soldi

  • La Commissione eroga il terzo pagamento di 18,5 miliardi di € all’Italia nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza

    Il pagamento di 18,5 miliardi di € in sovvenzioni e prestiti è stato reso possibile dal conseguimento da parte dell’Italia dei 54 traguardi e obiettivi connessi alla terza rata. Tali traguardi e obiettivi comprendono diverse riforme fondamentali nei settori della concorrenza, della giustizia, dell’istruzione, del lavoro sommerso, della gestione delle risorse idriche e degli investimenti trasformativi nella digitalizzazione, in particolare per quanto riguarda la pubblica amministrazione e la cibersicurezza, le energie rinnovabili, le reti elettriche, le ferrovie, la ricerca, il turismo, la rigenerazione urbana e le politiche sociali.

    Come per tutti gli Stati membri, i pagamenti nell’ambito del dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento chiave al centro di NextGenerationEU, sono basati sui risultati e subordinati all’attuazione da parte dell’Italia degli investimenti e delle riforme delineati nel piano per la ripresa e la resilienza.

    Il 30 dicembre 2022 l’Italia ha presentato alla Commissione la terza richiesta di pagamento nell’ambito del dispositivo. Il 28 luglio 2023 la Commissione ha approvato una valutazione preliminare positiva della richiesta di pagamento. Il parere favorevole del comitato economico e finanziario del Consiglio sulla richiesta di pagamento ha gettato le basi per l’adozione da parte della Commissione di una decisione definitiva sull’erogazione dei fondi.

    A seguito dell’adozione da parte del Consiglio di una modifica mirata del piano italiano per la ripresa e la resilienza, il 19 settembre 2023, un obiettivo originariamente collegato alla terza richiesta di pagamento è stato sostituito da un traguardo e trasferito alla quarta richiesta di pagamento. La modifica non incide sull’ambizione complessiva della misura.

  • Abusi anche con i finanziamenti europei

    Quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione,

    il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge.

    Guillaume Malesherbes

    L’Unione europea, tramite le sue istituzioni e strutture specializzate, assiste con dei finanziamenti molti progetti di sviluppo, dopo aver verificato e valutato le proposte presentate. Oltre ai Paesi membri dell’Unione, possono beneficiare dei finanziamenti europei anche tutti i Paesi che stanno seguendo il processo dell’adesione all’Unione europea. Dopo essere stati stanziati, la gestione di quei finanziamenti viene sempre controllata metodicamente da parte di altre strutture specializzate dell’Unione per garantire tutta la necessaria trasparenza. Dal 2007 è stato reso attivo lo Strumento di assistenza pre-adesione, noto come IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance). Si tratta di uno strumento di finanziamenti che ha sostituito due precedenti programmi. Il primo, noto come il programma PHARE (Poland and Hungary Assistance for the Restructuring of the Economy – Assistenza per la Ristrutturazione dell’Economia in Polonia e Ungheria; n.d.a.), è stato istituito il 18 dicembre 1989, in seguito alla caduta del muro di Berlino, il 9 novembre 1989. Il programma PHARE è stato lo strumento principale di finanziamento dell’Unione europea. Il secondo, noto come il programma CARDS (Community Assistance for Reconstruction, Development and Stabilisation – l’Assistenza Comunitaria per la Ricostruzione, Sviluppo e Stabilizzazione; n.d.a.), è stato istituito il 5 dicembre 2000 e poi reso attivo nel 2001 per assistere i Paesi dei Balcani occidentali. Il programma CARDS è stato lo strumento principale dei finanziamenti previsti e messi in atto, nell’ambito del processo della Stabilizzazione e Associazione, che i Paesi dei Balcani occidentali hanno avviato, firmando un Accordo con l’Unione europea.

    Lo strumento di assistenza pre-adesione IPA serve per aiutare tutti i Paesi candidati all’adesione nell’Unione europea, o quelli potenzialmente tali, ad adattarsi ed allinearsi con le normative e i regolamenti dell’Unione. Normative e regolamenti che riguardano l’avviamento e l’avanzamento delle richieste riforme nel campo dell’economia, della politica, delle istituzioni, del sistema della giustizia ecc.. Riforme che devono garantire il funzionamento, nel Paese beneficiario, del sistema democratico, del buon governo e dello Stato di diritto, nonché il pieno ed incondizionato rispetto dei diritti dell’uomo e lo sviluppo sociale ed economico del Paese. Sempre nell’ambito dello strumento di assistenza pre-adesione IPA sono, altresì, previsti dei finanziamenti per promuovere e sostenere dei progetti di sviluppo delle aree rurali. Si tratta di finanziamenti effettuati tramite i programmi settennali IPARD (Instrument for Pre-Accession Assistance and Rural Development – Lo Strumento di assistenza pre-adesione per lo sviluppo rurale; n.d.a.). Dagli atti istituzionali risulta che i programmi IPARD si attivano nelle aree rurali dei Paesi che stanno percorrendo il processo di adesione all’Unione europea, per promuovere e sviluppare progetti nel campo dell’agricoltura e quello agroalimentare. Tramite i programmi IPARD si cerca di adattare i Paesi beneficiari con le normative dell’Unione europea nel campo agricolo. Attualmente è attivo il programma IPARD III (2021 – 2027). Tra gli obiettivi istituzionalmente confermati, da conseguire nell’ambito di questo programma, ci sono anche l’agevolazione dello sviluppo delle imprese, la loro crescita e, di conseguenza, la crescita dell’occupazione nelle aree rurali. In più si prevede anche l’aumento della competitività nel settore agroalimentare e il miglioramento dello sviluppo comunitario e del capitale sociale in quelle aree rurali dov’è attivo il programma. Un importante obiettivo dell’attuale programma IPARD III è quello di contribuire alla mitigazione, per quanto possa essere possibile, dei cambiamenti climatici e/o all’adattamento con loro. L’istituzione responsabile incaricata per la gestione del programma è la Direzione Generale della Commissione europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale (The Directorate-General for Agriculture and Rural Development), nota anche come DG AGRI.

