Rete

  • Politiche sui siti sessuali e ragazzi che si suicidano aiutati dalla rete

    Cosa spinge decine, centinaia di milioni di persone a comunicare ogni azione, ogni esperienza, ogni piatto mangiato al ristorante, sui social mentre non riescono più a comunicare col proprio partner, vicino di casa, figlio, amico o collega di lavoro?

    Cosa li spinge a credere che qualche follower in più rappresenti un successo o il successo?

    Come è stato possibile che scoperte scientifiche e tecnologiche si siano rivelate tanto nocive per l’equilibrio della mente, per la capacità di relazionarsi, di essere parte di un contesto sociale?

    Come è possibile che nessuno abbia previsto le conseguenze di innovazioni che, nell’arco di pochi anni, hanno azzerato la capacità di empatia e di relazione di ciascuno con gli altri di esseri umani! Che non si sia corsi ai ripari quando, fin dagli inizi, si è potuto vedere quanto uso negativo della rete si stava facendo mettendo in comunicazione terroristi, criminali e persone disturbate che delle loro fantasie e anomalie facevano un nuovo mercato mediatico?

    Pochi media hanno scritto di Adam che si è suicidato a 16 anni dopo essersi confrontato con Chat Gpt ed averne avuto l’aiuto per compiere l’irreparabile: morire.

    Quanta parte della politica studia le infauste conseguenze di una rete senza controllo che sta portando alla morte tanti giovani?

    Solo dopo la scoperta di siti che trasformavano donne politiche in personaggi sessuali e pornografici ci si è posti il problema di altre donne, anch’esse inconsapevoli, buttate su quel tipo di siti anche dagli stessi mariti e compagni.

    Come difendersi in una società nella quale mariti e compagni usano le immagini più intime delle loro compagne per sollazzare altri uomini, come loro malati dentro?

    Come difenderci quando le nostre immagini sono rubate, manipolate, vendute?

    Come difenderci quando dei ragazzi sono così attratti dalla perversione di gran parte della rete da cimentarsi in prove estreme fino al suicidio!

    Come far tornare le persone ad usare il proprio cervello senza seguire mode e costumi che stanno riducendo l’essere umano ad una specie di larva incapace di ragionare, tesa soltanto ad esibirsi o a godere delle esibizioni altrui?

    La politica, la società, la cultura, i media, gli affari hanno tutti in comune l’incapacità di comprendere la gravità di quello che sta succedendo e che ogni giorno porta a nuove vittime, nuove tragedie.

    C’è una responsabilità che accomuna, l’indifferenza, l’interesse, l’incapacità ad intervenire per paura di perdere consenso, di essere definiti retrogradi, intanto tutto marcisce intorno a noi.

    Ora che le donne politiche sono state toccate si muoverà qualcosa, forse chiuderanno qualche sito ma il problema di fondo non sarà risolto, troppi interessi da difendere, così i ragazzi continueranno a morire o a crescere avulsi dalla realtà e non in grado, da adulti, di affrontarla ed i criminali, i terroristi, gli spacciatori di droga, come gli spacciatori di odio e di notizie false, continueranno ad avere la meglio.

  • Avviso ai naviganti

    Restiamo tutti in attesa che la politica, a livello mondiale vista la vastità del problema, trovi soluzioni per impedire l’uso scorretto, o addirittura criminale, della rete, e il problema non sarà di facile soluzione perché lo si è lasciato incancrenire senza adeguati controlli ed interventi, nonostante i tanti segnali allarmanti che sono arrivati in questi anni.

    In questa attesa ciascuno deve difendersi come può, non mettere foto, non farsi riprendere anche da persone ritenute intime, controllare i propri figli ed il tempo che trascorrono soli e collegati alla rete, etc etc, tutti gli accorgimenti che da tempo conosciamo e che quasi nessuno mette in pratica.

    Il vero consiglio utile sarebbe di chiudere per un certo tempo i social, di tornare a vivere come si faceva fino a pochi anni fa: le persone si sentono per telefono, le notizie si danno se sono importanti, gli amici sono solo quelli che conosciamo veramente.

    Chiudete per un po’ i social, tornate a vivere normalmente, a nessuno importa dove siete stati in vacanza salvo a quelli che vogliono sfruttare le vostre foto in bichini da mettere poi, manipolate, su qualche sito pornografico e solo ai ladri interessa sapere che partite e che la vostra casa è libera per loro.

