Soros

  • Perfidie e mercanteggiamenti balcanici

    Temo i danai [greci] anche quando portano doni

    Virgilio, Eneide; II, 49

    “Timeo danaos et dona ferentes”. Una ben nota frase scritta da Virgilio nel suo famoso poema epico Eneide. Una frase che ormai da molto tempo, invece che ai danai, si riferisce ai greci. Così disse Laocoonte, veggente e gran sacerdote, ai troiani. Gli ammoniva di non accettare il dono che gli achei, discendenti dei danai, avevano portato come testimonianza di pace ai troiani. Si trattava del famoso cavallo di legno, lasciato dagli achei alle porte di Troia, dopo aver fatto finta di abbandonare il campo. Laocoonte fece di tutto per convincere i troiani che non era un dono, ma bensì un inganno, una trappola degli achei. Purtroppo non ci riuscì. Il resto è storia. Secondo la leggenda, per punire Laocoonte, gli dei protettori degli achei mandarono a lui e ai suoi figli due enormi serpenti, strangolandoli tutti e tre. Questo accadeva più di tremila anni fa.

    La settimana scorsa invece, ha rassegnato le sue dimissioni il ministro greco degli Esteri. La ragione delle dimissioni si presume sia stata, per lo meno, lo scontro con il ministro della Difesa sull’accordo tra la Grecia e la Macedonia per il nome di quest’ultima. Con le sue dimissioni il ministro si pensa abbia voluto esprimere anche il suo malcontento per il mancato supporto del primo ministro durante lo scontro con il collega nazionalista della Difesa. Secondo indiscrezioni mediatiche risulterebbe che l’ormai ex ministro sia stato accusato di “uso improprio dei fondi ministeriali” e di “essere un uomo del finanziere americano George Soros”. L’indomani il primo ministro Alexis Tsipras ha accettato le dimissioni del ministro degli Esteri, assumendo lui stesso la responsabilità del ministero. Negli ultimi giorni i media hanno riferito di un fondo segreto di circa 45 milioni di euro del ministero degli Esteri greco, usato abusivamente dall’ormai ex ministro, per influenzare i media e determinate persone, politici compresi, sia in Macedonia che in Albania e altri paesi della regione. Domenica scorsa il fatto è stato ammesso anche dal capo del gruppo parlamentare del partito del primo ministro Tsipras, precisando però che si trattava di un fondo segreto, approvato dal Parlamento. Sempre secondo le indiscrezioni mediatiche, soltanto in questo mese sono stati versati circa un milione di euro a certi media albanesi. Negli ultimi giorni i media hanno reso noti alcuni dei nomi degli approfittatori.

    Storicamente il territorio dei Balcani è diventato un’arena di contrasti e di scontri armati. Nel 19o secolo e fino alla prima guerra mondiale, soltanto l’Albania era sotto l’Impero Ottomano, mentre gli altri paesi avevano acquisito l’indipendenza dall’Impero. Il che gli metteva in una posizione di vantaggio agli inizi del 20o secolo, nelle loro pretese territoriali, mentre l’Impero si stava sgretolando. Le mire espansionistiche della Grecia e della Serbia, ma non solo, verso i territori albanesi sono ben conosciute. Basta ricordare quanto succedeva nel periodo dalla Conferenza di Londra (1913) fino ai trattati di Versailles (1919). Alla fine di quel lungo processo di spartizione e riconoscimento ufficiale di territori nazionali e di confini, intere regioni abitate dagli albanesi sono state annesse alla Serbia (in seguito Regno dell’Jugoslavia) e alla Grecia. Realtà che continua tuttora, tranne il caso del Kosovo.

    Il Kosovo, abitato per quasi 90% dagli albanesi, è stato fino al 2008 una regione, prima dell’ex Jugoslavia e poi della Serbia. Dopo i bombardamenti della NATO, dal 24 marzo fino al 10 giugno 1999, il Kosovo ha assunto uno status speciale. In seguito e in rispetto della Risoluzione n.1244 delle Nazioni Unite, in Kosovo ha esercitato la sua autorità l’UNMIK (United Nations Interim Administration Mission in Kosovo). Il 17 febbraio 2008 il Parlamento della Repubblica del Kosovo, costituito con un vasto e molto significativo appoggio internazionale, ha proclamato l’indipendenza del Kosovo. Da quel periodo in poi il paese è stato riconosciuto da più di 110 stati, appartenenti all’Organizzazione delle Nazioni Unite. Ma, inaspettatamente, nei primi giorni dell’agosto scorso, il presidente della Repubblica del Kosovo ha parlato di una nuova delimitazione del confine tra il Kosovo e la Serbia. Una dichiarazione che ha subito suscitato una vasta e contraria reazione, sia in Kosovo che in diversi paesi europei e oltre. Molti noti ed influenti politici e opinionisti locali e internazionali hanno reagito determinati contro la dichiarazione del presidente kosovaro, sottolineando, tra l’altro, la riapertura di un nuovo e vasto scontro nei Balcani. Da indiscrezioni mediatiche, risulterebbe che uno degli artefici di quella inattesa e pericolosa mossa sarebbe il miliardario statunitense George Soros, tramite suo figlio. Figlio che nei giorni prima della sopracitata dichiarazione ha incontrato diverse volte sia il presidente kosovaro, che quello serbo e il primo ministro albanese. Il caso, che rappresenta uno scandalo, è tuttora aperto.