    E siccome si tratta di ingenti finanziamenti stanziati dalla Commissione europea, diventa obbligatorio anche un dettagliato controllo della loro gestione in tutte le previste fasi dei progetti approvati in tutti i Paesi beneficiari. La struttura della Commissione europea responsabile di questo compito è OLAF, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (European Anti-Fraud Office), istituito nell’aprile 1999. L’obiettivo istituzionale di questa struttura è quello di “…contrastare le frodi, la corruzione e qualsiasi attività illecita, lesiva degli interessi finanziari dell’Unione europea”. OLAF effettua continuamente delle indagini specializzate e indipendenti su qualsiasi presunto e/o denunciato caso di frode e di corruzione, riguardante i finanziamenti stanziati dall’Unione europea, da parte di coloro che gestiscono i finanziamenti nei singoli Paesi e/o dai beneficiari finali. In più OLAF si impegna a “…rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni dell’Unione europea, attraverso indagini su gravi inadempimenti degli obblighi professionali da parte del personale e dei membri delle istituzioni dell’Unione europea”.

    L’Albania, essendo uno dei Paesi che da molti anni ormai ha avviato il suo percorso per l’adesione all’Unione europea, ha anche beneficiato sia dei finanziamenti previsti dal programma CARDS, che di quelli dello Strumento IPA. Compresi anche i finanziamenti per lo sviluppo agricolo delle aree rurali, nell’ambito dei programmi IPARD. Ebbene, il 14 luglio scorso la Direzione Generale della Commissione europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale ha ufficialmente inviato alle istituzioni albanesi una lettera confermando la sospensione temporanea del sostegno finanziario nell’ambito dei programmi IPARD. Tra le istituzioni governative alle quali è stata inviata quella lettera c’erano anche il ministero dell’Agricoltura, il ministero delle Finanze, nonché l’Agenzia per lo sviluppo agricolo e rurale; un’istituzione quella che gestisce, a livello nazionale, proprio i finanziamenti dei programmi IPARD.  La notizia è stata resa pubblica alcuni giorni dopo, il 18 luglio scorso, da un portale informativo non controllato dal governo. E prima che venisse pubblicata la notizia, i gestori del portale informativo hanno verificato la sua veridicità tramite tre diverse fonti confidenziali. Ѐ stata contattata anche la Delegazione dell’Unione europea in Albania che ha confermato la notizia della sospensione dei finanziamenti, in seguito a delle indagini avviate dai primi mesi del 2021. Si è trattato di indagini focalizzate soprattutto sulla distribuzione dei finanziamenti a fondo perduto previsti e destinati ai beneficiari agricoltori albanesi. In più, proprio la Delegazione dell’Unione europea in Albania, il 19 luglio scorso, ha distribuito un comunicato ufficiale, con il quale si confermava che la Direzione Generale della Commissione europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale “…ha informato il governo albanese di aver preso delle misure precauzionali in base ad un’informazione iniziale diramata dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), in seguito alle indagine su delle accuse di corruzione riguardanti l’attuazione del programma IPARD II”. Nel comunicato ufficiale della Delegazione dell’Unione europea in Albania si precisava che “in via preventiva, a tutela degli interessi finanziari dell’Unione europea, la Commissione europea ha temporaneamente sospeso i rimborsi alle autorità albanesi per le spese sostenute nell’ambito del programma IPARD II”. Si trattava proprio del pagamento dell’ultima richiesta di rimborso, per una somma di 450.000 euro, nell’ambito dei finanziamenti per l’agricoltura, presentata dalle autorità albanesi. Il rifiuto, come confermato dal portale informativo che ha pubblicato per primo la notizia il 18 luglio scorso, era dovuto a delle presunte irregolarità e pratiche corruttive durante la gestione dei finanziamenti europei. Nello stesso comunicato ufficiale della Delegazione dell’Unione europea in Albania, si ribadiva che “…la Commissione europea non può commentare nessuna conclusione possibile di OLAF sull’attuazione del programma IPARD II (2014 – 2020) in Albania. Le indagini di OLAF stanno continuando. Quando l’OLAF consegnerà il rapporto finale, la Commissione europea informerà le autorità albanesi e, in base alle conclusioni del rapporto, prenderà ogni successiva e necessaria misura per tutelare gli interessi finanziari dell’Unione europea”. Questo confermava il comunicato ufficiale reso pubblico dalla Delegazione dell’Unione europea in Albania il 19 luglio scorso.

