saggezza

  • La saggezza come prezioso valore dell’umanità

    La saggezza non è un prodotto dell’istruzione ma

    del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.

    Albert Einstein

    C’era una volta, tanti anni fa, un regno dove gli abitanti vivevano a lungo. Così racconta la favola. Il che non piaceva però al re. Chissà perché? Ma la favola non ce lo racconta. Ci racconta invece che preoccupato, ma anche determinato, il re decise di porre fine a questa faccenda. E scelse un modo crudele per farlo. Radunò i suoi sudditi e proclamò loro la sua decisione. Chiunque avesse anziani in casa, li doveva portare sulla montagna, dove c’era un profondo precipizio. Nessuno escluso: genitori, zie e zii e, ovviamente, anche i nonni, se ce n’erano. Una volta portati sull’orlo del precipizio dovevano buttare giù i loro cari.  E che tutti lo sapessero però: chi non ubbidiva alla decisione del re avrebbe avuto la stessa morte crudele. Questo sanciva l’ordine del re. Tutti i sudditi furono sconvolti e si spaventarono per una simile decisione che era anche un’ordine perentorio. Come potevano buttare nel precipizio i loro buoni e premurosi nonni e nonne, zie e zii e, soprattutto, i loro cari genitori? Ma impauriti per le loro proprie vite, ubbidirono a malincuore all’ordine del re. Così tutti coloro che avevano degli anziani a casa, costretti dalla paura per le proprie vite, portarono sulla montagna e fecero scivolare nel profondo precipizio i loro cari anziani. Tutti tranne uno. Era un giovane coraggioso che viveva con i suoi genitori che amava e rispettava sopra ogni altra cosa ed essere umano.  Il giovane decise di non ubbidire all’ordine del re. E per sfuggire a qualsiasi controllo, ma anche agli occhi indiscreti dei vicini, nascose i suoi cari genitori in un angolo buio della cantina. Premuroso, ma anche molto attento, si prendeva cura di loro e portava da bere e da mangiare quello che poteva, senza farli però uscire da lì. Facendo così tutto il possible per alleviare le loro sofferenze causate da quella vita vissuta in quel angolo buio della cantina.

    Passarono mesi da quando il re prese quella crudele decisione e spartì quel suo ordine perentorio. Ma un giorno il re radunò di nuovo i suoi sudditi e diede loro un altro ordine. Chi di loro, l’indomani mattina, sarebbe stato il primo ad annunciare al re il momento esatto in cui sarebbe spuntato il sole, sarebbe stato premiato ed avrebbe avuto doni dal re. Ma se, invece, nessuno di loro fosse riuscito ad annunciare il momento esatto del sorgere del sole sulla montagna, allora tutti sarebbero stati puniti con una tremenda punizione: il taglio della testa. Questo ci racconta la favola. I sudditi, conoscendo la malizia del re, si sentirono subito molto minacciati ed una grande ansia si impadronì di loro. E come tutti anche il giovane. Tornò preoccupato a casa, scese in cantina e raccontò tutto al padre. Questi, una volta ascoltato quanto gli disse il figlio, accorgendosi anche del suo timore, lo tranquillizzò con un convincente sorriso. E poi gli disse quello che doveva fare l’indomani prima che il sole sorgesse. Mentre tutti gli altri avrebbero cercato di vedere il sorgere del sole volgendosi a levante, gli consigliò di fissare invece le cime delle montagne a ponente. Il figlio si stupì sentendo il consiglio del padre. Perciò, non nascondendo il suo stupore, gli chiese di nuovo perché doveva guardare verso ponente, mentre il sole, si sa, sorgeva a levante. Allora il padre spiegò al figlio la ragione. E cioè che i primi raggi, mentre il sole sorgeva da dietro la montagna, prima di farsi vedere dai sudditi radunati fuori le mura del castello del re, sarebbero andati ad illuminare le cime delle montagne che si trovano proprio a ponente. Ecco perché lui, suo figlio, doveva guardare quelle cime, per poter accorgersi prima di tutti che il sole stava sorgendo e subito dire questo al re. E così facendo, lui non solo avrebbe avuto i doni promessi dal re, ma, soprattutto, avrebbe salvato le vite di tutti gli altri. Di coloro che, l’indomani, avrebbero cercato di vedere per primi i saggi del sole, guardando verso levante.

