religione

  • Se questo è un uomo…

    Prendo a prestito il titolo nel libro di Primo Levi per commentare una foto che francamente trovo indegna quanto il personaggio che l’ha inserita.

    Da buon laico mi è stato insegnato da mio papà il rispetto assoluto per le religioni e soprattutto per le persone che le seguono proprio in funzione della mia posizione di non credente. In altre parole il laicismo assicura la libertà di religione in virtù della propria espressione culturale e quindi di apertura al pluralismo religioso.

    La foto che vuole togliere ogni aspetto divino alla figura della Madonna che partorisce uniformandola a quella di ogni “semplice” madre parte da una posizione politica espressione del peggiore veterocomunismo ideologico che tende a togliere e ad annullare ogni aspetto Divino ad un simbolo della religione “avversa”. In questo modo tale posizione ideologica e la foto che ne definisce i contorni riassumono l’intenzione di negare dei valori espressione della stessa religione in antitesi al proprio credo politico che per questo assume il valore della religione stessa come espressione della propria iconoclastia.

    Viceversa, il dovuto rispetto per le religioni comincia proprio dal riconoscimento di quei simboli che rappresentano per i credenti l’essenza stessa del credo.

    Quindi l’attacco volgare al simbolo della Madonna non è espressione della secolarizzazione della civiltà moderna e della assoluta libertà di espressione occidentale ma, al contrario, di una posizione integralista iconoclasta ed ideologica in contrapposizione ad una religione riconosciuta da centinaia di milioni di persone.

    Quindi tornando alla domanda retorica iniziale … Questo non è un uomo.

  • Experts warn that religious freedom around the world is worsening

    In August, Iraq’s ethnoreligious Yazidi minority marked the five years since ISIS militants overran northwestern Iraq and murdered at least 5,000 Yazidi men and boys who refused to convert to Islam and enslaved more than 7,000 women and girls who were sold off as brides and sex slaves.

    An indigenous ethnic group in Iraq, Syria, and Turkey, the Yazidis are mainly Kurdish-speaking followers of a monotheistic religion that can be traced back to the beliefs of ancient Mesopotamia. Following the rise of ISIS, the Yazidis became the first victims of genocide by the Islamic State.

    “The Yazidis are better off moving to other countries because Iraq is not safe,” a young Yazidi woman who was kidnapped, raped, and sexually abused by ISIS said after the terrorist group swept across northern Iraq and Syria in the summer of 2014.

    The unnamed young woman now lives in Germany where she was given asylum and where regularly visits therapists who help her overcome the trauma of her ordeal. She said that she has no desire to return home to Iraq because the threats to Yazidis, even after ISIS’ current battlefield defeat, remain high and that her community remains susceptible to discrimination and attacks.

    Suicide rates are high among Iraq’s Yazidi teenagers, many of whom are young women who survived the horror of being ISIS’ captives. They continuously battle post-traumatic stress disorders and severe depression. While being held captive by ISIS militants, the victims were routinely raped, tortured, sold, called infidels, and beaten while being forced to memorise passages of the Koran.

    Sam Brownback, the US envoy for religious freedom, said that, sadly, ISIS’ abuses against the Yazidis are not the only example of faith-based persecution. He added that although the world paid a great deal of lip service to put an end to future cases of genocide and ethnic cleansing, particularly in cases where the perpetrators targeted an ethnoreligious group, the systematic killing and deportation of Myanmar’s Rohingya, a Muslim minority, continues to this day.

    Brownback also noted that the forced detention of more than 1 million the Uyghurs – a Turkic-speaking Muslim people, native to China’s Xinjiang Province – into reeducation camps by the Chinese Communist Party and the massacre of Jews at a synagogue in Pennsylvania, in which 11 worshippers died, is further proof that violence against religious communities around the world is on the rise.

    “We’re working with like-minded countries to push the topic of religious freedom to the forefront, globally, so that we can start getting the trend line going the other way,” Brownback said while adding that tackling religious persecution is very difficult.

    Experts warn that political leaders should foster a culture of tolerance, promote exchanges between different religious groups, and prosecute anyone who promotes violence against minorities.

    The plight of the Yazidis, Uyghurs, Rohingyas, and others is expected to be on the agenda of the upcoming annual UN General Assembly in New York, where the world’s leaders will discuss security threats. Whether any decisions can be reached that would bring about a halt to violence against religious communities is, however, unlikely.

