Pittura

  • La metamorfosi della figura: a cinquant’anni dalla sua morte, il Mudec di Milano dedica una grande mostra a Picasso

    Si intitola Picasso. La metamorfosi della figura la mostra che Milano dedica al grande artista spagnolo a conclusione delle celebrazioni mondiali per i cinquant’anni dalla sua morte. Inaugurata lo scorso 22 febbraio, prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano-Cultura, con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia e dell’Istituto Cervantes di Milano, l’esposizione sarà visitabile al Mudec fino al 30 giugno.

    La mostra è incentrata su un assunto di Picasso, ovvero, che “non c’è né passato né futuro nell’arte. Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non ha significato”. Pablo Picasso mostrò infatti sempre un profondo rispetto per le manifestazioni artistiche di altre culture e di altri tempi e seppe comprenderle e reinventarle con il nobile scopo di dare un impulso e un nuovo percorso di esplorazione all’arte universale. Il pubblico potrà così conoscere come Picasso abbia colto l’essenza e il significato di altre fonti artistiche e le abbia assimilate nella sua produzione per tutta la vita, dal 1906 fino agli ultimi lavori degli anni Sessanta. Il progetto sarà anche l’occasione per rivedere ospitata al Mudec, dopo anni, la Femme nue del Museo del Novecento di Milano, meraviglioso dipinto che fu fondamentale preludio al capolavoro picassiano Les Demoiselles d’Avignon, in dialogo con magnifici dipinti di maschere, in un gioco di specchi e rimandi che dal più remoto passato guarda al contemporaneo, proprio come il grande maestro aveva fatto traendo gli strumenti del linguaggio plastico da esempi africani, neolitici e proto-iberici, dall’arte oceanica, dall’antica arte egizia e da quella della Grecia classica dando vita , nel 1925, al “primitivismo”.

    La mostra si snoda attraverso cinque sezioni seguendo il fil rouge costante della ricerca e dello studio della forma. Si parte con una selezione di opere realizzate da Picasso nel 1906 sotto l’influenza dell’arte dell’antico Egitto e delle sculture iberiche. Queste scoperte lo portano a ripensare il modo in cui rappresentare la figura umana, lontano dai canoni occidentali e da ogni processo estetico quasi come si trattasse di magia. Si prosegue, nella seconda sezione, con i 26 disegni del quaderno n. 7 di Les Demoiselles d’Avignon e il magnifico dipinto Femme Nue, in prestito dal Museo del Novecento di Milano. Il 1906 è l’anno del passaggio di Picasso al Cubismo, con una tendenza alla geometrizzazione delle forme di cui Les Demoiselles d’Avignon è l’acme artistica delle ricerche. I personaggi, cinque donne, richiamano le molteplici fonti, dalle Bagnanti di Cézanne, alla scultura iberica, all’arte romanica catalana e alle maschere africane e oceaniche. La terza sezione presenta il Cubismo come un vero “realismo concettuale”, secondo la forma rivendicata dagli artisti. Qui sono esposte alcune figure dal 1908 al 1917, poiché l’artista non faceva distinzioni tra il trattamento di oggetti, paesaggi o persone. Dopo il suo cosiddetto periodo “primitivista”, Picasso, insieme a Braque, creò il Cubismo, che assorbì le influenze della statuaria iberica, delle maschere e delle sculture africane e del geometrismo di Cézanne. La quarta sezione, che va dagli anni ’20 alla Seconda Guerra Mondiale, racconta di un Picasso che abbandona il cubismo come movimento per ritornare alla rappresentazione classica. Tuttavia, il contatto con i poeti surrealisti fa sì che Picasso torni a interessarsi delle culture extraeuropee e a catturarne la magia nella realizzazione delle sue opere pittoriche e scultoree. Nella quinta sezione sono esposte opere realizzate tra il 1930 e il 1970, distanti dalla rappresentazione geometrica, molto più morbide. In questo periodo Picasso giunge all’essenza, alla magia della forma, che ha sempre cercato di afferrare. Molti esperti chiamano “metamorfosi” le creazioni di Picasso a partire dal 1925 e fino alla fine della sua vita. La mostra si chiude, in una sesta sezione dedicata al dialogo tra Picasso e l’Africa, con il tributo che gli artisti africani contemporanei conferiscono al maestro andaluso, riconoscendo in lui il principale interprete dei fondamenti espressivi del continente africano. A Picasso, infatti, era stata affidata la realizzazione del manifesto del primo Congrés des Ecrivains et Artistes Noirs tenutosi nel 1955 alla Sorbona a Parigi, che riuniva i principali intellettuali e artisti del movimento anticolonialista africano. Senza dubbio, il grande interesse mostrato da Picasso e l’assimilazione nella sua opera fu determinante nella maggiore conoscenza e nell’approfondimento dello studio dell’arte delle diverse culture africane e oceaniche.

