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  • Animali: aumentate le pene per chi li maltratta e li uccide

    Ormai è noto che la violenza contro gli animali dimostra la presenza, negli umani, di un’aggressività e una violenza interpersonale pericolosa per tutti, sia essa si sia già manifestata o che sia prodromo di comportamenti antisociali.

    Finalmente anche il legislatore si è accorto della necessità di riformare le norme e con la proposta di legge approvata, nei mesi scorsi, alla Camera dei Deputati si sono date nuove risposte, anche tenendo conto che la Cassazione aveva già dichiarato, in più pronunce, che gli animali vanno tutelati in quanto esseri viventi suscettibili di tutela diretta.

    Sono aumentate, per chi uccide animali, le pene detentive, con multe fino a trentamila euro, pene e multe che aumentano nel caso di sevizie.

    Sono finalmente aumentate anche le pene per i maltrattamenti, carcere e multe, così come quelle per le competizioni non autorizzare o per i combattimenti che, ovviamente, sono assolutamente vietati ma rappresentano ancora un grosso business per la malavita, saranno puniti anche coloro che parteciperanno come spettatori.

    Per tutti questi reati le pene aumentano se i fatti avvengono davanti a minori, nei confronti di più animali o i reati sono diffusi attraverso la rete.

    Altro traguardo raggiunto dalla legge è la maggiore punizione per chi uccide o ferisce animali altrui.

    Le associazioni, riconosciute dal Ministero della Salute, potranno impugnare giudizi cautelari, presentare appello e istanza di riesame in merito a sequestri.

    Le misure di prevenzione del codice antimafia diventano applicabili a chi organizza combattimenti tra animali o a chi organizza il traffico illegale di cuccioli, o di animali non in possesso del passaporto e del microchip.
    Nel caso di traffici illegali chi è sorpreso per tre volte a introdurre illegalmente animali perde anche la licenza di trasportatore o la licenza commerciale.

    La legge introduce anche il divieto di tenere cani alla catena e aumentano le pene pecuniarie per chi abbandona un animale o lo detiene in condizioni antigieniche e disagiate. Con il nuovo codice della strada l’abbandono di un animale porta anche la sospensione della patente.

    L’uccidere, il catturare o il detenere animali di specie protetta portano ad aumenti di pena.

    Ora bisogna che lo Stato, attraverso le forze di Polizia e la collaborazione con gli enti territoriali, intensifichi i controlli e dia anche il via ad una campagna di sensibilizzazione in sinergia con le meritevoli associazioni che da anni si battono in difesa dei diritti degli animali e del rispetto dell’ecosistema.

  • In attesa di Giustizia: la terra dei miracoli

    Italia terra dei miracoli: sarà per la presenza dell’enclave dello Stato Città del Vaticano, o forse perché – come sta scolpito all’EUR – il nostro è un popolo di Santi oltre che di poeti, navigatori, artisti, pensatori, scienziati, trasmigratori ed eroi (e, forse, non a caso non sono citati i giuristi…).

    Fatto sta che dal Colle di Cadibona ai Sette della Città Eterna è un susseguirsi di miracoli: nella sola Genova, addirittura se ne sono verificati ben due! Accade che un fascicolo – secretato ed a carico una volta di più di Giovanni Toti – chiuso nella cassaforte del Procuratore Capo, Nicola Piacente, avendo la meglio sul principio fisico della impenetrabilità dei corpi solidi, approdi nella redazione di un quotidiano dando il via immediato allo sputtanamento a palle incatenate a mezzo stampa.

    Il secondo miracolo è che il Dott. Piacente, come peraltro impone la legge ma tutti abitualmente se ne infischiano, ha aperto un’indagine su questa fuga di notizie: ovviamente si tratterà di un fascicolo al momento senza indagati anche perché essendo proprio Piacente il custode di quel fascicolo non ancora assegnato ad alcuno sostituto, dovrebbe paradossalmente cominciare ad iscrivere se stesso nel registro delle notizie di reato…ma tre miracoli di fila sarebbero troppi.

    A latitudini più basse, nei ministeri piuttosto che alla Commissione Affari Costituzionali, con un percorso di selezione delle professionalità che non può definirsi altro che miracoloso accade che la redazione di testi normativi venga affidata a soggetti che il diritto, soprattutto quello costituzionale, l’hanno imparato frequentando corsi di studio serali…al buio.