    La notizia è arrivata in un momento veramente difficile in cui si trovano da tempo ormai le autorità albanesi, compreso il primo ministro. Anzi, soprattutto il primo ministro che, dati e fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulterebbe direttamente o indirettamente coinvolto in molti scandali finanziari milionari, tuttora in corso. Chissà perché le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non riescono a trovare i veri e diretti responsabili di tutti questi scandali?! Il nostro lettore è stato spesso informato di una simile, preoccupante e pericolosa realtà. E, guarda caso, la notizia è arrivata e poi resa pubblica proprio mentre nella capitale albanese il primo ministro aveva organizzato un incontro con i dirigenti dei Paesi dei Balcani occidentali. Un incontro durante il quale il primo ministro albanese aveva annunciato un nuovo piano di supporto finanziario da parte dell’Unione europea per i Paesi della regione balcanica. Ovviamente anche per l’Albania. Non poteva essere un momento peggiore per rendere pubblica la notizia arrivata il 14 luglio scorso dalla Commissione europea. Ragion per cui la notizia della sospensione dei rimborsi europei, nell’ambito dei finanziamenti per l’agricoltura e lo sviluppo delle aree rurali, è stata tenuta nascosta per alcuni giorni dalle autorità albanesi che, nel frattempo, erano state informate ufficialmente dalla Direzione Generale della Commissione europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale. E l’avrebbero tenuta ancora nascosta quella notizia se non fosse stata pubblicata da quel portale informativo il 18 luglio scorso. In una simile e difficile situazione, l’unica istituzione che è stata costretta a reagire era il ministero dell’Agricoltura. Ovviamente, con la sua reazione, il ministero ha cercato di negare, o comunque, di sfumare la notizia. Con dei raggiri verbali, il ministero ha cercato di tergiversare, sostenendo che il programma di finanziamento europeo per l’agricoltura e lo sviluppo delle aree rurali non era stato sospeso (Sic!). Hanno fatto riferimento al programma di finanziamenti e non al pagamento dell’ultima richiesta di rimborso, che ammontava ad una somma di 450.000 euro, proprio nell’ambito dei finanziamenti per l’agricoltura. L’ennesima “furbizia” per sfuggire alla verità e, perciò, anche alle responsabilità istituzionali e personali.

    A proposito, la ministra dell’Agricoltura il 28 aprile scorso, riferendosi proprio ai finanziamenti IPARD, dichiarava con un abominevole servilismo: “Il successo del programma IPARD ha nelle sue fondamenta gli sforzi titanici del primo ministro”! Mentre da tempo le cattive lingue parlavano di abusi dei finanziamenti europei.

    Bisogna sottolineare che nella stessa lettera ufficiale, inviata il 14 luglio scorso dalla Direzione Generale della Commissione europea per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale alle autorità albanesi, non si informava solo della sopracitata sospensione dei pagamenti. Il portale informativo che ha pubblicato la notizia, ha altresì confermato che, oltre alla sospensione dei rimborsi, l’Albania potrebbe essere espulsa anche dal programma di finanziamenti IPARD III (2020 – 2027), attivo ormai da tre anni. Le cause di una simile e possibile espulsione, nel caso accadesse, sarebbero la gestione corruttiva e gli abusi dei finanziamenti europei stanziati per l’agricoltura e per lo sviluppo delle aree rurali in Albania.

    Chi scrive queste righe è convinto che in Albania si sta abusando non solo del denaro dei contribuenti albanesi, la maggior parte dei quali si trova spesso in difficoltà finanziarie. Si sta abusando anche dei finanziamenti europei. E non è la prima volta. Perciò la convinzione espressa da Guillaume Malesherbes “Quando gli abusi vengono accolti con la sottomissione, il potere usurpatore non tarda a convertirli in legge” deve servire come un serio avvertimento per tutti i cittadini albanesi. Perché se no, la “legge del potere” continuerà a punirli.

  • Bruxelles rafforza la prevenzione rispetto ai rischi del sistema bancario ombra

    La Commissione europea ha adottato gli standard tecnici che gli enti creditizi dovranno utilizzare nel segnalare le proprie esposizioni verso soggetti del sistema bancario ombra (in inglese shadow banking system), ossia quel complesso di mercati, istituzioni e intermediari che erogano servizi bancari senza essere soggetti alla relativa regolamentazione in quanto posti al di fuori del perimetro di applicazione delle relative norme.

    Gli standard promosso dall’esecutivo comunitario stabiliscono i criteri per l’identificazione dei soggetti del sistema bancario ombra, garantendo l’armonizzazione e la comparabilità delle esposizioni segnalate dagli enti creditizi. Gli standard forniranno inoltre alle autorità di vigilanza dati affidabili per valutare i rischi delle banche in relazione ai non-banking financial intermediaries.

