ottenere circa il 25% dei consensi, mentre i suoi attuali alleati, i conservatori dell’Appello Cristiano Democratico (Cda), sarebbero stimati tra il 10 e l’11%, e l’Unione Cristiana (Cu) al 4%. La strada è dunque tutta in salita per Rutte e non si escludono sorprese dell’ultimo minuto, considerati altri candidati in lizza come quelli del partito ambientalista GroenLinks, che potrebbero dare una svolta al variegato panorama e magari anche incidere sulla futura coalizione governativa. Sarà interessante scoprire anche come e dove si incanalerà l’ombra del malcontento nei confronti delle politiche adottate dal governo dei Paesi Bassi di fronte al Covid. In primis la criticata misura del coprifuoco e poi il lockdown che ha penalizzato le attività commerciali del Paese, che conta 17 milioni di persone e che ha registrato più di un milione di casi e 16mila decessi.

    Lo scorso 15 gennaio il governo Rutte si era dimesso a seguito di uno scandalo legato al bonus figli. Un polverone sollevato dopo che i funzionari del fisco avevano accusato ingiustamente 20mila famiglie di frode, facendone indebitare molte per rimborsare le indennità per l’infanzia nel periodo tra il 2013 ed il 2019.

  • Amsterdam supera Londra per appeal agli occhi degli investitori

    Londra non è più la capitale europea della finanza. Con la Brexit, Amsterdam attira più investimenti ed è diventata il nuovo principale ‘hub’ finanziario del Vecchio Continente. E questa è una diretta conseguenza della Brexit, in quanto la causa principale dello ‘shift’ è il divieto imposto alle istituzioni finanziarie con sede nell’Ue di investire oltremanica, perché Bruxelles non ha riconosciuto alle Borse e alle sedi di negoziazione del Regno Unito lo stesso status di vigilanza del suo. Il motivo? Essenzialmente perché Londra, a sua volta, non ha riconosciuto alcuna vigilanza europea alle aziende Ue che operano nella City. Ora si punta a riaprire il negoziato, ma non sarà facile farlo. E nel frattempo i capitali sono volati da Londra ad Amsterdam.

    Tuttavia, ci si chiede: perché questi capitali si sono rivolti principalmente ad Amsterdam e non a Francoforte o a Parigi? Secondo gli esperti esistono almeno due ragioni. La prima è che Amsterdam è molto più simile a Londra di Francoforte e Parigi, non solo per la lingua ma anche perché culturalmente l’Olanda è più simile alla City di Londra. Gli operatori finanziari si sentono più a loro agio lì che nelle altre sedi europee. La seconda ragione è più sostanziale: perché l’Olanda ha una fiscalità nettamente più vantaggiosa per il mercato dei capitali rispetto a quella delle altre capitali europee.

    L’Olanda viene equiparata cioè a un ‘paradiso fiscale’. Insomma, le grandi aziende, le cosiddette corporate, riescono ad avere accordi ad hoc, soprattutto per quanto riguarda le tasse sugli utili societari, con le autorità olandesi. Inoltre anche per quanto riguarda il trading azionario conviene di più spostarlo ad Amsterdam perché si pagano meno tasse. E questo indubbiamente pone un problema di fondo all’Unione europea: come fare a rendere più equo il ‘campo di gioco’? Ovviamente Amsterdam ha tutto l’interesse a lasciare le cose come stanno, visto che è diventata la calamita che attira la maggior parte dei capitali in uscita da Londra. Il Financial Times ha stimato uno spostamento immediato di 6,5 miliardi di euro verso l’Ue, non appena il periodo di transizione della Brexit si è concluso alla fine dello scorso anno. Si tratta di circa la metà del volume d’affari che le banche e gli intermediari londinesi avrebbero normalmente gestito se il Regno Unito fosse stato ancora un Paese membro. Come nota lo stesso Ft la strada verso l’unione dei mercati dei capitali in Europa è “ancora lunga”. A Bruxelles, il fulcro di questa strategia è l’Unione dei mercati dei capitali da tempo promessa, che mira a sbloccare i flussi di investimento transfrontalieri e ad aumentare l’accesso ai finanziamenti per le imprese europee.

