Spreco

  • Va sprecato cibo sufficiente a 1,26 miliardi di persone

    Secondo le stime della Fao, il cibo perso e sprecato potrebbe sfamare ogni anno 1,26 miliardi di persone. A fronte di un numero di persone che patiscono effettivamente la fame oscillante tra i 690 e i 785 milioni, oggi circa un terzo del cibo prodotto a livello globale viene sprecato, per un quantitativo complessivo di 1,6 miliardi di tonnellate (su un totale di oltre 5 disponibili).

    Il fenomeno, come evidenziato dal un recente rapporto della Fondazione Aletheia,  coinvolge tutta la filiera: dalle fasi a monte, dove la perdita complessiva è di 680 milioni di tonnellate, alle fasi successive dove viene disperso circa 1 miliardo di tonnellate di cibo. Di questo, il 61% è sprecato dalle famiglie, il 26% dai servizi di somministrazione e il 13% dalla rete di distribuzione e vendita.

    La Fao distingue tra “spreco” e “perdite” indicando col primo termine il cibo adatto al consumo umano ma scartato o lasciato deteriorare e col secondo le perdite causate da inefficienze nelle fasi produttive. Sulla base di questa tassonomia, risulta che in Europa vengono generati ogni anno quasi 59 milioni di tonnellate di sprechi alimentari, pari a 131 chili per abitante. Più della metà di questi è riconducibile al consumo domestico, con 70 chili pro-capite. Rilevante è anche l’impatto economico con una perdita media che si attesta su 333 euro pro-capite, per un valore complessivo di 149 miliardi di euro.

    L’Italia si colloca al terzo posto tra i principali paesi europei per spreco alimentare in volume, preceduta solo da Germania e Francia.

  • Italia Paese benedetto da Giove Pluvio, ma incapace di sfruttare l’acqua piovana

    L’Italia è tra i Paesi più piovosi d’Europa, abbiamo il primato continentale del consumo di acqua (220 litri al giorno per abitante contro la media Ue di 165), ma anche quello degli sprechi. Il basso prezzo dell’acqua non stimola investimenti e dopo essere stati i più antichi e capaci costruttori di acquedotti al mondo oggi abbiamo il record di condutture colabrodo, secondo quanto emerge dalle analisi Istat.

    L’acqua è fondamentale per 1,5 milioni di imprese agricole, 330mila aziende manifatturiere idrovore e oltre 9mila imprese del settore energetico. Una filiera per la quale l’emergenza idrica mette a rischio 320 miliardi di euro ma recuperiamo solo l’11% delle acque meteoriche che cadono nel nostro Paese e solo il 4% delle acque reflue è destinato al riutilizzo diretto, a fronte di un potenziale del 23% (per questo l’Italia paga a Bruxelles multe per oltre 180mila euro al giorno). E potrebbero essere riutilizzati maggiormente anche i fanghi di depurazione, che, attualmente, per il 53,4% sono destinati allo smaltimento.

    Da più di 20 anni, l’Italia si conferma al primo posto in Europa per la quantità di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei per impieghi domestici, pubblici, commerciali, artigianali, industriali e agricoli: 9,2 miliardi di metri cubi all’anno, 25,1 milioni al giorno, pari a 422 litri per abitante. L’85% del prelievo deriva da acque sotterranee (48,9% da pozzo e 35,8% da sorgente), il 16,1% da acque superficiali (9,6% da bacini artificiali) e il restante 0,1% da acque marine o salmastre. Il 26,4% del prelievo annuale avviene tra luglio e settembre. Gli invasi (531 grandi dighe e 26.000 piccole) vengono riempiti per molto meno della loro capienza sia per mancanza di manutenzione dei fondali sia per una incredibile serie di blocchi burocratici.

    Nelle reti comunali di distribuzione vengono immessi annualmente oltre 8 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile (373 litri al giorno per abitante), volumi che variano molto da Regione a Regione: si va dai 274 litri giornalieri per abitante in Puglia ai 576 della Valle d’Aosta. Comunque, complessivamente, il volume erogato per usi autorizzati (4,7 miliardi di metri cubi all’anno, 253 litri al giorno per abitante) è il 51% di quello prelevato, a causa delle dispersioni di distribuzione. La spesa media di una famiglia per l’acqua potabile è di 177 euro all’anno, per un totale che nel 2022 è stato di 4,5 miliardi. Il 39,6% della spesa è imputabile al servizio di acquedotto, il 29,6% a quello di depurazione e il 12,8% per la fognatura. L’iva pesa per il 9%. La tariffa idrica italiana è di 2,1 euro a metro cubo, la metà di quella francese e il 40% di quella tedesca. A febbraio, però, i prezzi al consumo per la fornitura di acqua sono saliti del 4,2% e altri rincari sono già previsti.