  • Quebec ban on religious symbols causes international outcry

    Two groups of Canadian activists have filed an appeal against a Quebec judge’s decision to ban the wearing of religious symbols by public employees.

    The decision issued by Quebec’s Superior Court prohibits teachers, police, judges, prison guards, and all public servants from wearing any religious regalia including as yarmulkes (kippahs), hijabs, and crosses. The ruling also bans face coverings while providing public services, which would seriously impact the growing number of Muslim women that work as teachers.

    Private civil liberties groups, the National Council of Canadian Muslims, and the Canadian Civil Liberties Association appealed the decision only hours after it passed in the hope that they could keep the measure from taking effect until it could be publicly debated.

    According to the group, the decision contains major legal as it discriminates against people based on how they dress

    “This is both absurd and abhorrent – it has no place in a society that values justice, equality and freedom,” said Noa Mendelsohn Aviv, equality program director of the Canadian Civil Liberties Association.

    The decision has caused an international outcry, as well as condemnation from Canadian politicians who argue that the law violated fundamental freedoms protected by the Canadian Constitution.

  • Autista islamico non fa salire un’algerina in minigonna su un autobus di Parigi

    C’è voluto un poeta algerino, Kamel Bencheikh, per denunciare l’intolleranza che si sta diffondendo a Parigi, dove l’abbigliamento femminile può portare a discriminazioni. L’intellettuale nato a Setif, in Algeria, che si definisce «militante anti-islamista» e che su Facebook aveva scritto «rivendico di essere islamofobo» ha denunciato quel che a sua figlia 29enne è stato impedito di salire su un autobus, nel XIX arrondissement, zona nordest della capitale, perché indossava una minigonna. «Intorno alle 23 mia figlia Élise aspettava l’autobus della linea 60 con un’amica, alla fermata Botzaris vicino al parco delle Buttes Chaumont. Quando è arrivato, l’autista si è fermato, le ha guardate, ed è ripartito senza aprire le porte». Pochi metri più avanti il bus ha dovuto fermarsi a un semaforo rosso, le ragazze lo hanno raggiunto e hanno chiesto all’autista perché non le avesse fatte salire. «Pensa a vestirti come si deve», ha risposto il conducente alla figlia di Bencheikh, prima di ripartire. Secondo il racconto della ragazza, l’autista dell’autobus aveva l’aspetto maghrebino e la barba sul mento tipica di alcuni musulmani. Non l’ha fatta salire sul bus perché vestita in modo sconveniente rispetto all’islam salafita, applicando un legge religiosa che non ha motivo di esistere nella sfera pubblica. «Questa persona che guida un autobus pagato con le mie tasse ha impedito a mia figlia, che ha un abbonamento in regola e non ha mai avuto niente da rimproverarsi, di salire, solo perché portava una gonna» ha denunciato il padre.

    «Se i fatti sono confermati è uno scandalo! Chiedo alla Ratp di fare luce sulla vicenda», ha commentato Valérie Pecresse, presidente della regione Île-de-France (la Ratp è l’azienda di trasporti della regione parigina, che ha annunciato di avere identificato l’autista e di avere avviato un’inchiesta interna). Riportando la notizia, il Corriere della Sera segnala che Samy Amimour, uno dei terroristi islamici del Bataclan, è stato un autista Ratp dal 2010 al 2012 e che nel 2015, dopo l’attentato, sono arrivate le testimonianze su autisti radicalizzati che rifiutano di stringere la mano alle colleghe al cambio del turno o non vogliono sedersi al posto di guida se a occuparlo prima di loro era una donna.

