virus

  • Lo sci alpino… quantomeno

    E’ evidente che l’aspettativa di tutti gli operatori del settore e degli appassionati sia stata per l’apertura degli impianti durante il periodo delle vacanze di Natale. I secondi per appagare una legittima passione ma i primi perché il sistema neve rappresenta la principale fonte di sostentamento per centinaia di migliaia di famiglie.

    Entrambe queste legittime aspirazioni non esprimono disprezzo, lontananza o mancanza di sensibilità per tutte le persone ammalate e tanto meno per gli operatori sanitari nel loro complesso i quali, a costo anche della propria vita, assistono i malati.

    La domanda, tuttavia, da porsi veramente non è tanto relativa alle modalità o ai protocolli da seguire e da adottare quanto alle scelte generali operate dal governo Conte. Mentre in Italia ancora non è disponibile il vaccino antinfluenzale, la Germania entro la metà di dicembre organizzerà la distribuzione del vaccino anti covid e la Gran Bretagna da lunedì prossimo comincerà la vaccinazione. E’ a evidente come anche lo sci alpino tedesco beneficerà della ritrovata immunità grazie alla distribuzione del vaccino per cui anche se non dovesse aprire ai primi di dicembre ha la sicurezza di aprire entro breve tempo, già magari a gennaio 2021.

    Tornando all’Italia, allora, è evidente come la situazione dello sci alpino dipenda non tanto dai protocolli da adottare quanto dall’incapacità totale dimostrata da questo governo nella gestione di questa pandemia. Del resto il ministro Speranza per giustificare l’adozione dei protocolli ad ottobre affermava la loro necessità per assicurare un Natale sereno.

    Lo sci alpino, inoltre, sconta esattamente come tutti gli altri settori economici il ritardo nella strategia di gestione ma soprattutto di uscita di questo governo dalla pandemia. Si può, quindi, chiedere l’apertura degli impianti ma mentre gli altri Stati hanno già attivato persino la catena del freddo per il mantenimento ad una determinata temperatura del vaccino gli operatori economici tutti i settori (sci compreso) sono ancora costretti ad attendere una elemosina (ristori o cassa integrazione in deroga) ad un governo sordo ed espressione dell’incompetenza più assoluta.

    Tra l’altro, si aggiunga come sia veramente insopportabile il parallelismo che spesso viene proposto tra il mondo del turismo estivo e quello dello sci alpino invernale. Solo una pletora di incompetenti non possiede il minimo sindacale di competenze per comprendere come l’articolato mondo economico legato alla neve si articoli in: 1. aziende produttrici di scarponi sci attacchi,  2. professionalità come maestri di sci snowboard, 3. aziende di gestione degli impianti di risalita/il personale addetto agli stessi  impianti*, 4. Tutta la hotellerie e  la ristorazione anche ad alta quota con il proprio personale qualificato, 5. produttori di impianti di risalita, 6. società informatiche della gestione degli stessi impianti di risalita, 7. produttori di cannoni per la neve programmata e dei gatti da neve, 8. Aziende di accessori, 9. Aziende di abbigliamento tecnico, 10. Laboratori e noleggio sci*.

    Per valutare qualsiasi strategia di contenimento della pandemia emerge evidente come precondizione comprendere la complessità e l’interconnessione del settore che sarà oggetto di una specifica normativa attraverso un Dpcm.

    La consapevolezza che avrebbe certamente evitato di coniare l’idea di lasciare i negozi aperti fino alle 21 con ristoranti e bar chiusi alle 18 con la conseguente desertificazione cittadina già alle 17 .

    La chiusura del mondo della neve avrà effetti disastrosi specialmente per quelle comunità montane per le quali il periodo natalizio rappresenta la principale fonte di sostentamento della stagione invernale in un periodo in cui già queste pagano una migrazione preoccupante.

    Prima di intervenire sul ciclo economico di un settore potrebbe essere indicato conoscerlo. Quantomeno.

    (*) tra le categorie meno considerate e tutelate.

  • Il buon senso dov’è?

    C’è in molti una certa rassegnazione non solo per un virus che ci ha fatto precipitare in un film di fantascienza, proprio quando ci eravamo convinti che la nostra società, allontanate le guerre che per secoli avevano insanguinato l’Europa, fosse immune da tragedie di massa, ma anche per le dichiarazioni di alcuni rappresentati del governo.