    Per farne un paio di esempi e fermandosi agli ultimissimi ecco delle autentiche chicche che anche un lettore non tecnico potrà comprendere senza troppo arrovellarsi: nel tanto decantato decreto sicurezza – a tacer d’altro – si rinviene la previsione che la pena sia aumentata per qualsiasi reato commesso all’interno o nelle immediate vicinanze di una stazione ferroviaria o della metropolitana e cosa significherà mai immediate vicinanze? Nel bar di fronte alla stazione, a 50, 100, 200 metri, al parcheggio dei taxi anche se più distante? Chi deciderà a quale parametro dovrà allinearsi? Il tutto con violazione e buona pace del principio di tassatività della legge penale previsto dalla Costituzione…e – poi – perché solo nelle stazioni ferroviarie e non in quelle degli autobus o negli aeroporti o nelle biglietterie degli aliscafi al Molo Beverello che si propongono in un identico contesto? E tanti saluti anche alla parità di trattamento di fronte alla legge.

    In una nobile competizione con il Ministero della Giustizia anche quello della Pubblica Istruzione ha pensato bene di mettere mano al codice penale suggerendo che sia possibile l’arresto obbligatorio in flagranza per chi abbia cagionato anche solo lesioni lievi al personale docente. Con tutto il rispetto per gli insegnanti vittime di violenze e bullismo ci si sta dimenticando un piccolo dettaglio: che il codice penale per le lesioni lievi prevede che si proceda a querela di parte e cioè a dire che la persona offesa ha tre mesi di tempo per decidere se chiedere la punizione del colpevole oppure no e non si può certo arrestare qualcuno che potrebbe non essere neppure mai querelato…tranne che, per risolvere il problema, non si voglia ardire sino al punto di facultare i bidelli a ricevere querela orale nella immediatezza dei fatti, e munirli di poteri di arresto quali ausiliari facenti funzioni di Carabinieri e Polizia e magari dotandoli di manette e taser, già che ci siamo e potrebbe non essere fantadiritto.

  • In attesa di Giustizia: la strage degli innocenti

    Altre morti: quello degli infortuni sul lavoro è un argomento di cui questa rubrica si è già occupata ma gli anni passano e non sembrano esserci miglioramenti nella drammatica statistica delle “morti bianche” (oltre mille anche nel 2023) a tacere di quegli incidenti che comportano mutilazioni, lesioni gravi e di quelli in cui solo la fortuna ha evitato il peggio, insomma è una vera e propria strage degli innocenti.

    Ovviamente, dopo l’ultima tragedia a Firenze, c’è già chi invoca pene più gravi: una soluzione tanto facile, di gradimento a populisti e forcaioli, quanto statisticamente destinata a non produrre risultati; tanto per fare un esempio, restando nell’ambito dei reati colposi (cioè quelli non voluti ma verificatisi per negligenza), basta scorrere i dati relativi agli incidenti automobilistici fatali per avere contezza della inutile introduzione del reato di omicidio stradale che ha prodotto risultati controversi. Nelle annate migliori vi sono state riduzioni percentualmente marginali sui decessi: l’inasprimento delle pene, quindi, non ha svolto nessuna reale efficacia dissuasiva né risultati apprezzabili anche se, come suol dirsi, anche una sola vita salvata è un successo…ammesso che non si tratti di mere casualità registrate su grandi numeri.

    Senza dimenticarne altre sciagure terribili – come quello dei manutentori della linea ferroviaria a Brandizzo – l’indagine sulle morti a Firenze ha fatto emergere il problema legato al sub appalto dei lavori, spesso affidato con una lunga serie di delegazioni ad imprese che non assicurano standard minimi di sicurezza né  affidabilità, reclutando lavoratori privi di formazione specifica: altra circostanza che sta risultando proprio dall’inchiesta fiorentina sono le assunzioni con contratto misurato su mansioni diverse da quelle assegnate e questo è un ulteriore rilievo che fa riflettere più che sulle pene sulla esigenza di una rigorosa opera di prevenzione e vigilanza.

    Sebbene i ruoli degli Ispettori del Lavoro continuino a segnalare carenze della pianta organica vicine al 50%, ed è all’Ispettorato che è assegnata – tra le altre – la funzione di controllo sul rispetto della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, gli strumenti volti ad una efficace prevenzione non mancano ma sono affidati ai privati, soprattutto allorquando si tratti proprio di assegnazione di opere in sub appalto.

    Sembra, dunque, che questa funzione sia misurata sulla serietà delle aziende che, per prime, devono offrire garanzie reali in materia (ed in difetto delle quali non potrebbero neppure partecipare alle gare sia pubbliche che private) ma che restano del tutto vanificate qualora, senza verifica neppure dalle stazioni appaltanti, le opere vengano subassegnate a soggetti che le medesime garanzie non offrono: i committenti  più rigorosi, per esempio, non solo esigono che solo una percentuale assai ridotta (a regola non oltre il 10%) possa essere subappaltata ma anche che tutte le realtà impiegate dispongano di un sistema di prevenzione degli illeciti ai sensi del d.lgs. 231/01 che contempla la responsabilità da reato delle imprese che, quindi, rispondono per una forma di colpa in organizzazione unitamente ai dirigenti e manager il cui comportamento integri un reato tra quelli previsti da uno specifico catalogo: e gli infortuni sul lavoro vi rientrano.