  • Brucia il simbolo dell’anima cristiana e della bellezza umana

    Tutto il dolore del mondo libero concentrato sulla cattedrale di Notre Dame che brucia – titola un periodico. Mille anni distrutti in pochi minuti. E’ l’11 settembre dell’Europa cristiana. Nell’inferno di Notre Dame. Teatro di una tragedia della coscienza individuale e collettiva. Se ne va il simbolo della cultura europea. Perdere il bello, un dolore infinito. Islamici in festa: “Vendetta di Allah”. “Distrutta una parte di noi”. La gente piange e si inginocchia. “Spettacolo che stringe il cuore”. Sono alcuni dei titoli che scorriamo in fretta sui quotidiani. Ovunque dolore, tristezza, sgomento, incredulità, consapevolezza di una grande perdita, di una distruzione irrecuperabile, di un vuoto che ci arriva dal Medio Evo. Chi osa affermare ancora che il Medio Evo era un’epoca oscura? Da allora non sono state più fatte bellezze di questa incommensurabile grandezza. E’ stato il bello ad essere colpito a morte. Fatalità o mano criminale dell’uomo? Incuria o atto voluto? Sarà difficile trovare le prove dello scatenamento del violento, violentissimo incendio, che in poco tempo, annullando i miseri tentativi dei pompieri, ha fatto crollare il tetto e schiantare in pochi minuti la guglia di oltre 90 metri. I commenti erano unanimi. Notre Dame non era solo il simbolo della cristianità, ma rappresentava la storia, la cultura, il bello e il genio della Francia. Ha resistito per oltre otto secoli alle sfide del tempo e della pazzia degli uomini. Nemmeno la rivoluzione della fine Settecento è riuscita, dopo averci tentato, a farla sparire. E’ sopravvissuta all’ultima guerra mondiale, con i bombardamenti aerei e l’invasione dei carri armati. Ed ora, in pochi minuti, un patrimonio di tale valore stava scomparendo dalla vista degli uomini, non certamente da quella del cuore. Nonostante la lenta ed inesorabile crisi del cristianesimo nel paese, la Francia, considerata fino a poco tempo fa  “figlia prediletta dalla Chiesa”, nonostante il sovvertimento di valori avvenuto in questi ultimi tempi, Notre Dame era rispettata anche dai non credenti, era la testimonianza accettata della cultura e della storia di Francia, il simbolo di un insieme di valori che hanno caratterizzato non solo il popolo francese, ma anche quello europeo, anzi, diremo di più, di molti popoli del mondo. Ogni anno, non a caso, i visitatori della cattedrale raggiungevano i 13 milioni ed erano in costante crescita. Notre Dame parlava a tutto il mondo e simboleggiava quanto di bello e buono l’uomo ama. Un dubbio, tuttavia, ci assale. E se fosse stato proprio questo simbolo che si voleva far scomparire? Un simbolo troppo forte, troppo potente, più forte e potente di qualsiasi ideologia, contenente in sé i valori di una religioni e della stessa laicità. Un simbolo difficile da distruggere culturalmente, ma facile da colpire con un falò. D’altronde quello portato alla cattedrale di Parigi non è il primo attacco a una chiesa. Gli attacchi alle chiese francesi si contano a centinaia. Solo nel 2018 ne sono state vandalizzate 875, secondo le cifre diffuse dalla polizia francese (oltre mille stando a quanto riporta il Gatestone Institute, +17 per cento rispetto al 2017), e si contano 47 attacchi, anche incendiari, nel solo mese febbraio di quest’anno. Il 17 marzo scorso un incendio, doloso, ha colpito proprio a Parigi la chiesa di St. Sulpice, nel quartiere latino, d’architettura barocca. È la seconda chiesa di Parigi per grandezza dopo Notre-Dame ed è la sede della Compagnia dei Sacerdoti di San Sulpizio. Una domanda viene spontanea: anche tutti questi incendi sono stati casuali o determinati da lavori di restauro in corso? La risposta non giungerà mai ed il dubbio non verrà dissolto. Ma l’interrogativo rimane e logora la mente ed il cuore. Ma è mai possibile tanto accanimento e tanto odio? Sarebbe il deserto della ragione e dei sentimenti, una landa smisurata di solitudine. Con Charles Peguy vogliamo invece chiudere con una preghiera: Ciò che dappertutto altrove è solitudine/Qui non è che un vivace e forte germoglio. (…) Ce ne han dette tante, regina degli apostoli./Abbiamo perso il gusto per i discorsi/Non abbiamo più altari se non i vostri/Non sappiamo nient’altro che una preghiera semplice”.