    E l’indomani, quando era ancora notte, tutti i sudditi si radunarono come aveva ordinato il re. Era presente anche lui come giudice indiscusso per godere la sfida lanciata, sicuro che nessuno sarebbe stato in grado di annunciare il giusto momento del sorgere del sole. E mentre il buio si stava pian piano diradando ed il chiarore dell’alba del nuovo giorno stava prendendo il suo posto, tutti, sulle punte dei piedi, guardavano verso la cima della montagna a levante. Invece il giovane, seguendo il consiglio del suo padre guardava nella direzione opposta, le cime delle montagne a ponente. Ed ecco, i primi raggi del sole che stava sorgendo da dietro la montagna sulla cui cima tutti stavano guardando, illuminarono proprio quelle cime. Appena il giovane vide le cime illuminate delle montagne a ponente, annunciò al re che il sole era sorto. Tutti si girarono, guardando il giovane che stava mostrando con il dito le cime delle montagne e videro, anche loro, le cime illuminate. Allora il re, a malincuore, diede ragione al giovane e lo proclamò vincitore della maligna sfida che lui, il re, aveva lanciato a tutti un giorno prima. Ma incredulo alle capacità del giovane che aveva dimostrato una simile saggezza chiese a lui di raccontare da chi aveva avuto consiglio. E se non gli avesse detto la verità giurò che lo avrebbe ucciso subito. Allora il giovane coraggioso raccontò al re la verità. Raccontò che mentre tutti, seguendo il suo ordine, avevano buttato nel precipizio i loro genitori e tutte le persone anziane che avevano in casa, lui invece aveva nascosto i suoi genitori nell’angolo buio della cantina. Ed era stato proprio suo padre che gli aveva consigliato cosa doveva fare per annunciare per primo il sorgere del sole. Allora il re, in cuor suo, si sentì in colpa e si pentì per la sua crudele e perfida decisione e per l’ordine di uccidere tutte le persone anziane, buttandole nel precipizio della montagna. Perciò revocò subito quell’ordine. Ovviamente nelle favole, non di rado possono accadere cose del genere e si verificano anche simili cambiamenti di carattere dei personaggi. Re compresi. Ma da allora in poi però, in quel regno, tutti gli anziani rimanevano in vita finché lo decideva il Signore. Così finisce la favola chiamata “La saggezza degli anziani”. Una favola che l’autore di queste righe l’ha sentita raccontare, quando era piccolo, dalla sua nonna paterna che conosceva molte favole e le sapeva raccontare molto bene.

    E come da tutte le favole, anche da questa c’è molto da imparare. Si, perché l’esperienza millenaria dell’umanità ci insegna, tra l’altro, che la saggezza umana, soprattutto quella degli anziani che hanno una lunga esperienza di vita vissuta, di sofferenze, ma anche di meritati e buoni risultati ottenuti, rappresenta un prezioso valore. La saggezza umana, quella acquisita dall’essere umano in tutte le parti del mondo e tramandata, arricchita in contenuti, da una generazione all’altra è e sarà sempre un inestimabile tesoro che bisogna custodirlo con molta cura.