    La Ministro dei Trasporti ha inopinatamente proposto di lasciare aperte le scuole il sabato e la domenica, suscitando evidentemente un coro di no, ma si è guardata bene dall’occuparsi del suo dicastero e cioè dell’organizzazione di quei trasporti che, proprio con l’apertura delle scuole, sono diventati ancora più veicolo di infezione. Non si scusa per non aver fatto nulla da maggio a settembre ma discetta di altri dicasteri. La Ministro dell’Istruzione, che si affanna a dichiarare che le scuole sono in se sicure e possiamo anche crederle, non interviene per garantire agli studenti, agli insegnanti ed alle reciproche famiglie, quella sicurezza sui mezzi pubblici necessaria per evitare ulteriori contagi e per scongiurare la temuta fase tre, ammesso che la prima e la seconda siano finite. Mancano soldi per tutti gli insegnanti che sarebbero effettivamente necessari ma sono stati spesi milioni di euro per i banchi con le ruote, che non sono quasi mai arrivati! Scelta che rappresenta un’ennesima idiozia perchè se i ragazzi devono stare distanziati e rimanere dove il banco è collocato fornire loro un banco con le ruote è un pericoloso controsenso. Se poi le ruote servivano ad alleviare l’eventuale fatica di bidelli o operatori scolastici si poteva anche far collaborare, a tempo determinato, un po’ delle tante persone che prendono il reddito di cittadinanza e magari anche qualche tutor, quelli che dovrebbero trovare lavoro agli altri e che nella quasi totalità non hanno fatto nulla anche perché risulta non partito il sistema informatico che avrebbero dovuto usare. Se è stata una buona notizia sgravare dai costi dei giga gli studenti delle scuole ci si interroga ancora a chi sia attribuibile la dimenticanza, nel provvedimento, degli studenti universitari!

    Mentre ci comunicano nuovi ristori molti, troppi, lamentano di non aver ricevuto le prime tranche e lo stesso vale per molte casse integrazione mentre i professionisti sono tutt’ora impossibilitati a chiedere la cassa per il personale del loro studio.

    Si chiudono gli impianti sciistici, senza neppur provare a mettere allo studio un sistema a prenotazione, ma si aprono, anche di domenica, i centri commerciali dove troppa gente si accalcherà al chiuso creando nuovo pericolo di contagi, quegli assembramenti giustamente impediti nei mercati all’aperto li troveremo invece al chiuso nei centri commerciali. Per non parlare dell’inerzia con la quale sono stati affrontati gli assembramenti per Maradona o per acquistare le scarpe di un grande magazzino!

    Continuando a lasciare chiusi ristoranti e tavole calde, ovviamente parliamo di quelli in regola con le misure anti covid, anche se i controlli non li ha mai fatti nessuno, si condannano non solo quelle categorie e il loro indotto al disastro economico ma si lasciano centinaia di migliaia di lavoratori, che non hanno un ufficio, senza un pasto da poter consumare al caldo e senza poter usufruire di un bagno.

    Intanto non partono né le piccole né le medie opere pubbliche, per non parlare delle grandi, che sarebbero l’unico sistema per dare un vero aiuto all’economia e per risistemare tanti gravi problemi italiani. Basterebbe pensare alle strade dissestate, alle scuole che crollano, alle troppe barriere architettoniche negli uffici pubblici, ai tanti ponti e cavalcavia a rischio e al disastro della rete idrica che perde acqua, bene prezioso e non rinnovabile, per le tubazioni obsolete e spesso con piombo ed amianto così pericolosi per la salute pubblica.

    Non occorrono geni per reggere la cosa pubblica ma occorrono persone che conoscano i problemi, che non promettano a vuoto, che abbiano la capacità e la volontà di ascoltare, studiare e poi concretamente agire per dare il via ad una politica di buon senso. Buon senso che purtroppo manca anche ad una parte della popolazione, pensiamo ai negazionisti ma anche a coloro che ancora girano senza mascherina e si credono invincibili condannando se e gli altri. Già ma il buon senso dov’è? E’ stato anche lui colpito dal covid o, speriamo, è solo in esilio ma pronto a ritornare? Chi lo chiamerà?

  • La difesa degli habitat naturali è anche difesa contro nuovi virus e patologie

    Qualche giorno fa alcuni bambini e ragazzi portoghesi si sono appellati alla Corte Europea denunciando 33 Stati che non hanno ancora applicato l’accordo di Parigi mentre in tutto il mondo gli effetti della crisi ambientale e climatica si fanno sempre più evidenti e preoccupanti. Anche la segretaria esecutiva di Ipbes (il panel intergovernativo creato nel 2012 sotto l’egida dell’ONU per incentivare la politica ad agire con migliori conoscenze scientifiche), in una intervista al Corriere della Sera, ha rilanciato l’allarme estinzione per decine di migliaia di specie vegetali ed animali, con le ovvie conseguenze anche per la vita umana.