  • San Sepolcro svelato, il libro che racconta uno dei luoghi più antichi e spirituali di Milano

    Martedì 2 aprile sede della Biblioteca Ambrosiana alle ore 17.00 sarà presentato il volume San Sepolcro svelato che raccoglie i risultati del restauro della Chiesa di San Sepolcro, uno degli edifici religiosi più antichi della città, luogo cruciale della spiritualità milanese, punto di incontro e dialogo tra culture diverse da millenni. A parlare della pubblicazione Pietro Cesare Marani, professore ordinario di Storia dell’Arte Moderna al Politecnico di Milano e gli autori del libro Pinin Brambilla Barcilon, Sara Abram e Luigi Carlo Schiavi. In apertura i saluti di Mons. Pier Francesco Fumagalli, Dottore dell’Ambrosiana e della Presidente del Centro Studi Daniela Mainini.

  • Quando le chiese profanate non fanno notizia

    Riportiamo di seguito un articolo di Ermes Dovico pubblicato il 22 febbraio 2019 su La Nuova Bussola Quotidiana.

    Dall’inizio di febbraio a oggi si contano attacchi profanatori ad almeno sei chiese francesi, dal sud al nord del Paese, con statue di Gesù e Maria fatte a pezzi, croci disegnate con escrementi, tabernacoli violati e Ostie consacrate sparse per terra, a conferma che si è voluto colpire il cuore della fede cattolica. Il tutto avviene nella quasi totale indifferenza di media e istituzioni, sia Oltralpe che da noi.
    L’Europa si va scristianizzando senza che molti se ne curino, anzi, e altrettanta indifferenza si constata riguardo alla crescita degli atti anticristiani, a partire da quella che era una volta la cattolicissima Francia. Dal sud al nord del Paese transalpino, solo dall’inizio di febbraio a oggi si contano almeno una decina di attacchi profanatori, avvenuti per la gran parte all’interno di chiese, alcune delle quali oggetto di più sacrilegi in pochi giorni. Episodi documentati da quotidiani locali e raccolti sul sito dell’Observatory on intolerance and discrimination against christians in Europe (Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa).
    Tra le chiese più colpite c’è quella di San Nicola, a Houilles (nell’Île-de-France, la regione settentrionale che comprende Parigi) profanata tre volte nel giro di una settimana, cioè il 29 gennaio, l’1 e il 4 febbraio. Qui i vandali si sono scatenati prima su una statuetta di Cristo che porta la croce – oggetto di due attacchi consecutivi – poi hanno ridotto in frantumi una statua della Beata Vergine con Gesù Bambino. Il 10 febbraio in un’altra chiesa dedicata a San Nicola, stavolta a Maisons-Laffitte (sempre nell’Île-de-France), il tabernacolo è stato gettato a terra; la polizia ha tratto in arresto un uomo di 35 anni, che ha ammesso il sacrilegio compiuto. Il 3 febbraio le Ostie consacrate erano intanto state sparse sul pavimento della bella chiesa di Notre-Dame a Lusignano, nella Francia centrale, e il 5 febbraio era stato vandalizzato un crocifisso di legno posto sul ciglio di una strada nel comune di Labastide, nella fascia pirenaica dell’Occitania.
    Lo stesso giorno, ancora in Occitania, altre due chiese hanno subito atti gravemente offensivi verso Dio. Un incendio è stato appiccato nell’antica cattedrale di Lavaur (XIII secolo) dedicata a sant’Alano, bruciando la tovaglia dell’altare e il presepe prima che il fumo allertasse il segretario parrocchiale, con il successivo intervento dei pompieri: nello stesso luogo una croce è stata trovata sul suolo e un’altra con il braccio di Gesù rovinato. «Dio perdonerà, io no», ha detto nell’occasione il sindaco di Lavaur, Bernard Carayon, come riferito dal quotidiano La Croix. Sempre il 5 febbraio, su un muro della chiesa di Notre-Dame des Enfants, a Nîmes, è stata tracciata con degli escrementi una croce, appiccicandovi dei pezzi di Ostie consacrate. Il tabernacolo è stato inoltre danneggiato e altre Ostie distrutte. Tre giorni più tardi il vescovo di Nîmes, Robert Wattebled, ha diffuso un comunicato per annunciare un rito penitenziale prima della ripresa delle celebrazioni e chiedere a tutti i cattolici di associarsi nella preghiera di riparazione.
