ponti

  • Storie di ponti

    Nel 1828, in quattro anni, su progetto di Luigi Giura, fu realizzato il primo ponte sospeso a catenaria di ferro, sul fiume Garigliano nei pressi del parco archeologico di Minturno. Il ponte fu il primo in Italia a essere costruito a catenaria di ferro, per quei tempi all’avanguardia in Europa e nel mondo.

    Prima della costruzione di questo ponte in Europa erano già stati realizzati ponti sospesi a catena di ferro, ma non sempre erano risultati affidabili come quello dell’ingegner Giura.

    Questo ponte ha una luce netta di 80,40 metri tra gli assi dei piloni, complessivamente è lungo 128 metri ed i lavori, iniziati nel 1828, si conclusero il 30 aprile 1832. Purtroppo nel 1943 la campata fu minata in due punti e fatta esplodere dall’esercito tedesco, ma piloni e basi non subirono danni irreparabili e il ponte fu restaurato nel 1998, con un progetto di archeologia industriale finanziato dalla Ue.

    Per quale motivo abbiamo ricordato l’ingegner Giura e il ponte sul Garigliano? Perché ci sembra assurda tutta la vicenda legata al ponte sullo stretto di Messina del quale si parla di decenni, con una spesa enorme già effettuata senza nessun risultato e con la certezza, purtroppo matematica, che se e quando i lavori inizieranno ci metteranno, comparabilmente, un tempo nettamente superiore a quanto è stato impiegato, con mezzi ben diversi da quelli attuali, per il ponte sul Garigliano nel XIX secolo.

    Inoltre se in quattro anni si è potuto costruire un ponte come quello sul Garigliano come è possibile, da queste pagine lo abbiamo denunciato più volte, che a distanza di sette anni dal tragico crollo del ponte Morandi a Genova siamo ancora nella situazione per la quale centinaia di viadotti e ponti in Italia non sono stati adeguatamente ristrutturati e rinforzati?

    Tutti coloro che viaggiano sanno che da anni si è fatta la scelta di chiudere, nei punti dove ci sono delle problematiche, una delle corsie per rallentare il traffico di auto e camion, come se rallentandolo diminuisse il carico sui piloni.

    Lavori in corso, veri e falsi, che durano da anni, creando un danno all’economia e alle persone e perciò, di conseguenza, allo Stato.

    Il ministro Salvini ha tempo qualche volta di leggere la storia dei ponti italiani, come quello dell’ingegner Giura, di paragonare l’efficienza del suo ministero a quello dell’epoca borbonica, di occuparsi delle centinaia di ponti e cavalcavia, piccoli e grandi, che aspettano che il suo ministero finanzi, attraverso Regioni e Province, i lavori necessari ed urgenti?

    Possiamo comprendere che Salvini voglia tentare di passare alla cronaca o perfino alla storia come l’uomo che ha realizzato il ponte sullo stretto, lo vedremo noi o i nostri posteri, ma certamente entrerà negli annali come colui che non ha finanziato, per tempo, le opere necessarie in tutta Italia e non ha fatto costruire, né in Sicilia né il Calabria, quelle strade e ferrovie che darebbero un senso alla costruzione del ponte sullo stretto.

  • A 7 anni dal Morandi in ogni provincia si contano decine di ponti ancora da riparare

    Almeno 33 ponti nella sola provincia di Piacenza sono sotto osservazione e 4 di loro appaiono in condizioni critiche (sul Perino lungo la Provinciale 39 del Cerro, nei comuni di Coli e Travo; sulla linea ferroviaria Milano-Bologna lungo la Provinciale 53 di Muradolo, in comune di Pontenure; il ponte sul Chiavenna sulla Provinciale 587R di Cortemaggiore; sul Trebbia lungo la Provinciale 24 del Brallo nei comuni di Cerignale e Brallo di Pregola).