  • ‘Morandi 1890-1964’: Milano dedica all’artista bolognese una delle mostre più importanti degli ultimi anni

    Pochi giorni ancora per visitare la mostra Morandi 1890 – 1964, a Palazzo Reale di Milano fino al 4 febbraio. A più di trent’anni dall’ultima rassegna il capoluogo meneghino dedica al grande pittore bolognese un’esposizione che celebra il suo rapporto elettivo con la città. Erano lombardi o vivevano a Milano, infatti, i primi grandi collezionisti di Morandi come Vitali, Feroldi, Scheiwiller, Valdameri, De Angeli, Jesi, Jucker, Boschi Di Stefano, Vismara – parte delle cui raccolte furono donate alla città – e milanese era la Galleria del Milione, con la quale il pittore intrattenne un rapporto privilegiato.

    Per estensione e qualità delle opere la mostra è tra le più importanti e complete retrospettive sul Maestro bolognese realizzate negli ultimi decenni, un corpus espositivo di circa 120 opere che ripercorre la sua intera opera – cinquant’anni di attività, dal 1913 al 1963 – attraverso prestiti eccezionali da importanti istituzioni pubbliche e da prestigiose collezioni private.

    Il percorso espositivo segue un criterio cronologico con accostamenti mirati e inediti che documentano l’evoluzione stilistica e il modus operandi del pittore, nella variazione dei temi prescelti – natura morta, paesaggio, fiori e solo raramente figure – e delle tecniche – pittura, acquaforte e acquerello. A metà percorso, una suggestiva installazione video, realizzata in collaborazione con il Museo Morandi del Settore Musei Civici Bologna, ripropone al visitatore la camera-studio di Via Fondazza a Bologna, oggi museo, dove Morandi visse e lavorò fino ai suoi ultimi giorni, accompagnata da frammenti audio di una radio-intervista al pittore di Peppino Mangravite, insegnante alla Columbia University (1955).

    Il percorso si suddivide in 34 sezioni che documentano il primo contatto con le avanguardie, tra cézannismo, cubismo e futurismo (1913-1918), il personale accostamento alla metafisica (1918-1919, il ritorno al reale e alla tradizione (1919-1920, le sperimentazioni degli anni ’20 (1921-1929), l’incisione e la conquista della pittura tonale (1928-1929, la maturazione di un linguaggio tra senso costruttivo e tonale e la variazione dei temi negli anni ’30 (1932-1939), negli anni ’40 (1940-1949, e negli anni ’50, in direzione di una progressiva semplificazione (1950-1959), l’acquerello (1956-1963, infine, la tensione tra astrazione e realtà negli anni conclusivi (1960-1963, in cui è toccata l’essenza della realtà, la sostanza di una ricerca durata tutta una vita.

    Morandi era convinto che “le immagini e i sentimenti suscitati dal mondo visibile, che è un mondo formale” fossero “inesprimibili a parole”. “Il compito è quello di far cadere quei diaframmi”, “quelle immagini convenzionali” che si frappongono tra l’artista e la realtà. Ed è per questo che il suo universo simbolico è costituito da oggetti tra i più comuni, scelti per la loro immutabilità.

    Morandi 1890-1964, è ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano, prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e Musei e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, in collaborazione con Settore Musei Civici Bologna | Museo Morandi.

  • Vincent van Gogh. Pittore colto

    Si intitola Vincent van Gogh, Pittore colto la mostra allestita al Mudec di Milano e visitabile fino al 28 gennaio. Prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, promossa dal Comune di Milano-Cultura con il patrocinio dell’Ambasciata e Consolato Generale dei Paesi Bassi in Italia e realizzata in collaborazione con il Museo Kröller-Müller di Otterlo, dal quale provengono ben 40 opere, l’esposizione racconta un van Gogh diverso dai cliché che da sempre lo accompagnano: il maestro dei girasoli, il pittore del manicomio e della pazzia suicida, il solitario artista immerso nella campagna, l’autodidatta senza molti appigli culturali. Il grande artista olandese, infatti, fu molto di più. Fu un intellettuale dai tanti interessi culturali che ha trasmesso nella sua visione di vita e dell’arte.

    Attraverso un percorso allo stesso tempo cronologico e tematico, la mostra propone una inedita lettura delle opere di Van Gogh mettendo in particolare evidenza il rapporto fra la visione pittorica e la profondità della dimensione culturale dell’artista grazie a due temi di grande rilievo: da un lato quello del suo appassionato interesse per i libri e dall’altro la fascinazione per il Giappone.

    Un terzo tema di essenziale importanza per la formazione artistica del pittore fu l’influenza che su di lui ebbe Jean-François Millet.