    Tutto questo dovrebbe rafforzare il quadro prudenziale, consentendo una maggiore trasparenza dei collegamenti materiali tra il settore bancario tradizionale e il settore bancario ombra.

    “Le istituzioni finanziarie non bancarie sono cresciute negli ultimi anni – ha commentato Mairead McGuinness, Commissaria per i servizi finanziari – Alcuni hanno accumulato considerevoli disallineamenti di liquidità e di leva finanziaria e, come evidenziato dalle recenti perdite nel settore bancario che hanno coinvolto tali entità, la loro attività potrebbe rappresentare un rischio per il sistema finanziario. Le norme odierne forniscono alle banche attive nell’UE ulteriore chiarezza su quali entità rientrano nel sistema bancario ombra, garantendo coerenza di reporting tra le banche e migliorando la capacità delle autorità di vigilanza di individuare l’accumulo di grandi esposizioni verso istituzioni finanziarie non bancarie e gestire i rischi in modo efficace”.

  • Dall’UE30 milioni di euro all’Italia per sostenere l’agricoltura, la pesca e l’acquacoltura

    La Commissione ha approvato misure di aiuto italiane per circa 30 milioni di € a sostegno di imprese attive nei settori dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca e dell’acquacoltura nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo di crisi e transizione per gli aiuti di Stato che la Commissione ha adottato il 9 marzo 2023 per sostenere misure in settori che sono fondamentali ai fini dell’accelerazione della transizione verde e la riduzione della dipendenza dai combustibili. Il nuovo quadro modifica e proroga in parte il quadro temporaneo di crisi adottato il 23 marzo 2022 per permettere agli Stati membri di sostenere l’economia sullo sfondo dell’attuale crisi geopolitica e già modificato il 20 luglio 2022 e il 28 ottobre 2022.

    In base al regime, gli aiuti saranno di importo limitato e avranno la forma di garanzie su prestiti, fino ad un massimo di 250 000 € per beneficiario. Scopo della misura è sostenere il fabbisogno di liquidità dei beneficiari ammissibili, colpiti dall’attuale crisi geopolitica.

    La Commissione ha constatato che il regime italiano rispetta le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi e transizione. In particolare, gli aiuti i) non supereranno il massimale di 250 000 € per beneficiari attivi nella produzione primaria nel settore dell’agricoltura, di 300 000 € per beneficiari attivi nei settori della pesca e dell’acquacoltura e di 2 milioni di € per beneficiari operanti in tutti gli altri settori; e ii) saranno concessi entro il 31 dicembre 2023. La Commissione ha concluso che il regime italiano è necessario, adeguato e proporzionato per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro

  • Follow the money

    Per comprendere le ingiustificabili strategie delle massime autorità monetarie come la BCE può venire in aiuto il principio del “Follow the money”, cioè seguire i soldi ma  soprattutto  i profitti.

    Durante il primo semestre del 2023, mentre si registra nel mondo reale contemporaneo un calo dei consumi del -5% nel settore alimentare, e contemporaneamente quattro flessioni consecutive della produzione industriale ed  il primo  arretramento dell’export, con i beni strumentali che registrano un clamoroso -34%, il mondo bancario banchetta in relazione alle semestrali.

    Unicredit registra il migliore semestre della propria storia con un utile di 4,4 miliardi e quindi un balzo delle proprie performance del +91.4%. Nella medesima lunghezza d’onda Intesa San Paolo  dichiara per il semestre 2023 un utile superiore ai 4,2 miliardi.

    Per entrambi i colossali bancari, uno dei quali ha fagocitato le banche del nord est come Veneto Banca e Popolare di Vicenza al costo di un (1) euro mettendo sul lastrico generazioni di risparmiatori, l’utile per l’intero anno 2023 viene previsto ben  oltre i sette (7) miliardi.

    Il nuovo innalzamento dei tassi di interesse (4,25%) deciso dalla BCE, a fronte di 15 miliardi di rate del mutuo casa non pagate dalle famiglie, creerà ulteriori difficoltà anche al mondo delle imprese che già registra una flessione del ricorso al credito di oltre -24%.

    Ricapitolando, se gli istituti di credito beneficiano dell’ennesima crisi economica espressione delle disastrose conseguenze della pandemia e della guerra russo-ucraina, mentre la realtà economica continua a dimostrare sempre maggiori difficoltà, risulta evidente allora che le priorità della BCE siano assolutamente diverse da quelle della ripresa economica.

    In altre parole, si continua a privilegiare i soggetti protagonisti dell’economia finanziaria che si arricchisce della semplice gestione dei flussi piuttosto di fornire strumenti economici alla ripresa dell’economia reale.

    Una situazione assolutamente intollerabile che si giova anche dello strabismo governativo all’interno del quale il ministro dell’economia invece di intervenire sull’ennesima esplosione del costo dei carburanti (e della inevitabile ripresa della spirale inflattiva), si preoccupa invece della transizione del canone RAI sulle utenze telefoniche, dimenticando come questo sia una imposta sul possesso del televisore e non una tassa di utilizzo.

