spread

  • La ricreazione è finita

    Tutto cominciò quando Mario Draghi comprese perfettamente che solo attraverso il proprio intervento sul mercato secondario, con l’acquisto dei titoli del debito pubblico italiani invenduti, avrebbe potuto riportare lo spread a livelli accettabili con le conseguenti riduzioni dei costi della gestione del debito pubblico.

    La sua decisione di Presidente della Bce fu aspramente criticata dalla Germania tanto da renderla addirittura  oggetto di un  dibattito presso il Bundestag, ma  alla fine, nonostante il governo Monti, gli effetti di questa politica di finanza straordinaria diventarono duraturi e la nostra credibilità internazionale espressa attraverso lo spread non tornò a livelli accettabili ma semplicemente si avvalse del salvagente finanziario della Bce.

    Da allora, quindi fino al 2020 con l’esplosione della inaspettata pandemia e successivamente della guerra in Ucraina, ed in considerazione della stagnazione economica complessiva che riguardava l’intero continente europeo la stessa  Bce si rese protagonista di una serie di ulteriori interventi di finanza straordinaria fino a renderla “istituzionale” nel 2016 con l’adozione del Quantitative Easing, il quale se da una parte forniva strumenti finanziari alla ripresa economica dall’altra prorogava la sospensione dalla realtà oggettiva di ogni valutazione dei fondamentali economici del nostro Paese.

    La straordinarietà di questa situazione politico-finanziaria risulta bruscamente finita dall’8 giugno 2022 a causa delle avventate dichiarazioni del  nuovo presidente della Bce Christine Lagarde.

    Durante questi lunghissimi  undici anni uno degli effetti collaterali si rivelò sicuramente la discesa dei tassi di interessi ridotti prima allo zero ed addirittura negativi proprio per questa politica monetaria fortemente espansiva.

    Un’occasione, quindi,  più unica che rara in considerazione dei conseguenti minori costi di servizio al debito proprio grazie alla riduzione dei tassi di interesse offrendo la possibilità ai governi di attuare anche solo  una parziale e minima ma comunque politicamente  fondamentale riduzione del  debito utilizzando quelle risorse prima destinate al semplice pagamento degli interessi.

    Nessun governo, invece, da Monti al Conte 1, quindi dal 2011 al 2019, fino alla pandemia, ha mai dimostrato la responsabilità di adottare una politica economica e finanziaria finalizzata a  riportare in equilibrio il nostro debito anche in rapporto con il Pil (*) in considerazione dell’eccezionale situazione favorevole legata all’attività della BCE. Basti pensare come  nel 2011 il debito pubblico risultasse di 1.987 miliardi e alla fine del 2019 la sua cifra monstre segnava i  2400 miliardi.

    L’assoluta sconsideratezza ed irresponsabilità delle forze governative succedutesi alla guida del nostro Paese partiva dalla presunzione che la sospensione della valutazione dei fondamentali economici, quindi  in buona sostanza uno degli aspetti di questa   politica monetaria straordinaria,  potesse durare sine die grazie all’attività della Bce.

    Il nuovo presidente della BCE in carica, il quale avrebbe potuto attendere e ripensare le tempistiche per una dichiarazione di arresto di tale politica monetaria espansiva, non ha neppure considerato il contesto internazionale e neppure tenuto nella debita considerazione  l’esempio della  politica monetaria della Cina, ora  in una fase di rallentamento dell’economia, la quale ha preferito diminuire i tassi di interesse.

    Si è scelto, invece,  di adottare il  modello di politica monetaria  degli Stati Uniti i quali si trovano alle prese con un’esplosione dell’inflazione (8,6%),  espressione di un’economia di piena occupazione ma con un peso sempre maggiore dei mutui immobiliari passati dal 22% sul reddito medio ad oltre il 33% legato alla crescita delle retribuzioni del +6/8% non certo  in grado di sostenere quella degli immobili che segnano un +20%.