    Si parte dalla prima fase della vita di Van Gogh, il periodo olandese, alla quale appartengono Le portatrici del fardello, simbolo della fatica e delle sofferenze che segnano la condizione di vita dei poveri e diseredati della società. In questo periodo, infatti, van Gogh è attratto da autori come Michelet e Beecher Stowe la quale, con La capanna dello zio Tom, denuncia la condizione degli schiavi in America. In mostra si possono vedere dei disegni di Van Gogh copie di opere di Millet tra cui il celebre Angelus, gli Zappatori e Il Seminatore. Del periodo di Nuenen, invece, la sua prima grande composizione, I mangiatori di patate.

    Si passa poi al periodo parigino in cui il genio olandese è affascinato dagli impressionisti e neoimpressionisti. Comincia ad adottare una tecnica impressionista e “pointilliste” che si ammira in Natura morta con statuetta e libri. Spicca tra i quadri ‘parigini’ l’Autoritratto.

    In quel periodo Parigi era invasa dal Giapponismo, il fenomeno di fascinazione per il Giappone che ha interessato gran parte degli artisti europei alla fine del XIX secolo e che non risparmiò neppure van Gogh che fu attratto dalle stampe provenienti dal paese del Sol Levante. Esse divennero materia di studio e di ispirazione, oltre che oggetto del suo collezionismo, influenzando la sua produzione artistica degli anni seguenti.

    Da Parigi ad Arles, dove il contatto con la natura dà alla sua pittura un’evoluzione decisiva che è caratterizzata da una straordinaria vitalità cromatica e luminosa. Qui conosce Gaugain con il quale stringe un sodalizio che dura un paio di mesi culminato in una lite dopo la quale Van Gogh si taglia un orecchio. L’artista si rimette dalla crisi e riprende a lavorare, ma poco dopo decide volontariamente di essere internato nell’ospedale psichiatrico di Saint-Paul-de-Mausole vicino Saint-Rémy.  Del periodo trascorso in Provenza in mostra sono esposti paesaggi straordinari come Salici al tramonto, Frutteto circondato da cipressi, La vigna verde, e uno dei ritratti più famosi, quello di Joseph-Michel Ginoux.

    Nell’ospedale di Saint-Rémy Van Gogh è colpito da frequenti crisi allucinatorie, ma nei periodi di relativa tranquillità dipinge scorci del giardino dell’ospedale (come Tronchi d’albero con edera, Pini nel giardino dell’ospedale, Tronchi d’albero nel verde, Pini al tramonto), paesaggi di cipressi e uliveti nei dintorni (come Uliveti con due raccoglitori di olive), meravigliose scene notturne.

    Quando decide di entrare volontariamente nella clinica psichiatrica di Saint-Rémy vuole rileggere tutto di Shakespeare, così chiede a suo fratello Theo di inviargli l’opera completa nell’edizione di Dicks da uno scellino, presentata nell’ultima sezione dell’esposizione milanese, nella vetrina dedicata ai libri.

    La mostra al Mudec ci racconta così, alla fine del suo percorso, la storia di un artista colto, che andava per musei, caratterizzato da un amore sconfinato per la lettura che lo accompagnò per tutta la vita.

  • Nuovo bando Culture Moves Europe aperto fino al 31 maggio 2024

    Il più grande programma di mobilità culturale dell’Ue, “Culture Moves Europe”, ha pubblicato tra fine settembre e inizio ottobre un nuovo invito a candidarsi per la mobilità individuale. L’invito è rivolto ad artisti e professionisti della cultura di età non inferiore a 18 anni che siano legalmente residenti in uno dei 40 Paesi aderenti al programma Europa creativa e che operino nei seguenti settori: arti dello spettacolo, arti visive, musica, patrimonio culturale, architettura, design, moda e letteratura. È possibile candidarsi fino al 31 maggio 2024.

    Il programma offre borse di mobilità che contribuiscono alle spese di viaggio e di soggiorno, integrabili con un sostegno finanziario supplementare volto a promuovere una partecipazione più diversificata delle persone che incontrano ostacoli nella mobilità internazionale. Un sostegno finanziario più cospicuo viene offerto a coloro che viaggiano in modo sostenibile, ai genitori di bambini piccoli o a chi necessita di un visto. Gli artisti con disabilità sono particolarmente incoraggiati a candidarsi, in quanto Culture Moves Europe offre un sostegno speciale a copertura dei costi aggiuntivi che possono derivare dalla disabilità, per consentire loro di partecipare a progetti transfrontalieri.

    Iliana Ivanova, Commissaria per l’Innovazione, la ricerca, la cultura, l’istruzione e i giovani, ha dichiarato: “Culture Moves Europe sostiene la mobilità di tutti gli artisti, compresi quelli con disabilità, aiutandoli a superare gli ostacoli all’internazionalizzazione della loro carriera, contribuendo così all’apertura dell’estetica e alla diversità del paesaggio culturale. Culture Moves Europe ha un ruolo da svolgere come motore di cambiamento culturale“.

