religione

  • Una pericolosa sudditanza

    Finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

    William Shakespeare; da “Re Lear”

    “Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati…”. Sono dei versi di uno scrittore turco. Versi che sono stati pronunciati nel 1998 anche dall’allora sindaco di Istanbul (1994 – 1998), attualmente presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan. E proprio per aver recitato questi versi in pubblico, lui è stato condannato, nel novembre 1998, con la pena di dieci mesi ed il divieto di ricoprire cariche pubbliche a vita. Per i giudici il suo discorso pubblico è stato “un’attacco allo Stato ed incitamento all’odio religioso”. Una condanna della quale scontò soltanto quattro mesi di prigione. In più è stata annullata, dopo circa tre anni ed in seguito ad un emendamento costituzionale, anche quella parte della condanna che riguardava il divieto di ricoprire delle cariche pubbliche a vita.

    Nel 2001 Erdogan è stato uno dei fondatori del partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partisi – AKP; n.d.a.). Un partito che nel 2002 vinse con il 34,3% dei consensi, diventando il primo partito del Paese. Erdogan nel 2003 divenne il 59° primo ministro della Turchia. Incarico che ha mantenuto fino al 2014. Mentre il 28 agosto del 2014, è stato eletto 12o presidente della Turchia. Dopo quella sua elezione, Erdogan si è dimesso dalla guida del partito. In seguito al fallito colpo di Stato del 15 luglio 2016, lui ha deciso di rafforzare i propri poteri. Perciò, come presidente della Repubblica, ha decretato lo svolgimento del referendum costituzionale il 16 aprile 2017. Referendum che gli ha permesso, tra l’altro, di diventare di nuovo anche il dirigente del partito AKP. Bisogna sottolineare che Erdogan non ha mai nascosto anche la sua propensione per la religione islamica. E durante la sua lunga carriera politica ha contribuito attivamente ad un continuo e progressivo aumento del ruolo della religione islamica nella vita del Paese. E così facendo, Erdogan ha rinnovato il rapporto tra lo Stato e la religione islamica in Turchia. Invece, con un apposito emendamento della Costituzione del 1924, nel 1928 la Turchia si proclamava Stato laico. Un emendamento che non riconosceva più l’Islam come la religione dello Stato turco.

    La Turchia, negli ultimi decenni, oltre ad aver attuato una crescita economica, ha avuto anche un ruolo non trascurabile negli sviluppi geopolitici regionali. Il che ha permesso ad Erdogan, sia come primo ministro che in seguito come presidente, di mettere attivamente in pratica quella che ormai viene riconosciuta come la “Dottrina Davutoğlu”. Una dottrina presentata in un libro di un professore di relazioni internazionali all’università di Istanbul. Il libro, intitolato Profondità Strategica. La Posizione Internazionale della Turchia, è stato pubblicato nel 2001. L’autore, Ahmet Davutoğlu, trattava nel suo libro quello che il presidente turco ai primi anni ’90 del secolo passato, Turgut Özal, considerava un obiettivo strategico della Turchia. Secondo il presidente “Il 21o secolo sarà il secolo dei turchi”. Il che poteva garantire una “… giusta posizione della Turchia nel mondo”. L’autore del sopracitato libro era convinto che “…era venuto il tempo di attuare un nuovo approccio proattivo e multidimensionale nella politica estera, cominciando con tutta l’area d’influenza dell’ex Impero ottomano”. Per lui erano “… molto importanti anche l’eredità storica e i legami etnico-religiosi e culturali stabiliti, intessuti e consolidati durante secoli dall’Impero Ottomano”. In seguito Ahmet Davutoğlu, per i suoi contributi, è stato consigliere di Erdogan, poi ministro degli Esteri (2009-2014) e anche primo ministro (2014-2016).

