stragi

  • E’ tempo di alzare il velo sulle omissioni

    Trent’anni sono passati dalla strage di Capaci, trent’anni nei quali abbiamo ricordato Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino e i tanti uccisi, le tante vittime di quella che non è solo mafia. Trent’anni in un crescendo di coscienze liberate, di giovani impegnati a dire per sempre no ai ricatti ed alle violenze, anche se ancora troppi si rifugiano nel proprio privato e non comprendono quanto spetti a ciascuno di noi la difesa della vita e della libertà altrui.

    Trent’anni ma i misteri restano e troppi documenti spariti, o volutamente sottaciuti, continuano a lasciare aperto nella nostra democrazia il più importante vulnus, quello che ci fa in molte occasioni pensare che dietro alla mafia, con la mafia, si muovano ben più importanti ed inquietanti poteri.

    Oltre alle numerose manifestazioni, alle vibranti parole di commemorazione, ai ricordi che dobbiamo tenere sempre vivi perché ci siano d’esempio ora è il momento di alzare finalmente il velo sulle omissioni, i depistaggi, gli errori di quegli anni, cominciando dall’uccisione del Generale dalla Chiesa. Solo così sarà fatta giustizia alla memoria di coloro che hanno sacrificato la loro vita per l’Italia, per noi.

  • Un missionario britannico ucciso nell’Amazonia peruviana

    Il 2 aprile, a Iquitos, nel Perù nord orientale, a poche decine di chilometri dal confine con il Brasile, è stato rinvenuto il cadavere carbonizzato di un missionario britannico, Paul McAuley, della congregazione dei Fratelli delle scuole cristiane, ordine dei Lassalliani. Aveva 71 anni. Dal 1995 operava in Perù, prima in uno dei quartieri periferici di Lima dove aveva fondato il Colegio Fey Alegria, poi, dal 2000, a Iquito, una vasta area metropolitana sul Rio delle Amazzoni nel cuore della Amazzonia peruviana, abitata da quasi mezzo milione di abitanti. Ha dedicato la vita all’istruzione dei giovani indios. Dirigeva l’Instituto Superior Pedagógico Público Loreto. Inoltre aveva fondato Red Ambiental Loretana, un organismo impegnato nella lotta contro la deforestazione e lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio e gas naturale nel sottosuolo della foresta, diventando un punto di riferimento per la difesa dell’ambiente. Il suo cadavere è stato rinvenuto da alcuni giovani indios nella Comunidad Estudiantil Intercultural dove abitava. La Conferenza episcopale peruviana ha inviato alle autorità la richiesta di indagare. La sua morte potrebbe essere legata al suo impegno in difesa dell’ambiente. Ma potrebbe essere invece stato ucciso da criminali comuni oppure da uno dei ragazzi indios a cui tentava di dare un futuro. “Fratel Paul – hanno scritto i Fratelli delle Scuole Cristiane dal Perù – ha donato la sua vita per i poveri dell’Amazzonia. Il suo impegno per custodire la “Casa Comune” è stato il suo mandato evangelico”.

