Africa

  • Over 30 women abducted by separatists in Cameroon

    Separatists in Cameroon’s restive north-western region have kidnapped over 30 women and injured an unspecified number of others, officials have said.

    The women were abducted in Big Babanki, a village near the border with Nigeria, for allegedly protesting against a curfew and taxes imposed on them by the separatists.

    “Around 30 women were kidnapped by separatists [on Saturday morning] – we have not found them yet,” an army colonel told the AFP news agency.

    Some local media report that the number of those missing was even higher – up to 50 women.

    Officials said some women were “severely tortured” by the heavily armed rebels, who frequently kidnap civilians, mostly for ransom.

    Separatist leader Capo Daniel told the Associated Press that the women were being punished for allowing themselves to be “manipulated” by Cameroon’s government.

    The military says it has deployed troops to free the women.

    Cameroon has been plagued by fighting since English-speaking separatists launched a rebellion in 2017.

    The conflict has claimed more than 6,000 lives and forced more than a million people to flee their homes, according to the Crisis Group.

  • Why some in SA want to scrap VAT on chicken

    “South Africa is stumbling into a hunger pandemic” and needs to remove VAT on chicken so that families can feed themselves properly, a trade advocacy group has told the BBC’s Newsday programme.

    Francois Baird of the Fair Play Movement has warned that regular load shedding, or power blackouts, in South Africa was also contributing to the problem.

    “The real effect is on the health of the nation,” Mr Baird said, adding that rising inflation and unemployment meant many people could no longer afford to pay for food.

    He said that 27% of children under five were stunted in South Africa because mothers don’t get enough protein while pregnant and this carries on after the children are born, adding that the problem was worse in rural areas.

    “Everything possible must be done also to assist small farmers.”

    He said that reducing the cost of chicken by removing VAT would help address this, as chicken was a major source of protein for many people in South Africa.

    He added that food prices were outpacing people’s salaries, warning that an essential basket of food costs more than the minimum wage per month.

  • L’UE lancia un ponte aereo umanitario per fornire beni di prima necessità in Sudan

    Alla luce delle crescenti esigenze umanitarie dovute al conflitto dilagante in Sudan, l’UE ha lanciato un ponte aereo umanitario per trasportare forniture essenziali da consegnare ai nostri partner impegnati in operazioni umanitarie a Port Sudan. Le 30 tonnellate di articoli essenziali (provviste idriche, servizi igienico-sanitari, attrezzature di accoglienza ecc.), sono state trasportate dai magazzini delle Nazioni Unite a Dubai a Port Sudan. Al loro arrivo, i beni sono stati consegnati all’UNICEF e al Programma alimentare mondiale.

    Il ponte aereo umanitario è organizzato nel quadro della Capacità europea di risposta umanitaria, uno strumento concepito per colmare le lacune in termini di risposta umanitaria ai rischi naturali e alle catastrofi provocate dall’uomo.

    L’UE ha già stanziato 200 000 € per il soccorso immediato e l’assistenza di primo soccorso alle popolazioni ferite o esposte a rischi elevati nella capitale, Khartoum, e in altre zone colpite dalle violenze in corso. Inoltre l’UE sostiene la società della Mezzaluna Rossa sudanese nella fornitura dei primi soccorsi, di servizi di evacuazione e di sostegno psicosociale. Questi finanziamenti si aggiungono ai 73 milioni di € già assegnati al Sudan nel 2023 per l’assistenza umanitaria, mentre ulteriori 200 000 € sono stati assegnati alla Mezzaluna rossa egiziana per fornire sostegno ai rifugiati che arrivano in Egitto dal Sudan.

  • Metsola risponde a Muscardini: sì, la Ue deve impegnarsi ancora di più in Africa

    «Sono d’accordo con te che la situazione in alcuni campi profughi è spaventosa». Così la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola risponde il 23 marzo ad una lettera che Cristiana Muscardini le aveva indirizzato il 12 marzo, nella quale segnalava le condizioni spesso disumane dei centri per migranti gestiti in Africa da Unhcr, autorità locali o sorti al di fuori di qualsiasi aiuto istituzionale.

