Animali

  • Aumenta il rischio di perdita di biodiversità

    La Lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn) ha censito a dicembre scorso 42mila specie animali a rischio estinzione, con un aumento di circa 9.000 rispetto a 15 anni fa.

    La crescita di questi numeri può essere attribuito a un numero sempre maggiore di specie valutate nel corso degli anni. Erano 4.863 specie di mammiferi nel 2007 contro 5.973 nel 2022. Statista ha realizzato questa Racing Bar per mettere questi numeri in prospettiva mostrando la quota di specie minacciate rispetto alle specie animali valutate in generale e raggruppandoli per classe. Pesci, insetti, molluschi e altri crostacei sono esclusi poiché, secondo l’IUCN, la copertura non è sufficiente per consentire una stima solida dell’effettivo sviluppo della biodiversità.

    In percentuale sono gli anfibi a rischiare di più: il 34,8% delle specie valutate è a rischio di estinzione nel 2022, con un aumento di oltre il 4% rispetto al 2013. Tuttavia, più di un quinto delle specie di mammiferi sia a rischio di estinzione, che rappresenta un aumento di quasi il due percento rispetto al 2008.

  • Il giallo dell’orso

    Mentre continuano le indagini su chi abbia veramente ucciso il runner Andrea Papi, alla faccia di Maurizio Fugatti, Presidente delle provincia di Trento, che aveva già emesso sentenze tanto per il gusto di uccidere o di farsi pubblicità verso una parte dei suoi elettori, abbiamo cercato di capire come si vive con gli orsi in altre parti del mondo ed il Canada ci sembra un esempio da studiare.
    In Canada, nel parco nella zona della British Columbia, vivono i grizzly, una specie dell’orso bruno, che occupano, in gran numero, un territorio abitato dagli uomini e per entrambe le specie vi sono delle regole, regole che ovviamente in Trentino non sono tenute in considerazione.
    In tutto il Nord America, su una popolazione di orsi che è il 60% di quella mondiale, si registrano, all’anno, solo due  o tre casi fatali per l’uomo mentre sono più di trenta le vittime per aggressioni di cani.
    Gli orsi sono onnivori e per il 90% si nutrono di frutta e verdura, per il restante 10 di pesce, salmone preso al volo con la bocca, o caribù, un orso può percorrere anche un territorio di 200 km quadrati e si ricorda sempre dove ha trovato il cibo che gli è piaciuto.
    Il turismo legato agli orsi è in continua espansione, l’osservazione degli orsi nel loro territorio naturale è 10 volte più redditizio della caccia.
    Gli incendi che bruciano i boschi, l’inquinamento, il cambiamento climatico o la siccità, che riducono il numero dei salmoni, rendono sempre più difficile per gli orsi procurarsi il cibo e sono portati perciò  ad avvicinarsi agli insediamenti urbani.
    Park Canada monitora  le aree protette ed i corridoi per la fauna selvatica affinché abbia quanto necessita, anche per accudire i piccoli, chilometri di autostrada hanno sottopassi e cavalcavia per evitare le collisioni con le auto mentre i coltivatori hanno fondi pubblici per installare barriere elettrificate ed espiantare i meli se sono troppo adiacenti ai luoghi abitati dall’orso.
    Per evitare che gli orsi si avvicinino agli insediamenti abitati è severamente proibito, con multe molto salate, mettere fuori casa i bidoni dell’immondizia, fuori l’orario programmato per il ritiro, o lasciare sporchi i  barbecue, ed  è assolutamente vietato dare da mangiare agli orsi, come molti tendono a fare. Il pericolo sono infatti gli orsi confidenti che non hanno paura di avvicinarsi troppo alle case ed alle persone.

    Se un orso è troppo confidente si cerca di ricondizionarlo al contrario ed in caso è trasferito in altra area, per allontanare gli orsi si usano spray alla capsaicina, sirene e proiettili di gomma nei casi più difficili.