    Nel 2020, il volume delle perdite idriche nella fase di distribuzione è risultato di 3,4 miliardi di metri cubi, pari a 157 litri al giorno per abitante e al 42,2% dell’acqua immessa in rete (il costo di queste perdite è stimato in quasi 3 miliardi di euro l’anno). Fra l’altro, l’acqua così dispersa soddisferebbe le esigenze idriche di oltre 43 milioni di persone per un anno intero. Anche in questo caso, però, il livello di dispersione varia regionalmente e il minimo (23,9%) si registra in Valle d’Aosta. Il 60% della rete idrica italiana ha più di 30 anni, il 25% più di mezzo secolo. Per le perdite in fase di distribuzione siamo al quart’ultimo posto tra i Paesi Ue e per quelle lineari all’ultimo. A causa degli investimenti limitati, il tasso di sostituzione delle reti idriche è di 3,8 metri per chilometro all’anno e a questo ritmo sarebbero necessari 250 anni per la loro manutenzione completa.

  • Chi mangia sano butta meno cibo

    Mangiare sano e bene, prima regola. Poi, fissare un menu dei 7 giorni, cuocere tutto una volta a settimana, fare la spesa con una lista per evitare di comprare cose inutili o doppioni, leggere attentamente le istruzioni riportate in etichetta, e se si mangia al ristorante chiedere senza esitazione la family bag, come ricorda il vademecum di federalimentare. Sono solo alcuni degli accorgimenti lanciati da organizzazioni e istituzioni con linee-guida, vademecum, appelli, indagini in vista della X Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare del 5 febbraio.

    Secondo una ricerca del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura), condotta su un campione di 2869 adulti, chi segue le linee-guida per una sana alimentazione butta via meno cibo e aiuta il pianeta, oltre a mangiare meglio. C’è da dire, però, che i consumatori sono diventati più oculati. Nelle case degli italiani lo spreco alimentare è sceso del 12% rispetto ad un anno fa, anche come risposta alla corsa dell’inflazione, per un valore complessivamente di 6,48 miliardi di euro. Una cifra, secondo il report ‘Il caso Italia’ 2023 di Waste Watcher International Observatory on Food and Sustainability, che arriva a 9,3 miliardi considerando le perdite lungo la filiera, dal campo alla catena dell’industria alla distribuzione. E sulla base dei nuovi dati che si riferiscono al mese di gennaio 2023, gli italiani gettano in media 524,1 grammi pro capite a settimana di cibo contro i 595,3 grammi della scorsa indagine, o circa 75 grammi di cibo al giorno e 27,253 kg annui. Mentre secondo l’Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market / Campagna Spreco Zero, nel report ‘Il caso Italia’ 2023, l’86% degli italiani si impegna a consumare tutto quello che cucina e a mangiare anche gli avanzi.

    Anche gli chef fanno la loro parte. La Federcuochi ha lanciato l’appello “Chef Spreco Zero”, rinnovando l’appello a tutti i suoi chef verso lo ‘spreco zero’, attraverso un utilizzo consapevole delle risorse alimentari, incentivando ricette basate sul recupero del cibo avanzato, sull’ottimizzazione degli ingredienti e su una gestione più razionale degli acquisti. La lotta allo spreco alimentare è anche un obiettivo del Governo “per favorire la distribuzione degli eccessi a chi ne ha bisogno”, ha detto il Ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida. “Sono necessarie un’attenta analisi scientifica alla base, una corretta informazione e una formazione ad hoc che parta dalle scuole”. E infine, fa sapere il fondatore Spreco Zero, l’agroeconomista Andrea Segrè, “non è lontano l’obiettivo Onu di dimezzare lo spreco alimentare entro il 2030”.

  • L’acqua non macina più consenso

    La democrazia rappresenta la migliore forma istituzionale garante delle libertà e vicina alle aspettative dei propri cittadini. Sicuramente nella sua forma diretta, come quella adottata in Svizzera, pur comportando un impegno elettivo quasi settimanale al quale vengono chiamati gli elettori per esprimersi sui quesiti posti, rappresenta la sua migliore declinazione in quanto priva di alcuna delega e quindi interposizione.

    Nel nostro Paese si è optato per una democrazia rappresentativa e quindi delegata ai rappresentanti candidati dai partiti al parlamento che operano in ragione di mandato elettorale finalizzato a generare lo sviluppo economico, politico e sociale per il nostro Paese.