    Per sentirsi vivi non c’è bisogno di avere l’“amicizia” di sconosciuti che non incontrerete mai, di follower  o di like ma di coltivare meglio i rapporti con chi conoscete, di riprendere a parlare con la voce e non con la tastiera, di rendersi irreperibili per i troppi svitati, quando non mascalzoni e criminali, che viaggiano sulla rete in cerca di inconsapevoli vittime.

  • L’UE stanzia 145,5 milioni di euro per rafforzare la cibersicurezza europea, anche per gli ospedali e i prestatori di assistenza sanitaria

    La Commissione europea mette a disposizione 145,5 milioni di euro per consentire alle PMI e alle pubbliche amministrazioni di implementare soluzioni di cibersicurezza e adottare i risultati della ricerca sulla cibersicurezza. A tal fine, la Commissione ha pubblicato due inviti a presentare proposte.

    Il primo invito fa parte del programma Europa digitale e ha una dotazione di 55 milioni di euro. Di questo importo, 30 milioni di euro miglioreranno la cibersicurezza degli ospedali e dei prestatori di assistenza sanitaria, aiutandoli a rilevare, monitorare e rispondere alle minacce informatiche, in particolare i ransomware. Ciò rafforzerà la resilienza del sistema sanitario europeo, in particolare nell’attuale contesto geopolitico, allineandolo al piano d’azione dell’UE sulla cibersicurezza negli ospedali e nell’assistenza sanitaria.

    Il secondo invito, nell’ambito del programma Orizzonte Europa, dispone di un bilancio di circa 90,5 milioni di euro. Sosterrà l’uso e lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa per le applicazioni di cibersicurezza, nuovi strumenti e processi avanzati per la cibersicurezza operativa, tecnologie che migliorano la privacy e la crittografia post-quantistica.

    Il termine per la presentazione delle candidature al primo invito è il 7 ottobre, mentre per il secondo è il 12 novembre. I criteri di ammissibilità e tutti i documenti relativi agli inviti sono disponibili sul portale Finanziamenti e appalti.

  • Cibersicurezza: un ulteriore passo avanti dell’UE per gestire le crisi

    Gli Stati membri hanno adottato la proposta della Commissione relativa al programma dell’UE sulla la gestione delle crisi di cibersicurezza (“programma per la cibersicurezza”) per rafforzare la resilienza dell’Unione alle crescenti minacce informatiche.

    Il “programma per la cibersicurezza” definisce ruoli e responsabilità, specificando i principali attori e meccanismi coinvolti in tutte le fasi di una crisi. Migliora la condivisione delle informazioni e il coordinamento della risposta a livello politico e tecnico durante tutta la durata di una crisi.

    Il programma si basa su quadri quali i dispositivi integrati per la risposta politica alle crisi e il pacchetto di strumenti della diplomazia informatica dell’Unione europea, allineandosi al contempo a recenti iniziative quali il programma per le infrastrutture critiche e il codice di rete sulla cibersicurezza per il settore dell’energia elettrica dell’Unione europea.

  • Google rischia di monopolizzare il web grazie all’intelligenza artificiale

    Alphabet (la casa madre di Google) ha chiuso il primo trimestre 2025 con utili oltre le attese, in crescita del 46% anno su anno, anche grazie alla buona resa della pubblicità sul motore di ricerca. E grazie all’intelligenza artificiale, sembra poter monopolizzare le ricerche online.

    Da quando il motore di Google ha incorporato l’intelligenza artificiale (servizio “AI Overview”), chi naviga non cerca più link da cui trarre informazioni ma tende a chiedere risposte dirette fornite dall’intelligenza artificiale: l’80% degli utenti nel 40% dei casi non clicca sui link che appaiono nella ricerca Google, secondo uno studio della società di consulenza Bain di dicembre 2024.

    I manager americani di Google ripetono costantemente che anche AI Overview, come la search tradizionale, porterà traffico ai siti. Ma i primi studi sugli effetti globali di AI Overview attestano un tracollo del 20-30% per i clic da Google verso i siti (riportano gli osservatori Ahrefs e Amsive) e quindi un calo di introiti pubblicitari per questi ultimi, con potenziale depauperamento del pluralismo del web.

    A metà aprile un giudice americano ha dato ragione all’antitrust Usa che accusa Google di monopolio illecito sul mercato della pubblicità digitale (e poche settimane prima, un altro giudice ha affermato lo stesso per il mercato della search). A settembre partirà il processo per trovare rimedi a questo monopolio. Si valuterà la richiesta del governo degli Stati Uniti di scorporare dal colosso alcune aree che si occupano di pubblicità.

