telecomunicazioni

  • Cimici dagli occhi a mandorla sulle gru dei porti yankee

    Il Congresso Usa ha avviato una indagine sulle gru di fabbricazione cinese presenti in diversi porti statunitensi, riscontrando la presenza di componenti e attrezzature per le telecomunicazioni che non sono legate alla normale operatività delle strutture. Fonti anonime hanno riferito al “Wall Street Journal” che a bordo di alcune gru sarebbero stati anche installati modem per telefoni cellulari che potrebbero essere accessibili da remoto. La scoperta ha rinnovato le preoccupazioni dei parlamentari in merito alla necessità di garantire la sicurezza informatica delle infrastrutture portuali, alla luce dei rischi di sabotaggio e spionaggio industriale derivanti dalla presenza di un enorme numero di gru prodotte dalla società cinese Zpmc. Ad oggi, queste rappresentano circa l’80 per cento delle gru impiegate nei porti statunitensi. Il presidente della commissione per la Sicurezza interna della Camera dei rappresentanti, il repubblicano Mark Green, ha affermato che il governo di Pechino sta “sfruttando ogni opportunità per raccogliere informazioni di intelligence e sfruttare le vulnerabilità delle nostre infrastrutture, anche nel settore marittimo: il Paese ha ignorato questa minaccia per troppo tempo”.

    Secondo le fonti, durante le indagini sono stati rinvenuti più di 12 modem in diverse gru, e almeno uno sarebbe stato trovato all’interno della sala server di un porto statunitense. La presenza di componenti per le telecomunicazioni a bordo delle gru è spesso giustificata dalla necessità di monitorare le operazioni da remoto, ma in più di un caso la presenza di queste attrezzature non sarebbe stata richiesta dalla società produttrice. Il mese scorso, la Casa Bianca ha annunciato investimenti per oltre 20 miliardi di dollari sulla sicurezza dei porti nazionali, anche con l’obiettivo di dismettere le gru cinesi. Le spese saranno coperte dal pacchetto infrastrutturale da mille miliardi di dollari approvato nel 2021 dal Congresso Usa. A produrre le nuove gru portuali sarà una controllata statunitense della compagnia giapponese Mitsui.

    La decisione delle autorità federale segue un’inchiesta pubblicata lo scorso anno proprio dal “Wall Street Journal”, che ha riferito dei timori dei dirigenti statunitensi in merito ai rischi di spionaggio e sabotaggio legati alla presenza nei porti Usa (alcuni utilizzati anche dalle forze armate) di un enorme numero di gru giganti fabbricate da colossi statali cinesi. La preoccupazione di Washington è che i software impiegati dalle gru possano essere manipolati dalla Cina, in particolare nel caso di un conflitto nello Stretto di Taiwan o altrove. Le gru impiegate nei porti statunitensi, per l’80 per cento prodotte dalla cinese Zpmc, dispongono inoltre di sensori sofisticati che possono registrare e tracciare l’origine e la destinazione dei container in transito, consentendo così potenzialmente a Pechino di assumere informazioni sulla ricezione o sulla spedizione di materiale (anche militare) da parte degli Usa.

  • Swisscom e Deutsche Telekom: i modelli liberali contemporanei

    A poche giorni dalla manifestazione di interesse del fondo statunitense Kkr per il 100% di Tìm si cominciano a vedere le reazioni della nostra classe politica, sindacale ed intellettuale.

    Negli anni ‘90 Telecom fu considerata una delle migliori aziende di telecomunicazione ma il governo d’Alema con il ministro Letta (attuale segretario del Pd) diedero parere favorevole alla Opa di Colaninno e Gnutti completamente a debito. Da allora la società è stata spogliata prima del vantaggio tecnologico e successivamente, con un nuovo management nella gestione Tronchetti Provera, privata anche del patrimonio immobiliare.

    Un fondo statunitense con uffici a Londra si propone adesso per una acquisizione totale della azienda nella quale Vivendi (azionista francese) detiene la maggioranza ma comunque lo Stato italiano mantiene una presenza con Cassa depositi e Prestiti (CdP) a poco meno del 10%.

    Per valutare le implicazioni di questa operazione e le strategie di ispirazione che hanno portato il principale operatore di telefonia italiano alle soglie di questa Opa potrebbe essere utile proporre un esame comparativo con la prima economia manifatturiera in Europa ed il nostro principale concorrente, la Germania, ma anche con la vicina Svizzera come unica espressione di democrazia diretta e reale economia liberale.