    Ad un anno dall’avvio, Culture Moves Europe ha già sostenuto oltre 1.800 beneficiari che scelgono di collaborare con partner internazionali in un altro paese di Europa creativa, dalla Norvegia alla Tunisia e dal Portogallo all’Armenia, per realizzare i loro progetti culturali. I candidati che non sono stati selezionati nel primo ciclo di inviti possono candidarsi nuovamente. Maggiori informazioni sono disponibili all’indirizzo https://culture.ec.europa.eu/creative-europe/creative-europe-culture-strand/culture-moves-europe.

  • ‘Costruire Cattedrali con gioia’, la mostra di Valentina Chiappini alla Fabbrica del Vapore di Milano

    E’ stata inaugurata il 15 febbraio nei locali dell’Associazione Corte Sconta, alla Fabbrica del Vapore di Milano, e sarà visitabile fino alla fine del mese, la personale dell’artista Valentina Chiappini dal titolo Costruire cattedrali con la gioia. La mostra prende nome da una delle opere esposte che ritrae la popolare figura di Mickey Mouse associata all’immagine di un muro di mattoni in costruzione sul quale è poggiata una cazzuola da muratore, simbolo esoterico associato alle azioni edificatrici della beneficenza e della bontà attiva. Pertanto, il titolo dell’opera (Costruire cattedrali con la gioia) può essere letto come un riferimento alla virtù della carità, richiesta agli iniziati sulla via della conoscenza mistica.

    Le immagini di Valentina Chiappini sono caratterizzate dalla compresenza di figure e talvolta anche di parole e cancellature che ricordano la struttura dei dipinti di Jean Michel Basquiat trasmettendo una costruzione problematica dell’immagine.
    Questi dipinti raccontano tutti una sorta di percorso personale, quasi filosofico, a tratti anche spirituale.

    Valentina Chiappini, nota per la sua ricerca che incrocia l’indagine filosofica e umanistica con una espressione artistica assolutamente originale, è pittrice e performer di origine siciliana, classe 1980. Dopo la formazione classica, ha frequentato “l’Accademia Italiana” Arte/Moda/Design a Firenze, quindi l’Accademia di Belle Arti di “Brera” a Milano. Attraverso l’uso di lame, tratta il colore per sottrazione. Fra le sue esposizioni personali e collettive: Studio Piero Manzoni (Brera, Milano), Arca Mexico (San Ildefonso) Città del Messico, Rivoli 59 Parigi, Fabbrica del Vapore (Brera/Rivoli59) Milano, Agora Gallery (Chelsea) New York.

  • Livorno dedica una mostra al ‘Van Gogh involontario’ Mario Puccini

    Si intitola Mario Puccini “Van Gogh involontario” la mostra che il Museo della Città di Livorno ospiterà dal 2 luglio al 19 settembre 2021 dedicata al grande pittore nel solco dei Macchiaioli che Emilio Cecchi nel 1913 definì appunto un “Van Gogh involontario”. Curata da Nadia Marchioni con il supporto del Comitato scientifico formato da Vincenzo Farinella, Gianni Schiavon e Carlo Sisi, l’esposizione monografica celebra il centenario della morte del pittore nel 2020 e amplia le ricerche avviate in occasione dell’esposizione del 2015 al Palazzo Mediceo di Seravezza.

    La collezione “riscoperta” permette infatti di seguire lo sviluppo della carriera artistica di Puccini dal suo esordio, a partire dai rari ritratti della fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, in cui si evidenzia il legame con l’ambiente artistico fiorentino di fine secolo e con i maestri Fattori e Lega, alla maturità dell’istintivo colorista, così come si manifestò dopo i cinque anni trascorsi negli ospedali di Livorno e Siena, dove, ricoverato per “demenza primitiva”, fu dimesso dagli psichiatri nel 1898 e affidato, “non guarito”, alla custodia del padre, permettendogli di riacquistare la libertà. La malattia mentale, oltre all’appassionato utilizzo del colore, ha contribuito a suggerire già ai contemporanei l’ipotesi storico-critica di un legame fra la pittura di Puccini e quella di Van Gogh, la cui opera il livornese aveva effettivamente ammirato, assieme a quella di Cézanne, nella celebre collezione fiorentina di Gustavo Sforni, con il quale entrò in contatto nel 1911 grazie all’amico Oscar Ghiglia.

    Con oltre centoquaranta opere divise in otto sezioni, la mostra è l’occasione per far dialogare i capolavori della citata collezione con una serie di altri selezionatissimi dipinti provenienti da diverse raccolte e da prestigiose istituzioni museali come la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma e le Gallerie degli Uffizi, per illustrare il percorso dell’artista nella sua completezza e attraverso i lavori di più alta qualità formale, permettendo al pubblico e agli studiosi di confrontarsi con opere rare o mai viste precedentemente e aggiungendo preziosi tasselli alla conoscenza dell’enigmatica figura di un artista “senza storia” e del vivacissimo panorama artistico toscano fra la fine dell’Ottocento e i primi venti anni del Novecento.

