profughi

  • La Ue prepara un piano e stanzia oltre un miliardo per smistare gli afghani in arrivo

    Aiuti umanitari all’Afghanistan e assistenza finanziaria ai Paesi della regione per i profughi: il piano dell’Ue per allontanare il fantasma di una nuova crisi migratoria è delineato, ma ora occorre mettere in piedi l’impalcatura, convincere Iran e Pakistan per ora riluttanti ad accogliere, e trovare il denaro necessario per ‘compact’ tagliati su misura. Accordi che comunque saranno sulla falsariga di quanto già fatto con la Turchia per i richiedenti asilo siriani, nel 2016. Sul tavolo ci sono almeno 1,1 miliardi di euro.

    Le cifre note per il momento sono i 200 milioni di euro di aiuti umanitari annunciati dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, alla fine di agosto, che dovranno affluire attraverso le organizzazioni non governative ed il sistema delle Nazioni Unite. Ma a questi si aggiungono almeno 600 milioni di euro per l’Afghanistan, accantonati ad inizio anno sotto Ndici, lo strumento per il finanziamento delle politiche di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, per il periodo 2021-2025. Risorse che ora si pensa di ridistribuire in modo massiccio ai Paesi del vicinato per aumentare le capacità di accoglienza, passando da un approccio bilaterale Ue-Afghanistan ad una strategia regionale che includa Pakistan e Iran, ma con l’aggiunta di ulteriori aiuti, ancora tutti da quantificare. Anche perché il 10% dei 79,5 miliardi di Ndici è riservato alla priorità della gestione delle migrazioni, e proprio da qui dovrà arrivare anche buona parte dei 3,5 miliardi per rinnovare l’intesa con Ankara sui richiedenti asilo. Al conto si potrebbero poi aggiungere i 300 milioni di euro per i 30mila reinsediamenti di profughi che Bruxelles conta di fare fino al 2022, totalizzando così fino ad 1,1 miliardi di euro. Ma anche nel caso dei 300 milioni occorre ricordare che la cifra è generale, non dedicata nello specifico ai profughi afghani, e anche in questo caso destinata probabilmente a lievitare.

    Riuniti il 31 agosto dalla commissaria europea agli Interni, Ylva Johansson per discutere della questione dei rifugiati e dei fuggitivi afghani, i ministri degli Interni dei 27 Paesi dell’Ue hanno convenuto, come ha spiegato la stessa commissaria, che occorre ” evitare una crisi umanitaria per evitare una crisi migratoria: dobbiamo aiutare gli afghani in Afghanistan. Ci sono persone sfollate internamente che hanno cominciato già a rientrare nelle proprie case”. Della questione, la commissaria ha parlato anche col segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, e col segretario americano alla Sicurezza interna, Alejandro Mayorkas. “L’Un Women sostiene ad esempio case sicure per le donne, ci sono tante cose che noi possiamo sostenere in Afghanistan e dovremmo farlo. Così come dobbiamo sostenere i Paesi confinanti che finora non hanno visto grandi movimenti di afghani ma questo potrebbe cambiare”, ha detto ancora la Johansson. “Dobbiamo anche dare protezione alle persone che hanno immediato bisogno di protezione internazionale, diversi Stati membri hanno già evacuato donne procuratrici, attiviste per i diritti umani, giornalisti, autori, e altri che sono in pericolo immediato”, ha evidenziato. “Dobbiamo prevenire che le persone si inseriscano nelle rotte dei trafficanti verso l’Unione europea lavorando con le persone in Afghanistan, nei Paesi confinanti. Ma dobbiamo prevenire le rotte irregolari. Sono per il 90% uomini quelli che prendono queste rotte invece noi dobbiamo dare protezione ai vulnerabili, donne e ragazze”, ha aggiunto Johansson.

    Il medesimo concetto è stato esposto molto chiaramente anche nelle dichiarazioni conclusive approvate dai ministri: “L’Ue e i suoi Stati membri sono determinati ad agire congiuntamente per prevenire il ripetersi di movimenti migratori illegali su larga scala incontrollati affrontati in passato, preparando una risposta coordinata e ordinata”, si legge nel documento. “Si dovrebbero evitare incentivi all’immigrazione irregolare”. E per farlo “l’Ue dovrebbe rafforzare il sostegno ai Paesi dell’immediato vicinato dell’Afghanistan per garantire che coloro che ne hanno bisogno ricevano un’adeguata protezione principalmente nella regione”. La parola d’ordine è “non deve ripetersi uno scenario del 2015”, in cui centinaia di migliaia di persone hanno preso la rotta per l’Ue.  “La necessità di una comunicazione esterna ma anche interna unificata e coordinata è fondamentale” e “dovrebbero essere lanciate campagne informative mirate per combattere le narrazioni utilizzate dai trafficanti, anche nell’ambiente online, che incoraggiano le persone a intraprendere viaggi pericolosi e illegali verso l’Europa”, si legge nel documento.

    La linea era stata anticipata dai ministri di Austria, Danimarca e Repubblica Ceca al loro arrivo alla riunione: “Siamo disponibili ad aiutare gli afghani ma devono restare nella regione”, avevano dichiarato. E i ministri dell’Ue per evitare “pull factor” non hanno voluto fornire numeri sulla disponibilità di reinsediamenti, nonostante la volontà di diversi Stati membri ad aumentarli.