    Il presidente della Bce, al di là delle tempistiche,  ha ora  definitivamente suonato la campanella chiudendo dopo undici anni la ricreazione dell’italico ceto politico di irresponsabili, sicuri di non dovere mai un giorno rispondere della propria leggerezza ed irresponsabilità.

    Risulta, poi. decisamente paradossale come questa illusione monetaria fosse cominciata con Mario Draghi Presidente della BCE e finisca ora con lo stesso Draghi ma alla guida del Paese chiamato a fronteggiare le conseguenze delle proprie politiche finanziarie.

    (*) addirittura il ministro dell’economia Padoan ed il suo vice Calenda del Governo Renzi spingevano per l’aumento dell’iva e elemento inflattivo considerato positivo per un aumento della base statistica del Pil e così migliorare il rapporto debito/PIl

  • Il significato ancora incompreso dello spread

    Era il novembre 2011 quando lo spread toccò i 575 punti base e qualcuno ancora oggi crede che vada attribuito alla “competenza” del governo Monti la successiva  riduzione, quando invece fu proprio Draghi, come presidente della BCE, attraverso l’acquisto al mercato secondario di tutti i titoli invenduti del debito pubblico italiano, a permettere la sua riduzione fino a quotazioni accettabili. Una strategia del presidente della BCE che vide la netta opposizione della Germania tanto da richiedere una discussione animata al Bundestag risolta con una approvazione obtorto collo alle politiche monetarie operate dalla Banca europea.

    In pratica questo atto di generosità “europea” altro non fu se non l’anticipazione di quel Quantitative  Easing, poi adottato dal 2016 dalla BCE, a favore di tutti i titoli europei del debito pubblico con l’obiettivo di fornire gli strumenti finanziari all’incremento della crescita economica.

    L’andamento del valore dello spread, quindi, o meglio della differenza dei rendimenti tra i bund tedeschi ed i titoli del debito pubblico italiano, indicava sostanzialmente, allora come oggi, il livello di credibilità attribuibile alla guida politica e governativa del nostro Paese.

    In più questa  valutazione si estende alle conseguenti strategie adottate dall’Italia espresse da quel mondo finanziario al quale il nostro Paese si rivolge per finanziare il proprio debito.

    L’altalenante andamento del valore dello spread è stato spesso  “interpretato”  dalla classe politica italiana  a proprio uso e consumo, talvolta è stato persino indicato anche come uno strumento di pressione nei confronti di un particolare schieramento politico alla guida del Paese.

    Queste imbarazzanti e sostanzialmente povere di contenuti analisi altro non rappresentavano che le espressioni di competenze quantomeno parziali e probabilmente anche di piccoli interessi di bottega politica. Queste sempre legittime interpretazioni oggi  si sciolgono come neve al sole nel periodo storico in cui alla guida del nostro Paese siede  la massima espressione del potere finanziario europeo e mondiale del recente passato: Mario Draghi.

    Come non ricordare le teorie complottiste di esponenti politici, ancora oggi all’interno del governo, i quali vedevano nell’andamento dello spread la volontà di influenzare le scelte del nostro Paese e della sua maggioranza a sostegno del governo. Quando, invece, l’andamento dello spread  rappresentava solo una classica espressione di sfiducia nei confronti di tutti i governi che dal 2011 ad oggi si sono alternati alla guida del nostro Paese i quali, seppure con alcune specificità, hanno sempre e solo aumentato la spesa pubblica contemporaneamente alla pressione fiscale.

    Andrebbe ricordato agli autori di tali tesi come la finanza,  specialmente se speculativa, non esprima alcun sesso o genere né tantomeno un senso di appartenenza ad uno specifico contesto politico ma semplicemente si allea alternativamente basandosi solo ed esclusivamente sul parametro del proprio interesse  immediato e magari speculativo.