  • Mauro Balletti a Noto

    Quando è nata la sua passione per la fotografia? E quella per la pittura?

    Non parlerei di passioni ma di attitudine verso qualcosa che vedevo intorno a me sin dalla prima infanzia. Parlo della pittura. Mio nonno paterno era pittore, mio padre anche e mia mamma ha iniziato la sua attività di acquarellista verso i cinquant’anni. Quindi, anche da bimbo, nella casa dei nonni e nella mia non c’erano pareti vuote ma solo distese di quadri. Ho trovato recentemente le mie pagelle scolastiche delle elementari e delle medie e ho scoperto che ho avuto sempre 10 in disegno. Non me lo ricordavo affatto! A dipingere e a disegnare con vera coscienza ho iniziato solo verso i 18 anni. Ancora adesso guardo le matite colorate e i tubetti dei colori come se fossero edibili, come articoli di una meravigliosa pasticceria.

    Per quando riguarda la fotografia, il primo seme del riconoscimento della forza delle immagini impressionate sulla pellicola me l’ha donato mio padre portandomi quando avevo circa 8 o 9 anni nell’allora unico Cineforum di Milano, al Museo della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci, tutte le settimane, di sera.

    Ho visto immagini grandiose, storiche, epiche, geniali e ipnotizzanti che mi sono rimaste impressionate sulla retina per sempre, con la certezza e il riconoscimento della loro artisticità. Scorrono spesso sullo schermo della mia memoria.  Erano film come “Ordet” di Carl Theodor Dreyer, “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini, “Alexander Nevsky” di Sergei Eisentein e “la Strada” di Federico Fellini. In quelle immagini riconoscevo il genio, la follia, l’arte dell’estetica fotografica moderna; si sono sedimentate in me con tranquillità e mi hanno poi aiutato per sempre nel distinguere l’immagine intelligente da quella banale. Poi nel 1973 Mina Mazzini (che avevo conosciuto da poco grazie alla determinazione e alla caparbietà adolescenziali dell’amore assoluto che avevo per lei e la sua Arte), sapendo che io disegnavo mi chiese di farle delle fotografie durante la realizzazione di alcuni Caroselli. Accettai. Non avevo neppure una macchina fotografica e non avevo mai fatto una fotografia. Mi feci prestare una Nikon da un amico e realizzai delle fotografie che furono subito utilizzate per le copertine dei nuovi Album di Mina pochi mesi dopo. Iniziai così, con amore e totale incoscienza, a fare anche il fotografo.

    Ci sono tecniche fotografiche e pittoriche che ama maggiormente?

    In pittura amo molto disegnare con la china sulla carta; sentire il rumore (crr crr crr) che procura lo scorrere del pennino sulla carta è davvero meraviglioso! Ma disegno anche volentieri con le matite e i pastelli-gessetti. Sulla tela dipingo con i colori acrilici e i pastelli ad olio morbidi, ma sto tornando ad usare i classici colori ad olio. Nella fotografia la mia tecnica prioritaria è la ricerca della luce che meglio si adatta al viso della persona che sto ritraendo; ho una grande attrazione per il bianco e nero, tecnica che, con l’arrivo della fotografia digitale, è divenuta ancor maggiormente un motivo di ricerca estetica. Si ottiene in maniera diversa dalla fotografia analogica del secolo scorso. Le tonalità dei grigi, i contrasti, la luminosità sono ora ottenuti tramite il computer; ma il risultato è sempre una questione di scelte personali ed è quasi identico a quello ottenuto con la pellicola in ripresa e la successiva stampa su carta sensibile in camera oscura.

    Ci sono artisti che l’hanno ispirata maggiormente? 

    In pittura sono sempre in ginocchio davanti a Picasso, alla sua evoluzione geniale e rivoluzionaria. Amo tantissimo Giotto, il Beato Angelico, Michelangelo, El Greco, Ingres, Francis Bacon, Lucian Freud, Umberto Boccioni, Caravaggio (“Canestra di frutta” è uno dei capolavori assoluti della storia dell’Arte), Giorgio Morandi, Klimt. Recentemente ho scoperto Puvis de Chavannes, grande pittore francese dell’Ottocento, che Picasso aveva “guardato” con molta attenzione. Inoltre trovo modernissimi nelle pennellate libere (come solo poi a fine ‘800 accadrà) tutti i ritratti di El Fayum (durante l’impero Romano in Egitto). Per quanto riguarda la moderna arte concettuale, l’arte che parte principalmente da un’azione o da un concetto e in esso si sviluppa, mi attrae solo se il concetto è molto forte, come in Lucio Fontana. Il virtuale è meraviglioso come fonte di una coscienza collettiva primordiale dell’evoluzione artistica. In generale m’interessa e mi attrae molto la calligrafia pittorica, scultorea e mentale dell’artista. Se rimane solo concettuale senza personalità e carattere, mi appassiona di meno.