    L’Albania è stata parte integrante dell’Impero ottomano dal 1385 fino al 1912. Perciò, come tale, rappresenta uno dei Paesi ai quali si riferisce la “Dottrina Davutoğlu”. E i rapporti tra la Turchia e l’Albania durante questi ultimi anni lo confermano. Ma oltre ai rapporti istituzionali tra i due Paesi, soprattutto dal 2013 ad oggi, bisogna evidenziare anche i rapporti di “amicizia” tra il presidente turco ed il primo ministro albanese. Rapporti che, fatti accaduti e pubblicamente noti alla mano, dimostrano e testimoniano che più che rapporti tra due massimi rappresentanti istituzionali, sono rapporti personali, basati su degli “interessi” spesso non trasparenti. Rapporti che presentano il primo ministro albanese come un “ubbidiente sostenitore” delle volontà del presidente turco. L’autore di queste righe ha informato il nostro lettore a tempo debito, sia di questi rapporti che del contenuto della “Dottrina Davutoğlu” (Erdogan come espressione di totalitarismo, 28 marzo 2017; Relazioni occulte e accordi peccaminosi, 11 gennaio 2021; Diabolici demagoghi, disposti a tutto per il potere, 18 gennaio 2021; Amicizie occulte e sudditanze pericolose, 24 gennaio 2022; Autocrati che usano gli stessi metodi non a caso si somigliano, 24 ottobre 2022; Come si può credere ad un ciarlatano?, 29 agosto 2023 ecc…).

    Nell’ambito di questi rapporti è stata anche la visita del presidente turco giovedì scorso, 10 ottobre, nella capitale albanese. Una visita che formalmente era dovuta all’inaugurazione della più grande moschea nei Balcani, costruita con dei finanziamenti turchi. Un’inaugurazione che, nonostante la costruzione della moschea fosse terminata da alcuni anni, è stata rimandata proprio per volontà del presidente turco. Sì, perché lui condizionava l’inaugurazione della moschea con la condanna dei sostenitori di Fethullah Gülen, un suo amico che poi è diventato un odiato nemico. Compresi anche alcuni dirigenti della Comunità musulmana albanese. Comunità che doveva prendere possesso della sopracitata moschea. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato.

    Quello che è pubblicamente accaduto giovedì scorso ha testimoniato che il primo ministro albanese ha pienamente soddisfatto le richieste del presidente turco. La cerimonia dell’inaugurazione della moschea, vista la presenza del presidente turco, non è stata organizzata però dal protocollo dello Stato albanese, bensì da quello turco. I veri organizzatori della cerimonia non hanno invitato il dirigente della Comunità musulmana albanese e anche la maggior parte degli altri rappresentanti istituzionali della stessa Comunità. Senz’altro un’espressa condizione del presidente turco. Non solo, ma anche la cerimonia religiosa è stata presieduta da un imam turco, il quale è stato nominato dalle autorità del suo Paese come l’imam della nuova moschea. Da fonti ben informate risulterebbe che dentro la moschea erano non pochi i partecipanti non albanesi, ma che conoscevano molto bene la lingua turca. Lingua con la quale sono stati svolti tutti i riti religiosi durante la cerimonia, e non più quella araba, come di consueto. Tutto quanto è accaduto giovedì scorso, 10 ottobre, durante la cerimonia d’inaugurazione della nuova moschea a Tirana, ha riconfermato che la “Dottrina Davutoğlu” sta funzionando in Albania ed il primo ministro albanese ubbidisce ed acconsente. Quanto è accaduto giovedì scorso testimonia anche una sua pericolosa sudditanza, la quale potrebbe avere delle conseguenze non auspicabili e non solo per la stessa comunità musulmana albanese. Bisogna sottolineare che durante la sua visita il presidente turco ha annunciato anche un accordo per fornire dei droni kamikaze da combattimento “TB2 Bayraktar” all’esercito albanese. Droni che, guarda caso, si producono nelle fabbriche del genero di Erdogan. Chissà perché?!

    Chi scrive queste righe considera come una vile e pericolosa sudditanza quella del primo ministro albanese nei confronti del presidente turco. Un autocrate con i cittadini albanesi, ma che ubbidisce vergognosamente però a colui che è ormai noto come il nuovo “sultano turco”. E con quell’autocrate, che ubbidisce al “sultano”, ma anche alla criminalità organizzata e ai clan occulti, il peggio non è finito per gli albanesi e non solo. Perché, come scriveva William Shakespeare, finché possiamo dire ‘quest’è il peggio’, vuol dir che il peggio ancora può venire.