    La difesa degli habitat naturali è anche difesa contro nuovi virus e patologie, il rispetto dell’ambiente, l’agricoltura e l’allevamento sostenibili, la preservazione del territorio e la bonifica di tanti siti messi in pericolo sia dall’incuria che da edificazioni illegali o sbagliate sono alcuni dei tanti temi che la politica dovrebbe affrontare e invece ignora di fatto, basta pensare al continuo consumo di suolo, all’allargamento smisurato delle città mentre, proprio ora, il covid ci insegna che più vi è urbanizzazione  più il rischio aumenta. I dati forniti da Ipbes parlano di un’enorme quantità di virus sconosciuti, più di 540.000 virus sconosciuti in natura potrebbero infettare le persone e portare a nuove pandemie. Anne Larigauderie ricorda che i microbi in natura vivono in equilibrio con i loro ospiti animali e si propagano negli umani solo quando il loro habitat è disturbato tramutandosi in virus.

    Le ragioni commerciali fino ad oggi hanno sempre prevalso ed impedito che la politica, sempre miope e in ritardo, avesse la forza, meglio ancora la volontà, di intervenire. Così in un mondo globalizzato, dove continuano a circolare sempre di più umani ed animali, anche i virus girano. Come abbiamo più volte ricordato con il Patto Sociale la necessità di salvaguardare l’ecosistema è una necessità globale perché la distruzione delle foreste amazzoniche, o brasiliane, per incrementare l’allevamento e l’agricoltura o la deforestazione in Romania, per fornire legname per i componenti d’arredo della grande distribuzione, sono altrettanto pericolosi per ogni luogo del mondo. Quello che avviene a decine di migliaia di km di distanza in breve influirà anche sulla nostra vita, modificando i venti e le piogge, causando quelle catastrofi naturali che tanto naturali non sono perché, a monte, c’è stata l’incosciente mano di uomini che hanno preferito un profitto immediato alla conservazione della vita di tutti. Queste sono responsabilità che ogni governo, in ogni parte del mondo, si deve assumere rendendosi finalmente conto che sia il sistema capitalista autoreferenziale che quello comunista hanno fallito.

  • Covid-19 toglie la carne dalla tavola, le macellazioni calano del 19%

    La pandemia ha tolto la carne dalla tavola degli italiani e ridotto di circa un quinto le macellazioni, mandando sottosopra il sistema allevatoriale italiano. Secondo l’Istat, nel primo semestre 2020 le macellazioni di bovini diminuiscono del 17,8%, quelle dei suini del 20,2% rispetto allo stesso semestre del 2019. Nel mese di giugno, a fine lockdown, si registra un recupero del numero dei capi macellati per entrambe le categorie. Come dire, qualche bistecca alla fiorentina e grigliata mista nei ristoranti sono stati ordinati.

    Anche sull’import di carni la crisi economica dovuta alla pandemia causata dal CoV-19 ha avuto e sta avendo ancora impatto: nel primo semestre del 2020, rende noto l’Istituto di statistica, diminuisce l’importazione di bovini e bufalini (-1,2%) e, più marcatamente, quella dei suini (-21,6) sullo stesso periodo dell’anno precedente. Aumenta invece l’export sia dei capi bovini e bufalini (+15,1%) che dei suini (+2,2%).

    Sul fronte dei listini, rileva ancora l’Istat, le aziende registrano una marcata riduzione dei prezzi di vendita (-63,4%). La diminuzione dei prezzi riguarda soprattutto le aziende del Nord Italia (più del 70% delle aziende) mentre è inferiore al Centro-Sud (meno del 50%). A rivedere al ribasso i listini, precisa ancora l’Istat, circa l’87% dei grandi allevatori.