    Se le chiedessero di dare un consiglio ai giovani che si avvicinano alla pittura e al mondo dell’arte in generale, cosa si sentirebbe di consigliare loro? 

    Di fare, dal punto di vista artistico, solo quello che vogliono e di seguire il loro istinto senza ascoltare alcuno, ma solo le sirene del futuro, dopo aver conosciuto e studiato l’Arte del passato.

    Qual è la sua prossima mostra? 

    “Disegno, Pittura e Fotografia”, presso la Galleria di Palazzo Nicolaci a Noto dal 22 maggio al 25 luglio. Mostra curata dalla Presidente dell’Associazione Altera Domus, Paoletta Ruffino, e organizzata con il Patrocinio del Comune.

  • Frida Kahlo – Il caos dentro

    Aperta da sabato 10 ottobre, negli spazi della Fabbrica del Vapore a Milano, la mostra Frida Kahlo Il caos dentro, un percorso sensoriale altamente tecnologico e spettacolare che immerge il visitatore nella vita della grande artista messicana, esplorandone la dimensione artistica, umana, spirituale.

    Prodotta da Navigare con il Comune di Milano, con la collaborazione del Consolato del Messico di Milano, della Camera di Commercio Italiana in Messico, della Fondazione Leo Matiz, del Banco del Messico, della Galleria messicana Oscar Roman, del Detroit Institute of Arts e del Museo Estudio Diego Rivera y Frida Kahlo, la mostra è curata da Antonio Arévalo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita e Maria Rosso e rappresenta una occasione unica per entrare negli ambienti dove la pittrice visse, per capire, attraverso i suoi scritti e la riproduzione delle sue opere, la sua poetica e il fondamentale rapporto con Diego Rivera, per vivere, attraverso i suoi abiti e i suoi oggetti, la sua quotidianità e gli elementi della cultura popolare tanto cari all’artista.

    La mostra, dopo una spettacolare sezione multimediale con immagini animate e una avvincente cronistoria raccontata attraverso le date che hanno segnato le vicende personali e artistiche della pittrice, entra nel vivo con la riproduzione minuziosa dei tre ambienti più vissuti da Frida a Casa Azul, la celebre magione messicana costruita in stile francese da Guillermo Kahlo nel 1904 e meta di turisti e appassionati da tutto il mondo: la camera da letto, lo studio realizzato nel 1946 al secondo piano e il giardino.

    Segue la sezione I colori dell’anima, curata da Alejandra Matiz, direttrice della Fondazione Leo Matiz di Bogotà, con i magnifici ritratti fotografici di Frida realizzati dal celebre fotografo colombiano Leonet Matiz Espinoza (1917-1988). Matiz, considerato uno dei più grandi fotografi del Novecento, immortala Frida in spazi di quotidianità: il quartiere, la casa e il giardino, lo studio.

    Al piano superiore la mostra prosegue con una sezione dedicata a Diego Rivera: qui troviamo proiettate le lettere più evocative che Frida scrisse al marito. E una stanza dedicata alla cultura e all’arte popolare in Messico, che tanta influenza ebbero sulla vita di Frida, trattate su grandi pannelli grafici dove se ne raccontano le origini, le rivoluzioni, l’iconografia, gli elementi dell’artigianato: gioielli, ceramiche, giocattoli. Esposti alcuni esempi mirabili di collane, orecchini, anelli e ornamenti propri della tradizione che hanno impreziosito l’abbigliamento di Frida. Nella sezione seguente sono esposti gli abiti della tradizione messicana che hanno ispirato ed influenzato i modelli usati dalla Kahlo: gonne ampie e coloratissime, scialli e camiciole, copricapo e collane.

    Il focus sulla tradizione messicana procede con la sezione dedicata ad alcuni dei più conosciuti murales realizzati da Diego Rivera in varie parti del mondo: saranno proiettati nella loro interezza e in alcuni dettagli i ventisette pannelli murali che compongono il Detroit Industry Murals (Detroit, 1932), il Pan American Unity Mural (San Francisco, 1940) e Sueño de una tarde dominical en la Alameda Central (Città del Messico).

    Nella sezione FRIDA E IL SUO DOPPIO sono esposte le riproduzioni in formato modlight di quindici tra i più conosciuti autoritratti che Frida realizzò nel corso della sua carriera artistica, tra cui Autoritratto con collana (1933), Autoritratto con treccia (1941), Autoritratto con scimmie (1945), La colonna spezzata (1944), Il cervo ferito (1946), Diego ed io (1949). Il modlight è una particolare forma di retroilluminazione omogenea, in cui ogni dipinto, precedentemente digitalizzato, viene riprodotto su uno speciale film mantenendo inalterate le dimensioni originali.