    Passati ormai 7 anni dal crollo del ponte Morandi a Genova, la rilevazione dei ponti a rischio è ancora in corso in tutte le province italiane e non appare vicina a concludersi. L’avvio del Ponte sullo Stretto aveva addirittura portato il ministero delle Infrastrutture a ipotizzare una riduzione dei fondi che negli anni sono stati messi a disposizione degli enti locali per il monitoraggio della situazione dei ponti e gli interventi di manutenzione, ma la protesta degli stessi enti locali ha indotto il ministero a fare retromarcia.

    Per la messa in sicurezza dei ponti sono stati messi a punti diversi programmi pluriennali di finanziamento, rivolti tanto ai piccoli comuni quanto alle province e ad autostrade, cui gli enti interessati possono accedere tramite apposita domanda. La ricognizione dello stato delle opere e la loro manutenzione ricade infatti nella competenza e nelle responsabilità degli enti sul cui territorio si trovano le opere, mentre il governo – tramite il ministero – funge da finanziatore degli interventi di osservazione e riparazione per i quali venga fatta richiesta. Nel 2022 il governo aveva concordato con gli enti locali (province e città metropolitane) uno stanziamento di 1,4 miliardi per i ponti e viadotti di loro pertinenza, da utilizzare fino al 2029, ma oltre a questo provvedimento sono state adottate anche altre misure a favore dei centri minori. Uno studio del Politecnico di Milano aveva indicato che 1.900 su 61.000 ponti presi in esame necessitassero di interventi di messa in sicurezza.

  • Ponti e infrastrutture

    La prima tratta dell’A1 fu iniziata nel maggio 1956 e finita nel dicembre 1958, 49,7 km costruiti in 2 anni e 7 mesi, in un’Italia da poco uscita dalla guerra e con strumenti tecnologici all’epoca molto inferiori a quelli odierni.

    A fronte dell’efficienza di quei tempi, oggi le cosiddette grandi opere richiedono una media di 30 anni per essere realizzate e non sempre vengono finite neppure in trenta anni.

    Dal 2001, dal governo Berlusconi in poi, il Piano delle Grandi Infrastrutture sembra non avere mai fine, per fare degli esempi, la linea Milano-Verona-Padova la cui progettazione risale nel 2003 e la cui ultimazione è pronosticata per il 2030, presenta uno stato di avanzamento dei lavori solo del 50%, idem per il collegamento ferroviario transalpino Torino-Lione (progettazione 2001 – completamento 2030) e l’alta velocità Palermo-Catania (progettazione 2014-fine lavori 2030), pure al 50% di avanzamento dei lavori. Altre tre opere sono anch’esse al 50% dei lavori benché la loro progettazione risalga a prima del 2000: l’autostrada mediterranea Salerno-Reggio Calabria (avvio progettazione nel 1999), il nuovo Valico del Brennero (avvio progettazione nel 1999) e, maggior scandalo, il terzo Valico dei Giovi, che ebbe l’avvio di progettazione nel 1991, il termine dei lavori era programmato nel 2027 ma ad oggi i lavori sono avanzati solo al 50%. Per quest’ultima opera sono trascorsi 34 anni dall’avvio della progettazione e nonostante la particolare urgenza date le necessità del porto di Genova richiederà ancora anni per essere ultimata.

    Se il governo e soprattutto il ministro di Infrastrutture e Trasporti, invece di occuparsi, spesso ‘indebitamente’, di politica estera, si dedicasse a seguire con maggior efficienza il suo dicastero, forse si potrebbe sperare in un’accelerazione dei lavori per terminare le infrastrutture, la mancanza delle quali rallenta lo sviluppo e la modernizzazione del Paese.

    Se lo stesso ministro tralasciasse, vista la oggettiva carenza di risorse economiche (tutte le opere che abbiamo indicato mancano di una quota consistente di copertura finanziaria), di incaponirsi sul Ponte sullo Stretto, forse potremmo completare gli altri interventi veramente necessari.

