religione

  • Il separatismo religioso e le scuole francesi

    La notizia è di quelle che fanno riflettere. Oltre il 59% degli insegnanti francesi dichiara di essersi imbattuto in una forma di separatismo religioso nel proprio istituto attuale e il 24% dichiara di sperimentare regolarmente o di tanto in tanto veementi sfide nei confronti delle loro modalità di insegnamento. Il dato è aumentato di 9 punti rispetto al 2018. I dati appartengo ad un sondaggio sul separatismo scolastico in Francia condotto da Iannis Roder, professore associato di storia dal 1999 in un liceo a Seine-Saint-Denis e responsabile dell’Osservatorio sull’istruzione della Fondation Jean Jaurès, ripreso da La Nuova Bussola Quotidiana il 18 gennaio. Il rapporto rivela che i casi coinvolgono tutta la Francia, e non più solo periferie e banlieu. Nell’articolo, che riporta alcuni episodi accaduti in varie cittadine della Francia, in cui gli insegnati sono stati costretti a fare i conti con minacce dei genitori e atteggiamenti di sfida degli alunni, si legge che molti docenti “per evitare una possibile destabilizzazione della classe e le manifestazioni di protesta di vario genere, preferiscono tacere ed evitare di affrontare determinati argomenti. È paura? Secondo chi ha redatto il rapporto, sì.  Più spesso perché si sentono abbastanza soli nell’eventuale battaglia. È sorprendente notare che il 16% degli insegnanti afferma di non denunciare gli incidenti di cui sono stati testimoni. D’altronde solo il 56% dichiara alla propria dirigenza le forme di separatismo, e quindi di rifiuto della Francia e delle sue leggi, cioè poco più di 1 su 2”. E si legge ancora: “ciò che l’indagine ha inteso per ‘separatismo religioso’ è qualsiasi atto o manifestazione che si traduca in un rifiuto di attività, una richiesta specifica, una sfida all’educazione in nome delle convinzioni religiose. Il rapporto contiene discussioni circa i programmi e persino le discipline. Sono elencate per esempio le infinite controversie sull’educazione fisica avanzate da ragazzine cui l’islam impone un certo tipo di comportamenti e abbigliamento negli spogliatoi e nello sport. E poi le mense halal, le gite scolastiche e il velo. Il 49% degli insegnanti solo delle scuole secondarie afferma di essersi già auto-censurato durante le lezioni. Osservazione sconvolgente per gli analisti francesi se si considera che l’ultimo studio IFOP per la Fondazione Jean-Jaurès è stato realizzato in occasione del sesto anniversario dell’attentato a Charlie Hebdo. Un dato da evidenziare con l’assassinio di Samuel Paty perpetrato lo scorso ottobre e che è aumentato di 12 punti in meno di tre anni”.

  • US lists Russia as religious freedom offender

    The United States has added Russia to its special watchlist for governments that engage in or tolerated “severe violations of religious freedom”, secretary of state Mike Pompeo said on Monday.

    Pompeo also announced that the US had designated Pakistan, China, Iran, Saudi Arabia, Tajikistan, Turkmenistan, Nigeria, North Korea, Myanmar and Eritrea as “countries of particular Concern” under its International Religious Freedom Act.

    Russia was placed on the watchlist alongside Comoros, Cuba and Nicaragua.

    Last year, the State Department accused Russia of persecuting members of Jehovah’s Witnesses and Hizb ut-Tahrir, two religious organizations that are officially banned in Russia.

    Russia’s law allows for the government to impose restrictions on religious rights to protect the country’s security and constitutional structure. The four recognized religions in the country are Christianity, Islam, Judaism and Buddhism.

    About 65% of Russia’s population belongs to the Orthodox Christian Church and 7% identify as Muslim.

  • Erdogan pronto a ‘convertire’ Santa Sofia in moschea

    Santa Sofia deve tornare ad essere una moschea. Parola e volontà di Erdogan che potrebbero realizzarsi a breve se il Consiglio di stato turco dovesse pronunciarsi a favore della proposta del Presidente che andrebbe così ad annullare il decreto del 1934 che trasformava Santa Sofia (Hagia Sophia) da mosche a museo. Ultimate le udienze giovedì scorso il verdetto scritto è previsto entro 15 giorni. Secondo alcune fonti sembra che Erdogan abbia incaricato i funzionari del governo di condurre uno studio approfondito su come cambiare lo status da un museo in moschea.

