Giunge un momento in cui la protesta non è più sufficiente:
dopo la filosofia è necessaria l’azione.
Victor Hugo, I miserabili, 1862
Si protesta ancora nei Balcani. E non solo in Serbia. Si protesta contro gli autocrati che gestiscono ed abusano del potere conferito e/o usurpato. Da mercoledì scorso sono cominciate le proteste massicce anche in Turchia. Proteste come quelle cominciate il 28 maggio 2013 per proteggere la distruzione di Gazi Park ad Istanbul, un’area verde e molto nota in pieno centro della città, dove volevano abbattere 600 alberi. Questo prevedeva un progetto proposto dall’allora primo ministro Recep Tayyip Erdogan. I manifestanti a Gazi Park accusavano Erdogan di corruzione e appoggio a poteri occulti, mentre lui, che stava attuando la sua corsa per avere un potere possibilmente assoluto, si era scatenato allora contro tutti coloro, in Turchia e all’estero, che volevano ostacolare la realizzazione del progetto a Gazi Park. Ma da allora sono accaduti altri scontri e proteste in Turchia, come durante il colpo di Stato il 15 luglio 2016, ma non solo. E sempre si protestava contro l’autoritarismo di Erdogan. Colui che, diventato presidente della Repubblica nell’agosto del 2014, con il referendum del 16 aprile 2017 ha ufficializzato le modifiche della Costituzione che gli permettevano di rafforzare e consolidare ulteriormente la sua posizione come Presidente.
La mattina di mercoledì scorso, 19 marzo, centinaia di poliziotti armati hanno circondato la casa del sindaco di Istanbul e poi lo hanno arrestato. Lui è stato accusato di corruzione e sostegno ad organizzazioni terroristiche. Bisogna però sottolineare che il sindaco di Istanbul non è l’unico ad essere stato arrestato. Sì, perché solo durante lo scorso anno sono stati destituiti o arrestati altri dieci sindaci, rappresentanti dell’opposizione. Il sindaco arrestato di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, è uno dei più noti dirigenti del Partito Popolare Repubblicano (in turco Cumhuriyet Halk Partisi – CHP; n.d.a.). Si tratta del maggior partito dell’opposizione in Turchia, che è anche il più antico partito politico della Turchia, fondato il 9 settembre 1923 dal generale Mustafa Kemal Atatürk, primo presidente della Turchia, noto anche come il fondatore della Turchia post imperiale. Il sindaco di Istanbul arrestato mercoledì scorso stava esercitando il suo secondo mandato dall’anno scorso, dopo aver avuto il suo primo incarico di sindaco nel marzo 2019. Ed aveva vinto dopo che, da venticinque anni, il partito del presidente Erdogan controllava Istanbul, la più grande città di Turchia con circa 16 milioni di abitanti. Il sindaco ormai arrestato di Istanbul aveva vinto il suo secondo mandato, sempre contro il candidato del partito di Erdogan, con un risultato convincente e molto significativo. Lui aveva dichiarato che sarebbe stato il candidato del CHP contro Erdogan nelle prossime elezioni presidenziali. E, guarda caso, le primarie del suo partito per eleggere il futuro candidato presidenziale erano previste per domenica 23 marzo, proprio cinque giorni dopo il suo arresto. Una “strana coincidenza” quella! Ma in Turchia accade di tutto, pur di garantire il sempre più ampio potere del presidente autocrate del Paese, che molti chiamano sultano.
E per garantire il potere del presidente, nel corso degli anni, sono stati arrestati molti suoi avversari politici, ma non solo. Il sindaco di Istanbul era l’ultimo di una lunga lista. Bisogna sottolineare che soltanto dopo il tentato colpo di Stato del 15 luglio 2016 sono stati arrestati, secondo fonti mediatiche ben informate, oltre 15 mila persone. Nei giorni successivi al 15 luglio 2016 sono stati, altresì, licenziati decine di migliaia di funzionari ed impiegati pubblici. Sono stati arrestati anche molti scrittori, giornalisti, ufficiali, giudici ed altri che erano contrari ai metodi dittatoriali usati da Erdogan per avere un sempre più vasto e personale controllo delle istituzioni e dei media.