    Il 9 febbraio è stato dissacrato il tabernacolo della chiesa di Notre-Dame di Digione, in Borgogna: anche qui le sacre Particole sono state disseminate sul suolo, macchiando la tovaglia dell’altare e strappando il Messale. Come ha spiegato al giornale Le Bien Public un sacerdote della parrocchia, padre Emmanuel Pic, chi ha profanato la chiesa di Notre-Dame ha voluto colpire «il cuore della fede cattolica». Infatti, ha aggiunto padre Emmanuel, «non è stato rotto nulla di valore, ma è l’intento a essere molto scioccante. Questo è ciò che caratterizza la profanazione». I vandali, volendoli chiamare riduttivamente così, hanno cioè deciso di attaccare la santa Eucaristia perché sanno che essa è «un simbolo molto forte (per i parrocchiani), in quanto le Ostie consacrate durante la Messa non sono più un semplice pezzo di pane» ma si sono convertite interamente nel Corpo di Cristo. Dopo il sacrilegio di Digione, l’arcivescovo ha presieduto personalmente una Messa di riparazione.
    Almeno sei chiese, dunque, profanate nel giro di pochissimi giorni da una parte all’altra della Francia: difficile dire se tutti i sacrilegi siano collegati tra di loro, ma certo non si tratta di casi isolati né di un’ondata temporanea. Per stare ai dati diffusi dal ministero dell’Interno francese, nel 2018 si sono registrati 1.063 fatti anticristiani, in aumento rispetto ai 1.038 dell’anno precedente. Nel 2016, secondo il rapporto di Aiuto alla Chiesa che Soffre, gli attacchi a siti cristiani in territorio transalpino erano stati 949, tra cui ricordiamo il caso più eclatante: l’uccisione, avvenuta il 26 luglio, di padre Jacques Hamel, oggi Servo di Dio (e di cui la Chiesa potrebbe presto riconoscere il martirio), assalito e sgozzato da due islamisti mentre celebrava Messa a Saint-Étienne-du-Rouvray (in Normandia), in una chiesa dedicata al protomartire santo Stefano.
    Come ha raccontato alla Nuova BQ una madre italiana di nome Barbara, che spesso si trova ad andare in Francia, il clima anticristiano è ben percepito Oltralpe malgrado se ne parli poco: «In ben tre occasioni ho trovato la polizia e l’esercito a proteggere le chiese. L’ho notato perché erano gli orari delle Messe. L’ultimo episodio risale a un anno fa, ad Aix-en-Provence. Quando sono passata davanti a una chiesa, durante la Messa vespertina del sabato, ho trovato uomini dell’esercito. Mi sono fermata a chiedere perché fossero lì, chiedendo se ci fosse qualche personalità in visita. Mi hanno risposto che erano lì “a protezione, per la tranquillità dei fedeli”». Barbara aggiunge che già in precedenza «a proteggere le chiese negli orari della Messa, avevo trovato la Gendarmerie, una prima volta a Marsiglia e una seconda a Nizza. Era una presenza molto forte, notevole: più auto disposte in modo da fare da scudo, attorno alla chiesa. Controllavano i passanti. Spesso si soffermavano a controllare quelli che, all’apparenza, erano arabi». Tre città diverse, dunque, e «ad Aix-en-Provence non c’è neppure una grande comunità musulmana. Sia nel 2017 che nel 2018 ho notato questa presenza armata lontano da date di attentati terroristici, non in coincidenza con allerte particolari, dunque. Nulla di cui abbiano parlato i media».
    Davanti a numeri e fatti come questi sarebbe il minimo denunciare pubblicamente la situazione di odio al cristianesimo che si va radicando in Francia e nel resto d’Europa – andando a sommarsi ai contesti più gravi di persecuzioni, tra l’Africa e l’Asia – ma le istituzioni rimangono in prevalenza silenti e lo stesso fa la gran parte del circo mediatico, tanto pronto a montare su altre campagne spesso ideologiche. Finora, rispetto a questi ultimi atti sacrileghi, la “voce” – tardiva – del governo si è fatta sentire con un messaggio via Twitter del primo ministro Edouard Philippe, scritto il 13 febbraio prima di un incontro programmato con i vescovi: «In una settimana, in Francia, 5 chiese degradate [6, ndr]. Nella nostra Repubblica laica, i luoghi di culto sono rispettati. Tali atti mi scioccano e devono essere condannati all’unanimità». Cinguettio a parte, pressoché il nulla da chi ha il potere. E pressoché il nulla anche dai media di casa nostra, fatta eccezione per qualche testata di area cattolica.
    La situazione della “laica” Francia, stretta tra multiculturalismo e secolarizzazione galoppante, è che la dimenticanza di Cristo si accompagna alla perdita di amore (quello vero, che arriva fino alla Croce) e ragione, finendo per lasciare spazio ai loro opposti. Che poi hanno una chiara matrice diabolica, sia che si tratti di satanisti sia che si tratti di fondamentalisti islamici, e non è un caso che coloro che in questi giorni hanno profanato le chiese abbiano voluto dissacrare i tabernacoli e quindi, come già osservava padre Emmanuel, il cuore della nostra fede: la Presenza reale di Nostro Signore nel Santissimo Sacramento. I nemici di Dio ne sono consapevoli. Per porre rimedio a tanto male serve che ce ne ricordiamo anche noi, riscoprendo il tesoro di grazie che Gesù ci ha lasciato con l’Eucaristia.