    Il  fatto che oggi, poi, questo valore espresso dallo spread (200 punti base) abbia sempre come riferimento il titolo tedesco in un momento nel  la quale la stessa Germania sta vivendo uno dei periodi più difficili degli ultimi decenni,  anche a causa della propria esposizione nell’approvvigionamento energetico, dimostra quanto questo valore, relativamente basso,  debba invece venire  considerato molto negativo  per il nostro Paese. Quindi non così distante da quella sfiducia espressa nel novembre 2011 con i 575 punti base al governo dell’epoca. A maggior ragione se poi, proprio da oltre un anno,  alla guida del nostro Paese si trovi una delle massime espressioni di quel  “potere finanziario” il quale dimostra ancora una volta la propria natura terza non  praticando alcuno sconto, oggi come allora.

    Sembra incredibile come la storia economica, anche recente, del nostro Paese non insegni nulla alla classe politica e dirigente italiana.

  • Novembre 2011/2018

    A differenza del resto del mondo, il picco di crisi del nostro Paese si manifestò nel novembre 2011, quando lo spread andò ampiamente oltre i 550 punti a causa della perdita di credibilità del governo Berlusconi in relazione alle strategie di rientro del debito pubblico, come della sua politica economica di sviluppo. Da allora si sono susseguiti cinque nuovi governi fino all’attuale in carica.

    Al di là delle dichiarazioni pubbliche rilasciate dai vari presidenti del Consiglio e dai relativi ministri dell’economia, che vantavano tutti risultati stupefacenti attraverso le loro scelte di politica economica, risulterebbe opportuno, oltre che istruttivo, rivedere tali strategie e soprattutto i risultati conseguiti.

    Il governo Monti si attribuì il merito di aver riportato lo spread sotto quota cento quando tale ottimo risultato va attribuito interamente all’azione del Presidente della Bce Draghi il quale acquistò al mercato secondario tutti i titoli del nostro debito: di fatto sottraendo lo stesso governo Monti alle valutazioni che avevano fatto esplodere lo spread stesso con il precedente governo Berlusconi. A tal proposito va ricordato come tale azione fosse stata FORTEMENTE  criticata dalla Germania che gli dedicò persino delle giornate di discussione al parlamento tedesco.

    Per il resto il Governo Monti non fece altro che aumentare la pressione fiscale esattamente come tutti i governi precedenti, non introducendo alcuna nuova strategia e tanto meno competenza aggiuntiva. L’aumento tra l’altro dell’imposizione nel settore nautico portò alla perdita di ben 22.000 posti di lavoro. Dimostrando, ancora una volta, come non sia sufficiente aumentare la pressione fiscale per ritrovare un equilibrio economico finanziario senza creare danni permanenti, anche se coniati da un rappresentante della Bocconi.

    Successivamente il governo Letta con il ministro Saccomanni all’economia non riuscì assolutamente ad invertire il trend di calo della crescita economica, anche se il ministro nel febbraio 2015 affermò senza pudore che si diceva convinto di una crescita del Pil di oltre 1%, amaramente smentito poi dalla realtà.

    Fino a questo momento il debito pubblico continuava a crescere ad un ritmo di  circa 2223 euro/secondo.

    Contemporaneamente all’avvento del Governo Renzi, il 22 gennaio 2015  il presidente della BCE avviò la politica finanziaria del Quantitative Easing il quale permise di fatto la sospensione dalla realtà e soprattutto della valutazione dei fondamentali economici del nostro paese come della nostra economia per i governi Renzi e Gentiloni e fino al governo attuale in relazione alla emissione di nuovo debito pubblico. In questo senso va ricordato come le scelte del governo Renzi relative agli 80 euro, come l’introduzione della riforma del Jobs Act, abbiano di fatto raddoppiato la  velocità di crescita del debito portandola a 4463 euro/secondo.

    A queste manovre assolutamente a debito va aggiunta la scellerata iniziativa legislativa definita Investiment Compact la quale, come elemento distintivo, introduceva, per attrarre gli investimenti esteri, la non retroattività fiscale per gli investimenti superiori 500 milioni, escludendo così il 95% delle PMI italiane e  dimostrando contemporaneamente l’assoluta mancanza di conoscenza dell’asset  industriale italiano.

