Scozia

  • La Corte suprema gela la Scozia: stop al referendum bis

    Un brusco stop alle ambizioni di rivincita referendaria portate avanti dalla leader indipendentista scozzese Nicola Sturgeon è arrivato dalla Corte suprema del Regno Unito. Il verdetto pronunciato a Londra nega infatti senza mezzi termini alla Scozia di poter convocare una nuova consultazione popolare (dopo quella del 2014 vinta dalla campagna pro unione) sulla secessione dalla Gran Bretagna senza il placet del Parlamento di Westminster. Sfuma quindi l’obiettivo indicato dalla First Minister nei mesi scorsi di andare alle urne già il 19 ottobre dell’anno prossimo, data del tutto simbolica proposta dall’indipendentista Snp con poche possibilità di diventare realtà vista l’opposizione del governo centrale. Nella lettura del verdetto il presidente della Corte, lord Robert Reed, ha rigettato su tutta la linea le argomentazioni giuridiche dei legali scozzesi: in modo unanime

    si afferma che la convocazione di un referendum sulla secessione, destinato ad avere effetti sul Regno Unito, non può passare attraverso la sola approvazione di una legge da parte dell’assemblea parlamentare di Edimburgo ma spetta al potere centrale di Londra. E’ stato anche respinto il richiamo al diritto all’autodeterminazione, inclusi i paragoni fra la Scozia e altre realtà come Quebec e Kosovo.

    Sturgeon si è detta “delusa” ma al contempo rispetta il responso dei giudici, i quali “non fanno le leggi” e si sono limitati ad “interpretare” quella esistente (lo Scotland Act). Alla sua prima dichiarazione è seguito poi il tentativo di rilanciare il programma indipendentista, con un piano b che resta comunque rigidamente nei confini legali ed istituzionali, evitando forzature come avvenuto in Spagna fra la Catalogna e Madrid. La First Minister punta tutto sulle prossime elezioni politiche del Regno, previste a fine 2024: quelle, a suo avviso, saranno un “referendum de facto” grazie a una grande vittoria del suo Snp. Quel voto è per lei il solo “mezzo democratico, legale e costituzionale con cui il popolo scozzese può esprimere la propria volontà”.

    Poco dopo l’intervento di Sturgeon a Edimburgo iniziava il confronto a Londra, col primo ministro britannico Rishi Sunak impegnato nel Question Time alla Camera dei Comuni. Dopo aver affermato che il giudizio di oggi è “chiaro e definitivo” – soprattutto se si considera che entrambe le parti s’erano impegnate nel 2014 ad accettare il risultato di quel referendum come responso valido per “una generazione” – il premier conservatore ha aperto a una più stretta collaborazione con l’esecutivo locale scozzese su una serie di questioni dall’economia alla guerra in Ucraina. Rassicurazioni che sono state respinte da Ian Blackford, capogruppo dell’Snp, secondo cui “la democrazia non sarà negata” nonostante la sentenza dei giudici. L’esponente indipendentista ai Comuni ha poi usato parole ancora più dure: “L’idea stessa che il Regno Unito sia un’unione volontaria di nazioni è morta e sepolta”. Blackford si è poi confrontato nella stessa seduta in un botta e risposta col ministro per la Scozia del governo Tory, Alister Jack. Ha insistito sulla tesi secondo cui il diritto a riaprire la questione sull’indipendenza deriverebbe dalla Brexit: approvata dopo il referendum scozzese del 2014 con il voto favorevole della maggioranza dei britannici, ma solo di una minoranza di elettori scozzesi. Mentre ha rivendicato al suo partito di avere “il mandato” democratico per continuare a chiedere un referendum bis sulla base dei propri consensi elettorali. Tesi, quest’ultima, bollata come “ingannevole” dal ministro Jack, secondo cui i risultati alle urne non rispecchiano necessariamente quelli referendari.

    Stando invece ai recenti sondaggi in merito alla secessione dal Regno gli scozzesi risultano spaccati quasi a metà, contro il risultato del 2014 in cui i no prevalsero sui sì con il 55,3% rispetto al 44,7%.