    «La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Lise) del Parlamento europeo ha inviato numerose missioni ad hoc nei campi profughi anche all’interno dell’Ue. Queste delegazioni hanno assistito in prima persona alle condizioni allarmanti in cui vivono, a volte per anni, i migranti e richiedenti asilo», conferma Roberta Metzola, assicurando che «il Sistema europeo comune di asilo e il Nuovo patto su migrazione e asilo rappresentano una priorità assoluta per il Parlamento europeo. In tale spirito, sono orgogliosa dell’impegno assunto, nei confronti dei nostri cittadini, dal Parlamento, insieme alle cinque Presidenze di turno del Consiglio, di portare a termine la riforma del quadro legislativo in materia di asilo e migrazione prima della fine dell’attuale ciclo politico. Sono fiduciosa che il nuovo Patto porterà soluzioni a molte delle questioni da te sollevate».

    Convenendo con la sollecitazione di Cristiana Muscardini di trovare un accordo tra la Ue e i Paesi africani «per costruire campi profughi organizzati come veri villaggi, con scuole, negozi, luoghi dove le persone possano vivere senza torture e vessazioni», la presidente dell’Eurocamera dichiara: «Dobbiamo fare la nostra parte nell’affrontare la migrazione e tutte le sue componenti, sia nell’Unione europea sia, come tu suggerisci, nei paesi di origine, dove risiedono le cause profonde del fenomeno».

  • Riconoscimento morale a Lampedusa

    Se non ricordo male… nell’anno 2005 e dintorni vi furono molte polemiche con l’Unione europea per i continui sbarchi a Lampedusa e per come, secondo certe forze politiche di sinistra, l’Italia non era sufficientemente attenta ai problemi dell’immigrazione. Anche l’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, aveva ricordato che c’era bisogno di più Europa e di un’Europa che parlasse con una voce sola, almeno per quanto riguardava – e continua a riguardare – il problema dell’immigrazione.

    Non torneremo su quanto abbiamo già detto innumerevoli volte, e cioè che sarebbe stato necessario allora ed è quanto mai necessario ora, da un lato rivedere il trattato di Dublino e dall’altro avere finalmente il coraggio di interventi specifici nei Paesi del Nord Africa nei quali i migranti sono spesso, in campi lager, vittime di abusi, soprusi e preda dei trafficanti di esseri umani.

    La recente crisi economica e politica in Tunisia, con decine e decine di migliaia di persone pronte a sfidare la morte per raggiungere l’Italia, così come l’annosa instabilità politica in Libia, dove anche i miliziani putiniani della Wagner hanno la loro parte di responsabilità, fanno ben comprendere come ogni giorno di più si dovranno affrontare salvataggi e contare le vittime di chi in mare non ha trovato il necessario soccorso.

    Certamente nelle ultime settimane la Commissione europea ha dimostrato maggiori aperture e più concreto interesse ad affrontare con l’Italia quei problemi dell’immigrazione che Paesi come Malta, la Grecia e la stessa Francia non possono o non vogliono condividere. Ma ora c’è bisogno di atti concreti immediati per i quali ancora non vediamo iniziative sufficienti: soltanto nelle ultime ore più di 1.500 migranti sono sbarcati a Lampedusa ed altri 1.500 sono su pescherecci o barchini in balia delle onde (l’Italia sta cercando di salvarli).

    Credo che, mentre attendiamo le soluzioni urgenti che occorrono, sia necessario anche che l’Europa dia un giusto riconoscimento morale a Lampedusa e a tutti gli altri punti di approdo che in questi mesi hanno affrontato l’arrivo di decine di sbarchi. Quella stessa Europa che in parte contestava Lampedusa oggi forse dovrebbe chiedere scusa per i deputati che allora la mettevano sotto accusa.