    Il piano d’azione sull’Unione dei mercati dei capitali (Cmu) è stato lanciato dall’Ue a settembre del 2015 e deve ancora essere completato. In un rapporto, citato dal Ft, e preparato dal chief financial officer della Cmu, Kalin Anev Janse e da Rolf Strauch, il suo chief economist, si chiede un notevole potenziamento dei poteri di vigilanza dei due regolatori europei esistenti, l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati e l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali. Questi due organismi, oltre ad avere un ruolo guida nella definizione delle normative su settori come la finanza verde e digitale, dovrebbero aumentare i loro poteri esecutivi e ottenere l’autorità di supervisionare direttamente i grandi partecipanti finanziari internazionali. “La sfida per l’Ue è definire e costruire un modello di vigilanza efficiente che armonizzi i mercati e garantisca la trasparenza e la protezione degli investitori”, afferma il documento. “Attualmente, pratiche di vigilanza divergenti nell’Ue ostacolano gli investimenti transfrontalieri”.

    Tutto ciò concorda con le ambizioni della Commissione europea, poiché l’Ue persegue la cosiddetta autonomia strategica nei servizi finanziari. Mairead McGuinness, commissario europeo per i servizi finanziari, ha assicurato che Bruxelles “punta sulla Cmu” e sta facendo “un sacco di lavoro” in questo senso.  Ovviamente esistono numerose raccomandazioni da parte di Bruxelles contro il dumping fiscale, dirette contro l’Olanda, ma anche contro Cipro, Ungheria, Irlanda, Lussemburgo e Malta. L’obiettivo è quello di contestare le pratiche fiscali “aggressive”, che vanno a vantaggio delle grandi società, incentivandole a spostare la loro sede in Olanda. Uno strumento essenziale per Bruxelles per ridurre il dumping fiscale di Paesi come l’Olanda è il Recovery Plan. Tra gli obiettivi del Recovery infatti c’è una clausola, in base alla quale viene sostenuto che l’emissione di ingenti quantità di debito dell’Ue potrebbe aiutare a promuovere l’integrazione dei mercati dei capitali. In altre parole si tratterebbe di un ‘do ut des’: aiuti contro la pandemia in cambio di misure in favore di un più equo mercato europeo dei capitali. Ovviamente anche questa strada è stretta e lunga. Tuttavia non c’è dubbio che in una fase come questa, in cui l’agenda europea è dominata dalle questioni legate alla pandemia, uno scambio di questo tipo potrebbe servire ad ammorbidire la posizione delle autorità olandesi.

  • L’Olanda ed il meridione d’Italia…

    Nell’ultimo periodo caratterizzato dalla crisi da Covid 19 le diverse normative fiscali e soprattutto le diverse aliquote applicate dai diversi Stati in Europa hanno suscitato grandissime critiche in particolar modo in Italia.

    L’Olanda, in particolare, anche per l’opposizione del suo governo alla destinazione di risorse finanziarie a fondo perduto per i paesi colpiti dalla pandemia, rappresenta il primo soggetto, assieme all’Irlanda e al Lussemburgo, di tali critiche grazie alle proprie aliquote molto basse applicate ai redditi di impresa. Sfruttando il giusto principio della libertà intraeuropea molte aziende infatti hanno scelto come sede fiscale della  holding di controllo proprio l’Olanda, avvantaggiandosi quindi di una pressione fiscale molto inferiore rispetto, per esempio, a quella italiana. Il principio della concorrenza che il mercato globale applica senza alcuna correzione o attenuazione al mondo dei beni e dei servizi forniti da soggetti privati evidentemente non vale all’interno di una Comunità Europea versione moderna dell’iniziale Mercato Unico Europeo (MEC).

    La miopia politica, o meglio, lo strabismo espressione di una ideologia politica  trasforma, in più, l’applicazione di questo principio di concorrenza quale giudizio fortemente negativo in ambito europeo addirittura in una espressione di un valore aggiunto nel caso venga applicato al meridione d’Italia. Il governo in carica, infatti, ha annunciato un taglio delle imposte per le piccole e medie imprese che risiedono al Sud cercando di incentivarne l’attività e magari anche la creazione di nuove. Questa decisione assolutamente legittima è esattamente la copia della politica olandese applicata all’interno dei confini dell’Unione Europea.

    Nel suo complesso, quindi, questa politica di fiscalità di vantaggio applicata all’interno dei confini italiani si rivela come una concorrenza fiscale assolutamente negativa nei confronti delle imprese che nella loro maggior parte risiedono nel nord Italia. Paradossale poi se si considera che quello che viene fortemente criticato nell’ambito dell’Unione Europea, cioè il principio di “fiscalità di vantaggio di uno Stato rispetto ad un altro per agevolare la migrazione di aziende ed holding estere”, subisca una metamorfosi, qualora applicato in Italia, “in fattore positivo e propositivo finalizzato ad una politica economica di espansione”.