    I funzionari del Conservazioniste Office Service sorvegliano e controllano la pericolosità eventuale e decidono come intervenire e le guardie forestali, per maggiore controllo ed identificazioni delle responsabilità, degli orsi o degli uomini, indossano una body – cam.

    Il ministero dell’ambiente della British Columbia ha sviluppato un programma per far diventare Bear Smart le comunità umane con piani che analizzano gli eventuali rischi e offrono il know- how per gestirlo.

    Chissà che anche alle nostre autorità territoriali non venga finalmente l’idea di vedere gli orsi come una risorsa invece che come un pericolo? Comunque al momento l’Abruzzo ha fatto molto meglio del Trentino, con buona pace del suo presidente!

  • Da Tar Trento indirizzi anti-abbattimento utili anche al Mase

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani

    L’ANMVI chiede che al tavolo del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (Mase) siano permanentemente coinvolti i Medici Veterinari, sia nella valutazione scientifica che nell’attuazione tecnica di interventi di riequilibrio zoo-antropologico fra orsi- persone e ambiente. Fra questi interventi, l’abbattimento degli orsi JJ4 e MJ5 è da escludere.

    Come professionisti della sanità animale, i Medici Veterinari dell’ANMVI osservano in primo luogo l’assenza di esigenze di ordine epidemiologico e sanitario tali da giustificare interventi soppressivi di questi esemplari.

    L’Associazione analizza poi le obiezioni del Tar Trento contro l’abbattimento dei plantigradi (JJ4 e MJ5): il Giudice trentino offre un compendio ragionato delle motivazioni, giuridicamente sostenute, che escludono le cosiddette “misure energiche”. In particolare:

    • l’incolumità pubblica può essere garantita dal ritiro dall’ambiente naturale degli esemplari catturati;
    • l’inadeguatezza della struttura di captivazione costituisce un “inadempimento” dell’Amministrazione Pubblica, non una idonea motivazione all’abbattimento;
    • si conoscono esperienze positive di dislocazione, anche all’estero, di plantigradi di analoga pericolosità;
    • il progetto Life Ursus richiede una revisione per correggere l’indesiderato sovrannumero di plantigradi;
    • serve un quadro chiaro delle competenze e una regia strategica;

    Anche alla luce della legislazione in itinere, il Governo dovrà strutturare un nuovo approccio alla fauna selvatica (sanità, pericoli, predazioni, biodiversità), nel quale il coinvolgimento della professione veterinaria sia permanente e interministeriale (Salute-Ambiente-Agricoltura) per un corretto approccio “one health” sul quale impostare anche azioni culturali rivolte ad Amministratori e Cittadini. Non solo in Trentino

  • Il pericolo dell’accoppiamento tra cani consanguinei

    Da molto tempo e da più parti vi sono state segnalazioni di cani, acquistati presso allevamenti, che hanno, dopo i primi mesi, manifestato diverse patologie o turbe caratteriali.

    La ricerca di un cane sempre più corrispondente ai desideri dei possibili acquirenti ha portato, complice anche una non scusabile ignoranza della genetica ed una imperdonabile volontà di ottenere il massimo risultato con la minima spesa, alcuni allevamenti a procedere ad accoppiamenti tra cani strettamente consanguinei.

    Questa pratica è diventata talmente diffusa e pericolosa, per la salute degli animali e per il mantenimento delle caratteristiche di ogni diversa tipologia di cane, da portare finalmente ad un intervento ufficiale che stabilisce quanto va assolutamente vietato.

    L’eccessiva consanguineità porta ad un grave indebolimento del sistema immunitario, alla trasmissione di patologie ereditarie, ad una minore longevità, all’aumento dell’infertilità e della mortalità dei feti e dei cuccioli, alla riduzione del pool genetico solo per fare alcuni esempi.

    Coloro che desiderano un’informativa più completa sul problema che trattiamo in questo numero del Patto Sociale possono documentarsi anche leggendo la lunga e puntuale relazione pubblicata dalla rivista I nostri cani, numero di aprile, redatta dal professore Michele Polli e dal ricercatore Stefano Marelli del dipartimento di Medicina veterinaria e scienze animali dell’Università di Milano.