    Per il 63,6% delle aziende, evidenzia il report Istat, la pandemia ha avuto e avrà un impatto sulla propria azienda agricola (per il 64,0% gli effetti sono”sostanziali”). L’impatto è più rilevante al Nord-Ovest (68,6%delle aziende), meno importante al Centro 53,7%).La principale ripercussione subita dagli allevatori è la riduzione dei prezzi di vendita (-63,4 %); segue la riduzione della domanda (-55,3%). Ad aver risentito della diminuzione dei prezzi sembra essere soprattutto il Nord Italia, con un dato che supera il 70% delle aziende, mentre nel Centro-Sud è inferiore al 50%. Esattamente l’opposto, sottolinea l’analisi dell’Istituto di statistica, si registra per la riduzione della domanda, il cui dato nazionale del 45,9% è fortemente condizionato da Sud e Isole che si attestano a circa il 70%; cioè dovuto anche alla difficoltà del trasporto merci in questo periodo, specialmente nelle Isole: quasi il 25% delle aziende del Sud, contro un 15% nazionale, indica la consegna tra le difficoltà avute

    Per le prospettive future, le preoccupazioni principali riguardano sempre la riduzione dei prezzi di vendita (51,7% delle aziende) e la riduzione della domanda (47,2%). Anche in questo caso la riduzione dei prezzi è temuta dalle aziende ubicate nel settentrione (oltre il 55%) mentre la riduzione della domanda preoccupa quelle del Centro-Sud (circa il 60%); altra preoccupazione è la mancanza di liquidità, che viene paventata principalmente dalle aziende del Centro-Sud (37%).

  • Bankitalia mappa l’infezione del Covd in ambito economico

    Un allarme per le imprese più a rischio, a partire da ristorazione, alloggi, arte. Un’esortazione alle banche a restare prudenti anche dopo che dovesse scadere la stretta della Vigilanza sui dividendi: aumenteranno gli Npl, che richiederanno “un pronto riconoscimento” e peseranno sugli istituti con tassi di copertura “molto inferiori alla media”. E un messaggio di rassicurazione sul debito pubblico ormai in zona 160%, “sostenibile” ma che, se non verrà ridotto, “può determinare in prospettiva l’esposizione a rischi derivanti da tensioni sui mercati finanziari o da nuovi shock macroeconomici”. E’ il quadro dei rischi delineato dal Rapporto sulla stabilità finanziaria della Banca d’Italia: un Paese rassicurato dai vaccini, ma con il fisico spossato dalla seconda ondata. Con bastioni di difesa sempre più europei: l’intervento di Bankitalia e Bce su liquidità, Qe, spinta al credito, e dell’Unione sul recovery fund. Un Paese con un asset’ dato dalla resilienza delle famiglie italiane, con “rischi circoscritti” e quota di debito “contenuta” delle più vulnerabili. Ma con un tessuto produttivo mandato al tappeto dalla crisi.

    L’espansione della Cassa integrazione, la moratoria sui prestiti, il posticipo degli adempimenti fiscali, i contributi a fondo perduto e gli schemi di garanzia sui nuovi finanziamenti – scrive Bankitalia – “hanno contribuito ad attenuare” il colpo per le imprese. Ma è comunque qui che si concentrano i rischi, che a ricaduta si scaricano su banche e bilancio pubblico. Il primo, quello di uno shock quando misure come le moratorie verranno rimosse: “va evitata un’uscita anticipata”, avvertono i tecnici di Via Nazionale.  A fine anno, 32.000 imprese si ritroveranno ancora con un fabbisogno residuo di liquidità per 17 miliardi. Che sarebbe ben peggiore, con 100.000 imprese e 33 miliardi di ‘buco’, se non fosse per le garanzie pubbliche. Ma anche così, a fine anno il 12% delle imprese, il doppio di prima del Covid, avrà patrimonio netto inferiore ai limiti legali. Con una probabilità d’insolvenza in rapida ascesa, specie per ristorazione e alloggio (quasi al 6%) e attività artistiche (oltre 4%). E il 16,4% delle imprese divenute ‘molto rischiose’ (con probabilità di default oltre il 5%): a febbraio erano il 10%.

    L’appello, per i prossimi mesi anche dopo l’uscita dalla pandemia, è dunque a muoversi con grande cautela. E a favorire in ogni modo la patrimonializzazione delle imprese sulla scia delle misure del ‘Decreto rilancio’, con incentivi, sottoscrizione di azioni da parte di società veicolo pubbliche. Non sarà facile per le migliaia di pmi che fanno il grosso del tessuto produttivo italiano.

  • Italia: nuove emergenze e vecchie strategie

    Il nostro Paese all’interno della seconda ondata della pandemia da covid-19 si è trovato sostanzialmente impreparato in considerazione degli “investimenti strategici” (leggi  banchi a rotelle e monopattini elettrici) i quali ovviamente non hanno alcun effetto nel contenimento della pandemia.