    L’azzeramento poi dei tassi di interesse sulle nuove emissioni di debito pubblico, conseguenza inevitabile  della nuova liquidità messa a disposizione dalla BCE, portarono un risparmio di oltre trenta miliardi sui costi al servizio del debito pubblico e rappresentò un”occasione unica dal dopoguerra ad oggi potendo infatti ridurre per un fattore positivo esterno al bilancio italiano il debito pubblico.

    Una scelta persa la cui responsabilità va attribuita interamente alla scellerata politica economica del governo Renzi e dei ministri Padoan e Calenda.

    Successivamente al referendum costituzionale che aveva di fatto distolto l’attenzione dalle reali problematiche di crescita italiana, il governo Gentiloni introdusse persino la cedolare fissa per le rendite finanziarie al 26% penalizzando, ancora una volta, i piccoli risparmiatori già violentati dagli scandali come dai default  bancari della Popolare di Venezia,  Banca Etruria, Veneto Banca e molte altre.

    Non sazio di simili iniziative che continuavano a penalizzare la gran massa dei risparmiatori come dei cittadini italiani introdusse anche la cedolare fissa fiscale di 100.000 al fine di attirare  milionari che volessero porre la propria residenza fiscale in Italia: di fatto portando l’aliquota del prelievo fiscale da un massimo del 10% per un reddito di 1.000.000 ad 1% per redditi di 10 milioni.

    Anche questa scelta strategica è espressione di una evidente disonestà intellettuale che accomuna il presidente del Consiglio al ministro dell’Economia in quanto tutte le altre nazioni facenti parte dell’Unione Europea elaborarono, e successivamente legiferarono,  delle politiche fiscali “incentivanti e di vantaggio”  finalizzate ad attirare aziende come investimenti produttivi sul proprio territorio al fine di creare Pil  aggiuntivo e nuova occupazione.

    Il governo in carica attuale, viceversa, incapace di comprendere come al 31 dicembre finirà il Quantitative Easing e di conseguenza l’assoluta sospensione della realtà relativa alla valutazione di fondamentali economici italiani, dopo aver negato l’impatto di un Def che portasse ad un aumento del deficit e parallelamente avendo sottostimato l’effetto nefasto sulla fiducia del mercato finanziario con relativa esplosione dello spread, continua a  sperare in un sostegno, quindi in una garanzia della BCE. Il combinato di simili comportamenti e strategie dettate da semplice impreparazione di economia di base provocano  l’esplosione dello Spread ad oltre 300 punti.

    La risultante di tutti questi governi – Monti, Letta, Gentilon,i Renzi e Conte – come il coacervo dei vari ministri dell’Economia, risulta quello di essere riusciti a riportare l’intero Paese esattamente nella medesima situazione economica e con simili, se non uguali, prospettive di crescita del novembre 2011.

    In questo in senso infatti  le ultime rilevazioni statistiche indicano un calo dei consumi del -2,5% unito  ad un calo del – 0,6 dei consumi alimentari (non accadeva dal 2012), con una crescita trimestrale del Pil pari a +0,0% il quale, in prospettiva, non potrà nella rilevazione annuale portare  una crescita del +0,8/1,0%,  con  uno scostamento rispetto alle previsioni del PIL varato dal Def del governo Gentiloni dello 0,6/0,4% .

    Contemporaneamente, tra il settembre 2017/2018, si sono persi 183.000 contratti a tempo indeterminato a favore di 363.000 contratti a tempo determinato dimostrando come, ancora una volta, il  Jobs Act abbia un vizio di partenza individuabile nella sua applicazione, cioè valere solo per i  nuovi posti di lavoro e non permettere invece la riconversione di contratti già in essere.