    A quest’elenco mancano tutti i ponti e i cavalcavia che, dopo il disastro del ponte Morandi di Genova, sono stati ispezionati e ritenuti non sicuri e per i quali sono in parte, non in tutti, iniziati lavori che non finiscono mai.

    Qualunque automobilista o autotrasportatore ha purtroppo sperimentato, e continua a sperimentare, le lungaggini e inefficienze dei troppi lavori in corso da anni, basta pensare ai collegamenti autostradali liguri e alle problematiche che la corsia unica comporta, non solo per il turismo ma anche per la logistica e quindi per l’economia tutta.

    Se vi sono oggettive responsabilità dei governi precedenti l’attuale, sono altrettanto oggettive le responsabilità che ha il ministro di Infrastrutture e Trasporti in carica da ormai circa tre anni.

  • Tanti ponti, per la maggioranza vecchi. Per sistemarli servono stanziamenti ma anche competenze

    A causa dell’orografia italiana piuttosto irregolare, il patrimonio di ponti e viadotti stradali è piuttosto rilevante. La loro realizzazione, spesso durante gli anni del boom economico, è avvenuta in assenza di norme specifiche sulla durabilità, qualità dei materiali, manutenzione programmata.

    Il nostro sistema di infrastrutture stradali ha bisogno di attenzione e azioni di manutenzione efficaci e mirate, perché la maggior parte dei ponti e viadotti italiani è stato costruito tra il 1955 e il 1980. Lo dice il rapporto dell’istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, che risale al giugno del 2018 (mancava poco più di un mese al crollo del Ponte Morandi a Genova). Rimediare “a posteriori” è oggettivamente complesso, oltre che molto costoso.

    Spiega Fabio Biondini, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Civile e Ambientale del Politecnico di Milano: “Il problema della durabilità delle strutture e dei ponti in particolare, è emerso nella sua effettiva importanza solo negli ultimi decenni e ha richiesto anni di studi e ricerche per una migliore comprensione del ruolo dei fenomeni di fatica e degrado dei materiali.

    Gli effetti di questi fenomeni risultano esacerbati anche dalla continua crescita dei volumi di traffico. Oggi i criteri di progettazione, manutenzione e gestione dei ponti si stanno modificando profondamente attraverso un approccio a ciclo di vita, nel quale si valutano le prestazioni strutturali nel tempo durante le fasi di esercizio dell’opera fino alla sua dismissione, in modo da garantire un adeguato livello di sicurezza durante l’intera vita di servizio attesa”.

    Secondo i dati di uno studio condotto da Carlo Castiglioni e Alessandro Menghini del Politecnico di Milano presentato nel 2021, ci sono almeno 1.900 ponti in Italia, sui 61mila osservati, che presentano “altissimi rischi strutturali”. Inoltre più di 18mila viadotti presentano alcune criticità e necessitano interventi di manutenzione. Più del 50% dei ponti ha un’età superiore ai 50 anni contro una media nei Paesi del G7 che si attesta fra i 20 e i 30 anni.

    Da più di 50 anni in Italia si cerca di normare la vigilanza sulle opere d’arte stradali. Dopo il crollo, il 18 gennaio del ’67, delle campate centrali del ponte di Ariccia, una costruzione dell’800 sulla via Appia ricostruita in maniera approssimativa dopo la seconda guerra mondiale (già due anni prima del crollo si erano individuate crepe nel ponte, come scrissero i giornali dell’epoca), venne emanata la Circolare LL. PP. n° 6736/61/AI del 19.07.1967 che stabilisce l’importanza della vigilanza assidua del patrimonio delle opere d’arte stradali e delle operazioni di manutenzione e ripristino. Tutto ciò si doveva realizzare attraverso l’esecuzione di una ispezione trimestrale, eseguita da tecnici, e da un’ispezione annuale eseguita da ingegneri il tutto corredato da rapporti d’ispezione. Con il decreto del 1° luglio 2022 il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha diffuso le Linee guida per la classificazione e gestione del rischio, la valutazione della sicurezza ed il monitoraggio dei ponti esistenti.