    Gli allevatori di cani gestiscono di norma un numero limitato di esemplari per la riproduzione e questo incide sull’efficacia con la quale si riesce ad allevare cani che si tramandino le caratteristiche migliori. Poiché le razze canine sono un numero chiuso, l’accoppiamento tra consanguinei non è infrequente (perché l’ambito entro cui trovare cani di analoga razza da far accoppiare non è molto vasto) e di conseguenza (visto anche l’alto tasso di consanguineità che si registra spesso tra i cani accoppiati) è più difficile garantire la procreazione di esemplari per ciascuna razza sani e coi tratti migliori della razza stessa. L’evidenza empirica attesta infatti che la consanguineità (particolarmente stretta tra genitori e figli o fratelli e fratellastri) porta non di rado a esemplari di salute cagionevole e a un tasso di mortalità e di minor longevità non trascurabile.

    Attraverso le «norme tecniche del libro genealogico del cane di razza» emanate col decreto ministeriale n. 116130 del 22 febbraio 2023 ed in vigore dal prossimo 1 settembre viene vietato l’accoppiamento tra consanguinei stretti. O meglio, come recita il testo normativo: «Non possono essere iscritti negli albi genealogici cani nati dall’accoppiamento tra genitori e figli, cani nati dall’accoppiamento tra fratelli pieni o mezzi fratelli, cani nati da fattrici di età inferiore a 16 mesi». Chi sia iscritto al Registro degli allevatori e dei proprietari viene quindi disincentivato dal procedere a questi accoppiamenti, perché – come si legge ancora al punto 1 dell’articolo 6 delle norme in questione – «Eventuali piani di allevamento che eccezionalmente contemplino accoppiamenti nelle consanguineità strette non consentite dal presente articolo dovranno essere sottoposti alla Commissione Tecnica Centrale per una preventiva autorizzazione» (la commissione in questione è quella dell’Eni).

    La norma mira a favorire il ricorso a un maggior numero di riproduttori da parte del singolo allevatore, a non affidarsi insomma a un numero ristretto (se non solo a uno) di riproduttori, così da evitare o almeno ridurre gli effetti frequenti dell’accoppiamento tra consanguinei, vale a dire: depresso da consanguineità; alleni recessivi, omozigosi e riduzione del pool genetico; alleni deleteri, malattie ereditarie e malformazioni congenite; diminuzione della fertilità e aumento della mortalità dei cuccioli alla nascita; indebolimento del sistema immunitario.

    Fondamentalmente, il punto è questo: quanto più un cane è figlio di genitori tra loro originariamente estranei (cioè non consanguinei), tanto più alto e ricco sarà il suo patrimonio genetico (tanto più vari saranno i suoi alleli) e tanto più raro sarà che nella sua fisiologia si manifestino quelle caratteristiche genetiche che lo rendono più debole, più aggredibile da malattie, mentre al contrario tanto più facilmente si manifesteranno quei tratti che garantiscono la salubrità e la specificità della razza canina cui appartiene. Insomma, meno in comune hanno i genitori, tanto più sana e bella, robusta, longeva e prestante sarà la cucciolata.

    Controlli veterinari ed esami del Dna, va da sé, sono l’ovvio corollario per coadiuvare i cani stessi ad accoppiarsi nel modo migliore per assicurare cucciolate di tal fatta.

  • L’orso della panetteria

    Cari lettori, certamente anche questa settimana vi sono molti spunti politici per un commento ed un articolo, più o meno caustico, vista l’insistenza dell’opposizione a contestare qualunque iniziativa del governo senza mai proporre, concretamente, qualcosa che si possa effettivamente fare con i mezzi che ci sono.

    Anche il governo non sempre è in linea con le promesse fatte, a volte per dare un contentino a qualche categoria tralascia una maggiore visione d insieme, alcune volte troppa fretta, come per il ponte di Messina, a volte troppa lentezza per riuscire, nei tempi urgenti, a risolvere problemi come l’acqua potabile, la mancanza di case e la necessita di aiuti per la sussistenza dei pensionati troppi poveri.