    In questo momento di profonda incertezza, al quale si aggiunge la possibilità che si verifichi una terza ondata nel mese di febbraio/marzo, stupiscono e sorprendono le anticipazioni della prossima manovra finanziaria per il 2021. Va considerato, infatti, come alla fine di questo periodo emergenziale le negative ripercussioni per il tessuto economico nazionale ed internazionale si manterranno per un medio – lungo termine. Questo per ricordare come le manovre finanziarie, tanto per l’Unione  Europea quanto nel nostro Paese, dovranno avere un respiro molto più ampio in senso temporale rispetto alla fine della pandemia sanitaria. In questo senso quindi la politica economica del governo dovrà, o meglio dovrebbe, da una parte dimostrare di sostenere la ripresa dell’economia italiana dall’altra incentivare investimenti dall’estero.

    In questo contesto doppiamente emergenziale sotto il profilo sanitario ed economico l’ultima trovata del governo Conte 2, in piena pandemia, è sostanzialmente rappresentata dalla sciagurata reintroduzione della Sugar e della Plastic tax (https://www.ilpattosociale.it/attualita/lepidemia-economica-sugar-free/).

    Innanzitutto credere di modificare i comportamenti  di consumo  delle persone attraverso la legislazione fiscale rappresenta l’aberrazione dello Stato etico i cui effetti contro  la lotta al fumo risultano  assolutamente risibili.  Inoltre la Sugar tax sostanzialmente colpisce le bibite gassate ed ovviamente i redditi più bassi essendo piatta (flat): un effetto evidentemente sconosciuto a chi si erge a favore delle fasce più deboli della popolazione. La Plastic Tax, invece, riuscirà a mettere in forte difficoltà il settore leader della plastica italiano il quale, durante la pandemia, ha fornito sistemi sanitari monouso fondamentali per il contenimento della pandemia stessa.

    Il settore della plastica italiana detiene in Europa una posizione leader assoluta la cui competitività verrà minata da un’ulteriore imposizione fiscale specifica oltre a quella ordinaria già di per sé insostenibile.

    La risultante di questa strategia delinea in modo ancora una volta cristallino come la classe politica e governativa sia convinta di attivare la ripresa economica attraverso un ulteriore incremento della pressione fiscale generale e specifica. Una scelta ideologica espressione dell’incapacità di comprendere i flussi economici e gli effetti di queste scelte strategiche soprattutto in  prospettiva della attrattività del nostro Paese per eventuali investimenti esteri. Il solo aver annunciato queste due nuove forme di tassazione ha escluso il nostro Paese da qualsiasi manifestazione di interesse per investimenti futuri relativi a questi due settori.

    Una scelta politica e strategica che di fatto uccide la speranza residuale di diventare finalmente un paese che attrae investimenti. Il nostro Paese, quindi, rappresenta un unicum all’interno dell’Unione Europea ma probabilmente anche nel mondo.

    Paradossale, poi , se si considera come tutte le nazioni egualmente colpite da questa pandemia intendano attraverso la fiscalità di vantaggio reimportare le produzioni una volta delocalizzate (reshoring produttivo).

    Viceversa l’Italia, anche attraverso il solo annuncio di questa nuova tassazione alla fine dello scorso anno,  ha già determinato la delocalizzazione in Albania dello stabilimento Coca-Cola di Catania con la perdita di 350 posti di lavoro. In questo modo, in piena pandemia, le possibilità di sviluppo e ripresa economica vengono minate ancora una volta dalla solita politica fiscale la quale determina una sempre maggiore pressione fiscale.

    La miopia di questa classe politica impedisce persino di copiare modelli virtuosi come la Germania la quale,  fin dal primo lockdown, ha  abbassato l’IVA riducendo anche i prezzi dei carburanti, mentre la Francia, con le risorse da Recovery Fund, diminuirà la tassazione per gli edifici  strumentali (la nostra IMU) di circa 20 miliardi.

    Caso unico al mondo invece l’Italia, per uscire da questa terribile pandemia e dalla devastante crisi economica, intende aumentare la pressione fiscale ed in questo modo favorire la delocalizzazione produttiva.

    A questo punto non c’entra neanche più l’impostazione ideologica nel determinare le scelte di politica economica e fiscale in quanto basterebbe copiare chi da sempre presenta un quadro economico e finanziario nazionale  sicuramente  migliore del nostro: ma anche per copiare è necessaria un’intelligenza media unita alla capacità di riconoscere modelli superiori.

    La perseveranza in un ulteriore aumento della pressione fiscale è la semplice ed evidente manifestazione di una congenita e pericolosissima stupidità e di un massimalismo ideologici uniti alla elementare incapacità di comprendere l’eccezionalità degli effetti di questo periodo nel medio-lungo termine.