    La forza del mondo finanziario nelle sue articolate istituzioni si espande e si rafforza per debolezza della politica o, meglio ancora, a causa della stessa supina  complicità.

  • La colpa secondo la Bce

    Secondo la massima autorità finanziaria europea la responsabilità dell’inflazione è attribuibile alle imprese (*). Queste, per la presidente della Bce, hanno scaricato l’aumento dei costi energetici e delle materie prime interamente sul prezzo finale al consumatore. Una analisi francamente imbarazzante in quanto non prende in alcuna considerazione il ruolo della sempre maggiore tassazione dei singoli stati calcolata molto in percentuale su valori nominali dei prezzi finali in costante crescita. Basti ricordare come lo Stato italiano abbia incassato oltre 60 miliardi di Fiscal Drag grazie alla crescita dei prezzi (**).

    In più andrebbe ricordato come, operando all’interno di un mercato globale, una istituzione finanziaria adeguata richiamerebbe alla propria responsabilità anche lo Stato.

    L’istituzione statale, infatti, attraverso una compensazione fiscale avrebbe dovuto bilanciare l’aumento dei costi energetici e delle materie prime cercando di impattare l’effetto inflattivo sulle capacità d’acquisto dei singoli consumatori, invece di continuare ad accrescere la spesa pubblica e, di conseguenza, il debito (2970 miliardi).

    Viceversa, l’attuale presidente della BCE, che rappresenta semplicemente una figura politica prestata al mercato finanziario, esclude ogni responsabilità e ruolo all’interno del complesso dedalo finanziario internazionale attribuendo semplicisticamente ogni responsabilità alle imprese le quali, a loro volta, sono soggette agli effetti delle politiche fiscali dei singoli Stati.

    In più, si dimentica come il prezzo finale di un prodotto rappresenti la sintesi di un network di terzisti i quali devono adeguare i propri prezzi ai maggiori costi energetici e delle materie prime. In questo contesto si genera un effetto moltiplicatore sul prezzo finale non attribuibile alla singola impresa ma piuttosto alla struttura produttiva complessa…

    Queste sono considerazioni che ovviamente sfuggono ad una presidente della BCE che già in passato ha dimostrato di non conoscere neppure la differenza nella genesi dell’inflazione confermata dall’attribuzione attuale di unica responsabilità alle imprese (***).

    In altre parole, la BCE sta giocando un ruolo espressamente politico e non certo tecnico e competente, arrivando ad individuare un responsabile di un fenomeno (inflazione) quando dovrebbe operare per compensare la spirale inflattiva, dimostrando in più di non conoscere neppure i dati macroeconomici: -7,2% produzione industriale, -5,3% export in valore, -10% in volumi, -5% consumi.

    Mai come ora ignorare l’economia reale evidenzia l’insufficienza dello spessore professionale della presidente della BCE.

    (*) https://www.avvenire.it/economia/pagine/lagarde-inflazione-qualunque-cosa-accada

    (**) https://www.ilpattosociale.it/attualita/fiscal-drag/

    (***) https://www.ilpattosociale.it/attualita/le-due-diverse-genesi-inflattive/

  • Le colpe delle banche centrali

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso si ‘ItaliaOggi’ il 21 giugno 2023

    È molto severo il giudizio di Jacques de Larosière sulla gestione della politica monetaria delle banche centrali. L’ex direttore del Fondo monetario internazionale, del Tesoro francese e della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo, ha plasticamente spiegato le loro errate decisioni ricordando «il racconto di Goethe dell’apprendista stregone il cui goffo uso dei poteri magici produce una scia incontrollabile di disastri». Niente di più vero.

    De Larosière non è stato un santo nella sua lunga carriera di alto dirigente delle politiche monetarie francesi e internazionali. I Paesi in via di sviluppo non hanno un buon ricordo dell’austerità e delle dure condizioni imposte dal Fmi. Fa, però, piacere, oggi che non è più costretto da responsabilità, sentirlo esprimere liberamente giudizi tranchant sulla politica monetaria dominante.

    In un suo recente scritto ha affermato: «Le banche centrali di tutto il mondo hanno acquistato enormi quantità di titoli di stato ad alto prezzo, il cui valore, come risultato delle loro azioni di inasprimento degli interessi, è successivamente crollato precipitosamente. Sfortunatamente, hanno incoraggiato le istituzioni finanziarie private a seguirne l’esempio, con conseguenze nefaste. Lungi dal promuovere la stabilità, le banche centrali hanno tenuto una lezione magistrale su come organizzare una crisi finanziaria».

    In questo modo esse hanno indebolito i propri bilanci e la propria reputazione. Com’è noto, con i quantitative easing i loro bilanci sono cresciuti a dismisura, pieni di asset backed security, titoli di dubbio valore, e di titoli pubblici acquistati dalle grande banche internazionali. Questi ultimi, ritenuti “sicuri” e “protetti” all’inizio, adesso, grazie all’aumento dei tassi d’interesse, sono in perdita.

