ricostruzione

  • “Casa mia non la lascio”

    Benché assediati da 14 giorni da un’acqua putrida, puzzolente, infetta, che corrode i muri e la pazienza, molti romagnoli hanno ripetuto quello che avevano detto all’inizio dell’alluvione: “casa mia non la lascio”.

    Non è testardaggine, non è sprezzo del pericolo ma amore per la propria casa, per i ricordi che parlano di persone che non ci sono più, di oggetti comperati con sacrificio, di giorni passati nel lavoro e nella fatica per poi trovare, nella propria casa, il luogo della sicurezza, il senso per continuare.

    Siamo consapevoli del grande sforzo fatto dal governo per reperire almeno una consistente parte dei fondi necessari ad affrontare l’emergenza e cominciare a pensare alla bonifica di quanto è stato allagato, dando un aiuto diretto a famiglie ed imprese.

    Siamo commossi di fronte alla grande partecipazione di volontari, specialmente giovani, che ancora oggi lavorano per aiutare le popolazioni colpite.

    Siamo convinti che il presidente Bonaccini abbia fatto un difficile lavoro dopo il terremoto del 2012 per riportare la regione alla normalità e che anche ora sia presente e consapevole del dolore e della tragedia che i romagnoli stanno vivendo.

    Siamo, nello stesso tempo, assolutamente certi che, non solo in Romagna, non si sia data la necessaria attenzione alla prevenzione: il nostro, purtroppo, è il Paese dove si spende di più per riparare ai danni fatti dalle calamità naturali che per provvedere ad eseguire tutte le opere necessarie ad impedirle o almeno a contenerle.

    È un problema di cultura politica, di capacità di previsione, di coraggio di fare quello che è necessario, anche se fare quello che è giusto, necessario, non porta, spesso, consensi nell’immediato.

    Dopo la tragedia alla quale abbiamo assistito nelle ultime settimane c’è chi ancora crede che il consumo del suolo, la pulizia delle vie d’acqua, il divieto di costruire in prossimità delle stesse, la costruzione di bacini di sicurezza, la piantumazione delle colline e la pulizia dei boschi non siano priorità.

    “La mia casa non la lascio” non è soltanto la dichiarazione di un diritto o un’espressione di paura per i possibili sciacalli, ma l’affermazione di una volontà, quella di non lasciare tutto quello che rappresenta il proprio vissuto per prepararsi a ricominciare, appena possibile, a ricostruire il futuro.

    Con il coraggio e la determinazione che è nel DNA dei romagnoli, e nell’aria che anche chi viene da fuori respira, la casa, la terra, restano al centro della vita.

    La proprietà della propria casa non è un furto, come sostenevano lugubri dottrine politiche del passato e come sostengono ancora i loro tristi epigoni, ma certamente è un furto, un delitto, lasciare, senza provvedere in tempo alla adeguata prevenzione, che siano distrutte le case di così tante persone. E questo avviene da tempo in troppe parti d’Italia.

  • Per il sisma del 2016 danni per 26,5 miliardi destinati a salire a 29

    La stima complessiva dei danni causati dal sisma 2016 al patrimonio pubblico e privato del Centro Italia colpito è pari a 26,5 miliardi di euro, destinata a lievitare a circa 28-29 miliardi per l’incremento elevato dei prezzi dei materiali edili registrato negli ultimi 12 mesi. Lo indica il Rapporto di fine mandato presentato a gennaio dalla Struttura commissariale, alla presenza di Giovanni Legnini, commissario uscente e del subentrante Guido Castelli, senatore di Fratelli d’Italia ed ex assessore regionale Marche alla Ricostruzione.

    Le risorse finora stanziate dallo Stato per la ricostruzione ammontano a 16,7 miliardi di euro. Sono invece quasi 28mila le richieste di contributo per la ricostruzione degli edifici privati danneggiati dal terremoto, per un importo di 10 miliardi e 24 milioni di euro. Al termine del 2022 le richieste approvate dagli Uffici speciali sono 15.737, con la concessione di contributi per 5,3 miliardi. I cantieri conclusi, a fine anno, sono 8.318, cui corrispondono circa 20mila singole unità residenziali o produttive riconsegnate, quindi, a famiglie e imprese. Sul fronte della ricostruzione pubblica si è passati dai circa 1.300 interventi finanziati con 1,8 miliardi dell’inizio del 2020, ai quasi 2.500 attuali, con un impegno di 3,6 miliardi di euro. A questi si aggiungono 1.251 chiese e edifici di culto finanziati con ulteriori 800 milioni. Un quadro che documenta come la macchina della ricostruzione stia marciando, grazie alle semplificazioni procedurali e burocratiche volute dallo stesso Legnini. La cui sostituzione, voluta dal Governo Meloni, è stata accolta con preoccupazione o proteste da parte dei sindaci e dei comitato dei terremotati.