    In ultima ed amara analisi l’Italia è l’unico paese al mondo che intende uscire dalla crisi pandemica attraverso un aumento della pressione fiscale. Una forma di miopia che il nostro Paese non si può più permettere.

  • Il Commissario per la sanità in Calabria e i relativi insegnamenti

    Attaccare il governo per la vicenda del commissario ad acta per la sanità in Calabria, il generale Saverio Cotticelli, che essendo stato nominato dal governo giallo-verde prima della pandemia, quindi anche indirettamente da quel Salvini che, da par suo, ha tempestivamente attaccato i responsabili di tale misfatto, inconsapevole del suo oggettivo coinvolgimento, non ha mai realizzato in oltre nove mesi di pandemia di essere anche responsabile del “Piano Covid” della stessa regione di cui era il responsabile della sanità, sarebbe come sparare sulla Croce Rossa.

    Certo si tratta di una gaffe imperdonabile, che ha fatto indignare l’intera nazione, in particolare giustamente i Calabresi, ma che appare in tutta la sua gravità non solo per il fatto in se, ma soprattutto per le verità nascoste e le conseguenti gravissime responsabilità che questa vicenda rivela e denuncia.

    Perché la vera questione è che, a parte il Piano Covid del tutto ignorato, il generale Cotticelli è stato nominato commissario per risanare e riorganizzare la sanità Calabrese il 7 dicembre 2018, quindi quasi due anni fa, quale ennesimo commissario di un comparto amministrativo che risulta commissariato da oltre dieci anni. Uno scandalo nello scandalo, che la dice lunga sulla incapacità dello stato di trovare soluzione ai problemi del Paese.

    Ma tornando a Cotticelli e ai suoi due anni, è evidente che in tutto questo periodo sembrerebbe che non abbia fatto praticamente nulla rispetto al mandato commissariale che aveva ricevuto, e quindi la vera domanda è come hanno fatto il Governo, i Ministri competenti, le varie autorità dello Stato a non accorgersene e a restare del tutto inerti, lasciando la sanità calabrese a macerare nella sua autodistruttiva e interminabile inedia?

    A nessun responsabile è venuto mai in mente di vedere a che punto era la questione? Di chiedere un aggiornamento dello stato della sanità calabrese rispetto alle molteplici problematiche a base del commissariamento? Di non disporre alcun controllo, nessuna verifica, nessuna ispezione? Neanche di chiedere un resoconto del lavoro svolto in occasione dei ripetuti rinnovi? Neanche per verificare il Piano Covid?

    Funziona davvero così, in Italia, il sistema pubblico? E quello ancora più delicato delle centinaia di gestioni commissariali via via istituite e che hanno avuto probabilmente la stessa sorte della sanità calabrese? Cioè della serie fatta la nomina, risolto il problema?

    E soprattutto funziona così ad ogni livello burocratico e lavorativo nel settore pubblico, in cui controlli e verifiche sono stati di fatto cancellati, e l’unica speranza è di affidarsi al senso di responsabilità dei singoli, essendo il sistema anestetizzato in relazione alle esigenze di dare servizi efficienti ed efficaci ai cittadini?

    Purtroppo la risposta è affermativa.

    Ecco perché nel nostro Paese abbiamo una burocrazia che soffoca il sistema economico e perché non si riesce a trovare soluzioni al problema del corretto funzionamento dello stato, mentre il settore privato, ovviamente opera in condizioni ben diverse in termini di produttività, efficienza e efficacia.

    Fino a quando la politica abdicherà al suo ruolo, che non può essere solo di indirizzo, ma anche e necessariamente di verifica e controllo, non ci sarà alcuna possibilità di reale cambiamento e di ripresa dal declino cui sembriamo condannati senza speranza.

    Per questo occorre lottare per una incisiva riforma della burocrazia e soprattutto per il ripristino di un sistema di verifiche e controlli ad ogni livello amministrativo, che riesca a fare valere i principi della meritocrazia, dell’impegno e della gratificazione per il lavoro svolto bene, che non a caso costituiscono i valori di indirizzo che ispirano la proposta politica della Buona Destra, che è nata per dare discontinuità all’attuale degrado e per sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulla esigenza di impegnarsi per uno Stato più efficiente e per una burocrazia finalmente all’altezza delle aspirazioni di un Paese che vuole ritrovare competitività e alti standard di qualità della vita per i suoi cittadini.