    «Il giudice ha riscontrato che Google controlla tutti i tasselli del mercato pubblicitario digitale; è intermediario dominante nei confronti sia di chi compra sia di chi vende la pubblicità. E controlla anche il punto di incontro tra i due», spiega Marianna Tramontano, esperta di marketing digitale. Insomma, rappresenta i due giocatori ed è persino arbitro e campo da gioco. E così – ha accertato il giudice – può distorcere i meccanismi pubblicitari a proprio vantaggio: più profitti per sé, meno per gli editori web. Qui inclusi non solo siti di notizie, ma chiunque faccia informazione in senso lato o contenuti digitali, come ad esempio recensioni indipendenti di aspirapolveri o di automobili.

    Su questa distorsione di fondo arriva ora l’intelligenza artificiale, come sale su una ferita. All’Ia di Google per altro si sommano anche quelle di ChatGpt, Perplexity e altri servizi, sempre più capaci di setacciare il web per rispondere agli utenti. Il controsenso è che l’Ia toglie traffico ai siti ma, per rispondere, ne sfrutta i contenuti. Li “legge” e rielabora.

    Dovremo aspettare l’esito delle cause legali avviate da editori (come da musicisti, scrittori di libri e altri creatori di contenuti) contro le aziende dell’Ia per capire se siamo di fronte al più grande furto di proprietà intellettuale nella storia. E, forse, solo i grandi editori avranno la forza di fare causa o trattare con le aziende per accordi di licenza sui contenuti. Come quelli già ottenuti da giganti come il Wall Street Journal e Reuters.

    «Non si tratta più solo di copyright o di concorrenza. È una questione democratica», dice Alessandro Massolo, consulente a Bruxelles su questi temi in Forward Global (già collaboratore per la Commissione Ue e l’Antitrust italiano). «Se l’informazione passa attraverso un’unica piattaforma (Google con l’Ia), il rischio è quello di una monocultura algoritmica dove le opinioni si omologano e il pensiero critico si indebolisce», aggiunge. Concorda Antonio Nicita (senatore Pd e professore di politica economica alla Lumsa di Palermo): «Così va a morire l’abitudine degli utenti all’accesso diretto agli editori e al controllo del fonti».

    Nicita, Massolo e altri esperti (come Umberto Gambini, partner di Forward Global e Francesco Ricchi della Luiss Guido Carli) concordano sulle soluzioni: serve un approccio sistemico dove norme antitrust e copyright agiscano assieme, a tutela dei più deboli. «Per fortuna l’Europa ha gli strumenti giusti, le norme del Digital markets act (Dma), per imporre obblighi alle big tech», nota Massolo. Si vedrà: una causa dell’Ue come quella appena persa da Google negli Usa è ferma dal 2021. Il Dma è entrato in vigore a maggio 2023. Nel frattempo, la morte del web si avvicina. E se sarà così, delle big tech si dovrà davvero dire (parafrasando Tacito): «Hanno fatto il deserto e l’hanno chiamato innovazione».

  • La criminalità organizzata oggi si aggrega attraverso chat criptate

    La sfida tra criminalità e tutori della legalità si gioca oggi sul fronte dell’hi-tech. Come è emerso con l’operazione “Ghost”: «È il nome di una piattaforma criptata attiva dal 2015 – spiega il tenente colonnello della Guardia di Finanza, Leonardo Landi – che offriva un sistema avanzato di sicurezza, inclusa la crittografia a tre livelli e la cancellazione automatica dei messaggi. Gli utenti, migliaia in tutto il mondo, potevano scambiare fino a mille messaggi al giorno».

    Le chat criptate consentono alla criminalità di organizzarsi e agire, grazie a tariffe alla portata di tutti: «L’abbonamento a “Ghost” costava 2.350 euro per sei mesi, meno di 400 euro al mese. Il pacchetto includeva i telefonini speciali, privi di fotocamera, microfono, localizzazione Gps e altre funzionalità standard degli smartphone». Sono i «cavalli di troia» che in passato hanno permesso agli investigatori di trasformare i cellulari in spie al servizio della legge, inserendo un trojan negli apparecchi.