    Il disastroso combinato di queste rilevazioni statistiche  unite al sentiment delle PMI, che viene indicato al di sotto dei cinquanta punti (livello che generalmente viene associato ad una fase di prossima recessione), dimostra ancora una volta come il risultato delle diverse politiche economiche dei diversi governi che si sono susseguiti dal 2011 al 2018 alla guida del nostro paese lo hanno riportato esattamente al punto di partenza.

    I primi quattro (Monti, Letta, Renzi e Gentiloni), godendo della sospensione dalla realtà nella valutazione delle irresponsabili emissioni di nuovo debito pubblico,  invece di ridurlo, approfittando di un’occasione più unica che rara, cioè l’abbassamento dei tassi d’interesse allegati al quantitative easing (responsabilità imputabile soprattutto ai governi  Renzi e Gentiloni), lo hanno aumentato a dismisura  mentre il governo in carica deve ancora rendersi conto di come la bocciatura della Ue del Def nasca proprio dalla modificazione del contesto internazionale che non prevede, ad oggi, nessun riacquisto dei nostri titoli del debito pubblico.

    L’unica differenza alla quale si è precedentemente accennato tra il novembre 2011 e 2018  è facilmente individuabile nei trecentosessanta (360!) miliardi di nuovo debito interamente attribuibili ai governi che dal 2011 ad oggi si sono succeduti alla guida del Paese per riportarlo nella medesima situazione di quando si era partiti.

    Mai prima in Italia il senso di irresponsabilità come di assoluta impunità ha permesso ad una serie di governi di agire in un modo così nefasto per il nostro Paese.

  • Secondo Sforza Foglia, Presidente della Banca di Piacenza, le vicende dello Spread non interessano le banche ben patrimonializzate