    Le banche centrali, quindi, sono nei guai. In verità lo sono molto di più le banche commerciali private perché esse devono valutare le partecipazioni obbligazionarie in rapporto al loro valore di mercato, rendendole vulnerabili alla fuga dei depositanti. Le banche centrali non devono affrontare questo pericolo poiché le loro partecipazioni obbligazionarie non sono valutate in rapporto al mercato ma in base alla convenzione contabile secondo cui esse sono detenute al valore nominale fino alla loro scadenza.

    De Larosière aggiunge: «Riducendo i tassi di interesse quasi a zero e continuando il QE per un periodo irragionevolmente lungo, le banche centrali hanno aumentato il credito e la domanda nell’economia, il che probabilmente avrebbe portato sia all’inflazione sia agli investimenti speculativi, che alla fine sarebbero andati male quando i tassi di interesse sarebbero aumentati». Il risultato alla fine è stato il contagio tra le banche centrali e quelle commerciali, soprattutto se queste ultime operano in un ambiente mal regolamentato e se sono mal gestite.

    Negli Usa la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic), l’agenzia federale che garantisce i depositi fino a 250 mila dollari, già a marzo stimava che le banche americane erano sedute su perdite non riconosciute di circa 600 miliardi di dollari sui loro titoli in portafoglio – una cifra che saliva ben oltre mille miliardi se si includono le perdite sui prestiti a basso rendimento. Inoltre, molte di queste banche hanno anche livelli rilevanti di depositi non coperti dalla Fdic.

    In generale, le banche private, se non funzionano, sono a rischio di bancarotta, come abbiamo visto nelle settimane passate. Questo non vale per le banche centrali che in caso di bisogno potrebbero chiedere una ricapitalizzazione, anche se non facile e a condizioni pessime. È vero che le banche centrali sono indipendenti ma, di fatto, sono fortemente coinvolte in questioni fiscali e dipendenti dai mercati finanziari. De Larosière teme che il risultato più probabile possa essere la stagflazione, che produrrebbe una serie di tensioni politiche ed economiche. E aggiunge: «Con la loro gestione della politica monetaria, le banche centrali hanno contribuito all’inflazione e a indebolire il sistema finanziario». Sono conclusioni molto pesanti.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • I Brics non mollano la presa

    Il prossimo summit dei capi di Stato e di governo dei paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) potrebbe segnare una svolta decisiva verso un più accentuato processo multipolare della politica e dell’economia mondiale. Si terrà il 22-24 agosto a Johannesburg, in Sud Africa, e vedrà anche la partecipazione di un folto gruppo di nazioni del Sud del mondo. Sono già 13 le nazioni che si sono ufficialmente candidate a farne parte. Altre 6 che hanno espresso il proprio interesse a parteciparvi.

    Uno dei punti centrali nel programma dei lavori è la creazione di una nuova moneta allo scopo di favorire commerci e investimenti, all’interno del gruppo e con altri Paesi emergenti, senza dover utilizzare il dollaro. Senza, quindi, doversi sottoporre al controllo e all’influenza di una potenza esterna e senza dover pagare una tassa per il «servizio».

    Non si tratta di creare una moneta circolante, come l’euro. I Brics sono consapevoli che c’è molta strada da fare per tale obiettivo. Essi stanno, invece, analizzando i passi necessari per la creazione di una moneta di conto, come l’Ecu fu utilizzato in Europa negli anni che hanno preceduto l’Euro. Da parecchio tempo stanno studiando l’esperienza europea dell’Ecu. E l’Unione europea, inspiegabilmente, sembra ignorare questo passaggio storico.

    Per preparare il summit, nei giorni scorsi a Città del Capo si è tenuta la riunione dei ministri degli Esteri dei Brics, con la partecipazione dei rappresentanti di altri 15 paesi. Naledi Pandor, ministro degli Esteri sudafricano ha ribadito l’intenzione del gruppo di continuare a lavorare sulla fattibilità di una moneta comune.

    In un suo messaggio il presidente del Sud Africa, Cyril Ramaphosa, ha risposto a tutte le notevoli pressione esercitate dagli Usa e dalla Gran Bretagna, ribadendo che «noi vogliamo cogliere l’opportunità di promuovere gli interessi del nostro continente che è stato saccheggiato, devastato e sfruttato da altre nazioni e per questo vogliamo oggi costruire la solidarietà insieme ai Brics». È un passaggio molto importante se si mette in relazione alla creazione dell’Area di libero scambio del continente africano (Afcfta) che sta proprio discutendo della possibilità di creare una nuova unità di conto monetaria per favorire i commerci all’interno dell’Africa.

    Per superare la sottomissione al dollaro e la dipendenza dalla rete dominante dello Swift, i Brics stanno studiando un loro sistema globale dei pagamenti. Non si tratta di rimpiazzarlo completamente, bensì di affiancarne uno alternativo per sottrarsi, in caso di necessità, ai condizionamenti e agli effetti delle sanzioni.