  • Per 7 giovani arabi su 10 in Germania il Corano viene prima della legge

    Il Corano è più importante della legge tedesca secondo un sondaggio tra i giovani arabi pubblicato dalla ‘Bild Zeitung’ e rilanciato da Italia Oggi. I ragazzi che hanno partecipato al sondaggio, condotto dal Kriminologische Forschung Institut, l’Istituto di ricerca criminologica, nel Land della Bassa Sassonia, hanno in media 15 anni, frequentano dunque il ginnasio o una scuola professionale, conoscono la lingua, non sono profughi giunti da poco.

    “Quasi la metà dei ragazzi, il 45,8%, è convinta che uno Stato Islamico sia la miglior forma di governo – si legge su Italia Oggi – Il 35,3 ha comprensione per atti di violenza contro coloro che hanno offeso Allah o il profeta Maometto. Per il 31,3% è giustificata la reazione violenta contro il mondo occidentale che minaccia i musulmani. Il 67,8%, quasi i due terzi, ritiene che le regole dettate dal Corano siano più importanti delle leggi tedesche. Per il 51,5% solo l’Islam è in grado di risolvere i problemi del nostro tempo”.

    Christoph de Vries, cristianodemocratico, esperto per le questioni interne, ha dichiarato che “la ricerca dimostra che l’Islam ha lasciato tracce profonde nella nostra società. Gli adolescenti hanno queste convinzioni perché sono indottrinati. L’illusione del multiculturalismo si è dimostrata sbagliata. Bisogna accettare la realtà”.

  • CAA: India to enforce migrant law that excludes Muslims

    India’s government has announced plans to enact a controversial citizenship law that has been criticised for being anti-Muslim.

    The Citizenship Amendment Act (CAA) will allow non-Muslim religious minorities from Pakistan, Bangladesh and Afghanistan to seek citizenship.

    The authorities say it will help those facing persecution.

    The law was passed in 2019 – sparking mass protests in which scores of people died and many more were arrested.

    Rules for it were not drawn up in the wake of the unrest but have now been, according to the country’s home affairs minister Amit Shah.

    He made the announcement on Monday, writing on social media that Prime Minister Narendra Modi had “delivered on another commitment and realised the promise of the makers of our constitution to the Hindus, Sikhs, Buddhists, Jains, Parsis and Christians living in those countries”.

    India’s home ministry in a statement said that those eligible can now apply online for Indian citizenship. An online portal for receiving applications has already been set up.

    The ministry said that there have been “many misconceptions” about the law and its implementation was delayed due to the Covid-19 pandemic.

    “This act is only for those who have suffered persecution for years and have no other shelter in the world except India,” it added.

    The implementation of the CAA has been one of the key poll promises of Mr Modi’s ruling Hindu nationalist Bharatiya Janata Party (BJP) in the run-up to general elections this year.

    It amends the 64-year-old Indian Citizenship law, which currently prevents illegal migrants from becoming Indian citizens.

    Under the new law, those seeking citizenship will have to prove that they arrived in India from Pakistan, Bangladesh or Afghanistan by 31 December 2014.

    Monday’s announcement did not come as a surprise to many, as BJP leaders have been dropping hints over the past few months that the law could be implemented before the elections. After the notification was issued, BJP handles trended hashtags like “Jo Kaha So Kiya” (We did what we said) online.

    In the meantime, protests against the CAA have started in some states, including Assam, where the All Assam Students’ Union (AASU) – which spearheaded the 2019 protests in the north-eastern state – has given a call for a shutdown on Tuesday.

    In the southern state of Kerala, the ruling Communist Party of India (Marxist) party has called for state-wide protests. “This [the law] is to divide the people, incite communal sentiments and undermine the fundamental principles of the Constitution,” Chief Minister Pinarayi Vijayan said, adding that the law would not be implemented in his state.

    Critics of the CAA say it is exclusionary and violates the secular principles enshrined in the constitution, which prohibits discrimination against citizens on religious grounds.

    For example, the new law does not cover those fleeing persecution in non-Muslim majority countries, including Tamil refugees from Sri Lanka.

    It also does not make provision for Rohingya Muslim refugees from neighbouring Myanmar.

    There is concern that, when harnessed in tandem with a proposed national register of citizens, the CAA could be used as a way to persecute the country’s 200 million Muslims.

    Some Indians, including those who live close to India’s borders, are also worried that implementing the law will lead to an influx of immigrants.

    Monday’s announcement has not gone down well with the opposition, who accuse the government of trying to influence the upcoming election.