    Oltre che dal forum di alto livello a cui sta lavorando la commissaria agli Affari interni Ylva Johansson, la gestione dei rifugiati afghani passa per l’impegno del premier Mario Draghi e del presidente francese Emmanuel Macron, che si sono visti a inizio settembre a Marsiglia. L’asse tra Roma e Parigi appare infatti come la nuova leadership in grado di trainare l’Unione dopo l’uscita di scena della cancelliera Angela Merkel. Alla vigilia dell’incontro con Macron Draghi ha parlato anche col segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, soffermandosi sugli ultimi sviluppi della crisi afghana, con approfondimenti sulle prospettive dell’azione della comunità internazionale nei diversi fori, incluso il G20, convenendo sul ruolo centrale che l’Onu può svolgere in relazione soprattutto all’assistenza umanitaria.

    I contatti sono stati frenetici anche a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Solo per fare alcuni esempi, l’Alto rappresentante Josep Borrell ha sentito i ministri degli Esteri pakistano e iraniano. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha parlato col premier di Islamabad, Imran Khan. Mentre il capo della diplomazia tedesca Heiko Maas ha incontrato l’omologo pakistano Shah Mahmood Qureshi e lo stesso ha fatto il giorno dopo la ministra olandese Sigrid Kaag.

    Occorre fare presto. Secondo il Financial Times infatti l’Afghanistan è prossimo al collasso finanziario. I prezzi dei beni di prima necessità come farina, olio e carburante sono schizzati alle stelle, e gli stipendi non vengono più pagati. Le code di fronte alle banche e agli sportelli automatici per prelevare pochi spiccioli si fanno di giorno in giorno più lunghe. E senza sbocco sul mare e dipendente dalle importazioni, il Paese è tagliato fuori dal mondo: i suoi confini sono per lo più chiusi ed i talebani non sono in grado di accedere a circa 9 miliardi di dollari di riserve di valuta estera congelate. I donatori, inclusi gli Stati Uniti, il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale hanno interrotto i finanziamenti, in uno Stato dove gli aiuti esteri rappresentano oltre il 40% del prodotto interno lordo.

  • Apparenze che ingannano

    Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri.

    Madre Teresa

    L’attenzione pubblica, politica e mediatica continua ad essere focalizzata su quello che sta accadendo in Afghanistan. Anche la settimana appena passata è stata carica di avvenimenti e di sviluppi a livello locale ed internazionale. I talebani avrebbero preso il controllo del territorio. Compresa anche la Valle di Panshir, l’ultima provincia dove continuava la resistenza del Fronte della resistenza nazionale afghana. Proprio oggi, 6 settembre, riferendosi a questa pretesa vittoria, il portavoce dei talebani ha dichiarato che “…con questa vittoria il nostro Paese è completamente libero”. Non ha tardato però neanche la contestazione di questa notizia da parte dei diretti interessati: “…Le forze del Fronte nazionale della resistenza sono presenti in tutte le posizioni strategiche in tutta la valle per continuare a combattere  […] Garantiamo al popolo afghano che la lotta contro i talebani e i loro alleati continuerà fino a quando non prevarranno giustizia e libertà”. Ma comunque sia, la vera realtà si verrà a sapere presto. Il portavoce ufficiale dei talebani ha di nuovo ripetuto l’annuncio che, a breve, in Afghanistan i talebani costituiranno il loro “governo islamico e responsabile”. Un nuovo governo che sarebbe “inclusivo”, ma senza la presenza delle donne. Sempre secondo fonti mediatiche risulterebbe che l’Afghanistan potrebbe adottare una organizzazione statale tale che il Paese non sarebbe né una repubblica e né un emirato. Il nuovo governo talebano avrebbe due “anime”: una religiosa e una politica. In qualche modo si tratterebbe di un modello, in chiave sunnita, simile a quello adottato in Iran dopo la rivoluzione del 1979, guidata dall’Ayatollah Khomeyni. In più oggi, 6 settembre, il portavoce dei talebani ha dichiarato che ”…i talebani vogliono buoni rapporti con il mondo”. Da precedenti dichiarazioni ufficiali e da fonti mediatiche si era venuto a sapere che i talebani stavano attuando una nuova “strategia” politica e diplomatica. Loro hanno invitato ufficialmente tutte le nazioni che hanno rapporti diplomatici con l’Afghanistan, particolarmente gli Stati Uniti d’America e i Paesi dell’Europa occidentale, a riprendere e riattivare questi rapporti interrotti dopo il 15 agosto scorso. E come si sta verificando dal 15 agosto, dopo la presa del controllo su Kabul, i talebani stanno usando un moderato, inedito e non bellicoso linguaggio mediatico. Ben diverso da quello usato in precedenza. Il tempo, che è sempre un galantuomo, testimonierà se questo nuovo approccio rappresenta una nuova mentalità, oppure è semplicemente una voluta e ingannatrice apparenza. Quanto è accaduto e testimoniato durante queste ultime settimane affermerebbe, purtroppo, la seconda ipotesi. Staremo a vedere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore su delle similitudini tra quanto era accaduto e sta accadendo in Afghanistan e in Albania. Ma erano soltanto alcune delle molte altre, ben evidenziate, somiglianze. Somiglianze caratteriali tra le persone che hanno avuto ed hanno delle responsabilità istituzionali e governative. Ma anche somiglianze nelle “strategie dell’esportazione della democrazia” adottate ed attuate dagli Stati Uniti d’America sia in Afghanistan che in Albania (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021).