    Da ‘La Nuova Bussola Quotidiana’ del 4 aprile 2019, articolo di Anna Bono

  • Jihadisti a piede libero in Francia

    Djamel Beghal, 52 anni, è a fine pena e il 5 agosto lascerà il carcere di Vezin, a Rennes, Francia. E’ stato uno dei maggiori reclutatori di Al Qaeda in Europa. E, soprattutto, è l’ispiratore dei fratelli Kouachi, gli stragisti del settimanale satirico Charlie Hebdo nel gennaio del 2015. Difficilmente resterà a Parigi dopo la liberazione. Sua moglie e i loro quattro figli vivono in una bella casa a Laicester. E’ là che Beghal, in clandestinità, ha tramato tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, viaggiando spesso verso l’Afganistan per incontrare l’allora capo di Al Qaeda, Osama Bin Laden. E’ stato uno dei principali reclutatori di Al Qaeda in Europa. Aveva progettato anche, ma senza successo, di far saltare in aria l’ambasciata americana di Parigi. Per aver organizzato un tentativo di fuga dal carcere di un leader del gruppo islamico armato algerino, nel dicembre del 2013, è stato condannato a dieci anni. Durante la sua permanenza al carcere di alta sicurezza a Parigi, Fleury-Megori, ha insegnato i trucchi del mestiere di terrorista a Cherif Kouachi che insieme a suo fratello è stato tra i kamikaze dell’attentato alla redazione di Charlie Hebdo. Il governo britannico ha vietato a Beghal, che ha un passaporto algerino, di entrare nel Paese. Ma i suoi avvocati hanno già ottenuto dalla Corte europea dei diritti umani di non farlo rientrare in Algeria, “perché la sua vita sarebbe in grave pericolo”. E quelle degli altri  che lui metterebbe in pericolo da dove si trova, le considera la Corte? Brutta storia quella dei diritti umani per i terroristi! D’altronde, Beghal è tra i 450 prigionieri estremisti che lasceranno le carceri francesi entro la fine del 2019. Tra loro ci sono ben 50 terroristi islamici acclarati. Il ministro della Giustizia francese ha dichiarato che si dovrà fronteggiare una grave emergenza, anche in virtù del fatto che presto tutti i criminali che durante la loro pena si saranno radicalizzati, acquisteranno la libertà. Il Procuratore francese dell’antiterrorismo considera che il rientro in società di queste persone rappresenta un rischio enorme, poiché fino ad ora nessuno di loro ha dimostrato di essersi pentito. E’ una minaccia interna rappresentata da terroristi pericolosi e potenzialmente recidivi, che sono a piede libero, una minaccia che s’aggiunge a quella dell’accoglienza, nel solo 2017, di 100 mila immigrati dall’Africa sub-sahariana e dal Nord Africa. Il ministro della Giustizia ha promesso un’azione efficace, ma molti ne dubitano e ricordano che il 19enne jihadista che nel 2016 ha tagliato la gola a padre Jacques Hamel a Saint Etienne-du- Rouvray, era sotto sorveglianza ed era monitorato con un braccialetto elettronico alla caviglia. Ciò non gli ha impedito di compiere il delitto che aveva programmato. In che cosa consisterebbe l’azione efficace promessa dal ministro? Concedere permessi carcerari per il reinserimento sociale, come è stato fatto con l’assassino di padre Harmel? Quali sono i criteri per concedere questo reinserimento? Sembra una bomba ad orologeria la politica francese per il reinserimento. Secondo i dati governativi circa 1.700 musulmani francesi di sono uniti all’Isis in Iraq e in Siria dal 2014. Almeno 278 sono morti e 302 sono tornati in Francia, tra cui 66 donne e 58 minori. Degli altri le tracce sono confuse. Ciò che comunque preoccupa seriamente i responsabili francesi è la miscela esplosiva che verrebbe a crearsi tra i musulmani radicalizzati in carcere e presto a piede libero, i jihadisti di ritorno in Francia dalla Siria e dall’Iraq e le bande musulmane che tengono in ostaggio interi quartieri. Sono le “zone vietate” controllate dai salafiti, il cui accesso è vietato soprattutto alle donne bianche. E’ là che verranno concentrate le armi, i Kalashnikov, procurati dagli spacciatori di droga, che finiranno nella mani degli islamici che intendono controllare meglio un territorio che sentono di loro proprietà. Le fonti del 2012 raccontano di circa sette milioni di armi illegali in circolazione. Il censimento delle zone controllate esclusivamente dai musulmani risulta ormai impossibile, ma quel che è certo è che in Francia risiedono oltre cinque milioni di musulmani. Di questi, il 10% circa è legato al mando salafita. Se il 10% in questione, dunque mezzo milione di persone, entrasse in contatto e finisse con l’allearsi con i jihadisti di nuovo liberi in Francia, nessuno sarà più in grado di combattere un pericolo del genere.

    Lo afferma un servizio giornalistico de “La nuova Bussola quotidiana” del 13 luglio scorso, dalla quale ricaviamo la notizia.

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