    Si è parlato di educazione finanziaria martedì 30 ottobre a Palazzo Galli ma nel contempo si è reso omaggio a un’eccellenza piacentina (insegna da decenni nelle università statunitensi, da Princeton a Boston, a Chicago, alla Columbia University ed ora nella capitale statunitense, alla George Washington University School of Business), la prof. Annamaria Lusardi, di recente nominata dal Governo italiano direttore del Comitato ministeriale per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria. Per la prima volta in questa veste nella sua terra d’origine (è originaria di Carpaneto, dove vivono anche suoi familiari), la cattedratica si è detta «molto fiera di essere piacentina» e ha ringraziato la Banca di Piacenza per averla invitata nella sua città. Numerosissimi i piacentini (presenti autorità cittadine e rappresentanti delle associazioni di categoria) intervenuti per ascoltare la lezione di una piacentina di fama mondiale (due le sale utilizzate: oltre alla Panini, la Verdi, quest’ultima video collegata), preceduta dal saluto del sindaco Patrizia Barbieri («Un onore averla qui e complimenti per i suoi ruoli. E’ molto importante che ci sia qualcuno che faccia opera di alfabetizzazione su un tema così importante») e dal saluto introduttivo del presidente del Comitato esecutivo della Banca Sforza Fogliani («Noi l’educazione finanziaria – i piacentini lo sanno –  l’abbiamo sempre curata, è parte del dna delle banche popolari. E’ nel nostro interesse che i cittadini conoscano i prodotti che distribuiamo e quelli che distribuiscono altre banche, e quindi ci teniamo a che l’educazione finanziaria – ottobre è il mese dedicato, per la prima volta in Italia, grazie al Comitato che la prof. Lusardi presiede – abbia un grande sviluppo. Giova a tutti, ma soprattutto alla banche sane: quelle che non hanno mai utilizzato prodotti tossici, né fatto derivati, né fatto subprime, né venduto subordinate, né praticato l’anatocismo anche quando non era vietato da una legge apposita»).
    Annamaria Lusardi ha spiegato che con la creazione del Comitato (che coinvolge quattro ministeri: Mef, Miur, Mise e del Lavoro) l’Italia («dove il livello di alfabetizzazione finanziaria è molto basso: solo il 37% della popolazione ha una conoscenza minima; siamo gli ultimi del G7 e tra gli ultimi del G20») si è allineata alla lunga lista di Paesi (circa 70 secondo i dati Ocse) che hanno adottato una strategia nazionale per l’educazione finanziaria, che la cattedratica piacentina ha definito «una visione per il futuro in un mondo che cambia» (maggiore flessibilità sul lavoro, più complessità dei prodotti finanziari, più opportunità per investire e prendere a prestito, cambiamenti nel sistema pensionistico e forte aumento della speranza di vita: in 30 anni in quasi tutti i Paesi è cresciuta di 10 anni e questo cambia tutto nel modo di pensare al nostro futuro). «Ma noi quale futuro vogliamo costruire?», si è domandata la prof. Lusardi, rispondendo con una citazione di Benjamin Franklin: “Un investimento in conoscenza paga il miglior tasso d’interesse”. «L’ignoranza finanziaria invece – ha sottolineato l’accademica piacentina – ha costi molto alti e chi ha vissuto negli Stati Uniti come me ne ha visto le conseguenze quando è scoppiata la crisi economica. L’ignoranza è una fortuna solo quando si va dal dentista». I vantaggi di possedere una conoscenza finanziaria di base?: pianifico meglio il mio futuro e risparmio di più migliorando il mio benessere. La strategia del Comitato – ha esemplificato la prof. Lusardi sostenendo che prevenire è meglio che curare – si rivolge a tutta la popolazione (consumatori e risparmiatori, lavoratori dipendenti e piccoli imprenditori) con iniziative specifiche indirizzate a particolari categorie ritenute vulnerabili: giovani, donne e anziani («molti non sanno di non sapere e sono così più esposti alle truffe»). In questo suo primo anno di vita il Comitato ha organizzato una molteplicità di eventi, ad alcuni solo dei quali la prof. Lusardi ha potuto presenziare come a quello di Piacenza. Non solo: è stato costruito un portale (www.quellocheconta.gov.it) per offrire ai cittadini una fonte informativa semplice e autorevole a cominciare dalla diffusione di questo principio universale: «Più guadagni più rischi» uno dei cinque principi base – ha detto la prof. Lusardi – che il risparmiatore deve conoscere».
    Il presidente Sforza Fogliani, nel ringraziare l’illustre relatrice per l’esemplare lezione tenuta, ha sottolineato che in materia di educazione finanziaria «è bene che gli italiani sappiano che lo Spread non ha nulla a che vedere con l’economia reale e provoca conseguenze solo sui bilanci redatti secondo le regole di Bruxelles e per effetto di una regoletta dettata per le grandi banche ed estesa a tutte solo nel 2016: una regoletta – ha concluso il Presidente – che in ogni caso non cambia niente alle banche ben patrimonializzate come la nostra, dotata di un patrimonio tale che la fa distinta tra pochissime in tutta Italia».
    Al termine il Presidente Nenna ha consegnato alla prof.ssa Lusardi una targa ricordo che riproduce un famoso quadro della collezione d’arte del popolare Istituto di via Mazzini.

     

  • La tempesta perfetta

    La tecnologia permette di proporre ed illustrare le previsioni meteorologiche sempre più articolate e particolareggiate. Questa infatti riesce a indicare il luogo come i tempi e i fattori che potranno scatenarsi su di un territorio ma è anche la risultante degli effetti moltiplicatori degli eventi atmosferici i quali creano la tempesta perfetta.