    La scorsa settimana in Albania il primo ministro ha annunciato la composizione del suo nuovo governo, il terzo, dopo la “vittoria” elettorale nelle elezioni del 25 aprile scorso. Il nostro lettore è stato informato, con la dovuta oggettività e a più riprese dall’autore di queste righe, sia prima che dopo quelle elezioni, della “strategia vincente” del primo ministro, in stretta collaborazione con la criminalità organizzata. “Strategia” che ha funzionato anche perché, guarda caso, i “rappresentanti internazionali”, presenti e molto attivi in Albania, compresi quelli statunitensi, non hanno visto, sentito e capito nulla di tutto quello che da mesi stava accadendo! Ebbene, giovedì scorso il primo ministro albanese ha ufficialmente comunicato la composizione del suo terzo governo. Ci saranno, oltre a lui e al suo vice, quindici ministri. Ci saranno soltanto tre ministri uomini, dando così a dodici donne altrettanti ministeri. E questa è l’unica somiglianza mancata con il nuovo governo afghano, la cui costituzione è stata annunciata la scorsa settimana e sarà attuata nei prossimi giorni. Una sola differenza che ha a che fare con delle diverse realtà nei rispettivi Paesi. Almeno i dirigenti afghani, però, nonostante stiano cercando di apparire diversi da quelli che erano nel 2001, non nascondono la loro mentalità fondamentalista. Mentre la scelta di apparire del primo ministro albanese si basa sulla “mentalità aperta” occidentale. Ma, fatti accaduti, documentati e testimoniati alla mano, dimostrerebbero, senza equivoci, che si tratta semplicemente di una ingannatrice apparenza. Sono e rimangono purtroppo, sempre gli stessi, sia i dirigenti talebani, che il primo ministro albanese. Nonostante le apparenze e nonostante quello che stanno cercando di fare sembrare. Sono gli stessi e/o i discendenti dei talebani che il 12 marzo del 2001 hanno barbaramente distrutto due statue colossali di Buddha, scolpite nella roccia tra il III e il V secolo nella valle di Bamiyan in Afghanistan. Ed è lo stesso primo ministro albanese che finalmente ha messo in atto un suo progetto che durava da circa venti anni. Proprio lui ha ordinato la barbara e talebana distruzione dell’edificio del Teatro Nazionale in pienissimo centro di Tirana. Una distruzione attuata vigliaccamente nelle primissime ore del 17 maggio 2020 e in pieno regime di chiusura dovuta alla pandemia da coronavirus. Il nostro lettore è stato, come sempre, informato a tempo debito di questo atto vandalico e molto significativo. In quanto alla massiccia presenza femminile nel nuovo governo albanese, tutti sanno che si tratta semplicemente di una scelta di facciata, di una “novità” mediatica e propagandistica. Perché in Albania, fatti pubblicamente noti alla mano, è convinzione diffusa che si tratta delle “marionette” manipolate dallo stesso ed unico “puparo”: il primo ministro albanese. Mentre i membri maschi del nuovo governo, tutti, primo ministro compreso, sono delle persone coinvolte in diversi scandali documentati e pubblicamente noti. In tutti i Paesi normali e democratici loro sarebbero finiti sotto inchieste giudiziarie. E ci sarebbero state tante inchieste. Veramente tante! Ma siccome il sistema “riformato” della giustizia, anche con il “beneplacito e la benedizione” dei soliti “rappresentanti internazionali” in Albania, è sotto il diretto controllo personale del primo ministro, e tramite lui, anche di certi raggruppamenti occulti locali ed internazionali, niente di tutto ciò è accaduto e potrà accadere!

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore che il primo ministro albanese si era “offerto” tra i primi, dopo il 15 agosto scorso, ad ospitare i profughi afghani. Tutto semplicemente per pura campagna propagandistica e mediatica. Perché il governo albanese, insieme con altri governi, in diverse parti del mondo, era stato contattato, alcuni mesi fa, dall’amministrazione statunitense per la sistemazione provvisoria dei profughi. Una “mossa” propagandistica quella del primo ministro albanese che ha permesso a lui di essere intervistato da diversi media internazionali. Ed era proprio quello su cui lui puntava: rendersi “mediaticamente visibile” (Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania, 1 settembre 2021). Ma anche durante le sue interviste il primo ministro albanese ha consapevolmente mentito, mentito ed ingannato, deformando volutamente le verità storiche, per rendere le sue dichiarazioni “impressionanti” e fare colpo. Sempre cercando di mettere in evidenza il suo essere “umanitario”, la sua “magnanimità” e la sua “compassione”, ha mentito anche quando si riferiva, per esempio, agli ebrei in Albania. Proprio quegli ebrei che sono stati nascosti e protetti per non essere presi dai nazisti durante la seconda guerra mondiale in Albania. Il primo ministro, chissà perché, quegli atti di grande coraggio e di abnegazione dei semplici cittadini albanesi, che hanno messo in grande pericolo se stessi a le loro famiglie, li compara con quanto lui sta facendo in queste ultime settimane per accogliere dei profughi afghani! Quelle difficili e sofferte decisioni allora, durante la seconda guerra mondiale, sono state prese dai singoli cittadini, spinti da rispettabilissimi e molto apprezzabili sentimenti umani. Quelle decisioni non sono state prese perché richieste e/o ordinate dal primo ministro o il governo di allora. Mentre le decisioni di accogliere i profughi afghani il primo ministro albanese le ha prese personalmente, senza consultare le altre istituzioni, come previsto dalla Costituzione e dalle leggi in vigore. Si tratta di decisioni prese in totale mancanza della dovuta ed obbligata trasparenza. Tutto semplicemente per diventare, lui stesso e soltanto lui, attrattivo e visibile mediaticamente!!!