Subito dopo l’arresto del sindaco di Istanbul mercoledì scorso, alcuni media in Turchia hanno reso pubbliche anche le prime reazioni. Lo stesso sindaco appena arrestato aveva scritto sul sito da lui usato che “La volontà del popolo non può essere messa a tacere tramite intimidazioni o atti illeciti”. Mentre il presidente del Partito popolare repubblicano, di cui il sindaco arrestato era uno dei più noti rappresentanti, ha dichiarato mercoledì scorso, riferendosi alla vera, vissuta e spesso sofferta realtà in Turchia che “…attualmente, c’è un potere in atto che impedisce alla nazione di scegliere il prossimo presidente”. Lui ha definito l’arresto del sindaco di Istanbul come “…un tentativo di colpo di stato contro il nostro prossimo presidente“.
Subito dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, le autorità hanno dichiarato il divieto dei raduni e delle manifestazioni fino a domenica. Ma questa decisione delle autorità non ha impedito però a decine di migliaia di cittadini turchi di scendere nelle strade e nelle piazze di Istanbul e di altre città per protestare contro quell’arresto. In Turchia, un Paese con la stragrande maggioranza della popolazione di religione musulmana, questo mese è anche il sacro mese di Ramadan, durante il quale si digiuna dall’alba fino alle prime ore di sera e si osservano anche altre regole. E per onorare quanto prevede la religione musulmana, le proteste contro l’arresto del sindaco si svolgono in serata. Le manifestazioni pacifiche ma molto massicce, che si svolgono ogni sera ad Istanbul ed in altre città della Turchia da mercoledì scorso, si chiamano ormai le “notti della democrazia”.
Già mercoledì sera, migliaia di cittadini si sono radunati presso la sede del Comune di Istanbul, per esprimere la loro solidarietà al sindaco arrestato. Mentre un giorno dopo l’arresto del sindaco di Istanbul, sfidando il divieto alle manifestazioni, sono scesi in piazza anche centinaia di studenti dell’Università della città. Hanno protestato pacificamente, chiedendo giustizia e rispetto dei principi della democrazia. Mercoledì scorso, dopo l’arresto del sindaco, ha reagito anche l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. “L’odierna detenzione del sindaco di Istanbul Imamoglu e gli arresti e le accuse mosse contro funzionari eletti, attivisti politici, rappresentanti della società civile e delle imprese, giornalisti e altri dall’inizio dell’anno, sollevano interrogativi in merito all’adesione della Turchia alla sua consolidata tradizione democratica”, ha dichiarato.
Da mercoledì scorso, ogni sera, scendono nelle strade e nelle piazze di Istanbul e di altre città decine di migliaia di cittadini che protestano pacificamente. Mentre la polizia, come hanno evidenziato diversi media presenti sul posto, ha usato gas lacrimogeni, getti di idranti e proiettili di gomma contro i manifestanti ed ha arrestato alcune centinaia di loro. Venerdì sera, 21 marzo, ad Istanbul ci sono state, secondo fonti ben informate, circa 300 mila persone per protestare contro l’arresto del sindaco della città. Tutto, dopo che un giorno prima il presidente del Partito popolare repubblicano aveva dichiarato che “…Da ora in poi, nessuno si aspetti che il CHP faccia politica in sale o edifici. Da ora in poi, saremo nelle strade e nelle piazze”.
Domenica scorsa le autorità hanno confermato l’arresto del sindaco di Istanbul, messo in atto il mercoledì 19 marzo, accusandolo solo di corruzione. Il sindaco arrestato è stato anche sospeso dall’incarico. Sempre domenica scorsa il Partito popolare repubblicano ha ufficialmente designato Ekrem İmamoğlu come candidato unico per sfidare Erdoğan alle prossime elezioni presidenziali.
Chi scrive queste righe da anni e a tempo debito ha informato il nostro lettore sull’espressa volontà del presidente turco di controllare sempre più le istituzioni, ignorano consapevolmente i principi della separazione dei poteri e diventando così un dittatore, un vero sultano. Perciò, parafrasando Victor Hugo, anche in Turchia è giunto il momento in cui la protesta non è più sufficiente, ormai diventa necessaria l’azione. E nel frattempo le proteste continuano massicce in attesa delle azioni.