    Secondo il Fmi nel 2022 i Brics hanno superato il pil del G7 del 4% se calcolato attraverso la misura del ppp, la parità del potere di acquisto, cioè tenendo conto del costo della vita e dell’inflazione. Nello stesso anno il loro surplus commerciale è stato di 387 miliardi di dollari, che ha favorito anche l’aumento delle loro riserve d’oro.

    Si osservi che l’aumento dei tassi d’interesse da parte della Fed fa crescere il valore del dollaro sui mercati valutari ma svaluta le monete dei paesi del Sud del mondo e, quindi, fa aumentare il loro debito. La diversificazione delle riserve monetarie è, infatti, un altro argomento nell’agenda dei Brics. È una politica favorita anche dalle banche centrali del cosiddetto Global South che stanno aumentando il peso dell’oro nelle loro riserve, a scapito del dollaro. La domanda generale e gli acquisti di oro da parte delle banche centrali sono cresciuti enormemente. Ciò sta portando a un aumento della produzione di oro e a una possibile rivalutazione del valore delle riserve auree.

    Da parte sua il presidente brasiliano Lula da Silva, in occasione della conferenza dell’Unasur, la comunità economica e politica latinoamericana, ha detto di “sognare che i Brics abbiano una propria valuta, come l’Unione Europea ha l’euro». Rivolgendosi agli altri paesi dell’America latina ha affermato che «dovremmo approfondire la nostra identità sudamericana anche in ambito monetario, attraverso meccanismi di compensazione più efficienti e la creazione di una comune unità di scambio, riducendo la dipendenza dalle valute extraregionali».

    A sua volta Dilma Rousseff, la nuova presidente della New Development Bank, la banca dei Brics, ha evidenziato l’importanza dei recenti accordi petroliferi in renminbi tra Cina e Arabia Saudita. Rousseff ha detto: «Credo che nel mondo attuale ci sia una crescente tendenza a promuovere gli scambi commerciali utilizzando le valute locali. Ci sono diversi esempi importanti. Ad esempio, il mercato del petrolio è un settore rilevante rispetto al cambio di valuta. I paesi del Sud del mondo utilizzano sempre più le valute locali per i pagamenti commerciali».

    In conclusione, è opportuno riconoscere che un mondo unipolare con una sola moneta dominante stride con un’economia reale multipolare.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Più rischi per i derivati otc

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Poalo Raimondi apparso su ItaliaOggi l’8 giugno 2023

    L’ultimo bollettino della Bri, Banca dei regolamenti internazionali di Basilea, con i dati del secondo semestre del 2022 proietta ombre oscure sull’andamento dei derivati finanziari otc. Com’è noto, oltre a essere non regolamentati e tenuti fuori bilancio, essi segnano la febbre e i rischi per le banche too big to fail, troppo grosse per essere lasciate fallire.

    Questa volta è il gross market value (valore lordo di mercato) degli otc a rivelare il problema. Nel semestre analizzato, è cresciuto del 13% toccando i 20.700 miliardi di dollari. Un livello mai visto nei sei anni precedenti.

    Nelle poco comprensibili parole dei banchieri, questa enorme cifra sta indicare «la somma di tutti i contratti derivati otc in essere, con valori di sostituzione positivi e negativi valutati ai prezzi di mercato prevalenti alla data di riferimento». In altre parole, se al 31 dicembre 2022 tutti i contratti otc fossero stati chiusi, quella sarebbe stata la somma necessaria per saldare le differenze.

    L’enorme crescita è dovuta ai derivati stipulati sull’andamento dei tassi d’interesse (ird, interest rate derivatives) e riflette la grande incertezza provocata dall’inflazione e dagli aumenti dei tassi da parte della Fed e della Bce. È la stesa Bri a evidenziare il problema quando, spiegando il significato del gross market value, afferma che «i valori lordi di mercato forniscono informazioni sull’entità potenziale del rischio di mercato nelle transazioni in derivati e sul relativo trasferimento del rischio finanziario in atto”.

    Il gross market value degli ird denominati in euro è aumentato del 23% nella seconda metà del 2022, dopo un aumento del 37% nella prima metà.

    Quello degli ird in dollari è aumentato rispettivamente del 40% e del 30%. Poiché i tassi fissati oggi dalle banche centrali sono saliti sopra quelli prevalenti al momento della stipulazione dei contratti, il loro valore lordo di mercato è, quindi, aumentato.

    Ciò vuol dire che servono molti più soldi per coprire i contratti in scadenza o in difficoltà. Chi si trova in una simile situazione avrà bisogno di maggiore liquidità, per cui cercherà di far cassa vendendo degli asset in suo possesso, oppure pagherà con soldi presi in prestito a tassi molto salati. Tali comportamenti, ovviamente, influenzano negativamente i mercati.

    Questo è il secondo effetto destabilizzante provocato dalla politica yo yo delle banche centrali: prima tasso zero e tanta liquidità inflattiva e poi, con l’aumento dei tassi, la repentina e continuata chiusura delle bombole di ossigeno. Il primo effetto è stato la mina posta sotto i titoli, soprattutto quelli pubblici, venduti in passato a tassi bassi e oggi, dopo il rialzo dei tassi, non più rimunerativi.