    Il primo ministro albanese mente consapevolmente anche quando dichiara che l’Albania non sta prendendo finanziamenti per la sistemazione dei profughi. Mente spudoratamente! Sono tanti i dati e i fatti che lo testimonierebbero. Lo dimostra palesemente anche una dichiarazione, alcuni giorni fa, del presidente francese Macron. Parlando dei flussi dei profughi afghani, lui ha detto: “…cosa dobbiamo fare noi quando gli Stati Uniti evacuano gli afghani, che poi dopo sono stati spostati in Albania, o in altri paesi, dietro pagamento?”! Invece il primo ministro albanese, alcuni giorni fa, riferendosi a dei pagamenti, dichiarava ad un media internazionale che “…noi ci stiamo appoggiando soltanto a delle persone con un cuore ricco”!

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto, anche in questo caso, tanti altri argomenti da trattare. Con tutta probabilità lo farà nelle prossime settimane, altri attesi sviluppi politici permettendo. Egli però ricorda al nostro lettore che l’inizio di settembre segna anche due date importanti riguardo la Santa Madre Teresa. Il 4 settembre 2016 rappresenta il giorno della sua santificazione, mentre il 5 settembre 1997 rappresenta il giorno in cui la Madre ci ha lasciati. Essendo anche lei albanese, che sia la vita della Santa Madre un esempio da seguire nella sua patria d’origine. Purtroppo però, gli usurpatori del potere e delle istituzioni in Albania useranno il nome della Santa semplicemente per demagogia, per delle apparenze che ingannano. Come sempre! Si perché, come era convinta madre Teresa, “Il male mette le radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore degli altri”.

  • Similitudini tra l’Afganistan e l’Albania

    Esistono delle menzogne così vergognose, da provare

    maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

    Jacques Deval

    Era il settembre del 2015 quando l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “Giustamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sia orientata verso migliaia e migliaia di profughi che scappano dalle atrocità, di guerre e conflitti continui, in Medio Oriente e in Nord Africa. La situazione drammatica ha reso impossibile la vita a milioni di abitanti in quelle terre”. E poi continuava “…Purtroppo tutto questo sta sfumando un altrettanto preoccupante fenomeno che si sta consumando in Albania. Flussi migratori, provenienti da un paese candidato all’Unione Europea e membro della NATO, che gode da alcuni anni del regime di Schengen per la libera circolazione, si dirigono verso la Germania, ma non solo”. Riferendosi ad un’intervista rilasciata in quel periodo dall’allora ministro tedesco degli Interni, che evidenziava il grande flusso dei richiedenti asilo provenienti dall’Albania, l’autore di queste righe sottolineava che “…Quello che, però, colpisce è che gli albanesi vengono secondi solo ai siriani! E bisogna tenere presente che la popolazione albanese è di circa 3 milioni di abitanti, mentre quella siriana, secondo il World Population Review per il 2015, è di circa 22 milioni di abitanti!”. Evidenziando, però, anche che “…Mentre in Siria ed altri paesi confinanti si combatte e si muore quotidianamente, in Albania non succede lo stesso”. Tutto ciò mentre nel periodo 2010 – 2013, dati ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate alla mano, risultava che “…i cittadini albanesi erano i penultimi o gli ultimi, come richiedenti asilo in Germania, e sempre con cifre di alcune centinaia”! Bisogna sottolineare che dopo le elezioni politiche del 23 giugno 2013 in Albania, l’attuale primo ministro ha vinto il suo primo mandato governativo. Sono bastati soltanto due anni di malgoverno per costringere gli albanesi a scappare e chiedere asilo. Come i siriani, gli afgani ed altri che scappavano però dalle guerre ed altre atrocità. Questo fenomeno ha attirato in quel periodo anche l’attenzione dei media internazionali. Riferendosi allora ad uno di quei media che aveva trattato l’argomento, l’autore di queste righe citava: “… Questo dimostra che l’Albania, soprattutto nelle aree rurali, è colpita da una profonda crisi socio-economica. I cittadini di tutte le età e categorie socio-professionali abbandonano il Paese, senza sapere, in realtà, dove andranno e cosa faranno. I principali responsabili sono i politici, i quali tentano di sdrammatizzare la situazione agli occhi del mondo con una leggerezza inquietante. Politici senza esperienza, che occupano posti chiave, abusano con il dovere, rubano i fondi pubblici, con un passato legato al crimine, senza essere capaci di rianimare l’economia, che prendono in giro i cittadini durante le campagne elettorali, stanno portando l’Albania verso il fallimento” (Accade in Albania; 7 settembre 2015).