    Entrambe queste due forme di democrazia rispetto ad una tecnocrazia o, peggio, ad una dittatura hanno bisogno di una legittimità istituzionale espressa attraverso il consenso elettorale ai più diversi livelli istituzionali.

    La moltiplicazione degli appuntamenti elettorali, tuttavia, tende a bloccare questo virtuoso meccanismo in quanto impedisce alla stessa classe politica di investire in programmi ed investimenti infrastrutturali i cui risultati si rendessero palesi solo nel medio e lungo termine.

    Il risultato anche positivo di una lungimiranza politica diventa quindi capitalizzabile solo ben oltre il prossimo appuntamento elettorale. In questo modo ogni forza politica si adopera con un orizzonte dell’immediatezza per ottenere il massimo consenso già dall’imminente appuntamento elettorale, in quanto anche un riconoscimento “postumo” della propria corretta visione strategica nel medio lungo termine potrebbe portare comunque alla scomparsa della stessa forza politica.

    Quindi, in termini politici, ma soprattutto elettorali ecco perché ad ogni alluvione si assiste alla solita commedia relativa alla necessità di investire in bacini di deflusso necessari a contenere le esondazioni. Viceversa, ad ogni siccità gli stessi attori replicano il medesimo copione dei bacini idrici dell’acqua per ovviare alla carenza del bene prezioso: l’oro blu appunto.

    Fino all’ennesimo verificarsi di questi due eventi catastrofici, nessuna forza politica, ma anche istituzionale, sembra preoccuparsi di come la rete elettrica italiana perda il 40% dell’acqua all’interno degli acquedotti italiani.

    Una situazione insostenibile specialmente in un periodo di scarse precipitazioni che dovrebbe spingere tutte le forze politiche di ogni livello istituzionale ad adottare un articolato intervento strategico ed un piano di investimento finalizzato alla riduzione se non addirittura ad un annullamento di queste dispersioni di un bene sempre più prezioso come l’acqua.

    Tuttavia le incombenze elettorali spingono tutti i partiti da una parte a prediligere scelte di breve respiro ma in grado di ottenere un riscontro elettorale immediato in quanto l’obiettivo principale rimane quello di essere rieletti e successivamente rimanere in carica fino alle prossime elezioni immediatamente successive.

    Di conseguenza in questo contesto ogni piano di investimento a medio e lungo termine viene relegato in una posizione marginale a favore di un piano di marketing elettorale che consenta dei riscontri immediati in termini di consenso.

    Così non è difficile immaginare come gli investimenti necessari tesi a riammodernare la rete idrica italiana non trovino alcuna priorità all’interno della strategia di una classe politica la quale ha come propria principale priorità quella della propria rielezione.

    Solo attraverso una sostanziale riforma del sistema elettorale e soprattutto una sua precisa scadenza che sappia racchiudere in poche date i principali gli appuntamenti si potrebbe individuare l’unica soluzione per dare a questo Paese una classe politica in grado di adottare programmi e progetti di ampio respiro come quello dell’ormai improcrastinabile ammodernamento della rete idrica.

    Non pressati dai molteplici appuntamenti elettorali potrebbero concentrarsi sul raggiungimento del bene comune e la corretta gestione di uno dei massimi patrimoni.

  • La Commissione fornisce consulenza sul riutilizzo sicuro dell’acqua in agricoltura

    La Commissione ha pubblicato orientamenti volti ad aiutare le autorità nazionali e le imprese competenti ad applicare le norme dell’UE sul riutilizzo sicuro delle acque reflue urbane trattate per l’irrigazione agricola. In un’Europa che soffre sempre più di siccità, l’acqua riutilizzata acquisisce sempre maggiore importanza quale fonte idrica sicura e prevedibile e quale mezzo per ridurre la pressione sui corpi idrici e aiutare l’UE ad adattarsi ai cambiamenti climatici. Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli oceani e la pesca, ha dichiarato: “Le risorse di acqua dolce sono scarse e sottoposte a una crescente pressione. In tempi di picchi di temperatura senza precedenti, dobbiamo smettere di sprecare acqua e dobbiamo utilizzare questa risorsa in modo più efficiente per adattarci ai cambiamenti climatici e garantire la sicurezza e la sostenibilità del nostro approvvigionamento agricolo. Gli orientamenti odierni possono aiutarci a farlo e aiutarci a garantire la circolazione sicura, in tutta l’UE, dei prodotti alimentari coltivati con acque depurate”. Il regolamento sul riutilizzo dell’acqua, applicabile dal giugno 2023, stabilisce prescrizioni minime in materia di qualità, gestione dei rischi e monitoraggio delle acque affinché il riutilizzo dell’acqua sia sicuro. Il riutilizzo dell’acqua contribuisce a limitare la pressione sulle acque superficiali e sotterranee e a promuovere una gestione idrica più efficiente, in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo. Analogamente, anche la recente proposta della Commissione di rivedere la direttiva sulle emissioni industriali promuove un consumo idrico più efficiente in tutti i processi industriali, tra l’altro attraverso il riutilizzo dell’acqua. L’imminente proposta della Commissione di rivedere la direttiva sul trattamento delle acque reflue urbane mirerà anch’essa a facilitare il riutilizzo dell’acqua.