    Con il Decreto 5 maggio 2022 (in GU n.164 del 15-7-2022)  il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili ha ripartito il Fondo  per la messa in sicurezza dei ponti e viadotti esistenti e la realizzazione di nuovi ponti. Si tratta di un programma di 6 anni dal 2024 al 2029. Sono previsti 100 milioni per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e 300 milioni per ciascuno degli anni dal 2026 al 2029. Le risorse sono ripartite tra le province e le città metropolitane.

    Secondo Antonio Occhiuzzi, Direttore dell’Istituto di Tecnologia delle Costruzioni del Car, “Il problema ha dimensioni grandissime: il costo di un ponte è pari a circa 2.000 euro/mq; pertanto, ipotizzando una dimensione “media” di 800 mq e un numero di ponti pari a 10.000, le cifre necessarie per l’ammodernamento dei ponti stradali in Italia sarebbero espresse in decine di miliardi di euro”.

  • Solo risistemando le tante opere pubbliche l’edilizia diventa viva e dà lavoro

    Il cedimento di un tratto del cavalcavia XXV aprile, alla periferia di Novara, dove ha rischiato di morire la conducente del veicolo precipitato, in parte, nella voragine apertasi improvvisamente nell’asfalto, è l’ennesimo esempio del deterioramento di troppe infrastrutture e della assoluta indifferenza di coloro che sono preposti alle manutenzioni ed ai controlli.

    Dalla caduta del ponte di Genova sono accaduti altri incidenti, fortunatamente meno gravi, ed è stato verificato che molti ponti e cavalcavia sono a rischio con gravi cedimenti. Tuttora, in molti casi, questi tratti, evidenziati come pericolosi, sono transitabili solo in parte ma le opere di rifacimento sono ancora di là da venire o sono eseguite in modo non idoneo come nel caso del cavalcavia XXV aprile, rimasto chiuso per un anno nel 2015, e poi rimodernato e riaperto ed ora parzialmente crollato!

    Fino a quando si continuerà a giocare con la vita? Quando l’accertamento delle responsabilità sarà finalmente rapida ed i processi immediati?

    Si è tanto parlato della necessità, per far ripartire l’economia dopo il covid, di dare impulso all’edilizia e come sempre ci si è dimenticati che questo settore solo con il ripristino di quanto è gravemente ammalorato e pericolante avrebbe da lavorare per anni.

    Altro che 110 che ha portato ad un insano aumento dei costi, veri o presunti, dei materiali e che presto dovrà per forza finire lasciando imprese e lavoratori a casa, è risistemando le tante opere pubbliche che attendono lavori da anni, rifacendo ponti, strade, acquedotti, costruendo case popolari, delle quali c’è urgenza da anni, che l’edilizia diventa viva e dà lavoro e che si eviteranno sciagure annunciate.

  • I cinesi battono europei e americani e costruiscono il ponte più lungo sull’Artico

    Paolo Balmas, giornalista della rivista Transatlantico di Andew Spannaus, riferisce che a Sichuan Road & Bridge Group (SRBG) ha completato il ponte sospeso di Halogaland presso la città norvegese di Narvick, nel Circolo polare artico. Il ponte, ribattezzato Arctic Mega Bridge, è il più lungo della regione artica (supera il chilometro e mezzo di lunghezza) e la SRBG se ne è aggiudicata la realizzazione nel 2013, battendo compagnie europee e statunitensi. La sfida maggiore è stata portare a termine il progetto in tempi ristretti, dato che il clima della regione consente di lavorare solo 6 mesi su 12. Con questo progetto la Cina, e ancor più la SRBG, ha dimostrato la propria capacità di portare a termine lavori di alta qualità, dopo le continue critiche di voler portare in Europa infrastrutture realizzate a basso costo (troppo competitivo per le imprese occidentali) e con materiali scadenti.

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