    Nel frattempo niente paura. Il nuovo commissario alla sanità in Calabria nominato dal governo è un negazionista della pericolosità della pandemia e ritiene la mascherina un orpello inutile.

    Chi meglio di lui per realizzare un ottimo piano Covid per la Calabria?

  • In attesa di Giustizia: giustizia in rosso

    Ci siamo: almeno in alcune regioni è di nuovo zona rossa e molte attività  sono state chiuse,  la libertà di movimento grandemente limitata. Il governo, tra le altre cose si è occupato delle aule scolastiche, ma ha sostanzialmente dimenticato quelle in cui si amministra Giustizia. Cosa tutt’altro che insolita.

    O meglio: un decreto legge in cui si tratta di giustizia c’è ma è anteriore al DPCM che distingue il Paese in fasce di rischio contagio e si basava su una situazione di fatto che, oggi, potrebbe valere forse per le zone arancioni, ma non per quelle rosse.

    Sarebbe infatti davvero singolare che, vietate le lezioni in presenza a 20 alunni, si consentisse la celebrazione di processi con più avvocati, magistrati, cancellieri, testimoni ed imputati in ambienti in cui spesso il ricircolo dell’aria è problematico. Del resto, il concetto di aula non cambia se muta la natura dell’attività svolta al suo interno.

    Intanto già si moltiplicano i rinvii dei procedimenti già fatti slittare durante il lockdown di primavera perché, come era immaginabile, con i servizi amministrativi adibiti ad un “lavoro agile” sprovvisto degli strumenti necessari ad evitare che fossero in realtà ferie retribuite, un numero sgomentevole di notifiche non è stato fatto o lo è stato in maniera irregolare.

    Una soluzione che si sta riproponendo per evitare che le esigenze di sicurezza e prevenzione del contagio confliggano con quelle di prosecuzione della attività giudiziaria è quella che prevede – per tempi  e materie definite – la trattazione da remoto: che convince poco anche per la permanente mancanza di strumenti tecnologici adeguati, ma rappresenta (almeno per le zone rosse) un’alternativa prudentemente praticabile.

    Anche in questo caso, come è accaduto nel settore della sanità, vi è stato il tempo per allestire le migliori condizioni di lavoro e di supporto logistico volte a fronteggiare la prevedibilissima “seconda ondata” facendo tesoro dell’esperienza maturata nei primi mesi dell’anno e invece…

    …invece abbiamo i proclami del Guardasigilli a proposito della distribuzione di migliaia di nuovi computer portatili che renderanno finalmente possibile l’assolvimento delle funzioni di cancelleria anche in smart working ma – per ora – non se ne sono ancora visti e ci sono uffici che neppure dispongono di una casella pec. Il raffinato giurista, peraltro, è di buonumore a giudicare dall’espressione ridente scolpita in permanenza sul volto: forse perché ha letto la bozza del decreto “ristori bis” nella quale, tra le molte perle, in merito al processo penale di appello, si prevede che la trattazione “fisica” dell’udienza debba essere richiesta dagli avvocati almeno 25 giorni prima della data prevista per la celebrazione.

    Senonché la legge prevede che l’avviso di fissazione sia notificato almeno 20 giorni prima della medesima data.

    Forse è questo che alimenta il buonumore di Bonafede: dal processo da remoto si sta passando al processo per veggenti ed una classe forense dotata di capacità predittive sarà anche in grado di pronosticare l’esito dei processi evitando di iniziare o proseguire quelli il cui destino è già noto.

    Un po’ quello che avevano pensato gli autori e sceneggiatori di Minority Report solo che nel nostro caso sono gli autori dei testi a far pensare ad una minoranza, o meglio ad una minorazione. Quella mentale, con buona pace di una Giustizia perennemente in rosso, dimenticata da tutti la cui attesa inizia ad apparire disperata.

  • Il Terrorismo mediatico

    Sicuramente questo concetto viene abusato in diversi ambiti, e molto spesso a sproposito, ignorandone persino le conseguenze più immediate. Molto spesso questo tipo di comunicazione nasconde l’incapacità personale o condivisa ma addirittura talvolta può essere espressione della più assoluta ipocrisia che tende a coprire la propria inadeguatezza.

    Anche una persona dotata di un’intelligenza normale conosce benissimo i tempi necessari per verificare gli effetti dei Dpcm con le norme tendenti a ridurre la curva dei contagi. In questo senso si ricorda come siano due le  settimane necessarie, o 15 i giorni  nel caso non fosse chiaro.