    La costante latitanza dell’Europa sul problema immigrazione è un altro tragico argomento, mentre in Ucraina continuano a morire civili e bambini, del quale oggi non parlerò.

    Questa volta, mentre impazzano i pronunciamenti di morte del presidente della Provincia di Trento, contro l’orsa Jj4 senza perdere tempo a dare una valutazione politica e di competenza, vi lascio un breve racconto che prende spunto da un fatto vero, queste brevi righe non vi lasceranno alcun dubbio sul mio pensiero, e non solo per gli orsi.

    L’orso della panetteria

    E’ una follia sperare nelle cose mortali che durino in eterno….

    (Orazio, Odi, cap. IV)

    L’orso non capiva cosa fosse cambiato: quando era più piccolo ogni tanto andava vicino al paese e gli uomini, i bambini gli sorridevano.

    Pian piano era stato accolto, con prudenza, certo non venivano ad accarezzarlo ma gli lasciavano qualche boccone goloso e lui era molto goloso.

    La madre se ne era andata con i suoi fratelli verso le colline ed i boschi, gli aveva detto: «Non ti fidare, gli umani cambiano idea spesso, vieni via con noi, non sei ancora abbastanza grande per vivere da solo. Non hai ancora i quattro anni necessari per essere adulto, vieni via con noi, io so come proteggerti».

    Le aveva risposto con la cocciutaggine dei giovani che credono di sapere già tutto: «Qui mi lasciano bocconi buonissimi e fuori dalle case ci sono bidoni pieni di cibo che a me piace. Certo c’è un po’ di confusione quando mischiano le mele con la carta sporca, ma lasciano anche vasetti mezzi aperti di marmellata, perché andare nel bosco e fare fatica quando qui trovo tutto quello che mi serve e gli umani sono gentili, non mi disturbano».

    Dopo qualche tempo la madre aveva rinunciato, se ne era andata e lui era rimasto e ogni giorno cresceva un po’ di più e prendeva più confidenza con quel mondo che tanto lo incuriosiva.

    A forza di esplorare e seguendo un profumo fantastico, solo ad annusare sentiva la felicità salirgli in gola, arrivò davanti al negozio del fornaio. Era buio, non c’era nessuno: fu un attimo per lui entrare e mangiarsi dolci, pane e paste senza pensare alle conseguenze per il suo stomaco.

    Dovette stare tranquillo per un po’ dopo la grande abbuffata, anzi lo dovettero anche curare, ma, appena si riprese, non resistette e tornò alla panetteria. Si contenne un po’ rispetto alla prima volta, fece un po’ più fatica ad entrare, avevano chiuso molto meglio. Mangiò e ritornò al suo rifugio.

    L’orso non sapeva che ormai i giornali parlavano di lui, certo un orso così confidente poteva essere un vero problema: era troppo abituato all’uomo, ma, d’altra parte, era ormai bel un po’ di tempo che ci si era abituati alla sua presenza e non aveva mai dato fastidio a nessuno.

    La vita, si sa, è sempre in divenire, non esiste nulla di eterno, specie la tranquillità, ammesso che per un po’ si sia riusciti a trovarla, a conquistarla, e se ne siano capite l’importanza e la precarietà.

    L’orso non capiva come mai da un po’ di tempo gli sguardi che gli lanciavano erano un po’ meno sorridenti e le mamme tenevano i bambini più lontani, lui non voleva disturbare nessuno, voleva solo andare ogni tanto in panetteria e mangiare da quei bidoni traboccanti di ogni ben di Dio. Se gli umani non avessero voluto che lui andasse lì a mangiare perché avrebbero dovuto offrirgli tutti quei bidoni fuori dalle case?

    Per l’orso era evidente che quel cibo era stato lasciato per lui.

    La fama dell’orso in paese si era ormai sparsa un po’ ovunque, per alcuni era un po’ mascotte per altri un possibile pericolo, certo era una condizione non normale.