    Le chat criptate sono diffuse tra i boss di ogni continente da almeno un decennio, prima però esistevano pochissime società che le offrivano, a cui sostanzialmente finiva per rivolgersi l’intero mondo del crimine. «Sì, piattaforme come “Sky Ecc” ed “EncroChat” avevano milioni di utenti – ricostruisce il tenente colonnello Landi – usavano smartphone opportunamente modificati nel software, con un sistema operativo che cifrava i dati trasmessi e quelli memorizzati. In più l’utilizzatore aveva la possibilità di cancellare, quasi in tempo reale e anche da remoto, l’intera memoria del telefono inserendo un panic code. E veniva segnalata la presenza di sistemi di individuazione o di tentativi di aggressione informatica dall’esterno. Sono sistemi end to end, con la cifratura delle conversazioni mediante l’utilizzo di chiavi depositate esclusivamente sui dispositivi che chattano: neppure il gestore del servizio è in grado di conoscere le chiavi utilizzate».

    Sono garanzie molto gradite ai clan. Se un telefono veniva sequestrato dagli inquirenti durante un arresto, i complici dell’arrestato potevano digitare un numero e fare sparire tutto il contenuto. E se i tecnici delle polizie provavano a infilarci un virus informatico, scattava subito un allarme. I narcos erano convinti di avere trovato l’arma finale nella guerra delle comunicazioni. Poi, però, un pool di polizie europee e l’Fbi si sono impadroniti con azioni cyber dei server: milioni di colloqui sono caduti in mano agli investigatori, permettendo di organizzare centinaia di retate. Grazie a questo colpo sono stati incriminati pure i baroni della «macro-mafia», gli artefici del super cartello che nello scorso ventennio ha rivoluzionato le importazioni di cocaina in Europa: l’italiano Raffaele Imperiale, l’irlandese Daniel Kinahan, l’olandese Ridouan Taghi e il bosniaco Edin Gačanin. Le conversazioni che credevano blindate sono diventate l’atto d’accusa nei processi.

    Da allora è cambiato tutto, come sottolinea Landi: «Il panorama delle comunicazioni criptate è diventato sempre più frammentato; adesso ci sono molte realtà più piccole, che a volte offrono servizi realizzati su misura. L’obiettivo è evitare di esporre l’intera attività su una singola piattaforma. È una sorta di mosaico, con router e infrastrutture inizialmente installati in Francia e Paesi Bassi, poi sparsi dall’Islanda all’Europa orientale: tutte le aziende contano su esperti informatici di grande qualità. E come si sono parcellizzate le reti cripto, così sono ormai parcellizzati i consorzi criminali multi-Paese composti da gang più piccole».

    «L’operazione “Ghost” è ciò per cui Europol è stata creata: trasformare la collaborazione in risultati concreti riunendo le persone, gli strumenti e l’esperienza. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale e la crescita delle tecnologie quantistiche, abbiamo davanti uno sviluppo pressoché illimitato delle soluzioni digitali adottate dai clan. Ma, come ha detto la direttrice esecutiva di Europol, Catherine De Bolle, “indipendentemente da quanto nascoste pensino di essere, le reti criminali non possono sfuggire al nostro sforzo collettivo”».

    I server di “Ghost” sono stati localizzati in Francia e Islanda, ma i proprietari erano in Australia. L’indagine coordinata da Europol ha coinvolto dal marzo 2022 diversi Paesi: cruciale il contributo del Comando Cyber del ministero degli Interni francese, che ha permesso di decifrare i messaggi. La polizia federale australiana, inoltre, ha potuto infiltrarsi nei dispositivi “Ghost” modificando gli aggiornamenti software: ha monitorato 125 mila messaggi e 120 videochiamate. Così è stato smantellato un laboratorio di droga in Australia e sono stati sequestrati armi, stupefacenti e oltre un milione di euro cash con 51 arresti: 38 in Australia, undici in Irlanda e in Italia un membro della Sacra Corona Unita. Una sorpresa, perché la mafia salentina da un decennio sembrava dedicarsi solo al riciclaggio e al racket sul territorio, senza partecipare a traffici internazionali. L’amministratore di “Ghost”, Jay Je Yoon Jung, è stato ammanettato a Sydney: rischia fino a 26 anni di carcere.