    A conferma della grande fama globale di cui la pittrice messicana gode, la mostra prosegue con una straordinaria collezione di francobolli, dove Frida è stata effigiata, una raccolta unica con le emissioni di diversi stati.

    Il percorso comprende anche l’opera originale di Frida del 1938 Piden Aeroplanos y les dan Alas de Petate – Chiedono aeroplani e gli danno ali di paglia e sei litografie acquerellate originali di Diego Rivera.

    Lo spazio finale è riservato alla parte ludica e divertente dell’esposizione: la sala multimediale 10D combina video ad altissima risoluzione, suoni ed effetti speciali ed è una esperienza sensoriale di realtà aumentata molto emozionante, adatta a grandi e piccoli.

  • In arrivo a Milano alla Fabbrica del Vapore ‘Frida Kahlo. Il caos dentro’

    Frida Khalo torna a Milano dopo quasi due anni per aprirci il suo mondo, i suoi colori, le sue passioni, le sue stanze. Dal 10 ottobre 2020 al 28 marzo 2021 alla Fabbrica del Vapore di Milano arriva infatti Frida Khalo. Il caos dentro, un percorso sensoriale altamente tecnologico e spettacolare che immerge il visitatore nella vita della grande artista messicana, esplorandone la dimensione artistica, umana, spirituale.

    Prodotta da Navigare con il Comune di Milano, con la collaborazione del Consolato del Messico di Milano, della Camera di Commercio Italiana in Messico, della Fondazione Leo Matiz, del Banco del Messico, della Galleria messicana Oscar Roman, del Detroit Institute of Arts e del Museo Estudio Diego Rivera y Frida Khalo, la mostra è curata da Antonio Arèvalo, Alejandra Matiz, Milagros Ancheita e Maria Rosso e rappresenta un’occasione unica per entrare negli ambienti dove la pittrice visse, per capire, attraverso i suoi scritti e la riproduzione delle sue opere, la sua poetica e il fondamentale rapporto con Diego Rivera, per vivere, attraverso i suoi abiti e i suoi oggetti, la sua quotidianità e gli elementi della cultura popolare tanto cari all’artista.

    In attesa di visitarla raccontiamo cosa lo spettatore potrà vedere nei prossimi mesi, provando ad immaginare il tripudio di colori e fantasia al quale assisterà.

    La mostra, dopo una spettacolare sezione multimediale con immagini animate e una avvincente cronistoria raccontata attraverso le date che hanno segnato le vicende personali e artistiche della pittrice, entra nel vivo con la riproduzione minuziosa dei tre ambienti più vissuti da Frida a Casa Azul, la celebre magione messicana costruita in stile francese da Guillermo Kahlo nel 1904 e meta di turisti e appassionati da tutto il mondo: la camera da letto, lo studio realizzato nel 1946 al secondo piano e il giardino.

    Dopo la sezione ‘I colori dell’anima’ con i magnifici ritratti fotografici di Frida realizzati dal celebre fotografo colombiano Leonet Matiz Espinoza, si passa al piano superiore con una sezione dedicata a Diego Rivera in cui verranno proiettate le lettere più evocative che Frida scrisse al marito. E una stanza dedicata alla cultura e all’arte popolare in Messico, che tanta influenza ebbero sulla vita della Khalo, trattate su grandi pannelli grafici dove se ne raccontano le origini, le rivoluzioni, l’iconografia, gli elementi dell’artigianato: collane, orecchini, anelli e ornamenti propri della tradizione che hanno impreziosito l’abbigliamento di Frida. Nella sezione seguente sono esposti gli abiti della tradizione messicana che hanno ispirato ed influenzato i modelli usati dalla celebre artista.

    Nella sezione FRIDA E IL SUO DOPPIO sono esposte le riproduzioni in formato modlight di quindici tra i più conosciuti autoritratti che la Khalo realizzò nel corso della sua carriera artistica, tra cui Autoritratto con collana (1933), Autoritratto con treccia (1941), Autoritratto con scimmie (1945), La colonna spezzata (1944), Il cervo ferito (1946), Diego ed io (1949).

    A conferma della grande fama globale di cui la pittrice messicana gode, la mostra prosegue con una straordinaria collezione di francobolli, dove Frida è stata effigiata, una raccolta unica con le emissioni di diversi Stati.

    Il percorso comprende anche l’opera originale di Frida del 1938 Piden Aeroplanos y les dan Alas de Petate – Chiedono aeroplani e gli danno ali di paglia – e sei litografie acquerellate originali di Diego Rivera.