    Ermes Dovico

  • Asia Bibi giudicata innocente dalla corte suprema pakistana

    Sta succedendo quello che si temeva. Alla gioia seguita alla proclamazione di non colpevolezza da parte della Corte Suprema, è subito subentrata la paura che i fondamentalisti islamici riescano a fare un nuovo processo e a condannare a morte, per la seconda volta, la povera Asia Bibi, una contadina cristiana che vive in Pakistan, colpevole, secondo questi estremisti, di blasfemia e di aver offeso il Profeta. La Corte Suprema, con estremo coraggio, dato il clima di odio e di persecuzione contro i cristiani che è ormai radicato in Pakistan, ha sentenziato che Asia non ha commesso nessuna colpa. Le accuse, quindi, erano false e pretestuose, montate ad arte per far condannare a morte la povera donna. Ciò nonostante Asia è rinchiusa in prigione da 10 anni, in una cella buia e senza finestre, senza avere alcun contatto con l’esterno. Basti pensare che in tutto questo tempo il marito ed i figli non hanno mai potuta incontrarla e che dopo la recente sentenza sono stati costretti a nascondersi per il timore di essere a loro volta perseguitati e sottoposti alle violenze dalla folla, che a decine di migliaia ha invaso le piazze del Paese, ubriaca di odio e di fobia contro i cristiani, chiedendo la morte per Asia.

    Asia è innocente, ma deve morire perché cristiana. La sua sola colpa è credere in Gesù Cristo e nel suo amore. Che cosa alimenta questo odio feroce e disumano contro i cristiani? I laudatores dell’islam dicono che questa è una religione amorevole, non violenta. Vorremmo crederlo, ma in tutto il mondo le persecuzioni contri i cristiani provengono da fedeli mussulmani o da istituzioni civili controllate da essi. Non si sente mai dire che i buddisti perseguitino i cristiani, o che lo facciano gli animisti. Sono sempre gli appartenenti all’islam quelli che odiano e che perseguitano i credenti in Cristo, cioè gli infedeli, come dice il Corano. Forse la situazione sarebbe diversa se nel Corano non ci fossero le “sure” che incitano ad ammazzare gli infedeli e addirittura indicano come farlo. Se l’Islam è considerato amorevole, perché i loro saggi, i loro maestri non si pongono il problema della estrema violenza dei versetti di certe “sure” contro gli infedeli? La questione non riguarda soltanto il Pakistan, dilaniato da questo genere di violenza, è ormai pericoloso anche per gli islamici moderati, ma tutti quei Paesi in cui la persecuzione anti cristiana è pane quotidiano. Quando poi dalla persecuzione si passa all’affermazione politica di questi principi, si arriva all’aberrazione delle stragi, come è già accaduto a Parigi e a Nizza e alla creazione del Califfato, cioè di una entità pseudo statuale retta dal Corano, considerato come gli Stati democratici considerano la Costituzione. La violenza è talmente reale, che lo stesso avvocato di Asia Bibi,  Saif ul-Mulook, che l’ha salvata dall’impiccagione per blasfemia, ha lasciato il paese temendo per la sua vita, dopo le minacce da parte degli islamici radicali. Che cosa succederà ora? Vi sarà un nuovo processo? Con quali garanzie di obiettività? Gli interrogativi vanno al di là dei confini pakistani e investono le tutela dei diritti umani. E i governi dell’Occidente, sempre pronti a muoversi quando all’orizzonte appaiono segni contrari, hanno intrapreso iniziative diplomatiche per tutelare questi diritti? E l’Unione europea, tramite la sua Alta Rappresentante per la politica estera, l’italiana Mogherini, che azioni ha tentato per impedire l’ennesima flagrante ingiustizia? Ed i cattolici italiani, a parte qualche lodevole reazione privata, cosa hanno tentato di fare per dare una mano alla povera Asia? Lodevole l’iniziativa di Giulio Meotti, giornalista de “Il Foglio”, che ha raccolto più di 14.000 firme all’appello “Portiamo Asia Bibi in Italia” lanciato sulla piattaforma change.org. “L’Italia non può restare in silenzio e inerme davanti alla sorte di Asia Bibi, simbolo della persecuzione di cui sono vittime i cristiani in tutto il mondo… Impedire che sia portata a compimento la condanna a morte per un reato inaccettabile e inesistente è un dovere di tutti, cristiani e non cristiani”. Anche Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo, ha annunciato che si sta muovendo in modo discreto, cioè seguendo i criteri della diplomazia, che non urla e non strepita, ma agisce, discretamente appunto, per risolvere il problema di Asia.  Il marito di Asia, intanto, si è rivolto ad alcuni governi, compreso, pare, quello italiano, per chiedere il diritto di asilo. Come risponderanno questi governi, se risponderanno? Sarà disposto il governo pachistano ad aprire eventuali trattative con quelli che fossero disposti ad accogliere la famiglia Bibi, Asia compresa? La questione ci sembra molto delicata, per non dire di difficile soluzione. Fin tanto che la violenza prevarrà sulla legge, non c’è nulla da sperare, a meno che alla violenza della piazza non si sostituisca quella legale del governo per impedire un “delitto ufficiale”. Lasciamo il campo alla diplomazia e, per altri versi, ai credenti, che pregano perché il miracolo si compia.