  • Vladimir Putin sta adescando l’Africa

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Mario Lettieri e Paolo Raimondi apparso su ‘ItaliaOggi’ l’8 aprile 2023

    Si intensificano le relazioni della Russia con l’Africa, perciò riteniamo che nei rapporti con i Paesi africani l’Italia e l’Ue dovrebbero mantenere un approccio sobrio e realistico, senza cedere alla tentazione di credere troppo alle narrazioni dell’Occidente sugli andamenti geopolitici planetari. Le loro priorità sono l’anticolonialismo, l’indipendenza e lo sviluppo del continente in un mondo multipolare.

    Basti riflettere sui risultati del meeting «Russia Africa Parliamentary Conference» sul tema di un mondo multipolare, tenutosi a Mosca il 19-20 marzo, cui hanno partecipato parlamentari di 40 Stati africani. Si tratta di uno degli incontri preparatori per il secondo «Summit Russia-Africa» dei capi di Stato e di governo già fissato il 28-29 giugno a San Pietroburgo. Le delegazioni africane a Mosca erano più delle 36 che nel 2019 avevano partecipato al primo Summit di Sochi.

    Prevedibile l’affondo politico del presidente della Duma, Vyacheslav Volodin, che ha denunciato «Washington e Bruxelles di voler controllare le risorse naturali della Russia e dell’Africa, con tutti gli strumenti possibili, anche con la forza».

    Sebbene in quei giorni fosse impegnato negli incontri con il presidente cinese Xi Jinping in visita a Mosca, Vladimir Putin ha parlato alla conferenza. Il presidente russo ha affermato che i rapporti con i paesi africani sono una priorità di Mosca. Ha ricordato l’appoggio dell’Urss nella lotta per l’indipendenza contro il colonialismo e per la cooperazione economica nel continente. Sebbene oggi i paesi africani rappresentino soltanto il 3% del pil mondiale, Putin ha detto che con un miliardo e mezzo di abitanti e un terzo di tutte le riserve minerarie del globo essi naturalmente saranno leader del nuovo ordine multipolare globale.

    Ha evidenziato che lo scorso anno il commercio è cresciuto fino a 18 miliardi di dollari e che Mosca ha cancellato vecchi debiti dei paesi africani per oltre 20 miliardi. Ha anche offerto la possibilità di una collaborazione tra l’Unione economica eurasiatica e l’Area continentale africana di libero scambio creata nel 2021.

    Il presidente russo si è impegnato a mantenere le forniture di cibo, di fertilizzanti e di energia verso l’Africa e a prolungare di 60 giorni l’accordo sul grano fatto a Istanbul per far transitare i prodotti agricoli ucraini attraverso il Mar Nero. Dopo tale periodo la Russia sarebbe pronta a mandare, a titolo gratuito, la stessa quantità di grano inviato in Africa nei mesi passati. Ha poi lanciato una provocazione: «Del totale di grano esportato dall’Ucraina, circa il 45% è andato ai paesi europei e solo il 3% all’Africa».

    Propaganda russa? Speriamo si possa dimostrare, poiché le convinzioni africane non sono quelle dell’Occidente.

    Dopo aver detto che circa 27.000 studenti africani frequentano le università russe, ha aggiunto che il personale militare di oltre 20 paesi africani si perfeziona nelle università del ministero della Difesa russo, i rapporti si sono fatti molto intensi, un po’ in tutti i campi, anche in quello delle nuove tecnologie. Il 13-14 aprile prossimi si terrà a Mosca il forum Russia – Africa sulle tecnologie digitali e governi e imprese private discuteranno su come realizzare la digitalizzazione nei settori della pubblica amministrazione, dell’economia, dell’educazione e della sanità.

    Un ruolo importante di battistrada della cooperazione continentale africana lo svolge il Sudafrica, membro del gruppo Brics. In un incontro tra rappresentati governativi russi e sudafricani si è convenuto di promuovere la creazione di una Brics geological platform che mapperà i territori per individuare nuovi depositi di minerali.

    *già sottosegretario all’Economia **economista

  • Green energy ‘profiting on back of Congo miners’

    Human rights campaigners are calling on companies to increase the pay for impoverished miners in the Democratic Republic of Congo who are digging up cobalt – an essential commodity in the production of electric cars.