    Nel secondo semestre 2022 il valore nozionale di tutti gli otc è, invece, rimasto quasi invariato, 618.000 miliardi di dollari, con un aumento di soli(!) 14 mila miliardi. Il valore nozionale è l’ammontare di tutti i derivati sottoscritti, una cifra enorme, quasi impensabile, che indica la dimensione della bolla in caso di collasso sistemico. I fautori della bontà dei derivati hanno sempre contrapposto il gross market value a quello nozionale, sostenendo che il secondo non rifletterebbe il vero rischio sottostante. Adesso, però, devono fare i conti con l’impennata del primo!

    Recentemente, sull’argomento l’Isda, International swaps and derivatives association di New York ha tenuto una conferenza a Chicago. L’Isda è l’associazione che raccoglie tutti i partecipanti nel mercato dei derivati otc. Il resoconto ufficiale riporta che sono stati gli stessi operatori dei mercati sui derivati a dire che ci si dovrebbe preparare a nuovi eventi di stress per la mancanza di liquidità, com’era avvenuto nel marzo del 2020 e con i fallimenti bancari delle settimane passate. «Sta per succedere qualcosa: il fattore scatenante potrebbe essere diverso, ma accadrà», ha affermato un dirigente della Bank of New York Mellon. Un’analisi condivisa da molti partecipanti al convegno di Chicago. Si aspettano anche che il deflusso dei depositi dalle banche regionali statunitensi potrebbe continuare, poiché i clienti cercano rendimenti più elevati.

    È sconcertante il fatto che siano proprio gli operatori dei mercati a essere preoccupati sugli andamenti futuri. Purtroppo, le agenzie di controllo e le banche centrali sembrano essere rimasti sui libri di testo di economia del diciottesimo secolo! Oppure sono ammaliati dal feticcio del 2% d’inflazione annua.

    *già sottosegretario all’Economia *economista

  • Il costo del Ponte sullo Stretto è arrivato a 13,5 miliardi

    “Il Sole 24 Ore“, ha stimato che tra il 1981 e il 1997 sono stati spesi 135 miliardi di lire per vari studi di fattibilità del Ponte sullo Stretto di Messina per collegare Sicilia e Calabria.

    Un primo cantiere aveva anche preso il via, quando nel 2009 a Cannitello lo spostamento di un tratto di ferrovia autorizzato nel 2006 deal Cipe, il Comitato interministeriale per la politica economica, era stato ricondotto nell’ambito dei lavori occorrenti per la realizzazione del ponte stesso, ma nel 2013 il governo Monti decretò l’alt al progetto stesso e mise in liquidazione la società Stretto di Messina, controllata all’81,84% da Anas (oggi parte di Ferrovie dello Stato) e partecipata da Rete ferroviaria italiana (Rfi), Regione Calabria e Sicilia, realizzata proprio per porre in essere il progetto del megaponte.

    Nel 2013 risultava che per liquidare quella società occorreva pagarle 342 milioni fra penali e indennizzi, e che a quella cifra, per valutare il costo complessivo sostenuto fino a quel momento per l’opera, andavano aggiunti oltre 130 milioni spesi fra studi e gestione degli anni ’80 e ’90. Il conto tuttavia era anche più salato, perché ci sono stati risarcimenti di parti terze poiché non sono stati fatti accantonamenti a garanzia, ovvero le cause legali fatte alla Stretto di Messina. Solo per fare un esempio: il consorzio che aveva vinto l’appalto Eurolink – capitanato da Salini Impregilo (oggi WeBuild, partecipata anche da Cassa depositi e prestiti e quindi dallo Stato) – ha in sospeso un appello con una richiesta di 657 milioni di euro per illegittimo recesso.

    Inoltre, ci sono altre cause legali da affrontare, come quella da 90 milioni intentata da Parsons, colosso dell’ingegneria civile Usa.

    Secondo il progetto originario, il costo era di circa 4,4 miliardi (valori al 2003, anno in cui il progetto preliminare venne approvato), ma il Consorzio Eurolink si aggiudicò nel 2005 la gara operando un ribasso che portò il valore del contratto (sottoscritto ad aprile 2006) a 3,9 miliardi (a valore 2003). In base alle previsioni contrattuali, il contratto nello stesso anno 2006 ebbe una aggiornamento del valore monetario e un incremento dell’oggetto, giungendo a circa 6 miliardi di euro. Negli anni questo costo è aumentato ancora, arrivando a 13,5 miliardi di euro, secondo quanto prevede oggi un allegato del Def (Documento di Economia e Finanza). Per quanto riguarda i raccordi stradali di competenza Anas il valore non è definito nel Def, dove si afferma solamente che saranno molto inferiori rispetto ai raccordi ferroviari di Rfi. A tale costo vanno aggiunti i costi delle opere complementari e di ottimizzazione alle connessioni ferroviarie, lato Sicilia e lato Calabria, che dovranno essere oggetto del contratto di programma con Rfi. Si stima un costo di 1,1 miliardi.

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