    This is expected to be held by May and Prime Minister Narendra Modi is seeking re-election for a third term in a row.

    “After multiple extensions in four years, its [the law’s] implementation two to three days before the election announcement shows that it is being done for political reasons,” said All India Trinamool Congress party leader, Mamata Banerjee, at a press conference.

    Jairam Ramesh, the communication head of the Indian National Congress, wrote on social media that “the time taken to notify the rules for the CAA is yet another demonstration of the Prime Minister’s blatant lies”.

    Asaduddin Owaisi, the leader of the All India Majlis-e-Ittehadul Muslimeen party, questioned the timing of the move.

    “CAA is meant to only target Muslims, it serves no other purpose,” he wrote on X (formerly Twitter).

  • Benessere animale o macellazione rituale?

    Secondo la normativa europea è data  facoltà ai singoli di Stati Membri di legiferare in senso più restrittivo rispetto alla macellazione rituale, anche se la Commissaria Kyriakides ha ricordato il “considerando” n. 18 del regolamento: la deroga al divieto generale di abbattimento senza stordimento riconosciuta alle macellazione rituale “mira a garantire la libertà di religione, anche mediante le pratiche e l’osservanza dei riti”.
    L’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sancisce che  “Ogni individuo ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. Il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.
    Tenuto conto di quanto scritto nell’articolo 10 si continua a non comprendere come possa essere autorizzata, nei macelli degli Stati membri, la macellazione rituale che vieta lo stordimento dell’animale prima della macellazione. La macellazione rituale, infatti, avviene per dissanguamento tramite sgozzatura, l’animale non deve essere stordito e perciò è pienamente consapevole di quanto gli succede e muore nel terrore, quasi sempre appeso a testa in giù per agevolare il dissanguamento.

    Siamo pienamente convinti che nessuno debba essere impedito a praticare la sua religione di riferimento ma questa non può essere in contraddizione con le norme di convivenza civile che regolano la vita dei Paesi dell’Unione, Paesi che singolarmente ed insieme hanno emanato leggi a tutela del benessere animale.

    La macellazione senza stordimento provoca all’animale non solo dolore ma anche vero e proprio terrore scatenando una quantità di adrenalina che può diventare nociva anche per coloro che ne mangeranno le carni.

    In Europa vi sono norme che regolano il trasporto degli animali, i metodi di allevamento e di macellazione, tramite stordimento, per evitare inutili sofferenze, che, nel terzo millennio, si debba ancora, in Europa, parlare di macellazione rituale è un obbrobrio ed un controsenso.

    Se consentire riti religiosi arriva a significare che si possono aggirare le leggi, o modificarle per fare tutto quello che si ritiene attenga a riti religiosi, di fatto si può arrivare a giustificare anche le menomazioni  sessuali femminili, alcune religioni, infatti, ufficialmente smentiscono di consentirle ma poi accettano che si pratichino o non fanno nulla per contrastarle.

    La civile convivenza passa dall’accettazione e rispetto delle leggi dei Paesi nei quali si abita e non nello stravolgimento delle leggi che gli stessi paesi sono praticamente costretti a fare in nome di un pretestuoso rispetto di riti religiosi.

    Se per alcuni è così importante nutrirsi di cosiddette carni pure, e cioè carni di animali morti dissanguati dopo essere stati sgozzati ed appesi a testa in giù, senza prima essere storditi, vivi e senzienti, a cuore battente, importino queste carni dai paesi dove questa abominevole pratica di macellazione è consentita.
    Conciliare la protezione degli animali con certi riti, che poco hanno a che vedere con un vero precetto religioso, è impossibile e  sappiamo che vi sono anche persone che macellano sui balconi delle case.

    Purtroppo è altrettanto noto che è proprio sgozzando gli animali che alcuni imparano a sgozzare le persone.

  • In Italia 5000 circoncisioni l’anno, 35% clandestine

    Per motivi culturali, religiosi o igienici tra i 4.000 ed i 5.000 bambini stranieri ogni anno in Italia vengono sottoposti alla circoncisione, di questi tra i 1400 ed 1750, pari al 35%, subiscono la pratica clandestinamente, e spesso non da medici, con il rischio concreto di infezioni ed emorragie che in alcuni caso possono diventare letali per i piccoli. Ai bambini che muoiono si aggiungono quelli, e sono centinaia ogni anno, che arrivano al pronto soccorso con malformazioni o infezioni e spesso danni permanenti.