    Da oltre un anno quindi, con un certo anticipo, si era perfettamente a conoscenza del fatto che la sospensione dalla valutazione dei fondamentali economici italiani legata al Quantitative Easing operato dalla BCE avrebbe avuto come termine temporale il 31 dicembre 2018. Gli ultimi due governi, Renzi – Gentiloni, hanno bellamente ignorato questo scenario prossimo futuro continuando a creare nuovo debito e nuova spesa pubblica a fronte di un rallentamento della crescita del PIL. Di fatto scaricando sul governo che sarebbe uscito dalla elezione del 4 marzo l’onere gestionale di un simile debito pubblico. Allo stesso modo il governo in carica, legittimamente eletto, ha ignorato arrivando addirittura a negarne l’importanza e gli effetti nel breve periodo, i fondamentali economici ereditati  dai governi precedenti ignorando le problematiche economiche o finanziarie e avviando una politica scellerata ed assolutamente irresponsabile, di fatto negando il valore del quantitative easing. Il ministro dell’economia Tria aveva assicurato i mercati finanziari sul fatto che il deficit programmato non avrebbe oltrepassato la soglia del 1,6%. Con la presentazione del Def invece il governo ha portato la soglia del deficit a 2,4% e così, in un battito d’ali, viene azzerata completamente ogni credibilità presso la componente finanziaria del ministro stesso e del governo: credibilità ormai impossibile da recuperare.

    Sempre in questo breve arco di tempo questi nuovi sovranisti al comando di una barca già ampiamente alla deriva a causa dei governi precedenti hanno sempre negato le problematiche relative alla questione legata al possibile allora ed ora reale aumento dello spread come conseguenza della mancata fiducia non tanto o non solo per lo sforamento del deficit precedentemente indicato  ma quanto per la ridicola ed arbitraria individuazione del +1,6% del Pil come tasso di crescita.

    Trovandosi ora in mezzo al mare in tempesta imputano questa impennata dello spread non tanto alla propria incompetenza (che emerge sovrana anche solo confrontandola con il percorso della Spagna con la quale l’Italia ha un differenziale di più 203 punti base di spread) ma alla cosiddetta “mancata garanzia della Bce”. Attribuendo così, con la semplice negazione della propria, la responsabilità ad un organo terzo come la BCE  la “scelta temporale” del quantitative easing, nota anche ai bimbi ma evidentemente non ai grandi economisti ai quali il governo in carica ha demandato ciecamente la propria strategia economica.

    Si sorvola poi sulla contraddizione in termini della politica sovranista che chiede ad un istituto  come la Bce,  espressione della Ue, che si esponga per i propri propositi di fuoriuscita dalla Unione stessa. Una ulteriore conferma del livello culturale infimo di chi pretenda un simile comportamento dal presidente Draghi dopo averlo indicato tra i responsabili del declino del nostro Paese.

    Infine l’ultimo agente atmosferico, anche questo ampiamente preventivato, legato al declassamento delle principali aziende di Rating, non ultima anche una cinese la quale, a differenza di quelle precedenti, offre anche un Outlook negativo. Ovviamente per giustificare tale declassamento si inneggia al complotto dimenticando come queste società (che hanno visto ridimensionata la propria credibilità non avendo nemmeno ipotizzato la crisi del 2008) risultano create con l’obiettivo istituzionale di fornire una ulteriore tutela per gli investimenti. Ovviamente in un mercato finanziario tale tutela si trasforma in un giudizio relativo alle politiche dilapidatore finalizzate all’accrescimento costante e continuo al debito pubblico che vede responsabili tutti i governi degli ultimi vent’anni.

    In ultima analisi gli elementi atmosferico/economici ampiamente previsti e che permettevano di delineare ampiamente e con forte anticipo i tempi, come il perimetro e soprattutto gli effetti, della tempesta perfetta risultano chiari e conosciuti a tutti e soprattutto come avessero avuto l’intenzione  di trovare dei rimedi, o quantomeno delle azioni, che permettessero di alleviare gli effetti devastanti. .

    L’effetto combinato di tutti questi elementi dimostra che l’attuale tempesta economico-finanziaria  che ha investito l’Italia come da previsioni manifesta la mesta conferma ancora una volta l’infimo livello culturale di chi dovrebbe avere il senso dello Stato e un senso di responsabilità soprattutto nei confronti di cittadini italiani.

    Una tempesta risulta perfetta quando si manifesta esattamente nei termini che venivano indicati nelle molteplici  previsioni. Averle con la massima irresponsabilità ignorata e addirittura negata dimostra l’assoluta incompetenza, irresponsabilità ed inconsistenza culturale di chi ora in completa continuità con i governi precedenti sta guidando l’Italia.