    Purtroppo il 31 dicembre scorso, mentre nel mondo tutti aspettavano l’arrivo dell’anno nuovo e si stavano preparando, secondo le proprie usanze e possibilità, a festeggiare, il mondo ha perso una persona saggia e di valore. Ha perso una persona colta, ma anche sobria, umile e consapevolmente discreta. Ha perso una persona che rispettava il prossimo, nonostante non condividessero le stesse opinioni, le stesse convinzioni e le stesse credenze. Ha perso una persona che preferiva ascoltare prima di parlare. Ha perso una persona che ha dimostrato di riconoscere le sue responsabilità e di prendere, convinto e determinato, delle decisioni molto difficili, al limite dell’inimmaginabile. Il 31 dicembre scorso ha lascito questo mondo Joseph Ratzinger, il Papa emerito Benedetto XVI. La grave notizia è stata resa pubblica dal direttore della Sala stampa della Santa Sede. Papa Francesco durante il Te Deum di ringraziamento per l’anno appena trascorso, in seguito alla triste notizia, ha detto commosso: “Parlando della gentilezza, in questo momento, il pensiero va spontaneamente al carissimo Papa emerito Benedetto XVI, che questa mattina ci ha lasciato. Con commozione ricordiamo la sua persona così nobile, così gentile. E sentiamo nel cuore tanta gratitudine”. Mentre nel “Rogito per il pio transito di sua santità Benedetto XVI, Papa emerito”, pubblicato il 5 gennaio 2023, proprio il giorno del suo funerale, si leggeva: “Nella luce di Cristo risorto dai morti, il 31 dicembre dell’anno del Signore 2022, alle 9,34 del mattino, mentre terminava l’anno ed eravamo pronti a cantare il Te Deum per i molteplici benefici concessi dal Signore, l’amato Pastore emerito della Chiesa, Benedetto XVI, è passato da questo mondo al Padre”. Nello stesso Rogito si citava anche il testo della dichiarazione in latino, fatto l’11 febbraio 2013 da Papa Benedetto XVI, quando ha dichiarato la sua rinuncia come successore di San Pietro. Un atto quello che ha suscitato tanto sgomento e molte discussioni. Un atto però che ha dimostrato una grande responsabilità, ha testimoniato la piena consapevolezza, nonché la sofferenza di Papa Benedetto XVI nel prendere una simile ed insolita decisione, più unica che rara. Responsabilità e consapevolezza dovute anche alla grande saggezza accumulata negli anni del santo Padre. Durante il Concistoro di quel 11 febbraio 2013 egli ha dichiarato: ”…Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Sono ben consapevole che questo ministero, per la sua essenza spirituale, deve essere compiuto non solo con le opere e con le parole, ma non meno soffrendo e pregando”. Ed era convinto che “… per governare la barca di San Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità di amministrare bene il ministero a me affidato”. Per poi annunciare la sua difficile, insolita ed del tutto inattesa decisione: “Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei Cardinali il 19 aprile 2005”.

    Nella sera del 31 dicembre scorso, dopo la morte del Papa emerito, è stato pubblicato dalla Sala stampa della Santa Sede anche il suo “Testamento spirituale”. Testamento che comincia con le seguenti parole: “Se in quest’ora tarda della mia vita guardo indietro ai decenni che ho percorso, per prima cosa vedo quante ragioni abbia per ringraziare”. Ed in seguito il Papa emerito ringrazia “prima di ogni altro Dio stesso”. Poi ringrazia i suoi genitori, coloro che, come egli scrive “…mi hanno donato la vita in un tempo difficile e che, a costo di grandi sacrifici, con il loro amore mi hanno preparato una magnifica dimora che, come chiara luce, illumina tutti i miei giorni fino a oggi”. Ringrazia Dio per i tanti amici che “Egli mi ha sempre posto a fianco”. Lo ringrazia anche per la sua “bella patria nelle Prealpi bavaresi”, così come per “…il bello che ho potuto sperimentare in tutte le tappe del mio cammino”. Ma il Papa emerito nel suo “Testamento spirituale” chiede anche perdono. “A tutti quelli a cui abbia in qualche modo fatto torto, chiedo di cuore perdono”. Molto significative queste parole. Si potrebbe scrivere molto altro sulla vita e sull’opera di Papa emerito Benedetto XVI. Ma l’autore di queste righe ha scelto una frase del suo successore, di Papa Francesco, pronunciata sul volo di ritorno da Rio de Janeiro nel luglio del 2013. Per lui la presenza di Papa emerito in Vaticano era come “avere il nonno in casa”, ma “il nonno saggio” da amare ed ascoltare. Un nonno saggio!