    La meravigliosa costruzione, che risale a 1500 anni fa ed è patrimonio UNESCO, attira da sempre milioni di turisti ad Istanbul. Prima di diventare museo, Santa Sophia, cattedrale patriarcale greca di epoca bizantina, costruita nel sesto secolo, fu trasformata in una moschea ottomana dopo la conquista della città di Costantinopoli da parte di Mehmet il Conquistatore nel 1453.

    Critiche e polemiche internazionali, come era prevedibile, non si sono fatte attendere. La Grecia accusa Erdogan di far rivivere, con questa decisione, un sentimento religioso fanatico e nazionalista e il ministro della cultura greca, Lina Mendoni, ha fatto sapere con fermezza che non ci possono essere cambiamenti nel sito del patrimonio mondiale dell’UNESCO senza l’approvazione del comitato intergovernativo dell’organismo.

    Anche gli Stati Uniti, con il segretario di Stato Mike Pompeo, criticano fortemente la decisione perché in questo modo non solo verrebbe annullato quel ponte necessario tra diverse tradizioni e culture religiose che è sempre più raro vedere nell’epoca moderna ma anche quel percorso che, a suo tempo, ha contribuito alla costituzione della Repubblica di Turchia. E’ necessario perciò che rimanga un museo accessibile a tutti.

    Erdogan, dal canto suo, fa sapere che è stato invece un errore molto grande convertire la Basilica di Santa Sofia in un museo e che l’idea della ‘riconversione’ dello splendido edificio era parte della campagna pre-elettorale perché la ‘richiesta’ popolare stava diventato sempre più forte.

    Intanto, lo scorso 5 giugno, gli Imam hanno recitato versi del Corano all’interno di Santa Sofia, nel 567° anniversario della conquista di Istanbul da parte degli ottomani.

  • US watchdog wants India on religious freedom blacklist

    A United States government panel on Tuesday has called for India to be put on a religious freedom blacklist.

    The US Commission on International Religious Freedom said in its annual report that India should join the ranks of “countries of particular concern” that would be subject to sanctions if they do not improve their records.

    “In 2019, religious freedom conditions in India experienced a drastic turn downward, with religious minorities under increasing assault”, the report said.

    It highlighted India’s controversial citizenship law, which the United Nations has called “fundamentally discriminatory”. The country has been torn by deadly protests followed by curfew since December, when the Citizenship Amendment Act, offered by PM Modi, was passed.

    The law allows citizenship for Hindus, Sikhs, Buddhists, Jains, Parsis, and Christians who illegally migrated to India from Afghanistan, Bangladesh, and Pakistan. It, however, does not allow citizenship for Muslims.

    The report also highlighted the revocation of the autonomy of Kashmir, which was India’s only Muslim-majority state.

    The panel’s vice-chair Nadine Maenza said that India has a broader “move toward clamping down on religious minorities that’s really troublesome”.

    The report concluded by calling on the US to impose punitive measures, including visa bans on Indian officials.

  • Verdetto in Svizzera: l’amaro Jagermeister non offende i sentimenti religiosi

    Jagermeister, il celebre amaro, non offende i sentimenti religiosi: lo hanno stabilito i giudici del Tribunale amministrativo federale svizzero (Taf), chiamati a dirimere un contenzioso tra la società tedesca Mast-Jagermeister e l`Istituto federale della proprietà intellettuale (IPI), secondo cui il logo del liquore tedesco – una croce che splende tra i palchi di un cervo – potrebbe essere offensivo per i cristiani elvetici.

    L’IPI, spiega Swissinfo, aveva così bloccato la richiesta dell’azienda tedesca di estendere il proprio marchio a prodotti di cosmesi e servizi di intrattenimento.  Il Tribunale Federale Amministrativo ha però stabilito che “l’uso intensivo” del famoso logo “ha indebolito il suo carattere religioso” e di conseguenza la possibilità che qualcuno lo ritenga offensivo. Il marchio Jagermeister fa riferimento a Sant’Uberto, noto come “l’Apostolo delle Ardenne” e patrono dei cacciatori, che secondo la tradizione si convertì alla fede cristiana dopo aver visto un cervo con un crocefisso tra i suoi maestosi palchi.