    A causa di una grave emorragia un bambino è morto nel 2019 a Genova, un altro era morto nel dicembre 2018 a Monterotondo, in provincia di Roma, nel 2016 morì un bimbo a Torino e prima ancora ci furono altre vittime a Treviso e Bari. I dati dei bimbi circoncisi in Italia raddoppiano, arrivando a 9.000/10.000 bambini l’anno, se si considerano quelli che, pur vivendo in Italia, durante le festività – soprattutto mussulmane – vengono sottoposti alla pratica nei Paesi d’origine. Ad alimentare il mercato clandestino sono anche i molti irregolari che ovviamente non possono rivolgersi a strutture autorizzate. Nei paesi d’origine la circoncisione, che non viene praticata dai medici, costa pochissimo, spesso basta un’offerta e in alcuni paesi rappresenta una festa, come il battesimo per i cattolici, a cui tutta la famiglia partecipa. In Italia privatamente i costi raggiungono anche i 2500 euro, con picchi fino 4000 euro.

  • Cristiani sempre più perseguitati, secondo le analisi del Vaticano

    Citando Vatican News, il Secolo d’Italia riporta le cifre del rapporto “Perseguitati più che mai. Rapporto sui cristiani oppressi per la fede 2020-2022”, resoconto annuale della Fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” (ACS). in base al quale nel 75% di 24 Paesi esaminati, l’oppressione o la persecuzione dei cristiani è aumentata, vi si legge.

    «Il testo – riporta la testata della destra – esamina, dall’ottobre 2020 al settembre 2022, i Paesi in cui le violazioni della liberta’ religiosa destano particolare preoccupazione: Afghanistan, Arabia Saudita, Cina, Corea del Nord, Egitto, Eritrea, Etiopia, India, Iran, Iraq, Israele e i Territori Palestinesi, Maldive, Mali, Mozambico, Myanmar, Nigeria, Pakistan, Qatar, Russia, Sri Lanka, Sudan, Siria, Turchia e Vietnam. La violenza jihadista continua a diffondersi in tutta l’Africa. ACS richiama l’attenzione sul fatto che dal novembre dello scorso anno gli attacchi terroristici colpiscono anche il nord del Benin. Finora i Paesi dell’Africa nord-occidentale più colpiti dal jihadismo sono stati Mali, Burkina Faso, Ciad, Niger, Camerun e Nigeria».

    Questa quanto sintetizza il Secolo: «L’Africa registra un forte aumento della violenza terroristica, a causa della quale oltre 7.600 cristiani nigeriani sarebbero stati assassinati tra il gennaio 2021 e il giugno 2022, dai terroristi di Boko Haram e della Provincia dell’Africa occidentale dello Stato Islamico (Iswap). I due raggruppamenti cercano da anni di fondare califfati nella regione del Sahel, ciascuno con il proprio wali (governatore) e con la propria struttura governativa, tutti basati sulla violenza più cieca, sull’odio più infernale.

    Anche in Mozambico la formazione terroristica islamica Al-Shabab ha intensificato la sua campagna di terrore, uccidendo i cristiani, attaccando i loro villaggi e appiccando il fuoco alle chiese. Il gruppo, affiliato al sedicente Stato Islamico (Is), ha provocato la fuga di oltre 800 mila persone e la morte di altre 4.000. Tra le testimonianze riportate c’è anche quella di monsignor Jude A. Arogundade, vescovo di Ondo in Nigeria, la cui diocesi e’ stata presa di mira da uomini armati che hanno ucciso più di 40 persone durante la celebrazione della Pentecoste nel giugno scorso. Commentando la presentazione del rapporto, il vescovo dichiara che, “nonostante il crescente allarme per l’aumento della violenza in alcune parti del Paese, nessuno sembra prestare attenzione al genocidio in atto nella Middle Belt della Nigeria. Il mondo tace mentre gli attacchi alle chiese, al loro personale e alle istituzioni sono diventati routine quotidiana”.