    Huge mining companies engaged in the switch to greener energy are making multi-billion dollar profits, while the Congolese workers digging for cobalt are falling further into poverty.

    That is the warning from two human rights groups – the UK’s Raid, and Cajj, which is based in southern DR Congo near Kolwezi where most of the world’s cobalt is mined.

    Food prices there have been soaring and the campaign groups say most miners are being paid much less than the $480 (£390) a month they need to support their families.

    They want the mining giants, including those from Europe and China that operate DR Congo’s industrial mines, to pay more, and electric vehicle companies to end contracts with cobalt suppliers exploiting miners.

    “The switch to clean energy must be a just transition, not one that leaves Congolese workers in increasingly desperate living conditions”, Cajj’s Josué Kashal said in a statement.

  • Madagascar in ansia: a rischio il 50% della propria biodiversità

    ll Madagascar lancia un Sos: dai famosissimi lemuri al fossa, loro predatore e simile ad un piccolo puma, passando per lo strano pipistrello dai piedi a ventosa, sono 120 le specie di mammiferi a rischio di estinzione, più del 50% delle 219 presenti sull’isola simbolo della biodiversità. Hanno impiegato 23 milioni di anni di evoluzione per fiorire e ne impiegherebbero altrettanti per ricostruirsi, se dovessero scomparire: un arco di tempo molto più lungo di quanto ritenuto finora. Lo ha stimato uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e guidato dal Centro per la biodiversità naturale di Leiden, nei Paesi Bassi, che dà l’allarme: secondo gli autori della ricerca, restano solo cinque anni per salvare il Madagascar dal punto di non ritorno.

    “È assolutamente chiaro che ci sono mammiferi unici al mondo che si trovano solo in Madagascar, alcuni dei quali si sono già estinti o sono sull’orlo dell’estinzione”, afferma Steve Goodman del Museo Field di storia naturale di Chicago, co-autore dello studio guidato da Nathan Michielsen: “Se non si intraprende un’azione immediata, il Madagascar perderà 23 milioni di anni di storia evolutiva, il che significa che tante specie uniche sulla faccia della Terra non esisteranno più”.

    Il Madagascar è la quinta isola più grande del mondo, ma se pensiamo alla ricchezza di ecosistemi e biodiversità presenti è più simile ad un mini-continente: il suo isolamento ha infatti permesso a piante e animali di evolversi in maniere uniche, basti pensare che il 90% delle specie non si trova da nessun’altra parte. Una biodiversità costantemente minacciata fin da quando gli esseri umani si sono stabiliti in maniera permanente sull’isola, circa 2.500 anni fa: da allora, molte estinzioni sono già avvenute, comprese quelle dei lemuri giganti, degli uccelli-elefanti e degli ippopotami nani.

    Per quantificare il rischio corso dalla vita sull’isola, i ricercatori hanno messo insieme una quantità di dati senza precedenti, che descrivono le relazioni evolutive tra tutte le specie di mammiferi che erano presenti nel Madagascar al momento della colonizzazione, 249 in tutto. Utilizzando simulazioni al computer, gli autori dello studio sono riusciti a calcolare il tempo impiegato da questa biodiversità per evolversi ed il tempo che impiegherebbe l’evoluzione per ‘sostituire’ tutti i mammiferi in caso di estinzione. I risultati mostrano che 120 specie su 219 attualmente viventi sono vicine alla scomparsa. Per ricostruire la diversità degli animali già estinti ci vorranno 3 milioni di anni, ma molti di più, 23 milioni di anni, saranno necessari se si estinguessero anche quelli attuali. Un arco di tempo che ha sorpreso i ricercatori: “È molto di più di quello che studi precedenti hanno calcolato per altre isole – commenta Luis Valente, uno degli autori dello studio – come la Nuova Zelanda o i Caraibi”. Questo non vuol dire che, se i lemuri scomparissero, potrebbero tornare a popolare la Terra tra 23 milioni di anni: quello che lo studio evidenzia è il periodo necessario all’evoluzione per raggiungere di nuovo un simile livello di complessità, anche se le specie sarebbero del tutto nuove.