    Il 30 settembre scorso in Macedonia si è votato per il referendum che chiedeva ai cittadini di esprimersi sul cambio del nome del paese da “Repubblica di Macedonia” in “Repubblica della Macedonia Settentrionale”. L’assenteismo è stato vasto e determinante. Ha partecipato al voto poco più del 35% degli aventi diritto e quasi il 91% di essi hanno votato a favore del cambiamento del nome. Il che non ha sancito il cambiamento. La scorsa settimana il Parlamento macedone ha approvato un pacchetto di emendamenti costituzionali in supporto del cambiamento del nome. Tra un mese si voterà per quegli emendamenti. Soltanto in seguito e soltanto se anche il parlamento greco approverà l’Accordo di Prespa sul nuovo nome, allora si proclamerà la Repubblica della Macedonia Settentrionale. Nel frattempo, e sempre da indiscrezioni mediatiche, risulterebbe anche il coinvolgimento di George Soros in tutto ciò. Una cosa è comunque ben evidenziata. E cioè il fallimento, con il referendum, anche della strategia dell’Unione europea e il supporto al cambiamento da parte dei massimi rappresentanti della Commissione europea.  Anche questo rimane un caso aperto e tutto da seguire.

    Le dimissioni dell’ormai ex ministro greco degli Esteri hanno riacceso in questi giorni in Albania lo scandalo, almeno per quanto riguarda il paese, del presunto accordo raggiunto, in totale mancanza di trasparenza, tra i rappresentanti dell’Albania e della Grecia. L’accordo prevede la delimitazione del confine marino tra i due paesi. Tutto è stato appreso, almeno in Albania, soltanto da alcune dichiarazioni pubbliche del dimissionario ministro degli Esteri. Mentre le massime autorità locali parlavano malvolentieri e con un linguaggio sibillino. Il che fa pensare veramente ad uno scandalo che sa di tradimento degli interessi nazionali. Anche in questo caso e sempre da indiscrezioni mediatiche, risulterebbe presente lo zampino di George Soros.

    Chi scrive queste righe cercherà di trattare la prossima settimana questo scandalo in tutti i suoi dettagli, almeno quelli pubblicamente noti. In gioco sono parte della piattaforma marina albanese, quella che da qualche anno risulterebbe ricca di giacimenti di petrolio. Guarda caso i greci mirano proprio a quell’area! Nel frattempo lui condivide quanto scriveva Virgilio, e cioè che bisogna temere i greci anche quando portano doni.

  • L’Europarlamento sollecita sanzioni contro l’Ungheria di Orban

    Il Parlamento europeo ha intensificato gli sforzi per far sì che gli Stati membri dell’Ue esaminino la situazione dello stato di diritto e della democrazia in Ungheria, con una mossa senza precedenti da parte dell’organismo. I membri del Parlamento Europeo nella commissione per le libertà civili hanno votato per innescare un processo di sanzione dell’Ue contro l’Ungheria per le violazioni dello stato di diritto e una violazione dei valori dell’Ue da parte del governo del primo ministro Viktor Orban. Il voto è arrivato solo una settimana dopo che il parlamento ungherese ha approvato una legge che criminalizza le Ong che aiutano i richiedenti asilo e un emendamento costituzionale che crea un sistema parallelo di tribunali, misure criticate da gruppi per i diritti e organizzazioni internazionali. Il progetto di relazione evidenzia le preoccupazioni degli ultimi 8 anni, dal momento in cui Orban è stato eletto, i timori per l’indipendenza della magistratura, la trasparenza dei fondi statali e la tutela della libertà di espressione, tra le altre cose.