    Al di là delle legittime proteste il più delle volte assolutamente democratiche delle categorie che pagano in prima persona gli effetti di questi decreti i cittadini italiani hanno dimostrato, ancora una volta, di adattarsi alle nuove disposizioni con sacrifici in termini economici ed umani non indifferenti. Perché sarebbe vergognoso non riconoscere il senso di lealtà che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani sta dimostrando con i propri comportamenti virtuosi.

    La consapevolezza di questa prova di civiltà della buona parte del popolo italiano meriterebbe una maggiore considerazione da parte di questo governo di incapaci ed in particolare del  Presidente del Consiglio Conte e del ministro Speranza (da dover scrivere rigorosamente in minuscolo in considerazione loro spessore culturale, umano e professionale).

    Arrivati ormai, però, alla seconda settimana del mese di novembre 2020 risulta assolutamente inaccettabile, offensivo e persino destabilizzante questo continuo richiamo ad un ulteriore inasprimento del Dpcm quando ancora non risultano chiari gli esiti di quelli precedenti in quanto dal loro varo ad oggi non sono passate ancora due settimane.

    La tenuta di una democrazia come la capacità di rappresentarla nascono dal reciproco riconoscimento dei propri ruoli e dei limiti a questi imposti dalla legge. L’azione del governo Conte come del presidente del consiglio e del ministro della Salute Speranza con questo giornaliero rilancio di un possibile inasprimento dei Dpcm, e quindi con essi delle libertà individuali, rappresentano la vera forma istituzionalizzata di TERRORISMO MEDIATICO. Il quale, come qualsiasi forma di terrorismo, porta ad una subdola ma inevitabile destabilizzazione delle strutture democratiche.

     

  • La perversione del lockdown parziale

    Il penoso e continuo parto di Dpcm che hanno il merito di arrivare sempre in ritardo rispetto alla situazione confermano, ancora una volta, la assoluta inadeguatezza della compagine governativa come dei suoi ben oltre 450 consulenti. Un’incompetenza strategica ed amministrativa che trova conferme giorno dopo giorno.

    Si continua ad affermare che le scuole siano sicure per le “basse” percentuali di contagi, come ha detto il commissario Arcuri. Un commissario che ancora adesso non risulta essere in grado di comprendere come il problema sia da sempre l’assoluta inadeguatezza dei mezzi pubblici, come ampiamente anticipato, e quindi le modalità di accesso alle scuole. In questo senso è indicativo sapere come il 54% dei positivi abbia recentemente utilizzato in mezzi pubblici (https://www.ilpattosociale.it/politica/i-compiti-per-le-vacanze-estive-del-governo-conte/). In più, un ultimo studio medico dimostra come se si procedesse all’isolamento degli ottantenni la mortalità si ridurrebbe del 50% (*). Questo dimostrerebbe come la metà delle persone decedute da covid risultassero per loro sfortuna già affette da altre patologie.

    Quindi se si fosse agito con il dovuto anticipo attraverso gli investimenti nel potenziamento dei mezzi pubblici e l’individuazione di strutture per persone anziane si sarebbero ridotte le morti per covid da un minimo del 50 ad un massimo del 70%. Quelle risorse finanziarie si sarebbero potute individuare tra quelle già in bilancio e non ancora distribuite (per la mancanza dei decreti attuativi) insieme ad un nuovo debito aggiuntivo la cui somma tuttavia risulterebbe sicuramente Inferiore al monte ristori varato in questa settimana dal governo per porre rimedio agli effetti dell’ultimo Dpcm.

    Una mancanza di visione strategica confermata dall’incapacità di comprendere gli effetti dell’ultimo lockdown parziale che non solo penalizza ancora una volta bar e ristoranti ma in più presenta un ulteriore effetto perverso. Tutte quelle categorie che vengono, per ora, escluse da questo lockdown e conseguentemente non potranno beneficiare di eventuali Ristori stanno pagando in questo preciso momento le medesime conseguenze, se non addirittura maggiori, di quelle interessate dalle chiusure anticipate.

    Il calo dei fatturati in alcuni casi può portare fino a l’azzeramento degli stessi a causa del clima da coprifuoco che in tutte le città dalle 15 massimo 16 si avverte evidente. Molto spesso si considera la perversione come un aspetto legato alla sfera sessuale: mai come in questo caso la perversione risulta un aspetto malefico della sintesi tra la manifesta ignoranza unita all’incapacità amministrativa del governo in carica.

    (*) https://www.ilmessaggero.it/salute/ricerca/lockdown_italia_over_80_anziani_isolare_mortalita_ridotta_ultime_notizie_news-5555669.html

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