  • Somalia water crisis ‘far from over’ – Unicef

    The Somalia water crisis is “far from over” and tens of thousands more people are projected to die from drought there, Victor Chinyama from Unicef told the BBC’s Newsday radio programme.

    A new report from Somalia’s government and the UN has found that 43,000 people in Somalia probably died from the drought last year – half of them children.

    It is estimated that from January to June of this year a further 25,000 people could die, Mr Chinyama said.

    However, there was still time to save lives, he said, recommending that aid agencies “continue to provide safe water to communities that are stressed”.

    He said more needs to be done to help Somali families grow their own food, as well as provide stronger healthcare, education and protection for children.

  • In Somaliland, i cuccioli sequestrati trovano la loro nuova casa

    Cizi e Bagheer, due cuccioli di ghepardo, sottratti ai bracconieri dal Governo del Somaliland nel mese di febbraio del 2020 e destinati al commercio illegale di fauna selvatica, per la prima volta possono godere del paesaggio senza muri di cimento che hanno coperto i loro occhi. Dopo essere stati confiscati, i cuccioli sono stati affidati al Ministero dell’Ambiente e del Cambiamento Climatico (MoECC) per essere accuditi dal partner ormai storico, il Cheetah Conservation Fund (CCF). Fino alla settimana scorsa, Cizi e Bagheer hanno vissuto in una delle tre strutture temporanee gestite dal CCF ad Hargeisa, capitale della Repubblica del Somaliland, condividendo gli spazi con altri 90 felini. Ma adesso Cizi e Bagheer sono tra i 52 esemplari che sono stati insediati nel Somaliland Cheetah Rescue and Conservation Centre (CRCC) del CCF a Geed-Deeble.

    Il CRCC e’ stato costruito per fornire una residenza permanente ai 92 felini salvati, con spazi sufficienti ad ospitare altri animali se necessario, ed è munito di ampi spazi cintati, che si trovano in aperta campagna in un ambiente naturale. Si tratta della prima struttura dedicata ai ghepardi strappati al commercio illegale nel Corno d’Africa. Il CRCC si trova su un territorio di circa 800 ettari a circa un’ora da Hargeisa, a Geed-Deeble (“Terra degli alberi”), e fungerà anche da centro di ricerca, educazione e formazione. E’ parte di un’area di circa 50.000 ha che il Governo del Somaliland ha istituito come Parco Nazionale di Geed-Deeble, il primo Parco nazionale del Somaliland. Il CRCC in seguito diventerà un centro di educazione e formazione, un museo vivente che attesterà l’esistenza del traffico illegale di ghepardi selvatici. Tutti I residenti del CRCC sono stati confiscati dalle agenzie governative del Somaliland al commercio illegale o a situazioni di conflitto animali-uomo. Dopo il sequestro, i felini hanno sempre vissuto sotto l’occhio vigile dei veterinari e I guardiani del CCF.

    Ora che i 52 cuccioli sono stati sistemati al CRCC, il CCF deve raccogliere i fondi necessari a costruire le recinzioni a Geed-Deeble per i restanti 39 ghepardi che ancora vivono nei Rifugi 2 e 3.

    Il CCF, con il partner MoECC, ha colpito duramente il commercio illegale di ghepardi nell’ultimo decennio, sia in Somaliland che nel Corno d’Africa e stanno lanciando attività di ricerca e conservazione sulle popolazioni selvatiche di ghepardi, che puntano a sostenere le comunità umane. Per incrementare le opportunità di sussistenza, il CCF sta introducendo la sua popolare formazione per allevatori e pastori in coesistenza con la fauna selvatica.

    Chi desidera dare un aiuto per la costruzione delle recinzioni mancanti presso il CRCC, può cliccare sul link https://cheetah.org/donate/ e donare per I ghepardi del Somaliland.

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