    Chi scrive queste righe è convinto che la saggezza rappresenta un prezioso valore dell’umanità. La saggezza che matura con gli anni come il buon vino. La saggezza, portatori della quale sono soprattutto gli anziani. E questa indiscussa verità la capì infine anche il malvagio re della favola “La saggezza degli anziani”. Proprio quella saggezza che ci insegna anche a saper ascoltare. Ascoltare senza parlare. Ascoltare con pazienza. Ascoltare per poi capire meglio. La saggezza che non è un prodotto dell’istruzione, ma del tentativo di acquisirla, che dura tutta la vita.

  • La notte porta consiglio

    I vecchi dicevano: la notte porta consiglio ed in effetti ora i neuroscienziati ci confermano che durante il sonno i pensieri si ristrutturano e al risveglio la visione dei problemi diventa più chiara e spesso con soluzioni diverse rispetto a quelle che avevamo individuato il giorno prima, trovate magari arrovellandoci per ore.

    Anche quando dormiamo le onde cerebrali funzionano elaborando, nel sonno, quanto abbiamo appreso durante il giorno.

    Da qui il nostro suggerimento ai tanti che dichiarano, urbi et orbi (orbi non significa poco vedenti), di prendersi un po’ di tempo, una notte almeno, prima di rendere pubbliche le proprie decisioni politiche e non solo. Lasciamo che la notte porti consiglio così, magari, si eviteranno errori che possono avere gravi conseguenze, per se stessi e per gli altri.

  • Trovato un vaccino!

    Nel 1990 ha avuto inizio presso un centro di Ricerca Californiano (UCSC) il famoso Progetto genoma umano (HGP, acronimo di Human Genome Project) per determinare la sequenza dei geni del DNA. Progetto terminato nel 2003 (con la scoperta di circa 25 mila sequenze) e costato decine di milioni di dollari. È iniziato, invece, circa 2 milioni di anni fa presso il Pianeta Terra, il famoso Progetto Buon Senso Umano (HCSP, acronimo di Human Common Sense Project) per determinare la sequenza dei comportamenti umani che ne avrebbero favorito la sopravvivenza o meno. Ad oggi, e soprattutto negli ultimi due secoli, è costato centinaia di milioni di morti a causa della perdita del buon senso umano.