    In sintesi, il sistema – con la inaccettabile eccezione della mancanza di ispettori del lavoro, ma i soldi per le assunzioni non ci sono mai…- è strutturato per una adeguata prevenzione e basterebbe farlo funzionare senza affidarsi solo al “buon cuore”, se così si po’ dire, degli imprenditori che non sempre mostrano più sensibilità alla sicurezza, alla integrità fisica, alla vita, che non alle economie derivate dal risparmio su materiali impiegati, formazione, dotazione di strumenti individuali di protezione.

    L’aumento delle pene, la creazione del reato di omicidio sul lavoro difficilmente farebbero scomparire il fenomeno delle morti bianche, rendendo solo più complesso un sistema già bizantino. Questo vale per ogni cosa: prima di introdurre nuove leggi sarebbe buona cosa far rispettare quelle esistenti. Altrimenti è solo propaganda e l’attesa di giustizia per il popolo dei lavoratori, di quelli più umili, meno pagati e meno “garantiti”, non risiede certo in condanne esemplari il cui dispositivo è buono solo per essere affisso su quelle troppe lapidi che non vorremmo più vedere ma in quelle morti che si devono e si possono evitare.

  • In attesa di Giustizia: errare humanum est

    Il dogma della infallibilità su questa terra può riferirsi solo al Pontefice: nel mondo della Giustizia le cose vanno diversamente e – non a caso – il nostro sistema prevede tre gradi di giudizio che, a parere di alcuni, sono troppi ed ingiustificati, reclamando la soppressione di quello di appello.

    A sproposito, i cultori della riduzione delle garanzie processuali citano gli esempi di altri Paesi: di solito gli Stati Uniti dove non è affatto vero che l’ordinamento preveda meno possibilità di impugnazioni rispetto al nostro; se mai, è proprio il contrario con l’unica differenza che oltreoceano i processi sono tutti con giuria (anche quelli di natura civile) che pronuncia un verdetto, cosa molto diversa da una nostra sentenza perché non ha una motivazione in fatto e diritto che segua la decisione. In appello, però, ci si va eccome: essenzialmente per violazioni della procedura in cui è incappato il Giudice che ha diretto il dibattimento, ma anche per altri motivi tra cui persino la dimostrata inadeguatezza della difesa.

    La ontologica fallacia della giustizia degli uomini non può, dunque, prescindere dalla facoltà attribuita all’accusato di difendersi facendo riesaminare il proprio caso da Giudici di grado superiore, fosse anche solo perché ciò che si lamenta è una pena eccessiva.

    Proprio di innalzamento delle pene si sente parlare ultimamente sempre più spesso come se fosse la panacea di tutti i mali, la facile risposta con rimedio dissuasivo ad istanze securitarie sempre più avvertite – non meno che sollecitate, soprattutto in un clima di permanente campagna elettorale – nella opinione pubblica.

    I numeri, però, se parliamo di riduzione dei gradi di giudizio, non mentono e dicono qualcosa di differente che dovrebbe far riflettere tanto il popolo dei giustizialisti quanto il legislatore laddove volesse assecondare anche questa pulsione forcaiola.

    Ogni anno in Italia vengono riconosciuti oltre un migliaio di risarcimenti per ingiusta detenzione; tradotto: è la riparazione economica per chi abbia subito una carcerazione preventiva salvo poi essere assolto. A prescindere dal fatto che, con una infinità di stratagemmi argomentativi (volti essenzialmente a limitare i danni per le esauste casse dello Stato) non tutte le prigionie rivelatesi ingiustificate ottengono un ristoro, quei numeri dicono che mediamente ogni otto ore viene arrestato un innocente.

    A questi casi si aggiungono gli errori giudiziari che sono qualcosa di diverso e ancora più grave: riguardano chi abbia subito un processo riportando una condanna definitiva successivamente sottoposta a revisione per il sopravvenire di prove a discarico di un imputato che, nel frattempo, ha scontato anche molti anni di carcere, privato della propria famiglia, lavoro, dignità oltre che della libertà.

    L’errore giudiziario, spesso, esprime la superficialità delle investigazioni che – per disposto normativo – il Pubblico Ministero dovrebbe (ma non fa praticamente mai) svolgere anche in favore dell’indagato e invece sono orientate a senso unico in ottica colpevolista.

    Può essere forse utile un passaggio dal sito errorigiudiziari.com per capire meglio di cosa si stia parlando senza che sia necessario passare in rassegna (ne basta qualcuno come esempio) le centinaia di casi di errori giudiziari ricordati.