  • Se questo è un uomo…

    Prendo a prestito il titolo nel libro di Primo Levi per commentare una foto che francamente trovo indegna quanto il personaggio che l’ha inserita.

    Da buon laico mi è stato insegnato da mio papà il rispetto assoluto per le religioni e soprattutto per le persone che le seguono proprio in funzione della mia posizione di non credente. In altre parole il laicismo assicura la libertà di religione in virtù della propria espressione culturale e quindi di apertura al pluralismo religioso.

    La foto che vuole togliere ogni aspetto divino alla figura della Madonna che partorisce uniformandola a quella di ogni “semplice” madre parte da una posizione politica espressione del peggiore veterocomunismo ideologico che tende a togliere e ad annullare ogni aspetto Divino ad un simbolo della religione “avversa”. In questo modo tale posizione ideologica e la foto che ne definisce i contorni riassumono l’intenzione di negare dei valori espressione della stessa religione in antitesi al proprio credo politico che per questo assume il valore della religione stessa come espressione della propria iconoclastia.

    Viceversa, il dovuto rispetto per le religioni comincia proprio dal riconoscimento di quei simboli che rappresentano per i credenti l’essenza stessa del credo.

    Quindi l’attacco volgare al simbolo della Madonna non è espressione della secolarizzazione della civiltà moderna e della assoluta libertà di espressione occidentale ma, al contrario, di una posizione integralista iconoclasta ed ideologica in contrapposizione ad una religione riconosciuta da centinaia di milioni di persone.

    Quindi tornando alla domanda retorica iniziale … Questo non è un uomo.

  • Experts warn that religious freedom around the world is worsening

    In August, Iraq’s ethnoreligious Yazidi minority marked the five years since ISIS militants overran northwestern Iraq and murdered at least 5,000 Yazidi men and boys who refused to convert to Islam and enslaved more than 7,000 women and girls who were sold off as brides and sex slaves.

    An indigenous ethnic group in Iraq, Syria, and Turkey, the Yazidis are mainly Kurdish-speaking followers of a monotheistic religion that can be traced back to the beliefs of ancient Mesopotamia. Following the rise of ISIS, the Yazidis became the first victims of genocide by the Islamic State.

    “The Yazidis are better off moving to other countries because Iraq is not safe,” a young Yazidi woman who was kidnapped, raped, and sexually abused by ISIS said after the terrorist group swept across northern Iraq and Syria in the summer of 2014.

    The unnamed young woman now lives in Germany where she was given asylum and where regularly visits therapists who help her overcome the trauma of her ordeal. She said that she has no desire to return home to Iraq because the threats to Yazidis, even after ISIS’ current battlefield defeat, remain high and that her community remains susceptible to discrimination and attacks.

    Suicide rates are high among Iraq’s Yazidi teenagers, many of whom are young women who survived the horror of being ISIS’ captives. They continuously battle post-traumatic stress disorders and severe depression. While being held captive by ISIS militants, the victims were routinely raped, tortured, sold, called infidels, and beaten while being forced to memorise passages of the Koran.

    Sam Brownback, the US envoy for religious freedom, said that, sadly, ISIS’ abuses against the Yazidis are not the only example of faith-based persecution. He added that although the world paid a great deal of lip service to put an end to future cases of genocide and ethnic cleansing, particularly in cases where the perpetrators targeted an ethnoreligious group, the systematic killing and deportation of Myanmar’s Rohingya, a Muslim minority, continues to this day.

    Brownback also noted that the forced detention of more than 1 million the Uyghurs – a Turkic-speaking Muslim people, native to China’s Xinjiang Province – into reeducation camps by the Chinese Communist Party and the massacre of Jews at a synagogue in Pennsylvania, in which 11 worshippers died, is further proof that violence against religious communities around the world is on the rise.

    “We’re working with like-minded countries to push the topic of religious freedom to the forefront, globally, so that we can start getting the trend line going the other way,” Brownback said while adding that tackling religious persecution is very difficult.

    Experts warn that political leaders should foster a culture of tolerance, promote exchanges between different religious groups, and prosecute anyone who promotes violence against minorities.