    «Quello che dice il rapporto, ora approvato dalla commissione, è che vi è un serio rischio di violazione dello stato di diritto, valori europei e diritti fondamentali», ha detto l’eurodeputata Judith Sargentini, responsabile del rapporto, ai giornalisti. Il consiglio dei capi di Stato e di governo, ha aggiunto, «dovrebbe prendere questo voto come un serio avvertimento che devono iniziare ad agire sulla situazione in Ungheria». L’ampio progetto di relazione preparato più di un anno da Sargentini ha ricevuto 37 voti favorevoli e 19 contrari e i deputati del Ppe, cui fa capo Fidesz, il partito di Orban, si sono divisi. Secondo EUobserver, 8 deputati del Ppe hanno votato a favore della bozza di relazione critica, 9 hanno votato contro – sei parlamentari ungheresi che si sono assunti per membri assenti del comita.

    Orban ha definito il rapporto un «rapporto Soros», alludendo al miliardario ebreo di origini ungheresi George Soros contro cui polemizza da tempo.

    La plenaria del Parlamento voterà a settembre. Se due terzi degli eurodeputati supporteranno l’attivazione dell’articolo 7, il Consiglio europeo ha l’obbligo giuridico di trattare la questione, determinando se esiste un «chiaro rischio di una grave violazione» dei valori dell’Ue. Una procedura analoga, avviata dalla commissione Ue lo scorso dicembre, è già in corso contro la Polonia. Nell’ambito della prima fase della procedura di cui all’articolo 7 dell’Ungheria, il Consiglio potrebbe determinare l’esistenza di un rischio di violazione e potrebbe adottare raccomandazioni per l’Ungheria. Nella seconda fase della procedura, il Consiglio europeo, forum dei leader europei, può determinare l’esistenza della violazione, aprendo la strada a sanzioni, come la sospensione dei diritti di voto, una linea di condotta politicamente impossibile per qualsiasi Stato membro. La Commissione di Bruxelles ha già avuto vari attriti legali con il governo di Orban, ma ha concluso che non esiste una minaccia sistematica allo stato di diritto.

  • E se tutto fosse vero?

    La verità fa male una volta sola. La bugia fa male sempre

    Potrebbero non essere semplicemente dei “rumors”, come dicono gli inglesi e gli statunitensi. E cioè potrebbero non essere semplicemente dei pettegolezzi alcune accuse degli ultimi giorni. In attesa che la verità venga fuori definitivamente, dopo la verifica, il giudizio e le decisioni prese nelle apposite sedi ufficiali, l’autore di queste righe sostiene sia doveroso che alcune riflessioni si potrebbero comunque fare. Ciascuno tragga poi le proprie conclusioni.

    A dire il vero, in Albania da alcuni anni se ne è scritto e parlato non poco di quello che ultimamente è stato reso pubblico negli Stati Uniti d’America. Per poi essere ripreso, in seguito, dai media albanesi, soprattutto quelli in rete. Si tratterebbe, in sostanza, di una strategia per sostenere alcuni “movimenti”, nella maggior parte di sinistra, o che dalle ideologie della sinistra ne traggono vantaggio, per poi facilitare il controllo del potere politico in diversi paesi del mondo. Tale strategia prevede anche la selezione e il supporto di determinate persone, per farle, in seguito, avere ruoli di primo piano nella vita politica attiva dei rispettivi paesi. Questa strategia da anni viene finanziata da un ben noto speculatore di borsa e multimiliardario statunitense. Strategia che punterebbe anche su alcuni Paesi ex-comunisti dell’Europa dell’est. Strategia che risulterebbe sia stata estesa e adottata con successo anche in Albania, dove il multimiliardario statunitense (o chi per lui) è venuto, non certo per turismo e a più riprese, dagli anni ’90 in poi.

    L’Albania è un Paese tra i più poveri dell’Europa, con una democrazia molto fragile che ufficialmente viene classificata come “ibrida”. Il che rende l’Albania molto vulnerabile di fronte a detereminati interventi e influenze. Quanto è accaduto dal 1991 in poi, ne è un’eloquente testimonianza. Compresa anche la nascita e lo sviluppo di quelle che vengono considerate come organizzazioni non governative della società civile. Ebbene, la prima simile organizzazione, costituita subito dopo il crollo della dittatura in Albania come parte integrante di una vasta rete di simili organizzazioni nel mondo, è stata finanziata proprio dallo stesso multimiliardario staunitense. Attualmente molte organizzazioni non governative albanesi, nate in seguito, risulterebbe abbiano diversi “rapporti di parentela” con la “primogenita”. Risulterebbe che generalmente usufruiscono di finanziamenti “diversificati”, provenienti da determinate strutture statunitense e/o dal governo locale. Da sottolineare anche che l’attuale primo ministro albanese risulterebbe essere una delle persone che hanno attivamente contribuito alla costituzione della sopracitata prima organizzazione. Non solo, ma da anni il suo rapporto con il multimiliardario statunitense semrerebbe essere un rapporto di amicizia personale, testimoniato anche dalle presenze reciproche in determinate occasioni importanti, ufficiali e/o private.