    «La task force di Europol – conclude il tenente colonnello Landi – è stata fondamentale per mappare l’infrastruttura tecnica globale, identificare fornitori e utenti, passando poi a coordinare gli sforzi congiunti per chiuderla. Ma ci sono tante attività delicate in un’istruttoria del genere. Bisogna riuscire a decriptare le chat, poi tradurre e comprendere i testi, infine individuare con esattezza chi sono gli autori dei messaggi, registrati sotto nickname di fantasia. Ci sarà sempre più bisogno di investigatori capaci di comprendere le manovre di chi opera nel Metaverso o maneggia l’intelligenza artificiale. Ma abbiamo soprattutto la necessità di avere accesso alle comunicazioni tra sospettati: ciò può essere realizzato tutelando la privacy, con forti salvaguardie e controlli legali. Una sentenza della Corte di Cassazione del febbraio scorso ha dato legittimità agli strumenti di indagine sulle piattaforme: è la prova che il comparto normativo funziona e riesce ad adeguare le tutele della legge all’evoluzione delle tecnologie».

  • Blackout, internet e sicurezza

    Per ora sembra non si sappia ancora se il blackout che ha messo in ginocchio Spagna, Portogallo ed una parte della Francia si debba imputare ad eventi più o meno naturali o ad interventi ostili dall’esterno.

    Quello che è comunque chiaro a tutti è che in un istante la nostra vita, l’insieme di tutte le azioni che compiamo ogni giorno, può radicalmente cambiare, niente mezzi di trasporto, comunicazioni, luce, transazioni economiche, cure ospedaliere.

    Per poche ore si può resistere ma se il blackout durasse più tempo?

    Se i problemi sono dovuti a situazioni climatiche o a sovraccarico o se invece si tratta di una operazione ostile occorre comunque che i governi prendano, anche in tutti i paesi europei, misure adeguate ed urgenti: quanto è avvenuto è un forte segnale d’allarme che impone di rivedere i nostri sistemi.

    Non va inoltre dimenticato anche il blocco di internet che ha subito il Marocco e che dimostra come il problema sia su larga scala.

    Noi dipendiamo ormai in tutto dalle reti energetiche ed informatiche e basta tranciare un cavo sotto il mare, basta un hacker, ed il nostro mondo si ferma, è compatibile tutto questo con un futuro di pace e sicurezza?

    Domande senza risposta perché la miopia di gran parte della politica e della cultura non ha ancora compreso né come rapportarsi ed avere rispetto per la natura né come impedire attacchi ostili al nostra sistema di società.

  • Rispondete voi

    Il  bollino rosso del caos informatico di venerdì 19 luglio, che ha messo in ginocchio trasporti, banche, attività lavorative, comunicazioni, e che un domani potrebbe mettere in tilt ospedali, erogazioni di energia, acqua compresa, cioè la normale vita di ciascuno di noi indurrà, a livello globale, la politica e la scienza, l’economia a ripensare al nostro presente e futuro?

    L’Europa sarà capace di cercare una sua strada? Di alzare una voce per indicare il modo di costruire una società che non sia così dipendente dalle interconnessioni da diventare vittima di se stessa?

    Siamo diventati deboli, indifesi e la nostra tecnologia ci si rivolta contro perché la nostra dipendenza è ormai totale, la connessione salta, il mega computer, il cervello mondiale commette un errore, o qualcuno glielo fa commettere, e non ci sarà modo di comunicare, di prelevare soldi dalla banca, di partire per un viaggio, di avere in funzione le macchine salva vita negli ospedali o l’acqua corrente o il riscaldamento in casa.

    E’ questo il progresso? La libertà, il futuro che ci attende?

    Rispondete voi

  • Addio fisicità, il sesso si fa tramite video su Only Fans

    Mettere a profitto il proprio corpo è una delle prime attività imprenditoriali che l’uomo abbia sviluppato e ora la tecnologia consente di farlo anche senza sudare. Only Fans consente di divulgare contenuti espliciti e attraverso la fidelizzazione (indotta dalla formula degli abbonamenti mensili) assicura entrate ragionevolmente certe.

    Pochi però sfondano davvero: si stima che l’1% dei creatori fatturi 100.000 euro al mese e a raggiungere introiti simili sono personaggi famosi, come rapper e attori che condividono foto e video più o meno intimi. Di norma il guadagno medio mensile si aggira intorno a qualche centinaia di euro, su cui la piattaforma trattiene il 20%.

    Guadagnare è ovviamente il motivo principale che spinge a esibirsi, tanto più che il web garantisce distanza e incolumità, ma accanto alla signora sposata e con un lavoro regolare che arrotonda in questo modo c’è anche chi lo fa per mero esibizionismo. Ovviamente ci sono anche minorenni, che si registrano con identità ed età fasulle.