    Fonte: Commissione europea

  • Lo spreco alimentare vale 15 miliardi, l’80% è nelle case

    La quantità di cibo che si spreca ogni anno nelle case degli italiani (si tratti di 36,54 chilogrammi a testa) ammonta a oltre 2.200.000 tonnellate e a un valore di quasi 12 miliardi di euro (che sommati ai 3 miliardi 293 milioni di spreco della filiera portano ad oltre 15 miliardi di euro in totale). Lo rende noto la “campagna Spreco Zero” che promuove la settima giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, il 5 febbraio, quest’anno nel segno della prevenzione degli sprechi per la salute dell’ambiente e dell’uomo. La Giornata ha il patrocinio dei ministeri dell’Ambiente e della Salute.

    Lo spreco domestico – secondo l’analisi compiuta per il 2018 da “Diari di Famiglia progetto Reduce” – vale fra il 75 e l’80% della filiera complessiva, che comprende lo spreco nei campi (7,8%), nell’industria (6,5%), nella distribuzione (7,4%) per un totale di 15 miliardi che equivale allo 0,86% del Pil del 2018.

    “L’impegno per lo sviluppo sostenibile e la prevenzione degli sprechi – spiega il fondatore Spreco Zero-Last Minute Market Andrea Segrè – passa attraverso il monitoraggio dei comportamenti e quindi attraverso i dati. Sei anni fa (2014) un italiano su due dichiarava di gettare cibo quasi ogni giorno, nel 2019 solo l’1% degli intervistati ha dichiarato di cestinare il cibo quotidianamente. Lo spreco del cibo resta in testa alla nefasta ‘hit’ degli sprechi per il 74% degli italiani. Seguono lo spreco idrico (52%), nella mobilità (25%), di energia elettrica (24%) e in generale legati ai propri soldi (16%)”.

    “Stop food waste, feed the planet” (ovvero stop allo spreco del cibo, nutri il pianeta) è il tema su cui è imperniato il confronto, il 5 febbraio nella sede della fondazione Enpam, tra il ministro dell’Ambiente Sergio Costa, il viceministro alla Salute Pierpaolo Sileri e molte istituzioni internazionali, dalla Fao al World Food Programme.

  • Etichette poco chiare fanno sprecare alimenti per quasi 9 milioni di tonnellate l’anno nella Ue

    Fino al 10% degli 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari (8,9 milioni) prodotti ogni anno nell’Ue sono legati alle indicazioni della data di scadenza, secondo quanto stima uno studio finanziato dalla Commissione europea. Secondo il rapporto, degli 88 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari, quasi 50 milioni sono evitabili, dovuti cioè a sprechi e perdite dalla fase di produzione fino alle case dei consumatori. Frutta e verdura rappresentano il 33% del totale (16,2 milioni di tonnellate) dei rifiuti alimentari evitabili nell’Ue a 28. Seguono prodotti da forno (21%, 10,5 milioni di tonnellate), pesce e carni (10%, 4,8 milioni di tonnellate) e prodotti lattiero-caseari (10%, 4,7 milioni di tonnellate).

    L’indagine ha riscontrato una scarsa leggibilità della data di scadenza nell’11% dei prodotti campionati. Segnala inoltre che la confusione tra l’indicazione in etichetta del termine minimo di conservazione (‘da consumarsi preferibilmente entro’) e la data di scadenza vera e propria (‘da consumarsi entro’), non semplifica la vita ai consumatori. La frammentazione nelle politiche anti-spreco degli Stati, con Paesi come la Polonia che sconsigliano la donazione di cibo che ha superato il termine minimo di conservazione e altri, come l’Italia, che la incoraggiano, influenza le scelte degli operatori della filiera ed è un freno ad un’azione Ue coordinata sul tema. Intervenire sulla data di scadenza in etichetta per ridurre gli sprechi, conclude lo studio, avrebbe comunque senso solo per alcuni prodotti, come latte e yogurt, succhi di frutta freschi, carne refrigerata e pesce.

Pulsante per tornare all'inizio