    Tornando a tutto ciò che potrebbero non essere semplicemente dei “rumors”, come dicono gli inglesi e gli statunitensi, si farà riferimento in seguito a quello che è stato reso pubblico negli Stati Uniti d’America all’inizio di questo mese. Si tratterebbe di un fascicolo di 32 pagine, consegnato alle autorità statunitense dall’organizzazione “Judicial Watch”. Il fascicolo, parte integrante di una denuncia del 26 maggio 2017 contro il Dipartimento di Stato e l’USAID (United States Agency for International Development), è stato redatto riferendosi ai dati avuti in base e nel rispetto dell’Atto sulla Libertà d’Informazione (Freedom of Information Act – FOIA), che prevede il diritto del pubblico di avere accesso ai dati di ogni agenzia federale. Le richieste per avere determinate informazioni, fatte più di un anno fa al Dipartimento di Stato e all’USAID, sono rimaste senza risposta fino al 31 marzo 2017, in violazione dell’obbligo previsto dall’Atto sulla Libertà d’Informazione. Ragion per cui è stata fatta anche la sopracitata denuncia.

    Dai dati acquisiti risulterebbe che alcuni fondi dell’USAID, in totale 9 milioni di dollari, sono stati orientati per finanziare la campagna “Giustizia per Tutti”, organizzata in Albania dalla fondazione “East West Management Institute”, che farebbe capo a George Soros. Nel marzo 2017 un gruppo di sei senatori staunitensi ha mandato una lettera all’allora Segretario di Stato Tillerson chiedendoli di indagare sulle accuse secondo le quali il governo americano stava usando soldi dei contribuenti per sostenere gli interventi di Soros in Albania. Nella lettera, tra l’altro, si specificava che “la Fondazione Società Aperta per l’Albania (che fa capo a George Soros; n.d.a.) e i suoi esperti, con finanziamenti dell’USAID, hanno redatto il discutibile Documento Strategico per la Riforma della Giustizia Albanese”. Sottolineando anche l’opinione diffusa in Albania che la Riforma della Giustizia avrebbe come obiettivo “…di dare al primo ministro e al governo di centro sinistra un pieno controllo sul sistema della giustizia”. Nella sopracitata lettera si suggerisce al Dipartimento di Stato di indagare sui stretti rapporti tra l’attuale ambasciatore statunitense in Albania e il primo ministro albanese. Nella lettera si evidenzia anche il fatto che “l’ambasciatore statunitense in Albania […] nominato dall’amministrazione Obama è stato strettamente legato con Soros e il governo socialista albanese”. Nella lettera si evidenzia, altresì, un altro fatto importante. E cioè che “l’amministrazione Obama ha passato in silenzio almeno 9 milioni di dollari statunitensi […] sostenendo direttamente il supporto di Soros per un governo di sinistra in Albania”. Finanziamento che sarebbe stato fatto tramite l’ambasciata degli Stati Uniti a Tirana e l’USAID. Rimanendo sullo stesso tema, all’inizio di questo mese un noto giornalista della statunitense Fox News, commentando lo scandalo del finanziamento dei 9 milioni di dollari e di “finanziamenti occulti della politica”, ha detto “Qual’è la differenza tra la filantropia e l’attività politica? Non c’è nessuna differenza se il tuo nome è George Soros”.

    A tempo debito e a più riprese, il lettore de “Il Patto Sociale” è stato informato del progetto strategico del primo ministro albanese e dei suoi sostenitori oltreoceano per controllare il sistema della giustizia. Chi scrive queste righe afferma che sono tanti i fatti accaduti che proverebbero questo controllo, diventato ormai, purtroppo, un’allarmante realtà. Afferma anche che sono tante le prove dello “specifico supporto”, da parte della Fondazione Società Aperta per l’Albania, nella riuscita di questo progetto. Una tra tutte, la dichiarazione del direttore esecutivo della Fondazione alla fine del 2016. Lui era “orgoglioso che gli esperti della Fondazione” avessero “contribuito alla realizzazione della Riforma della Giustizia in Albania”. Sono veramente tanti i fatti e le prove che ci vorrebbero molte pagine per elencare e descrivere tutto. Nel frattempo l’autore di queste righe domanda semplicemente: E se tutto fosse vero? Non gli rimane altro, per il momento, che ricordare una nota frase, secondo la quale a pensare male si fa peccato, ma spesso si azzecca!

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