    Tra tutti gli Ominidi pare che quello che abbia avuto la meglio sia stato quello meno specializzato e flessibile (denominato forse per questo Homo sapiens). Non un eccellente raccoglitore e, allo stesso tempo, non un eccellente cacciatore e con una dieta più ampia; non solo carnivoro (come, ad esempio, l’Homo neanderthalensis, che si è estinto) o non solo fruttariano. Tra tutti i cuccioli di mammiferi, quello umano, è certamente fra i meno autonomi alla nascita. La sua capacità di adattamento, infatti, dipende fortemente dalla sua educazione. È l’animale senza un habitat specifico e, per questo, quello che può adattarsi alla maggior parte dei contesti ambientali di questo Pianeta ma, ad una sola condizione. Ovvero che sia ben educato al rispetto di quelle regole di sopravvivenza a quello specifico habitat (stili di vita ed alimentari che sono “corretti” o meno se ne favoriscono o meno la sopravvivenza in quel determinato contesto). Per migliaia di anni, quindi, come per tutti gli altri animali, la più importante di tutte le attività dei propri simili adulti (non solo dei genitori ma di tutta la comunità) era quella educare i cuccioli d’uomo a conoscere e a rispettare, in ogni fase della loro vita, l’ambiente che li circonda. Perché rispettare l’ambiente significa rispettare se stessi e l’intera comunità (vegetali ed animali compresi). Lo sciamano, il curandero, il böge, lo yayan, l’elčï o l’ilčï o il capo villaggio o il consiglio degli anziani sono stati per secoli i custodi della memoria di queste regole. “Donna incinta mi chiedi… e io rispondo: per te, di questo clan, ora, qui, in questa stagione, etc. è bene fare questo e mangiare questo. Tu ragazzo cacciatore mi chiedi… etc.”. L’educazione, dicevamo. L’opera di accompagnamento alla vita autonoma (dal lat. e-ducĕre “condurre da, verso”) che prende forma grazie a tutti gli stimoli che raggiungono ogni essere umano nell’arco della sua vita. Tutti gli stimoli. Stimoli organizzati da istituti sociali naturali (come la famiglia, la tribù, etc.) o da istituti appositamente creati ad hoc (scuole, collegi, seminari, etc.). Stimoli intelligenti o stupidi, utili o inutili. Tutti in egual modo concorrono all’educazione di un essere umano. Anche i cuccioli d’uomo, come quelli di altre specie animali, crescono più per imitazione (per i fatti) che non per quello che sentono dire (le parole). A cosa sono serviti milioni di anni di storia e milioni di esperienze umane (sequenze di fatti) se non se ne mantiene la memoria? Se non si educa le future generazioni a partire dal nostro/loro passato? Per secoli i nonni hanno rappresentato le nostre risposte, il nostro rimedio (chiamiamolo qui anche “vaccino”, per quanto non ami questa parola) ai problemi e ai quesiti sul nostro presente e futuro. Gli Etnologi e gli Antropologi di tutto il mondo hanno studiato per decenni le sequenze del genoma culturale umano scoprendo (e meravigliandosi del fatto) che ad ogni latitudine e longitudine, le culture native selvatiche ed anche quelle delle comunità contadine addomesticate ma libere (perché non sotto padrone!) sono sopravvissute in armonia con il loro contesto ambientale perché consapevoli dell’importanza di educare i propri cuccioli a quelle poche, ma fondamentali, sequenze di gesti e parole quotidiane che ne hanno garantito da sempre la pacifica sopravvivenza. Espressione di quanto l’essere umano possa essere intelligente perché capace di adattarsi al contesto e non il contrario (ovvero stupido perché ostinato a cercare di piegare l’Ambiente e gli altri alle proprie limitate esigenze).

    Quanto è importante educare al buon senso e coltivare il buon senso? Per la prima volta nella storia dobbiamo dire ai nostri figli che non siamo capaci di educarli a sopravvivere. E ammetterlo sarebbe un vero atto di intelligenza (e di amore) se poi a questo aggiungessimo che noi non rappresentiamo l’unica società o cultura esistente, ma che ce ne sono molte altre e molto più intelligenti e forti di noi.

    Un’antica leggenda Cherokee o Lenope racconta che un giorno il capo di un grande villaggio decise di lasciare al nipote l’insegnamento più importante: “Nella mente e nel cuore di ogni essere umano si combatte una lotta incessante. Anche se io sono un vecchio capo, una guida per il nostro popolo che mi considera saggio, quella lotta avviene anche dentro di me. Se non ne conosci l’esistenza, ti spaventerai e non saprai mai quale direzione prendere. Magari, qualche volta nella vita vincerai, ma poi, senza capire perché, all’improvviso ti ritroverai perso, confuso e in preda alla paura, e rischierai di perdere tutto quello che hai faticato tanto a conquistare. Crederai di fare le scelte giuste per poi scoprire che erano sbagliate. Se non capisci le forze del bene e del male, la vita individuale e quella collettiva, il vero sé e il falso sé, vivrai sempre in grande tumulto. È come se ci fossero due grandi lupi che vivono dentro di ognuno: uno bianco, l’altro nero. Il lupo bianco è buono, gentile e innocuo. Vive in armonia con tutto ciò che lo circonda e non arreca offesa quando non lo si offende. Il lupo buono, ben ancorato e forte nella comprensione di chi è e di cosa è capace, combatte solo quando è necessario, e quando deve proteggere sé stesso e la sua famiglia. Anche in questo caso lo fa nel modo giusto. Sta molto attento a tutti gli altri lupi del suo branco e non devia mai dalla propria natura.