    Dal rapporto sui cristiani perseguitati, emerge che “la crisi migratoria minaccia la sopravvivenza di alcune delle comunità cristiane più antiche del mondo. In Siria, i cristiani sono calati dal 10 per cento della popolazione, arrivando a meno del 2%, passando da 1,5 milioni del periodo recedente la guerra ai circa 300 mila di oggi. Nonostante il tasso di esodo in Iraq sia più basso, una comunità che contava circa 300 mila persone prima dell’invasione da parte di Daesh/Is nel 2014, nella primavera 2022 si e’ ormai dimezzata”. Dallo studio emerge anche che in Paesi diversi come l’Egitto e il Pakistan le ragazze cristiane sono abitualmente soggette a rapimenti e stupri sistematici, sempre da parte degli islamici.

    Il rapporto, guardando poi al continente asiatico, denuncia l’autoritarismo statale che ha portato a un peggioramento dell’oppressione anzitutto in Corea del Nord, dove fede e pratiche religiose sono ordinariamente represse. Il nazionalismo religioso ha innescato crescenti violenze contro i cristiani, perseguitati in India e Sri Lanka, dove si sono registrati episodi in cui le autorità politiche e militari hanno arrestato fedeli e interrotto le celebrazioni religiose. Inoltre, in vari Paesi, si deve parlare di aumento della pressione sui cristiani, mediante arresti indiscriminati, chiusura forzata delle chiese e uso di sistemi di sorveglianza oppressivi».

  • Gli Slovacchi onorano il 70° della scomparsa di Benedetto Croce con la prima edizione slovacca del saggio ‘Perché non possiamo non dirci “cristiani”’

    Il 30 novembre prossimo la casa editrice cattolica Lúč presenta a Bratislava la traduzione slovacca del celebre saggio di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci “cristiani. E’ un breve saggio scritto da Benedetto Croce nel 1942, nel quale l’autore sostiene che il Cristianesimo ha compiuto una rivoluzione «che operò nel centro dell’anima, nella coscienza morale, e conferendo risalto all’intimo e al proprio di tale coscienza, quasi parve che le acquistasse una nuova virtù, una nuova qualità spirituale, che fino allora era mancata all’umanità» che per merito di quella rivoluzione non può non dirsi “cristiana”. (https://it.wikipedia.org/wiki/Perché_non_possiamo_non_dirci_%22cristiani%22)

    Il saggio è stato tradotto da Stanislava Moyšová della Cattedra di romanistica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Comeniana di Bratislava ed è introdotto da Jozef Rydlo, membro dell’Istituto Slovacco.

  • Il separatismo religioso e le scuole francesi

    La notizia è di quelle che fanno riflettere. Oltre il 59% degli insegnanti francesi dichiara di essersi imbattuto in una forma di separatismo religioso nel proprio istituto attuale e il 24% dichiara di sperimentare regolarmente o di tanto in tanto veementi sfide nei confronti delle loro modalità di insegnamento. Il dato è aumentato di 9 punti rispetto al 2018. I dati appartengo ad un sondaggio sul separatismo scolastico in Francia condotto da Iannis Roder, professore associato di storia dal 1999 in un liceo a Seine-Saint-Denis e responsabile dell’Osservatorio sull’istruzione della Fondation Jean Jaurès, ripreso da La Nuova Bussola Quotidiana il 18 gennaio. Il rapporto rivela che i casi coinvolgono tutta la Francia, e non più solo periferie e banlieu. Nell’articolo, che riporta alcuni episodi accaduti in varie cittadine della Francia, in cui gli insegnati sono stati costretti a fare i conti con minacce dei genitori e atteggiamenti di sfida degli alunni, si legge che molti docenti “per evitare una possibile destabilizzazione della classe e le manifestazioni di protesta di vario genere, preferiscono tacere ed evitare di affrontare determinati argomenti. È paura? Secondo chi ha redatto il rapporto, sì.  Più spesso perché si sentono abbastanza soli nell’eventuale battaglia. È sorprendente notare che il 16% degli insegnanti afferma di non denunciare gli incidenti di cui sono stati testimoni. D’altronde solo il 56% dichiara alla propria dirigenza le forme di separatismo, e quindi di rifiuto della Francia e delle sue leggi, cioè poco più di 1 su 2”. E si legge ancora: “ciò che l’indagine ha inteso per ‘separatismo religioso’ è qualsiasi atto o manifestazione che si traduca in un rifiuto di attività, una richiesta specifica, una sfida all’educazione in nome delle convinzioni religiose. Il rapporto contiene discussioni circa i programmi e persino le discipline. Sono elencate per esempio le infinite controversie sull’educazione fisica avanzate da ragazzine cui l’islam impone un certo tipo di comportamenti e abbigliamento negli spogliatoi e nello sport. E poi le mense halal, le gite scolastiche e il velo. Il 49% degli insegnanti solo delle scuole secondarie afferma di essersi già auto-censurato durante le lezioni. Osservazione sconvolgente per gli analisti francesi se si considera che l’ultimo studio IFOP per la Fondazione Jean-Jaurès è stato realizzato in occasione del sesto anniversario dell’attentato a Charlie Hebdo. Un dato da evidenziare con l’assassinio di Samuel Paty perpetrato lo scorso ottobre e che è aumentato di 12 punti in meno di tre anni”.