    Il commissario uscente ha lanciato messaggi distensivi e istituzionali. «Sono e sarò il primo tifoso della ricostruzione per i prossimi anni, bisogna allontanare le polemiche di ogni sorta – ha sottolineato – perché è legittimo che il governo faccia le sue scelte ed è legittimo che chi è preoccupato per il futuro e non condivide queste scelte lo faccia sapere», ma la priorità è «ridare un futuro ai territori colpiti». «Al senatore Castelli – ha aggiunto – faccio i miei migliori auguri e non sono rituali, c’è da coltivare l’interesse di chi soffre e attende da troppo tempo». Legnini, prima di congedarsi, ha voluto sottolineare che «un futuro per i territori terremotati è possibile, si può essere fiduciosi». Ed ha parlato anche del tema dello spopolamento, in atto nell’entroterra anche prima del sisma: «Inutile ricostruire se poi i borghi si spopolano, se poi questo patrimonio edilizio rinnovato, non viene utilizzato». Concetto ripreso anche dal commissario in pectore Castelli: «Dovremo lavorare per convincere il singolo nucleo famigliare a non mollare e a restare». «La ricostruzione ha un senso nella misura in cui si mantenga il flusso vitale dei borghi che dovremo ricostruire», ha concluso.

  • Proposte per governare invece che dichiarare o blaterare

    Ogni giorno il sistema dell’informazione è ridondante di dichiarazioni e smentite dei due vicepremier e di alcuni ministri mentre rimane praticamente silente il presidente del Consiglio. Le dichiarazioni riguardano praticamente sempre gli stessi temi: flat tax, reddito di cittadinanza, immigrazione. Silenzio, invece, per quanto riguarda le iniziative possibili per far ripartire il sistema economico e trovare quei posti di lavoro dei quali il Paese, la gente, ha necessità.

    La ricostruzione del ponte di Genova, che ha creato più polemiche che vero cordoglio per le vittime ed un impegno immediato per evitare che sciagure annunciate abbiano a ripetersi, dovrebbe aprire la strada alla ricostruzione, o bonifica, di migliaia di ponti e viadotti, una parte dei quali è già stata riconosciuta come pericolante (mentre di tanti altri non si conosce ancora l’esito delle ispezioni, ammesso che queste siano state disposte e/o siano in corso). Questa ‘operazione sicurezza’, oltre ad essere una necessità,  sarebbe sicuramente un volano per l’economia: oltre alle maestranze occorreranno tecnici qualificati, materiale edile e quanto di conseguenza.

    Nella ‘operazione sicurezza’ andrebbero finalmente inserite tutte quelle scuole italiane che da tempo necessitano di interventi urgenti. Si parla di 14 miliardi necessari a portare a compimento la messa in sicurezza degli edifici nei quali studiano i nostri figli!

    L’Italia inoltre ha da decenni una rete idrica che perde più della metà dell’acqua potabile, con un danno gravissimo per una risorsa, l’acqua appunto, che è un bene sempre più prezioso, come dimostra la situazione tragica di città e Paesi del Sud Italia che hanno l’acqua soltanto ad orario o addirittura a giorni prestabiliti. La siccità del 2017 ha dimostrato che anche nel Nord Italia la carenza d’acqua ha costretto al razionamento e all’approvvigionamento tramite autobotti. Un progetto serio per riformare la rete idrica porterebbe vantaggi considerevoli ed ulteriore incremento delle attività lavorative, includendo oltre alle opere edili il materiale per le tubazioni.

    Costi sicuramente enormi ma ancora più enorme sarebbe la ripresa economica del Paese se queste opere fossero poste in essere immediatamente. Altrettanto certamente l’Europa non sarebbe sorda ed immobile di fronte a progetti specifici per opere necessarie. Tanto lo sforamento del 3% non può essere accettato per un reddito di cittadinanza tout court o per una flat tax, tanto la ricostruzione di quanto sopra detto, così come delle zone terremotate, vedrebbe l’avallo della Ue, anche con fondi specifici della stessa Unione.

    Da più parti si è sempre sostenuto che l’edilizia è uno dei principali volani per far ripartire l’economia e l’edilizia che fa da volano non è certo quella che costruisce qualche fatiscente villetta bifamiliare o che consuma inutilmente il suolo, ma quella che tramite le opere necessarie contribuisce al rilancio del Paese

    Ma c’è ormai non più soltanto l’impressione ma la certezza che il governo non sia preparato ad affrontare questi temi ma che cerchi, tra una dichiarazione urlata e un tweet accattivante, di trascinare l’alleanza fino alle elezioni europee, in una continua campagna elettorale alla fine della quale, come facevano i bambini a scuola, verificare chi ce l’ha ‘più lungo’.

    Purtroppo anche i partiti dell’opposizione, da destra a sinistra, sono coinvolti nello stesso gioco elettorale e trascinati dalle vicende interne in uno sterile avvitamento, con la conseguenza che anche da parte delle opposizioni non arrivano proposte che convoglino l’attenzione dell’opinione pubblica su temi seri e che impongano al governo di governare invece che dichiarare.

    Anche l’assenza, sul piano delle proposte, delle rappresentanze di categoria e dei sindacati, così come del mondo della cultura, contribuisce all’immagine di un Paese incapace di guardare non solo avanti ma anche al giorno dopo. E questa immagine, che di fatto non corrisponde ai milioni di persone che quotidianamente, in silenzio e con determinazione, lavorano per migliorare la propria azienda o per salvaguardare la propria famiglia, è quella che ci rappresenta all’estero, che ci toglie ogni giorno credibilità e, di conseguenza, possibilità di alleanze non suddite, di ottenere ascolto e assenso alle eventuali proposte.

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