  • Le isole Shetland vogliono separarsi dalla Scozia

    Chi di secessionismo ferisce, di secessionismo rischia di perire. E’ il caso della Scozia, dove il governo locale guidato dagli indipendentisti dell’Snp di Nicola Sturgeon non cessa di sventolare la bandiera di un preteso referendum bis sul distacco dalla Gran Bretagna, dopo quello perduto nel 2014, a causa della propria opposizione alla Brexit cavalcata a Londra da Boris Johnson; ma viene minacciato di essere ora ripagato con la medesima moneta dalle remote Isole Shetland – terre su cui 27.000 anime convivono con 80.000 pecore dalla celebre lana – che di restare amministrativamente legate alla nazione scozzese non sembrano avere più alcuna voglia.

    L’ultimo segnale è arrivato dal Consiglio amministrativo locale, il quale il 10 settembre ha approvato con 18 sì e solo 2 no una mozione “esplorativa” che raccomanda di verificare “l’opzione” di chiedere lo sganciamento da Edimburgo. L’idea è quella d’invocare l’autodeterminazione – che nel caso andrebbe sancita comunque da “un referendum”, secondo il presidente della piccola assemblea, Steven Coutts – per trasformarsi in un’entità separata: associata al Regno Unito, dal quale al contrario degli indipendentisti scozzesi gli isolani non appaiono affatto interessati a divorziare, visto il loro mercato di riferimento; ma da cui sperano di ottenere un’autonomia (anche fiscale) pari a realtà come Jersey o l’Isola di Man.

    Si tratta di valutare la possibilità di ritagliarsi una vera “autodeterminazione fiscale e politica”, ha ventilato Coutts, contestando all’esecutivo locale scozzese di aver abbandonato l’arcipelago. Edimburgo ha replicato ricordando i 15 milioni di sterline stanziati dal proprio budget negli ultimi tre anni per finanziare il vitale servizio di traghetti verso le Shetland. Ma i ribelli lamentano carenze nelle forniture di generi essenziali come i combustibili e accusano la Sturgeon di aver dimenticato “le promesse” del suo predecessore Alex Salmond sui piani di un maggiore decentramento amministrativo per le stesse Shettland, le Isole Orcadi o le Isole Occidentali di Scozia. Rinfacciandole di non aver condiviso in alcun modo i benefici della devolution strappati a Londra con questi territori marini; e di non promettere nulla di buono per loro, laddove mai la Scozia dovesse diventare davvero un giorno Stato sovrano.

  • Nelle ferrovie scozzesi è tempo di ‘smart tickets’

    Gli utenti del trasporto ferroviario in Scozia potranno sperimentare i benefici dell’emissione di biglietti intelligenti (smart tickets) emessi direttamente dal proprio conto corrente. I primi passeggeri che usufruiranno della nuova metodologia di pagamento saranno quelli che quotidianamente percorrono la tratta  Glasgow Cathcart.

    Il sistema, nato grazie alla collaborazione tra il fornitore di soluzioni per la tecnologia di trasporto Cubic Transportation Systems e il franchising di ferrovie scozzesi Abellio ScotRail, consentirà ai viaggiatori di utilizzare una modalità di ticketing “pay-as-you-go” attraverso smartphone, carta di credito contactless o token. Grazie ad uno schema simile al sistema Oyster’s card di Londra, i clienti saranno in grado di creare un unico account che potrà essere utilizzato su più modalità di trasporto pubblico.

    Il programma One Account è progettato per semplificare il processo di viaggio sui trasporti pubblici e far risparmiare denaro ai clienti utilizzando protocolli di pianificazione del viaggio “intelligenti, personalizzati e attuabili”. La sperimentazione di smart ticketing realizzata da Cubic in Scozia rappresenta la prima incursione del fornitore di servizio nel settore dei trasporti pubblici nel Regno Unito e potrebbe espandersi ulteriormente su tutto il territorio impegnandosi a proporre una “migliore tariffa” per i passeggeri.

    Dopo essere stato emesso un avviso di riparazione da Transport Scotland lo scorso anno, ScotRail ha promesso di migliorare le sue operazioni reclutando personale extra, espandendo la sua flotta per migliorare la puntualità e l’affidabilità e sperimentazioni di nuove tecnologie per migliorare l’esperienza dei passeggeri.

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