    Purtroppo, da allora, e cioè dal 2015, il flusso dei richiedenti asilo in Europa e provenienti dall’Albania continua. Si calcola che dal 2015 ad oggi i richiedenti asilo albanesi siano circa un sesto dell’intera popolazione. Il che rappresenta un serio e preoccupante problema: l’allarmante spopolamento dell’Albania. Ma il flusso dei richiedenti asilo albanesi da anni è diventato un serio problema anche per diversi Paesi europei. Tant’è vero che ormai si è inserita in una delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania prima di aprire i negoziati come Paese candidato all’adesione nell’Unioine europea. L’autore di queste righe ha informato spesso il nostro lettore di questa preoccupante ed insopportabile realtà per centinaia di migliaia di cittadini albanesi. Realtà causata dal consolidamento in Albania di una nuova dittatura sui generis. Una dittatura gestita dal potere politico in connivenza con la criminalità organizzata ed alcuni raggruppamenti occulti locali ed internazionali. L’autore di queste righe ribadisce spesso questa sua convinzione. Ma non è soltanto lui che è convinto di tutto ciò. E non solo in Albania.

    Venerdì scorso a Scilla, provincia di Reggio Calabria, la Fondazione Magna Grecia ha aperto i lavori dell’evento “La narrazione del Sud”. Durante le due serate dell’attività hanno partecipato il magistrato Nicola Gratteri, l’esperto di mafia Antonio Nicaso e lo scienziato Robert Gallo. Come ha ribadito anche il presidente della Fondazione Magna Grecia, quella scelta non era un caso perché “…parleremo di due settori importanti come la legalità e la sanità. Per la legalità non ci può essere ospite migliore del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, che da decenni ha messo la propria vita a disposizione degli altri. Chi come lui mette a disposizione della collettività la propria vita, la propria famiglia e la propria libertà deve essere emulato dai giovani, che devono imitare questi esempi positivi, sia qui che all’estero […] Per la sanità, invece, durante la seconda serata avremo lo scienziato Robert Gallo….”. Durante il suo intervento Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, ha ribadito che da almeno tre anni dice “che in Europa c’è una mafia emergente, quella albanese. L’Albania è un Pese corrotto, dove è facile corrompere i funzionari pubblici. Se poi esco dall’Albania e ho già un potere economico riesco a rafforzarmi come mafia internazionale”. Una diretta accusa quella del procuratore Gratteri, il quale, a più riprese, ha ribadito ed evidenziato una simile e preoccupante realtà. Realtà che da anni sta preoccupando molto e non solo in Albania. Realtà che è stata seriamente presa in considerazione da vari Paesi europei e ha trovato espressione anche in alcune delle quindici condizioni sine qua non poste dal Consiglio europeo all’Albania.

    Da più di due settimane ormai l’attenzione dell’opinione pubblica, mediatica e politica, a livello internazionale, è stata giustamente e doverosamente focalizzata su quanto è accaduto e sta accadendo in Afghanistan. Soprattutto dopo la caduta di Kabul sotto il controllo dei talebani. Durante questi giorni, si stanno evidenziando anche le dirette responsabilità di una simile, drammatica e sofferta situazione. Sono state tante le opinioni espresse, gli articoli scritti, le analisi dettagliate e i dibattiti svolti. Ed è soltanto l’inizio. Ma ormai uno dei grandi problemi da risolvere rimane quello umanitario. Sono tante le persone che sono riuscite a scappare da quella drammatica e pericolosa realtà tramite i voli organizzati da diversi Paesi. Come purtroppo sono tante, tantissime le persone che non riusciranno ad avere la stessa fortuna, visto che tra due giorni i talebani dovrebbero prendere il controllo dell’aeroporto di Kabul. Le immagini trasmesse dai media sono molto significative ed eloquenti.

    Ad accogliere quei profughi si sono offerti diversi Paesi, così come altri ne hanno posto delle condizioni o, addirittura, hanno negato l’ospitalità. E guarda caso, tra i primi che si è offerto ad ospitare i profughi provenienti dall’Afghanistan è stato il primo ministro albanese. Proprio lui, che è il diretto responsabile, almeno istituzionalmente, del continuo, crescente e preoccupante flusso, tuttora in corso, dei cittadini albanesi verso i Paesi europei. Proprio lui, il primo ministro albanese, che si offre ad ospitare i profughi che scappano dall’inferno in Afghanistan ma che è il diretto responsabile dell’inferno creato per gli albanesi nella loro madrepatria! Proprio lui che ancora non ha mantenuto, tra le tantissime altre, neanche le promesse pubblicamente fatte dopo il terremoto del novembre 2019 e non ha rispettato gli obblighi istituzionali verso migliaia di cittadini albanesi che da quel terremoto hanno perso tutto. Hanno perso delle persone care e tuttora vivono in condizioni misere, con sopra le teste soltanto dei teloni malandati e con pochissimi mezzi di sopravvivenza. Ma il primo ministro ha ormai da tempo dimenticato le sue bugie e promesse fatte ai terremotati. Dal 15 agosto scorso lui si è “offerto” ad ospitare gli afgani in Albania. Lo ha fatto senza contattare e consultare nessuno, come è istituzionalmente obbligato. Ma lo ha fatto, soprattutto, come suo solito, e cioè senza la minima e dovuta trasparenza in questo caso. Lo ha fatto soltanto e semplicemente per “creare un diversivo” e spostare l’attenzione pubblica e mediatica in Albania da tantissimi preoccupanti problemi, da tanti scandali che si sovrappongono quotidianamente. Lo ha fatto cercando ed ottenendo anche l’attenzione mediatica internazionale. Chissà come però?!