    La scelta di cosa fare non spettava solo agli abitanti del borgo e l’orso, comunque, era ormai ben più grosso di quando era comparso la prima volta. E tutti quei bidoni di immondizia rovesciati e rovistati cominciavano a dare fastidio.

    In ogni caso gli orsi adulti devono essere monitorati. Così, quando proprio l’orso non si aspettava un tale drastico cambiamento di vita, fu catturato, addormentato, visitato, controllato, gli fu fatta una cartella personale con tutti i suoi dati, gli fu messo il collare per potere sempre conoscere da lontano i suoi spostamenti. Poi, ovviamente, lo liberarono ma in un luogo diverso, lontano dalla sua amata pasticceria e dalla fontana nella piazza, dove ogni tanto andava a bere.

    Si risvegliò confuso e per un po’ barcollante, sentiva soprattutto un gran fastidio intorno al collo: qualcosa che un po’ lo costringeva, non aveva male ma fastidio ed era un fastidio che non conosceva e che non sapeva come togliersi. Poi pian piano si abituò a conviverci ma non ne era certo felice.

    Dopo qualche giorno vide un suo simile da lontano ma non volle avvicinarsi, si sentiva diverso.

    E poi non si ritrovava dove era, ad olfatto sentiva tanti odori, anche buoni, di campagna, anche di miele ma non quello che amava di più, quel profumo fantastico della panetteria che per un certo tempo gli aveva fatto dimenticare la mancanza della madre e dei fratelli e non gli aveva fatto comprendere che il suo essere orso non era compatibile con la vita ai margini delle case dell’uomo.

    Non sapeva neppure come portare via il miele alle api e se si avvicinava ad un frutteto sentiva rumori secchi, degli schiocchi e delle urla. Insomma voleva tornare da dove era venuto. Così, sopravvissuto più o miracolosamente a qualche fucilata, forse solo di avvertimento, forse di bracconieri, si era messo in cammino; sentiva che prima o poi avrebbe ritrovato quella che per lui era casa.

    L’orso non capiva cosa aveva intorno al collo, non capiva perché si fosse svegliato in un posto diverso da quello dove aveva vissuto per tanto tempo ma sapeva che voleva tornare là dove c’erano la panetteria e tutti quei fantastici, succulenti bidoni.

    Camminò molto ed il suo naso gli disse di scendere più a valle. Il suo istinto invece non l’avvertì che una strada asfaltata era per lui un grande pericolo, le aveva già viste nel paese, certo più piccole ma che differenza poteva mai esserci, perciò non aveva timori.

    L’orso non capiva cosa fosse quella forma enorme che gli correva velocissima incontro.

    Si fermò un attimo incuriosito e un attimo dopo fu travolto e morì, mori su una strada asfaltata travolto da un tir, come muoiono tanti orsi, lupi, cervi che non capiscono, come muoiono tanti umani che non capiscono.

    Il problema è sempre quello: capire, capire anche un orso che ama andare in panetteria.

  • Giornata mondiale della Veterinaria

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani

    La medicina veterinaria è il risultato di una catena di costi economici tutti sopportati in proprio dai Medici Veterinari, senza alcun contributo pubblico. Sostenere la defiscalizzazione delle cure veterinarie: oggi lo Stato sborsa 5 centesimi al giorno

    Sabato 29 aprile si celebra la giornata mondiale della Veterinaria (World Veterinary Day). L’iniziativa è promossa, a livello globale, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul contributo dei Medici Veterinari alla salute degli animali, delle persone e dell’ambiente.  In Italia, la Giornata è l’occasione per ricordare che la medicina veterinaria non riceve aiuti finanziari pubblici e che gli sforzi dei professionisti Veterinari per garantire un elevato livello clinico e scientifico non sono ripagati da una adeguata considerazione pubblica e mediatica.

    Quest’anno la Giornata mondiale si intitola “Promuovere la diversità, l’equità e l’inclusività nella professione veterinaria”, contro ogni ostacolo che possa minare lo sviluppo e il benessere dei singoli professionisti e della collettività veterinaria. A livello globale, la professione veterinaria soffre ancora varie forme di disparità e tra i sistemi veterinari sono ancora presenti importanti dislivelli di competenza e scarso riconoscimento istituzionale e sociale.