  • US lists Russia as religious freedom offender

    The United States has added Russia to its special watchlist for governments that engage in or tolerated “severe violations of religious freedom”, secretary of state Mike Pompeo said on Monday.

    Pompeo also announced that the US had designated Pakistan, China, Iran, Saudi Arabia, Tajikistan, Turkmenistan, Nigeria, North Korea, Myanmar and Eritrea as “countries of particular Concern” under its International Religious Freedom Act.

    Russia was placed on the watchlist alongside Comoros, Cuba and Nicaragua.

    Last year, the State Department accused Russia of persecuting members of Jehovah’s Witnesses and Hizb ut-Tahrir, two religious organizations that are officially banned in Russia.

    Russia’s law allows for the government to impose restrictions on religious rights to protect the country’s security and constitutional structure. The four recognized religions in the country are Christianity, Islam, Judaism and Buddhism.

    About 65% of Russia’s population belongs to the Orthodox Christian Church and 7% identify as Muslim.

  • Erdogan pronto a ‘convertire’ Santa Sofia in moschea

    Santa Sofia deve tornare ad essere una moschea. Parola e volontà di Erdogan che potrebbero realizzarsi a breve se il Consiglio di stato turco dovesse pronunciarsi a favore della proposta del Presidente che andrebbe così ad annullare il decreto del 1934 che trasformava Santa Sofia (Hagia Sophia) da mosche a museo. Ultimate le udienze giovedì scorso il verdetto scritto è previsto entro 15 giorni. Secondo alcune fonti sembra che Erdogan abbia incaricato i funzionari del governo di condurre uno studio approfondito su come cambiare lo status da un museo in moschea.

    La meravigliosa costruzione, che risale a 1500 anni fa ed è patrimonio UNESCO, attira da sempre milioni di turisti ad Istanbul. Prima di diventare museo, Santa Sophia, cattedrale patriarcale greca di epoca bizantina, costruita nel sesto secolo, fu trasformata in una moschea ottomana dopo la conquista della città di Costantinopoli da parte di Mehmet il Conquistatore nel 1453.

    Critiche e polemiche internazionali, come era prevedibile, non si sono fatte attendere. La Grecia accusa Erdogan di far rivivere, con questa decisione, un sentimento religioso fanatico e nazionalista e il ministro della cultura greca, Lina Mendoni, ha fatto sapere con fermezza che non ci possono essere cambiamenti nel sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO senza l’approvazione del comitato intergovernativo dell’organismo.

    Anche gli Stati Uniti, con il segretario di Stato Mike Pompeo, criticano fortemente la decisione perché in questo modo non solo verrebbe annullato quel ponte necessario tra diverse tradizioni e culture religiose che è sempre più raro vedere nell’epoca moderna ma anche quel percorso che, a suo tempo, ha contribuito alla costituzione della Repubblica di Turchia. E’ necessario perciò che rimanga un museo accessibile a tutti.

    Erdogan, dal canto suo, fa sapere che è stato invece un errore molto grande convertire la Basilica di Santa Sofia in un museo e che l’idea della ‘riconversione’ dello splendido edificio era parte della campagna pre-elettorale perché la ‘richiesta’ popolare stava diventato sempre più forte.

    Intanto, lo scorso 5 giugno, gli Imam hanno recitato versi del Corano all’interno di Santa Sofia, nel 567° anniversario della conquista di Istanbul da parte degli ottomani.

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