    I principi, che siano legali, economici o fiscali, rappresentano il proprio valore indipendentemente dal perimetro nazionale o internazionale all’interno del quale vengano applicati. Paradossale come chi abbia criticato la posizione olandese ora manifesti la sfacciataggine di dichiarasi apertamente favorevole ad una fiscalità proprio di tipo “olandese” (quindi di vantaggio ed in applicazione del principio della concorrenza) per il Sud del nostro paese la quale ovviamente penalizzerà ancora una volta le industrie del Nord. Le strategie economiche ma anche le stesse posizioni politiche rimangono poche ma ben confuse.

  • I Paesi Bassi si attivano per consentire la doppia cittadinanza entro il 2019

    Il governo olandese sta  rivedendo la legge sulla nazionalità del Paese per consentire la doppia cittadinanza entro la primavera del 2019.

    Secondo il ministro della Giustizia Mark Harbers, il piano è quello di ampliare i criteri dei Paesi Bassi per la doppia nazionalità. Al momento, i cittadini olandesi naturalizzati devono rinunciare alla nazionalità del loro paese di origine, a meno che non siano sposati con un cittadino olandese. I Paesi Bassi stanno seguendo i passi di una legislazione simile che è stata approvata in Germania visto che la maggior parte degli Stati membri dell’UE si prepara alla Brexit.

    La nuova legge consentirà ai migranti di prima generazione nei Paesi Bassi di essere titolari di più passaporti, una mossa che interesserebbe 87.000 cittadini britannici di prima e seconda generazione residenti nei Paesi Bassi. Allo stesso tempo, i figli dei cittadini olandesi che vivono all’estero non saranno costretti a fare una scelta reciprocamente esclusiva sulla loro nazionalità.

    Circa 100.000 cittadini olandesi residenti nel Regno Unito potrebbero far perdere ai loro figli l’accesso alla cittadinanza dell’UE se la riforma completa riguardante la doppia nazionalità non fosse attiva prima o immediatamente dopo l’entrata in vigore della Brexit nel marzo 2019. Il governo olandese spera di riuscire a completare la riforma durante il periodo di transizione del Regno Unito dall’Unione europea che dovrebbe terminare a dicembre 2020.

  • Presentata in Olanda Sarco, la bara automatica per praticarsi l’eutanasia

    Aspetto futuristico e linee eleganti. Ma ‘Sarco’, abbreviazione per sarcofago è, in realtà, una vera e propria macchina per la morte. A presentarla alla fiera di articoli funerari di Amsterdam è stato Philip Nitschke, attivista per il diritto all’eutanasia che con questa bara hi-tech – racconta il Washington Post – crede di aver rivoluzionato il modo di morire, almeno per quanti desiderino farlo prima del tempo.

    ‘Sarco’, spiega ancora il Washington Post, è stampato in 3D e composto da una capsula/bara removibile e da un collegamento a un contenitore di azoto. Ma come funziona esattamente? Secondo l’autraliano Nitschke, chi deciderà di togliersi la vita dovrà compilare un test online per accertare il pieno possesso delle facoltà mentali. L’esito positivo del test darà quindi diritto a un codice d’accesso da inserire nel macchinario: a quel punto ed entro 24 ore, ‘l’utente’ potrà entrare nella capsula, chiudere il portello e, infine, schiacciare il bottone per il comando del rilascio dell’azoto. La morte, secondo Nitschke, sopraggiungerà in circa un minuto, subito dopo la perdita di coscienza.

    Il decesso, spiegano gli inventori sul sito ufficiale di Sarco, avviene per ipossia, cioè per mancanza di ossigeno e Nitschke l’ha recentemente definita addirittura una “morte euforica”: “L’esperienza di trovarsi in un ambiente con poco ossigeno può essere – si legge – inebriante. Basta chiedere ai subacquei”.

    La capsula per l’eutanasia non è in commercio, spiega ancora il sito, ma il piano è renderne il progetto gratuito e scaricabile dal web. Sarà compito di chi vorrà costruirne una trovare una stampante 3D per la sua realizzazione e l’azoto liquido necessario per il suo funzionamento. Il costo per la realizzazione, spiegano i realizzatori, dipende molto dalla stampa 3D. A titolo indicativo, il sito ufficiale aggiunge però il costo medio per la stampa di un’automobile, circa 7500 dollari.

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