    Chi scrive queste righe continuerà ad informare in nostro lettore delle messinscene mediatiche del primo ministro albanese riguardo l’ospitalità offerta ai profughi afgani, le ragioni per le quali lo sta facendo e tanto altro. Come tratterà anche il ruolo dei “rappresentanti internazionali” in Albania. Soprattutto quello dei rappresentanti diplomatici statunitensi. Quanto è accaduto durante questi venti anni e, soprattutto, quello che è accaduto e sta accadendo da qualche settimana in Afghanistan, hanno evidenziato molte cose. Sono fatti che rafforzano la convinzione ormai espressa dall’autore di queste righe, anche per il nostro lettore, sulle conseguenze della “strategia dell’esportazione della democrazia” adottata ed attuata in Albania dai rappresentanti statunitensi. Per il momento egli si è limitato a mettere in evidenza soltanto alcune delle tante similitudini tra l’Afghanistan e l’Albania. Mentre, riferendosi alle continue bugie ed inganni del primo ministro albanese, si potrebbe dire quello che pensava Jacques Deval. E cioè che esistono delle menzogne così vergognose, da provare maggior disagio a sentirle che a raccontarle.

  • Berlino accoglierà 1500 migranti dai campi in fiamme della Grecia

    La Germania accoglierà 1.553 migranti da cinque isole greche dopo gli incendi che hanno devastato il campo di accoglienza di Moria, sull’isola di Lesbo, lasciando migliaia senza riparo e nella disperazione più totale. Si tratta di 408 famiglie con bambini che hanno già ottenuto lo status di rifugiato in Grecia, ma che potrebbero anche non provenire dal campo di Moria. A questi si aggiungono 150 minori non accompagnati provenienti invece tutti da Moria e la cui accoglienza era stata annunciata la scorsa settimana dal governo tedesco in una misura condivisa con altri 10 Paesi europei.

    L’annuncio ufficiale di Berlino è arrivato dal vicecancelliere Olaf Scholz dopo la decisione presa dalla cancelliera Angela Merkel in accordo con il ministro dell’Interno Horst Seehofer. “Garantiamo che 1.553 familiari già riconosciuti come rifugiati dalle autorità greche lasceranno le isole” del Mar Egeo per la Germania, ha confermato Scholz. La Francia ha accettato di accogliere 150 minori dal campo di Moria mentre altri Paesi dell’Ue ne prenderanno 100.

    Nel frattempo, il ministro greco della Protezione Civile, Michalis Chrysohoidis, ha annunciato l’arresto di sei migranti sospettati di aver appiccato le fiamme a Lesbo: “Cinque giovani stranieri sono stati arrestati. Si cerca un sesto che è stato identificato”. Gli arresti, ha spiegato poi, “screditano l’ipotesi che ad appiccare il fuoco al campo sia stato un gruppo di estremisti”.

    Circa 800 degli oltre 12mila migranti e rifugiati fuggiti dall’inferno di Moria la scorsa settimana sono stati trasferiti in un nuovo campo, situato a tre chilometri dal porto di Mitilene, capoluogo di Lesbo. Ma la stragrande maggioranza dorme ancora in strada o sui marciapiedi mentre diverse organizzazioni umanitarie cercano di assisterli: l’Unhcr ha già fornito 600 tende familiari, bagni chimici e postazioni per lavare le mani. Le autorità greche affermano che 21 persone nel nuovo campo sono risultate positive al coronavirus e sono state poste in isolamento nel sito temporaneo di Kara Tepe, vicino al campo devastato dal rogo.

    Intanto, il ministro per la Protezione Civile ha annunciato che l’isola di Lesbo sarà svuotata dai rifugiati entro la Pasqua del prossimo anno. “Se ne andranno tutti”, ha assicurato Chrysochoidis. “Dei circa 12.000 rifugiati prevedo che 6.000 verranno trasferiti sulla terraferma entro Natale e il resto entro Pasqua. La gente di quest’isola ne ha passate tante. Sono stati molto pazienti”, ha aggiunto. Moria “era il campo della vergogna”, ha ammesso il ministro. “Adesso appartiene alla storia. Sarà ripulito e sostituito dagli uliveti”.

     

  • L’ONU afferma che il cambiamento climatico può essere causa di asilo

    Un comitato dei diritti umani delle Nazioni Unite ha stabilito che le persone in fuga per gli effetti dei cambiamenti climatici possono chiedere asilo.Il gruppo di lavoro ha emesso il parere dopo che un uomo di Kiribati è stato rimandato nel suo paese perché gli è stato negato l’asilo dalla Nuova Zelanda. Anche se gli esperti del comitato hanno concluso che l’espulsione era legale, hanno comunque affermato che casi simili potrebbero in futuro giustificare le richieste di asilo.”Il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e lo sviluppo insostenibile costituiscono alcune delle minacce più urgenti e gravi per la possibilità delle generazioni presenti e future di godere del diritto alla vita”, ha spiegato il comitato, aggiungendo che le persone in cerca di asilo non sono tenute a dimostrare che subirebbero danni immediati, se rimandati nei loro paesi d’origine.Hanno anche spiegato che, in quanto eventi legati al clima, possono verificarsi all’improvviso, come nei casi di tempeste o alluvioni, o nel tempo, come l’innalzamento del livello del mare.