    The plight of the Yazidis, Uyghurs, Rohingyas, and others is expected to be on the agenda of the upcoming annual UN General Assembly in New York, where the world’s leaders will discuss security threats. Whether any decisions can be reached that would bring about a halt to violence against religious communities is, however, unlikely.

  • Quebec ban on religious symbols causes international outcry

    Two groups of Canadian activists have filed an appeal against a Quebec judge’s decision to ban the wearing of religious symbols by public employees.

    The decision issued by Quebec’s Superior Court prohibits teachers, police, judges, prison guards, and all public servants from wearing any religious regalia including as yarmulkes (kippahs), hijabs, and crosses. The ruling also bans face coverings while providing public services, which would seriously impact the growing number of Muslim women that work as teachers.

    Private civil liberties groups, the National Council of Canadian Muslims, and the Canadian Civil Liberties Association appealed the decision only hours after it passed in the hope that they could keep the measure from taking effect until it could be publicly debated.

    According to the group, the decision contains major legal as it discriminates against people based on how they dress

    “This is both absurd and abhorrent – it has no place in a society that values justice, equality and freedom,” said Noa Mendelsohn Aviv, equality program director of the Canadian Civil Liberties Association.

    The decision has caused an international outcry, as well as condemnation from Canadian politicians who argue that the law violated fundamental freedoms protected by the Canadian Constitution.

  • Autista islamico non fa salire un’algerina in minigonna su un autobus di Parigi

    C’è voluto un poeta algerino, Kamel Bencheikh, per denunciare l’intolleranza che si sta diffondendo a Parigi, dove l’abbigliamento femminile può portare a discriminazioni. L’intellettuale nato a Setif, in Algeria, che si definisce «militante anti-islamista» e che su Facebook aveva scritto «rivendico di essere islamofobo» ha denunciato quel che a sua figlia 29enne è stato impedito di salire su un autobus, nel XIX arrondissement, zona nordest della capitale, perché indossava una minigonna. «Intorno alle 23 mia figlia Élise aspettava l’autobus della linea 60 con un’amica, alla fermata Botzaris vicino al parco delle Buttes Chaumont. Quando è arrivato, l’autista si è fermato, le ha guardate, ed è ripartito senza aprire le porte». Pochi metri più avanti il bus ha dovuto fermarsi a un semaforo rosso, le ragazze lo hanno raggiunto e hanno chiesto all’autista perché non le avesse fatte salire. «Pensa a vestirti come si deve», ha risposto il conducente alla figlia di Bencheikh, prima di ripartire. Secondo il racconto della ragazza, l’autista dell’autobus aveva l’aspetto maghrebino e la barba sul mento tipica di alcuni musulmani. Non l’ha fatta salire sul bus perché vestita in modo sconveniente rispetto all’islam salafita, applicando un legge religiosa che non ha motivo di esistere nella sfera pubblica. «Questa persona che guida un autobus pagato con le mie tasse ha impedito a mia figlia, che ha un abbonamento in regola e non ha mai avuto niente da rimproverarsi, di salire, solo perché portava una gonna» ha denunciato il padre.

    «Se i fatti sono confermati è uno scandalo! Chiedo alla Ratp di fare luce sulla vicenda», ha commentato Valérie Pecresse, presidente della regione Île-de-France (la Ratp è l’azienda di trasporti della regione parigina, che ha annunciato di avere identificato l’autista e di avere avviato un’inchiesta interna). Riportando la notizia, il Corriere della Sera segnala che Samy Amimour, uno dei terroristi islamici del Bataclan, è stato un autista Ratp dal 2010 al 2012 e che nel 2015, dopo l’attentato, sono arrivate le testimonianze su autisti radicalizzati che rifiutano di stringere la mano alle colleghe al cambio del turno o non vogliono sedersi al posto di guida se a occuparlo prima di loro era una donna.