    Ma c’è anche un lupo nero che vive in ognuno, ed è molto diverso. E rumoroso, arrabbiato, scontento, geloso e pauroso. Le più piccole cose gli provocano eccessi di rabbia. Litiga con chiunque, continuamente, senza ragione. Non riesce a pensare con chiarezza poiché avidità, rabbia e odio in lui sono troppo grandi. Ma la sua è rabbia impotente, figlio mio, poiché non riesce a cambiare niente. Quel lupo cerca guai ovunque vada, e li trova facilmente. Non si fida di nessuno, quindi non ha veri amici. A volte è difficile vivere con questi due lupi dentro di sé, perché entrambi lottano strenuamente per dominare la nostra anima”.

    Quale dei due lupi vince nonno? Chiese il ragazzo.

    “Tutti e due” Rispose il nonno. “Se scelgo di nutrire solo il lupo bianco, quello nero mi aspetta al varco per approfittare di qualche momento di squilibrio, o in cui sono troppo impegnato e non riesco ad avere il controllo di tutte le responsabilità. Il lupo nero allora attaccherà il lupo bianco. Sarà sempre arrabbiato e in lotta per ottenere l’attenzione che pretende. Ma se gli presto un po’ di attenzione perché capisco la sua natura, se ne riconosco la potente forza e gli faccio sapere che lo rispetto per il suo carattere, e gli chiederò aiuto se la nostra tribù si trovasse mai in gravi problemi, lui sarà felice. Anche il lupo bianco sarà felice. Così entrambi vincono. E tutti noi vinciamo.

    Confuso, il ragazzo chiese: “Non capisco, nonno, come possono vincere entrambi?”

    E il capo indiano: “Il lupo nero ha molte importanti qualità di cui posso aver bisogno in certe circostanze. E’ temerario, determinato e non cede mai. E’ intelligente, astuto e capace di pensieri e strategie tortuose. Sono caratteristiche importanti in tempo di guerra. Ha sensi molto acuti e affinati che soltanto chi guarda con gli occhi delle tenebre può valorizzare. Nel caso di un attacco, può essere il nostro miglior alleato”.

    Il capo Cherokee allora tirò fuori due pezzi di carne dalla sacca e li gettò a terra: uno a sinistra e uno a destra. Li indicò, poi disse: “Qui alla mia sinistra c’è il cibo per il lupo bianco, e alla mia destra il cibo per il lupo nero. Se scelgo di nutrirli entrambi, non lotteranno mai per attirare la mia attenzione e potrò usare ognuno dei due nel modo che mi è necessario. E, dal momento che non ci sarà guerra tra i due, potrò ascoltare la voce della mia coscienza più profonda, scegliendo quale dei due potrà aiutarmi meglio in ogni circostanza. Se capisci che ci sono due grandi forze dentro di te e le consideri con uguale rispetto, saranno entrambi vincenti e convivranno in pace. La pace, nipote mio, è la missione della nostra gente, il fine ultimo della vita. Un uomo che ottiene la pace interiore ha tutto. Un uomo che è lacerato dalla guerra che si combatte dentro di lui, non è niente. Il modo in cui sceglierai di interagire con le forze opposte dentro di te determinerà la tua vita. Far morire di fame l’uno o l’altro o guidarli entrambi”

    Poche parole sincere, semplici e disinteressate e che aiutano la parte sinistra e destra del cervello a comprendersi a vicenda e a comprendere la storia della nostra vita, della nostra comunità, del nostro popolo e dell’intera umanità. E forse pillola di saggezza (vaccino culturale) tra i più potenti per educare/salvare le future generazioni da ogni nostro ipocrita, prevenuto e ignorante tentativo di difendere ormai l’indifendibile.

  • Correva l’anno…?

    Un giorno i due si incontrarono e la loro prima conversazione iniziò con una domanda: “Ho sentito che in passato” disse il primo “ognuno viveva cento anni senza che si vedessero i comuni segni dell’età. Ai nostri giorni le persone invecchiano prematuramente […] Questo è dovuto ad un inevitabile processo evolutivo umano o si deve alla perdita del corretto modo di vivere?”.