    Serve un momento di riflessione su una Giustizia che non ha certo bisogno di un ulteriore perimetro alle garanzie, trasformata da categoria dello spirito, comportante vincoli etici e indicazioni culturali inderogabili in un mezzo tecnico di difesa collettiva ritenuto tanto migliore quanto più drastico nella sua efficienza.

     

  • In attesa di Giustizia: giustizia per pubblici proclami

    Nel corso di una gremita conferenza stampa, il Premier Conte ha annunciato l’approvazione in Consiglio dei Ministri del testo di decreto che individua nuovi interventi a contrasto della corruzione.

    Il testo non è ancora disponibile e, dunque, ragioniamo solo sulle anticipazioni fatte senza poter scendere più di tanto nei dettagli tecnici individuando eventuali criticità. A prima vista, alcune sono già evidenti.

    Non vi è dubbio che il malaffare pubblico-privato sia uno dei mali endemici del nostro Paese e che imponga un contrasto adeguato: la sensazione è che – ancora una volta – si proceda per pubblici proclami volti essenzialmente a soddisfare le aspettative un po’ forcaiole della piazza. Dunque, di chi vota e, forse, tornerà a votare prima di cinque anni.

    Vediamo quali sono le linee guida dell’intervento proposto: utilizzo di infiltrati delle Forze dell’Ordine, inasprimento delle pene, creazione di nuove figure di reato (pare oltre una mezza dozzina), DASPO sul modello della giustizia sportiva ai corrotti e cioè a dire esclusione dai pubblici appalti a vita, salvo riabilitazione ma con termini molto maggiori di quelli previsti in via ordinaria per tutti gli altri reati:  omicidi, fatti di grande criminalità mafiosa, traffico di stupefacenti e violenze sessuali incluse.

    Una prima domanda che sorge spontanea è: ma se uno dei soggetti coinvolti nei fatti di corruzione è necessariamente un funzionario dell’apparato dello Stato non dovrebbe forse essere l’Amministrazione da cui dipende a dover vigilare per prima sui propri dipendenti? Senza, dunque, alcuna  necessità di ricorrere ad agenti sotto copertura che non è ben chiaro al momento in che modo, quando e con quale ruolo dovrebbero e potrebbero infiltrarsi non potendo fungere da agenti provocatori e cioè stimolare l’illecito.

    Una seconda perplessità riguarda il cosiddetto DASPO e in particolare i termini per ottenere la riabilitazione (vale a dire la cessazione per buona condotta dagli effetti pregiudizievoli di una condanna penale) più che raddoppiati rispetto alla previsione normativa per altre tipologie di delitti anche gravissimi: disposizione in odore di incostituzionalità ai sensi dell’art. 3 che detta la uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge in combinazione con l’art. 27 che tratta le finalità rieducative – dunque non meramente afflittive – della pena.

    E ancora a questo proposito: quale funzionario della Pubblica Amministrazione condannato per corruzione dovrebbe mai restare al suo posto e non essere licenziato? E quale corruttore privato avrebbe, già oggi, i requisiti per contrattare con la Pubblica Amministrazione che, facendo buon governo della sua discrezionalità, lo può (lo dovrebbe) comunque escludere dalla partecipazione alle gare? Il DASPO lo abbiamo già, volendo, basta sapere impiegare gli strumenti a disposizione

    Non mancano infine, come anticipato, né l’inasprimento delle pene, né la introduzione di nuovi reati: vedremo questi ultimi in cosa consistono e, soprattutto, come sono costruite le ipotesi auspicando che non siano confuse o doppioni di altre già esistenti o di difficile omologazione con il palinsesto punitivo già esistente.

    Quanto all’inasprimento delle pene, presunto rimedio frequentemente adottato a fronte di emergenze reali o presunte, basterebbe che il nostro legislatore dia una lettura anche superficiale al saggio “Punizione Suprema” che illustra come, nel sistema  americano, nemmeno la pena di morte  abbia svolto alcun effetto dissuasivo rispetto alla commissione di omicidi il cui numero e tasso percentuale rimane inesorabilmente invariato nonostante l’impegno profuso dal boia negli Stati dove è prevista. Andrà a finire che ad un aumento del rischio, invece che ridursi il fenomeno, aumenterà  il prezzo della corruzione: come è già avvenuto dopo “Mani Pulite”.

    Forse è presto per criticare, bisognerà leggere il testo quando verrà reso pubblico e soprattutto quello approvato; qualcosa, tuttavia, lascia già perplessi e per prima la considerazione che ancora una volta si è pensato a come reprimere e sanzionare comportamenti illegali  che inquinano il sistema economico  e non a prevenirne efficacemente la commissione.

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