    Nel 2022, a 6 anni dal suo lancio, Only Fans ha generato 5,5 miliardi di pagamenti e ancor più dopo il Covid creator (chi si mostra) e acquirenti (chi guarda) sono in aumento: i primi sono perlopiù donne, soprattutto under 30, i secondi uomini.

    In Italia Only Fans è diffuso anzitutto a Milano, dove si registrano 2.672 creator, poi a Roma e Napoli.

  • I bambini non giocano più

    I bambini non giocano più né tra di loro né da soli, non corrono, non inventano situazioni, storie, non hanno fantasie perché fin da quando hanno un anno tengono in mano un smartphone, o almeno un cellulare collegato ad internet, dove possono vedere tutte le fantasie degli altri che li priveranno della capacità di averne di proprie.

    I bambini non devono disturbare così i premurosi genitori affidano i loro strumenti tecnologici alle piccole mani, ai piccoli occhi, alle piccole menti proprio nel periodo nel quale la formazione è più importante, l’imprinting assoluto.

    Piccole menti addestrate a guardare cose che ancora non capiscono, cose che saranno memorizzate per poi, più avanti, essere imitate, piccole menti che diventeranno lentamente sempre più incapaci di provare emozioni, sentimenti, di crescere attraverso esperienze personali e dirette perché conoscono tutto solo per via indiretta, tramite la rete.

    Ogni essere vivente cresce a tappe, per gli esseri umani ogni anno dovrebbe portare a nuove esperienze commisurate alle diverse età, ogni percorso fa affrontare sconfitte e successi, ogni confronto con gli altri abitua al confronto con se stessi e con la vita, i sentimenti si coltivano misurandosi con quanto è intorno, dalla famiglia ai libri, dai compagni di classe e gli insegnanti alle persone che si incontrano, dalle difficoltà da superare alle soddisfazioni raggiunte.

    Se così non è, e ormai da troppo tempo non è più così, l’infanzia è perduta perché tutto è sostituito dal silenzio fragoroso della rete che ha soppiantato tutto e tutti, l’infanzia è perduta impedendo così l’arrivo di una adolescenza consapevole, graduale, difficile, come tutti i momenti di crescita, ma necessaria per diventare adulti e non rimanere per tutta la vita nel limbo della dipendenza.

    La tecnologia è per le persone adulte, conscie di se stesse, non deve essere il primo, spesso unico, riferimento di un bambino.

    Le cifre parlano chiaro se non si cambia continueranno ad aumentare i rischi visto che già ora vi è un aumento esponenziale delle depressioni e dei pensieri suicidari proprio tra la popolazione più giovane. Inoltre aumentano il disinteresse verso i rapporti con gli altri, l’aggressività, l’impoverimento del pensiero, della parola, delle relazioni interpersonali.

    I più giovani, costantemente connessi, attraverso uno strumento tecnologico, a realtà alle quali non appartengono, perdono contatto con il reale intorno a loro e diventano incapaci di affrontarlo.

    Si diventa incapaci di affrontare problemi, accettare sconfitte, battersi per superare difficoltà, ogni evento rischia di diventare un dramma, di provocare un trauma personale o collettivo, le patologie psichiche aumentano, l’intera società diventa a rischio quando sono a rischio i suoi ragazzi.

    Diversi scrittori e studiosi da alcuni anni hanno lanciato il segnale d’allarme, in alcuni paesi si sta cercando con specifici divieti di arginare il problema ma occorrono iniziative più forti che possono nascere solo dalla consapevolezza che non c’è più tempo per indugiare.

    I bambini devono interagire col mondo intorno a loro, non con la rete, devono tornare a fantasticare attraverso i libri, a giocare inventandosi giochi e storie, devono parlare per fare domande ed avere risposte, domande e risposte che partano ed arrivino con voci ed intelligenze umane, da persone, grandi e piccole, capaci di guardarsi negli occhi trasmettendosi sensazioni e sentimenti non solo nozioni.

    Non si diano più ai bambini smartphone o telefonini connessi alla rete, si alzi a 16 anni l’età per collegarsi ai social, si torni a parlare con i propri figli, nipoti, studenti, si dia spazio alla cultura del dialogo, della consapevolezza, dell’esempio, si torni tutti a leggere di più e meglio cercando di capire quello che si legge e quello che è intorno e forse si riuscirà a sconfiggere quell’ansia che sta uccidendo l’infanzia e non solo.

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