  • Il costo dell’ignoranza

    Come abbiamo già precedentemente rilevato le previsioni di crescita del governo Gentiloni si sono miseramente schiantate contro il muro dell’economia reale che porta tale crescita al 1,1% rispetto al 1,4 previsto al governo Gentiloni e da Confindustria.

    Di fronte a questa pericolosa deriva economico-finanziaria il governo attuale invece è completamente strabico occupandosi di TAV, TAP, no-vax invece di pensare al castello economico finanziario che sta crollando.

    Il buy back rappresenta, in ambito finanziario, per un’azienda privata quotata un’azione finalizzata o a sostenere la caduta del valore del proprio titolo oppure in un’azienda particolarmente sana il modo di investire il proprio cash flow in modo da strutturarla finanziariamente. Quindi il buy-back rappresenta una scelta finalizzata al mantenimento o all’esaltazione del valore azionario e quindi patrimoniale dell’azienda stessa.

    Quando però si entra nel mondo finanziario dei titoli del debito sovrano i valori e soprattutto gli obiettivi possono risultare addirittura invertiti. Risulta infatti passata praticamente inosservata una nota del Financial Times il quale ha sottolineato come ancora oggi sia stata riacquistata dal Ministero del Tesoro una quota di titoli del debito pubblico pari a un miliardo. Peraltro un’operazione già avvenuta nel recente passato. In altre parole, l’organo emittente, cioè il Ministero del Tesoro, non avendo riscontrato nessun interesse neppure con tassi in rialzo da parte del mercato finanziario,  stesso si è visto costretto a riacquistare quello che lui stesso aveva emesso. Ci si trova di conseguenza nella medesima situazione degli anni ‘80 nella quale, in preda ad un’inflazione del 20% lo Stato italiano emetteva titoli di Stato non per rinnovare i titoli del debito pubblico in scadenza ma semplicemente per pagare gli interessi sul debito tanto l’inflazione bruciava ricchezza nel giro di un unico anno.

    Ora la situazione risulta ancora più grave perché il mercato, che come sempre cerca  operazioni che assicurino marginalità, non trova conveniente investire risorse finanziarie in un titolo che pur avendo rendimenti superiori presenta un “rischio stato” molto più elevato rispetto anche a quello della Grecia.

    Quindi, mentre negli anni ‘80 l’inflazione stessa giustificava l’emissione di titoli per pagare gli interessi ora il nostro paese si trova nella situazione nella quale i titoli vengono riacquistati dall’organo emittente, cioè il Ministero del Tesoro, perché non riscontrano nessun interesse da parte degli operatori finanziari in quanto non considerati sicuri (e stiamo parlando di debito sovrano quindi di un debito statale).

    In questo contesto di assoluta sfiducia nei confronti della politica economica dell’attuale governo questo dovrebbe rappresentare l’argomento base in prospettiva della definizione del Def che prevede già 25  miliardi come minimo (ricordo quando fossi inascoltato già a febbraio quando parlavo di 30 miliardi necessari) per neutralizzare l’aumento dell’IVA…, sopportare l’aumento dei tassi di interessi del  servizio al debito pubblico…, reperire le risorse finanziarie per le spese inserite nella bilancia del 2018 ora scoperte con l’abbassamento dello 0, 3% del PIL ( da 1,4 a 1,1%).

    Invece l’assoluta inconsistenza economica finanziaria di buona parte dei rappresentanti del governo in carica pone le basi per una esplosione del debito stesso, come dello Spread, e per la riproposizione delle medesime condizioni economico-finanziarie del novembre 2011.

    Questi sono solo una parte dei costi dell’ignoranza che regna sovrana in questo governo che ormai ha dimostrato la propria inconsistenza culturale in tutti i propri campi ma soprattutto in quello economico-finanziario.

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