    L’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani (ANMVI) mette in luce il messaggio della Giornata mondiale: i Medici Veterinari sono i professionisti della salute e del benessere animale. Si sono formati per mettere al servizio delle popolazioni animali una Medicina Veterinaria basata su investimenti personali ed economici. In Italia, questi sforzi sono integralmente sostenuti in proprio dai Medici Veterinari. Tuttavia questo aspetto.

    Vale la pena ribadire, nella Giornata mondiale, che la medicina veterinaria è una catena di valore che ha dei costi economico-finanziari in tutte le sue fasi – dalla produzione di materiali e strumenti sanitari fino alla prestazione intellettuale sul paziente-animale. In nessuna di queste fasi sono riconosciuti aiuti pubblici ai Medici Veterinari. Né sono riconosciuti sostegni alla spesa finale delle cure. Fanno eccezione le detrazioni fiscali: 5 centesimi al giorno che l’ANMVI chiede al Governo di innalzare a livelli dignitosi.

  • Salvata la piccola ghepardina Lily

    L’ultimo arrivo al CRCC, il Centro di Soccorso e Conservazione del CCF in Somaliland, è una tenera ghepardina femmina che e’ stata chiamata Lilly, in onore di Tigerlily, una delle favorite di Laurie Marker, che si trova in Namibia. Lilly è arrivata al Centro dopo pochi giorni dal trasloco dei ghepardi nella loro nuova casa, ed era in condizioni abbastanza pietose: infestata dai parassiti, denutrita e disidratata, a circa 5 mesi di età pesava solo 3,8 kg. Le cure solerti del personale hanno dato presto, dopo alcuni giorni, buoni risultati: Lilly si è stabilizzata e ha dormito moltissimo-

    Chi desidera dare un aiuto alla piccola Lilly, può adottarla sul sito del CCF cliccando sul link https://ccf-italia.org/aiuta-i-ghepardi/fai-una-donazione/

     

  • Noi e il pianeta, per esistere, abbiamo bisogno anche dei selvatici

    Tra i tanti problemi, nodi da sciogliere, ve ne sono due ai quali è necessario dare subito risposta per poter meglio affrontare gli altri: 1) il nostro rapporto, come umani, con il mondo che ci circonda, 2) il rapporto  tra noi e gli altri esseri senzienti.

    Nei millenni l’essere umano è stato capace di convivere con quanto lo circondava, esseri viventi o inanimati, dai quali ha saputo ricavare ogni fonte di approvvigionamento per migliorare il proprio  benessere dando, via via, vita allo sviluppo che conosciamo.

    Oggi questo sviluppo, cresciuto esponenzialmente dopo la Seconda guerra mondiale, rischia di riportarci indietro, sono infatti, da troppi anni, mancate alcune di quelle regole che avevano consentito, alle generazioni di una volta, di cercare di rispettare, anche a proprio beneficio, alcune regole naturali.

    La rivoluzione industriale che, nel corso dei secoli, ci ha condotto all’attuale “progresso”non è stata capace di impedire che negli esseri umani si ingenerasse sempre di più la pericolosa convinzione che la terra appartenesse solo a loro e che le leggi della natura potessero essere modificate, senza conseguenze, dalla volontà dell’uomo.

    Quella convivenza, difficile ma necessaria, che esisteva, con alterne fortune, con gli altri esseri animati e senzienti, che abitavano ed abitano il pianeta, ad un certo momento non è stata più rispettata né ritenuta utile, cominciò così lo sterminio di molte specie animali e lo stravolgimento, con abbattimenti sistematici di tanta vegetazione, di interi territori.

    Oggi il cambiamento climatico, causato dai nostri errori e dalla sete di ricchezza di molti, sta producendo nuove povertà e disastri ambientali con sempre più numerose vittime e ci impone, sperando di essere ancora in tempo, di ripensare velocemente ad un nuovo modello di vita, ad un altro tipo di sviluppo.