    Nella prima economia europea le infrastrutture tedesche fisiche (autostrade) e tecnologiche (Deutsche Telekom) rimangono all’interno della gestione pubblica, ovviamente con delle necessarie ed evidenti specificità. Nel settore delle telecomunicazioni le forti tensioni concorrenziali sulle tariffe come i notevoli investimenti tecnologici per il continuo aggiornamento richiedono delle risorse e delle competenze alle quali lo Stato tedesco attinge anche con l’apporto di altri soci privati. Rimane, tuttavia, il controllo della maggioranza relativa in mano allo Stato tedesco quanto il potere di indirizzo dell’ex monopolista tedesco.

    Nella vicina Svizzera Swisscom rappresenta la principale società di telecomunicazione ed il 51% è posseduto dalla Confederazione Elvetica (CH). Delle gestione delle autostrade, poi, si è già abbondantemente parlato in passato ma va ricordato  come il controllo “statale”  di queste infrastrutture risponda allo logica di una visione avveduta dei diversi governi germanico e svizzero i quali li hanno preservati e mantenuti in quanto consapevoli della loro  importanza come fattori competitivi per le imprese tedesche nella competizione globale, quindi rendendoli di fatto non disponibili a operazioni finalizzate al trasferimento di monopoli ad interessi privati speculativi.

    Nel nostro Paese, invece, governato da oltre trent’anni da intere compagini politiche, dirigenti ed accademiche autodefinitisi ispirate dal modello “liberale”, le autostrade, o meglio le loro concessioni, sono state oggetto di “privatizzazioni” compiacenti che hanno portato nel solo giro di poco meno di un ventennio alla riduzione degli investimenti in manutenzione del 98% creando di conseguenza le condizioni perfette per la tragedia del ponte Morandi.

    Tornando alla vicenda Telecom, nella quale l’unica presa di posizione del “mondo liberale” emersa fa riferimento alla sospensione del golden power, questa dimostra un sostanziale ritardo nella elaborazione di un pensiero liberale contemporaneo. Chissà che nel prossimo futuro non si decidano di fare un giretto nella vicina Svizzera e magari apprezzino il modello gestionale della rete autostradale (la famosa Vignetta) o in Germania, dove le autostrade restano gratuite e la gestione delle infrastrutture comunicative risponde alle logiche degli interessi collettivi del Paese in considerazione della loro valenza come fattori competitivi a favore dell’intero sistema paese.

    In Italia, invece, in piena sintonia con il modello “di sviluppo latino-amaericano” i servizi statali ex monopolisti diventano occasioni di speculazione per capitali privati i quali possono operare non solo a danno dell’utenza (43 le vittime del Ponte Morandi) ma anche contemporaneamente dello stesso sistema paese.

    Solo in Italia nella vicenda Tim l’intelligentia liberale si definisce tale solo dal semplice e scolastico richiamo alla eliminazione del golden power*, come se Svizzera e Germania rappresentassero dei modelli economico-politici della ex cortina di ferro, dimostrando, ancora una volta, come non si possa solo pensare di operare in una società liberale solamente in base alla titolarità di un servizio o, meglio ancora, delle infrastrutture  quanto, viceversa, dai parametri gestionali adottati espressione di strategie complesse a medio e lungo termine.

    La definizione di cultura liberale non può più reggersi nel mondo contemporaneo sulle mera dichiarazione della tutela degli interessi del singolo individuo e dei soli valori del mercato ma contestualizzarsi in un sistema economico e politico contemporaneo sempre più complesso che vede spesso nuovi soggetti economici cercare e trovare opportunità di business speculativo.

    La contemporaneità del modello liberale dovrebbe così prevedere a una “sublimazione” degli interessi del singolo cittadino e della propria contemporaneità culturale ed economica e ricevere, di conseguenza, una tutela superiore in contrapposizione agli interessi speculativi dei pochi (come la tutela del Made in Italy).

    Invece dal mondo liberale si ode solo uno scolastico richiamo alla rimozione del golden power della vicenda Tim come risoluzione di una importante partita strategica.

    Una posizione assolutamente non sufficiente in previsione della futura gestione di asset strategici o, meglio, di quello che rimane come nella questione molto importante nel sistema difensivo e della possibile acquisizione estera della Oto Melara, prestigiosa azienda operante nel sistema della difesa.

    Si sente forte la necessità di un salto culturale non solo nel governo quanto anche nelle componenti politiche ed ideologiche una volta faro dello sviluppo ed ora arroccate su posizioni scolasticamente corrette ma ormai obsolete in ragione della stessa evoluzione della complessità del mercato.

    (*) solo in Italia considerato in contrapposizione con la locale visione liberale ma già ampiamente adottato tanto in Europa quanto negli Usa

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