  • L’UNICEF esorta i governi a rimpatriare i bambini stranieri bloccati in Siria

    Henrietta Fore, capo del Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia – UNICEF, ha lanciato un appello lo scorso 4 novembre affinché i Paesi rimpatrino i bambini stranieri bloccati nel nord-est della Siria, in seguito dell’offensiva lanciata dalla Turchia il mese scorso. Secondo l’agenzia, quasi 28.000 bambini provenienti da oltre 60 paesi sono intrappolati nei campi di sfollamento nella regione, 20.000 dei quali provengono dall’Iraq. Molti di loro sono nati da estremisti dell’ISIS e oltre l’80% di loro ha meno di 12 anni. Circa 17 Paesi hanno rimpatriato più di 650 bambini, con un procedimento sostenuto dall’UNICEF. Tuttavia, l’agenzia è ancora molto preoccupata poiché circa 40.000 bambini siriani sono stati recentemente sfollati in tutta la regione e vivono in rifugi a causa della violenza. In questo contesto, le Nazioni Unite hanno nuovamente esortato tutte le parti in conflitto a garantire che gli operatori umanitari possano accedere in modo sicuro per aiutare i più bisognosi nella già disastrosa situazione umanitaria della regione.

  • UNICEF says at least 16 million children are malnourished in the Middle East and North Africa

    More than 16 million children under five years of age suffer from acute malnutrition in the Middle East and North Africa, a trend that has stagnated or worsened since 2000, a new report by UNICEF revealed.

    Despite the improvements to address under-nutrition, the Middle East and North Africa came in second globally in child obesity, with 5.4 million children being overweight – up from 3.4 million in 2000, according to the State of the World’s Children report.

    Moreover, nearly 11 million children suffer from chronic or acute malnutrition, a number that includes over 7 million children with growth defects as well as 3.7 million acutely malnourished children. The report highlights that children that are poorly nourished are 11 times more likely to die without treatment, in comparison to those children who have access to proper food and vitamins.

    The impact of the region’s various conflicts has deeply affected children’s nutrition in Syria, Yemen, Libya, and Sudan. Since hostilities broke out in each nation, nearly one-third of all pregnant and nursing mothers in northwest Syria are anaemic, while the widespread deprivations caused by years of war have had a severe impact on the physical and mental development of children in all four countries.

    Around 2.3 million children in Sudan now suffer from malnutrition, while half of all deaths of children under five years old are directly related to. This is mainly due to rising food prices. An estimated 2 million children in Yemen are currently suffering from acute malnutrition, including 360,000 children under five-years-old that are fighting to survive.

    Ted Chaiban, UNICEF’s Regional Director for the Middle East and North Africa, highlighted the report’s findings, saying, “Children from the poorest and most marginalised communities account for the largest share of all children suffering from malnutrition. This perpetuates poverty across multiple generations. Children who are hungry are unable to concentrate in school or learn. Those who are stunted in their growth have lower earning potential as adults as a result of developmental deficiencies.”

    “Hidden hunger”, which occurs when the quality of food that people eat does not meet their nutritional requirements, as well as micronutrient deficiencies from poor diets, are also factors that threaten children’s survival along with physical growth and brain development and as overweight.

    “Staple foods with low nutritious value, highly processed “junk” foods, sugary drinks, food fortification policies, labelling, and marketing practices – are all failing to provide healthy diets for children in poor and wealthy countries alike. As a result, more children are not eating healthy and are either undernourished or overweight in a number of countries in the region” added Chaiban.

    Improving the nutrition situation in the Middle East and North Africa requires the concerted efforts of governments, the private sector, donors, parents, and those in the health, education, water, sanitation, hygiene and social protection services.

    As the world marks the 30th anniversary of the Convention of the Rights of the Child, which secures a child’s right to nutritious food, UNICEF has issued a call for all governments to place child nutrition at their heart of state-supported humanitarian aid campaigns and demanded that the private sector partner with food suppliers to produce and distribute nutritious foods to at-risk children.

    The report also stresses that it is important to enforce strict minimum food quality standards and improve labelling, while also saying that restrictions need to be put in place to limit the marketing of food that has little to no nutritional value.

    A further important recommendation in the report encourages the provision of paid parental leave and dedicated time and facilities for women to breastfeed in the workplace and the supply of school canteens with healthy foods in addition to safe access to water and hygienic facilities for food preparation for students, teachers, and families. This would also include preventive and treatment services for nutrition in health care systems around the region.

    UNICEF’s State of the World’s Children Report is released annually and covers key issues that affect children. This year’s finding is the first to examine the major challenges that children face in regards to food and nutrition issues.

  • Campo profughi di Dadaab verso la chiusura, tangenti per ottenere lo status di rifugiati

    Il campo profughi di Dadaab, il più grande campo profughi del mondo, al confine tra Kenya e Somalia, è in via di sgombero. Il governo keniota aveva notificato all’inizio dell’anno all’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, l’intenzione di chiuderlo e nei giorni scorsi ha rimpatriato in Somalia, da dove provengono la maggior parte degli ospiti del campo, 45 persone (che sono state prese in carico dalle autorità somale e da personale dell’Unhcr).