    Lo spazio finale è riservato alla parte ludica e divertente dell’esposizione: la sala multimediale 10D combina video ad altissima risoluzione, suoni ed effetti speciali ed è una esperienza sensoriale di realtà aumentata molto emozionante, adatta a grandi e piccoli.

    Non resta che aspettare qualche mese per essere catapultati, come d’incanto, dal centro di Milano alla casa Azul.

  • Per la prima volta in mostra in Italia l’arte di Georges de La Tour

    E’ arrivata a Milano lo scorso 7 febbraio, e per la prima volta in Italia, la mostra Georges de La Tour: l’Europa della luce, a Palazzo Reale fino al 7 giugno 2020. Dedicata al più celebre pittore francese del Seicento e ai suoi rapporti con i grandi maestri del suo tempo, la mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano Cultura, Palazzo Reale e MondoMostre Skira ed è a cura della Prof.ssa Francesca Cappelletti e di Thomas Clement Salomon. Un progetto che si presenta particolarmente complesso per diversi aspetti, tra i quali il numero di prestatori (28 da tre continenti) che ha coinvolto alcune delle più grandi istituzioni internazionali come la National Gallery of Art di Washington D.C., il J. Paul Getty Museum di Los Angeles, il Musée des Beaux-Arts di Nantes e alcuni importanti musei italiani come la Galleria degli Uffizi, la Pinacoteca Vaticana, la Galleria nazionale d’Arte Antica-Palazzo Barberini.

    Quella di de La Tour è una pittura caratterizzata da un profondo contrasto tra i temi “diurni”, crudamente realistici, che ci mostrano un’esistenza senza filtri, con volti segnati dalla povertà e dall’inesorabile trascorrere del tempo e i temi “notturni” con splendide figure illuminate dalla luce di una candela: modelli assorti, silenziosi, commoventi. Dipinti che conservano il segreto della loro origine e della loro destinazione. Come rimane un mistero la formazione del pittore, compresa la possibilità o meno di un suo viaggio italiano.

    La prima mostra in Italia dedicata a Georges de La Tour, attraverso dei mirati confronti tra i capolavori del Maestro francese e quelli di altri grandi del suo tempo – Gerrit van Honthorst, Paulus Bor, Trophime Bigot e altri – invita a fare una nuova riflessione sulla pittura dal naturale e sulle sperimentazioni luministiche, per affrontare i profondi interrogativi che ancora avvolgono l’opera di questo misterioso artista.

    Malgrado l’alone di mistero che avvolge l’artista lorenese e la sua opera, da decenni ormai Georges de La Tour è uno dei pittori prediletti dai francesi e non solo. Inevitabile il paragone con Caravaggio con il quale l’artista francese condivide il senso drammatico, teatrale, della composizione e lo studio accurato della luce anche se non è dato sapere se de la Tour abbia mai avuto modo di ammirare le opere del Merisi.

    Tra i capolavori in mostra a Milano Maddalena penitente, La rissa tra musici mendicanti, Il Suonatore di ghironda col cane, Il denaro versato, I giocatori di dadi, La negazione di Pietro, Giovane che soffia su un tizzone, Educazione della Vergine.

    Della vita di de La Tour non si sa molto (i quadri che risultano datati sono infatti solo tre: Il denaro versato di Leopoli, forse 1625- 1627, La negazione di Pietro di Nantes,1650, entrambi in mostra e San Pietro e il gallo di Cleveland, 1645), fu un pittore molto stimato ai suoi tempi però le sue tracce, e quelle della sua opera, si persero durante tutto il XVIII e XIX secolo anche a causa delle guerre per l’indipendenza che sconvolsero la sua terra natale. Fu riscoperto solo gli inizi del Novecento quando, nel 1915, il tedesco Hermann Voss pubblicò un articolo rivelatore sulla sua opera. Da allora storici dell’arte e critici non hanno più smesso di interessarsi alla sua opera. Artista enigmatico, che ritrae angeli presi dal popolo, santi senza aureola né attributi iconografici, e che predilige soggetti presi dalla strada, come i mendicanti, dipingendo in generale gente di basso rango più che modelli storici o personaggi altolocati ricorda tanto i soggetti dei capolavori di Caravaggio.

    Il percorso della mostra milanese è arricchito da una ventina di splendide opere di artisti coevi come Paulus Bor, Jan Lievens, Throphime Bigot, Frans Hals con due magnifici ritratti di apostoli, Jan van Bijlert, Gerrit Van Honthorst conosciuto in Italia come Gherardo delle Notti con la splendida Cena con sponsali dagli Uffizi, Adam de Coster, Carlo Saraceni con una bellissima Natività da Salisburgo.

    Un’esposizione unica e imperdibile considerato che in Italia non vi è conservata nessuna opera di La Tour e sono solo circa 40 le opere certamente attribuite al Maestro, di cui in mostra ne sono esposte 15 più una attribuita.

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