  • Il tribunale Ue vieta alla Chiesa di licenziare per motivi religiosi

    La Corte di giustizia europea ha inflitto un nuovo colpo ai diritti delle chiese di assumere e licenziare persone sulla base delle loro convinzioni. L’11 settembre il tribunale dell’Ue ha infatti dichiarato che la Chiesa cattolica tedesca ha sbagliato a licenziare un uomo che gestiva una delle sue cliniche per aver divorziato ed essersi risposato, in violazione del precetto cattolico secondo cui il matrimonio è «sacro e indissolubile». Il licenziamento «potrebbe costituire una discriminazione illegale fondata sulla religione» ai sensi della direttiva Ue sulla parità di trattamento, ha affermato il tribunale europeo, sottolineando che il punto di vista della Chiesa sul matrimonio «non sembra essere un requisito professionale genuino, legittimo e giustificato» anche se  la Costituzione tedesca permette alla Chiesa deroghe al diritto comunitario.

    Il caso è stato sollevato, nel 2009, da “JQ”, un medico cattolico romano, che ha aiutato a gestire l’ospedale St. Vinzenz gestito dalla chiesa nella città tedesca di Dusseldorf, davanti alla giustizia tedesca. Ottenuto il parere del tribunale della Ue, cui aveva rimesso la questione, il Tribunale federale del lavoro tedesco, il Bundesarbeitsgericht, dovrà ora risolvere la questione alla luce della sentenza dei magistrati europei, secondo i quali la «fornitura di consulenza medica e assistenza in un ambiente ospedaliero e la gestione del dipartimento di medicina interna» del JQ non aveva nulla a che fare con lo speciale «ethos» della Chiesa.

    Le chiese cattoliche e protestanti tedesche sono tra i maggiori datori di lavoro della nazione, con oltre 1,3 milioni di posti di lavoro attraverso associazioni di beneficenza e fondazioni. E la recente sentenza arriva dopo una analoga ad aprile, secondo la quale la Chiesa protestante ha sbagliato a respingere una domanda di lavoro sulla base del fatto che il ricorrente era ateo (il caso era stato sollevato nel 2012 da Vera Egenberger, ex esperta delle Nazioni Unite, che non era riuscita a ottenere un colloquio con Diakonie, un ente di beneficenza protestante, per un contratto di 18 mesi per redigere uno studio sulla discriminazione razziale).

    Secondo la giurisprudenza del tribunale dell’Ue, le chiese possono esigere la fedeltà confessionale solo quando il profilo lavorativo la rende «significativa, legale e giustificata».

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