    In Kenya, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite, vi sono complessivamente 476.695 rifugiati (per il 54,5% si tratta di somali fuggiti dal loro Paese), 212.936 dei quali ospitati a Dadaab. Già dal 2014, il Kenya ha stipulato un accordo con Somalia e Unhcr per il progressivo rimpatrio dei somali. In questi anni 80mila persone sono state rimpatriate. Nairobi peraltro vorrebbe arrivare a evacuare l’intero campo in sei mesi, mentre le Nazioni Unite fanno presente che la Somalia non è a tutt’oggi un Paese sicuro.

    Chi rimane a Dadaab, secondo voci raccolte a giugno dal quotidiano britannico The Guardian, si trova a fare i conti con una corruzione pressoché endemica che coinvolge anche alcuni dei 16mila addetti dell’Unhcr. Il Guardian riferisce di tangenti per ottenere lo status di rifugiati a tutti gli effetti e poter essere quindi accolti in qualche Paese disposto a dare ospitalità (operazione più difficile dopo che Donald Trump ha decretato il divieto di viaggiare verso gli Usa per chi proviene da determinati Paesi); ma la mazzetta, riporta il quotidiano, si paga anche per avere cibo. L’Unhcr ha aperto un’indagine sulle denunce del Guardian, il malaffare appare peraltro strettamente connaturato ai centri di accoglienza e non solo in Africa: per la struttura di Borgo Mezzanotte nel foggiano il Corriere della Sera riferiva della presenza di bordelli sotto il controllo della mafia nigeriana, sotto gli occhi delle forze dell’ordine preposte a vigilare su entrate e uscite dal campo stesso. A Dadaab qualche mese fa sono stati arrestati 12 sospetti terroristi, uno dei quali in possesso di due passaporti neozelandesi.

  • Il Belgio rimpatria i figli dei propri foreign fighters

    Il Belgio rimpatrierà 6 bambini orfani di jihadisti del Califfato islamico. «Ci sono dei bambini nati nel nostro Paese (il Belgio, ndr) che ora non hanno più i genitori e si trovano nei campi rifugiati della Siria nord orientale sotto supervisione dei curdi siriani. Quattro dei sei bambini hanno più di dieci anni ma nessuno di questi è sospettato di aver compiuto atti di guerriglia o essere radicalizzato», ha dichiarato il Ministro belga delle finanze Alexander De Croo alla radio pubblica belga VRT. «Le scelte dei genitori non possono essere dimenticate o perdonate ma queste sono state le loro decisioni, non dei bambini», ha aggiunto.

    L’accordo di rimpatrio tra il Belgio e i curdi siriani prevede che i bambini passino dalla Siria al territorio del Kurdistan iracheno e da lì arrivino in Europa ed è stato in parte già attuato. Non sono mancate polemiche da parte del N-VA, il movimento nazionalista fiammingo, ma il Consiglio di sicurezza nazionale del Belgio ha stabilito che rimpatrierà tutti i bambini con meno di 10 anni e che per tutti gli altri minorenni si deciderà caso per caso. Oltre 400 cittadini con passaporto belga hanno raggiunto l’Isis negli anni passati e si stima che 140 siano morti, 130 siano già tornati in Belgio o in Europa e 150 siano ancora in Medio oriente. Le autorità curdo siriane già da tempo hanno chiesto agli Stati europei di riprendersi i combattenti islamici con passaporto europeo, le loro donne e i bambini. Ma soltanto Norvegia, Svezia, Francia e Olanda, cui ora si aggiunge il Belgio, hanno riportato in patria i bambini con passaporto nazionale. Per i foreign fighters, invece, la comunità internazionale sta discutendo la possibilità di una Norimberga dell’Isis attraverso l’istituzione di un Tribunale internazionale su suolo iracheno.

  • La Svezia è restia a rimpatriare i bambini dell’ISIS

    Le autorità svedesi non possono portare a casa i figli dei membri svedesi dell’ISIS che si trovano nei campi profughi in Siria e che per tanto sono rimasti bloccati. E’ quanto ha stabilito il ministro degli Interni, Mikael Damberg, il 12 marzo. Si pensa che ci siano 30-40 bambini nati da genitori svedesi che si sono uniti all’ISIS e che attualmente vivono in campi profughi in aree controllate da forze governative fedeli al dittatore siriano Bashar al-Assad.

    La Svezia diventa così il secondo paese dell’UE a prendere una posizione dura contro il ritiro dei figli degli ex militanti dell’ISIS. Già il ministro degli Interni del Regno Unito, Sajid Javid, ha rifiutato di assumersi la responsabilità di rimpatriare Shamima Bagum, una ragazza di 19 anni che ha lasciato il Regno Unito a 15 anni per la Siria unendosi allo Stato islamico. Rispondendo a una domanda del ministro degli Interni ombra, Diane Abbott, Javid ha specificato che il Regno Unito non ha una presenza consolare in Siria e non è stato quindi in grado di aiutare Bagum.

    Un tribunale belga ha ordinato al governo di rimpatriare sei bambini i cui genitori si sono uniti all’ISIS, mentre allo stesso tempo il governo francese sta affrontando la questione del rimpatrio dei minori ISIS caso per caso.

Pulsante per tornare all'inizio