    In passato” rispose il secondo“la maggior parte delle persone curava il proprio corpo e si nutriva con una dieta bilanciata ad intervalli regolari. Si svegliava e si coricava ad orari consoni ed evitava di usurare il proprio corpo e la propria mente rifuggendo ogni sorta di eccesso. Mantenevano il benessere di corpo e di mente così che non dobbiamo sorprenderci che essi potevano vivere più di cento anni. Ai nostri giorni, al contrario, le persone hanno cambiato il loro stile di vita. […] Cercano eccitamento emotivo e piaceri momentanei, indifferenti al ritmo naturale. Falliscono nel regolare il loro stile di vita e la propria dieta e dormono impropriamente […] Prima le persone conducevano un’esistenza calma e onesta, si distaccavano da desideri e ambizioni inadeguati;vivevano con coscienza incorrotta e senza paura. Erano attivi ma senza mai depauperarsi. Poiché vivevano semplicemente, conoscevano l’appagamento, come si notava nella loro dieta di prodotti semplici ma nutrienti e nell’abbigliamento che era appropriato alla stagione ma mai lussuoso. Essendo la maggior parte felici del loro posto nella vita, non soffrivano di gelosia o cupidigia. Avevano compassione per gli altri, si aiutavano ed erano onesti, liberi da comportamenti distruttivi. Non si facevano scuotere o destabilizzare dalle tentazioni ed erano in grado di stare concentrati anche quando le avversità giungevano di fronte a loro. Trattavano gli altri con correttezza, senza considerare l’altrui intelligenza o posizione nella società”.

    In quale dei seguenti anni è stata pubblicata questa conversazione?
    2020, 1920, 1420, 1020, 220, 220 a.C., 1020 a.C., 2020 a.C., 2620 a.C.

     

    Risposta: Questa conversazione (di cui la traduzione è stata leggermente modificata nella forma ma non nei contenuti, n.d.r.) si trova nelle prime pagine del Huangdi Neijing Suwen (Le domande semplici dell’Imperatore Giallo). Primo tomo del Huangdi Neijingun antico trattato di medicina tradizionale cinese attribuito al leggendario imperatore Huangdi.

    La datazione di questo testo è molto dibattuta. Si va dal 2697 a.C. al 222 a.C., per cui non c’è una risposta certa a questo quiz che vi ho proposto per riflettere insieme su due aspetti.

    Il primo è il fatto che la saggia domanda ed, ancor più, la saggia risposta del perché chi vive in città (quella volta ci si trovava a Pechino) cambia così radicalmente le sue prospettive di qualità e quantità della propria vita potrebbero essere state pubblicate l’altro ieri. La sola differenza rispetto ad oggi, infatti, è che avremmo trovato certamente nella risposta un riferimento al fatto che il comportamento delle popolazioni urbanizzate (oggi oltre il 53% a livello mondiale) sta compromettendo anche la sopravvivenza di tutte le specie viventi sul Pianeta.

    Il secondo è il fatto che studiare la storia è fondamentale, a tutti i livelli. Anche per comprendere che ci sono problemi apparentemente solo attuali che, al contrario, l’uomo ha dovuto affrontare anche migliaia di anni fa, facendosi, come in questo caso, le giuste domande e, soprattutto, trovando le giuste risposte (e soluzioni).

    Ben vengano, quindi, in merito al tema trattato, tutti i progetti, le azioni e le interazioni sociali volte a salvaguardare e a diffondere la cultura di tutti i popoli nativi e di tutte le comunità rurali autonome ancora esistenti e resistenti. Luoghi custodi della capacità e della possibilità di resistere all’antica e moderna tentazione umana di mettere le proprie esigenze al di sopra di quelle degli altri, della comunità.

    Voi occidentali, avete l’ora ma non avete mai il tempo

    (Mohandas Karamchand Gandhi, 1869-1948)

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