  • Brucia il simbolo dell’anima cristiana e della bellezza umana

    Tutto il dolore del mondo libero concentrato sulla cattedrale di Notre Dame che brucia – titola un periodico. Mille anni distrutti in pochi minuti. E’ l’11 settembre dell’Europa cristiana. Nell’inferno di Notre Dame. Teatro di una tragedia della coscienza individuale e collettiva. Se ne va il simbolo della cultura europea. Perdere il bello, un dolore infinito. Islamici in festa: “Vendetta di Allah”. “Distrutta una parte di noi”. La gente piange e si inginocchia. “Spettacolo che stringe il cuore”. Sono alcuni dei titoli che scorriamo in fretta sui quotidiani. Ovunque dolore, tristezza, sgomento, incredulità, consapevolezza di una grande perdita, di una distruzione irrecuperabile, di un vuoto che ci arriva dal Medio Evo. Chi osa affermare ancora che il Medio Evo era un’epoca oscura? Da allora non sono state più fatte bellezze di questa incommensurabile grandezza. E’ stato il bello ad essere colpito a morte. Fatalità o mano criminale dell’uomo? Incuria o atto voluto? Sarà difficile trovare le prove dello scatenamento del violento, violentissimo incendio, che in poco tempo, annullando i miseri tentativi dei pompieri, ha fatto crollare il tetto e schiantare in pochi minuti la guglia di oltre 90 metri. I commenti erano unanimi. Notre Dame non era solo il simbolo della cristianità, ma rappresentava la storia, la cultura, il bello e il genio della Francia. Ha resistito per oltre otto secoli alle sfide del tempo e della pazzia degli uomini. Nemmeno la rivoluzione della fine Settecento è riuscita, dopo averci tentato, a farla sparire. E’ sopravvissuta all’ultima guerra mondiale, con i bombardamenti aerei e l’invasione dei carri armati. Ed ora, in pochi minuti, un patrimonio di tale valore stava scomparendo dalla vista degli uomini, non certamente da quella del cuore. Nonostante la lenta ed inesorabile crisi del cristianesimo nel paese, la Francia, considerata fino a poco tempo fa  “figlia prediletta dalla Chiesa”, nonostante il sovvertimento di valori avvenuto in questi ultimi tempi, Notre Dame era rispettata anche dai non credenti, era la testimonianza accettata della cultura e della storia di Francia, il simbolo di un insieme di valori che hanno caratterizzato non solo il popolo francese, ma anche quello europeo, anzi, diremo di più, di molti popoli del mondo. Ogni anno, non a caso, i visitatori della cattedrale raggiungevano i 13 milioni ed erano in costante crescita. Notre Dame parlava a tutto il mondo e simboleggiava quanto di bello e buono l’uomo ama. Un dubbio, tuttavia, ci assale. E se fosse stato proprio questo simbolo che si voleva far scomparire? Un simbolo troppo forte, troppo potente, più forte e potente di qualsiasi ideologia, contenente in sé i valori di una religioni e della stessa laicità. Un simbolo difficile da distruggere culturalmente, ma facile da colpire con un falò. D’altronde quello portato alla cattedrale di Parigi non è il primo attacco a una chiesa. Gli attacchi alle chiese francesi si contano a centinaia. Solo nel 2018 ne sono state vandalizzate 875, secondo le cifre diffuse dalla polizia francese (oltre mille stando a quanto riporta il Gatestone Institute, +17 per cento rispetto al 2017), e si contano 47 attacchi, anche incendiari, nel solo mese febbraio di quest’anno. Il 17 marzo scorso un incendio, doloso, ha colpito proprio a Parigi la chiesa di St. Sulpice, nel quartiere latino, d’architettura barocca. È la seconda chiesa di Parigi per grandezza dopo Notre-Dame ed è la sede della Compagnia dei Sacerdoti di San Sulpizio. Una domanda viene spontanea: anche tutti questi incendi sono stati casuali o determinati da lavori di restauro in corso? La risposta non giungerà mai ed il dubbio non verrà dissolto. Ma l’interrogativo rimane e logora la mente ed il cuore. Ma è mai possibile tanto accanimento e tanto odio? Sarebbe il deserto della ragione e dei sentimenti, una landa smisurata di solitudine. Con Charles Peguy vogliamo invece chiudere con una preghiera: Ciò che dappertutto altrove è solitudine/Qui non è che un vivace e forte germoglio. (…) Ce ne han dette tante, regina degli apostoli./Abbiamo perso il gusto per i discorsi/Non abbiamo più altari se non i vostri/Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice”.

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