    Il consumo del suolo, il risparmio dell’acqua, l’inquinamento delle aree urbane, i materiali da costruzione scadenti od inquinanti sono solo una parte del problema mentre vaste zone del continente subiscono le conseguenze di guerre, di esperimenti nucleari e dei gas delle missioni nello spazio ma è diventato vietato scaldarsi con un caminetto a legna.

    Dopo aver ucciso milioni di animali selvatici la scienza ha dimostrato che l’ecosistema, nel quale viviamo e senza il quale moriremmo, ha bisogno dell’esistenza di specie diverse, dall’ape che impollina al leone che impedisce la crescita eccessiva degli erbivori, dal lupo che controlla il numero dei cinghiali e degli altri ungulati all’orso altro imprescindibile anello dell’ecosistema.

    Sono così nati, per difendere la terra da ulteriori irreversibili catastrofi, progetti per salvaguardare le specie in via di estinzione e per ripopolare i luoghi nei quali questi animali erano stati sterminati o cacciati.

    Nel frattempo però gli esseri umani si sono disabituati alla convivenza con gli animali selvatici, hanno abbandonato ogni tipo di attenzione per se e per il bestiame d’allevamento e hanno preso abitudini molto pericolose: dalle immondizie lasciate vicino alle abitazioni, cibo molto appetibile per i cinghiali e gli orsi confidenti, alle placente e carcasse di bestie morte buttate nelle letamaie e che diventano un ovvio richiamo per i lupi.

    La naturale conseguenza è che molti di animali selvatici si sono avvicinati ai centri abitati e gli umani hanno subito pensato non di cambiare le abitudini sbagliate, non di prevenire gli ipotetici pericoli con le ovvie precauzioni  ma di chiedere abbattimenti più o meno “selettivi”.

    L’uomo non intende tornare alla convivenza ed al reciproco rispetto che per anni ha regolato la vita della terra ma, come i dittatori che vogliono assoggettare un altra nazione, hanno subito pensato  all’uso delle armi per uccidere.

    Inutile girarci intorno: in natura i pericoli esistono e mai come in questo periodo, ad esempio, abbiamo visto tante persone morire in montagna ma per questo non viene certo in mente di spianare le montagne.

    Diverse persone, costruttori, amministratori, politici sono responsabili per aver costruito o lasciato costruire abitazioni in luoghi pericolosi e quando si è verificato il disastro ambientale, più che prevedibile, non sono stati imprigionati a vita nonostante i molti morti ed i molti danni che avevano procurato.

    Che l’essere umano lo accetti o meno non è il padrone del mondo ma, se mai, colui che dovrebbe tutelarlo, salvaguardarlo, per garantire la continuità della propria e delle altrui specie, animali e vegetali, perché solo così la terra potrà sopravvivere.

    Siamo supercivilizzati ma far rispettare i diritti è ogni giorno un problema e di doveri non parla nessuno, ogni giorno diventano più invasive le violenze ed il bullismo, negli Stati Uniti ci si uccide a scuola o per strada, in Europa la guerra in Ucraina aggiunge orrori ad orrori, in Africa terroristi, mercenari, guerriglieri o tiranni tengono in scacco intere popolazioni mentre si continuano a temere un’invasione cinese di Taipei, un’escalation militare della Corea del Nord, le conseguenze del nuovo conflitto in Sudan.

    Il problema sarà un’orsa ed i suoi cuccioli probabilmente destinati a non sopravvivere senza la madre o il problema sono le nostre improvvisazioni, pressapochismi, paure, incapacità di prevenire e poi affrontare le conseguenze di queste incapacità e paure?

    Chi va nei boschi deve poterlo fare in tranquillità ed il bestiame d’allevamento va tutelato ma senza lupi, orsi, cinghiali, cervi, farfalle, api, lepri etc etc non ci sarebbero boschi e presto neppure città.

    Siamo supercivilzzati ma abbiamo volutamente nascosto a noi stessi che la catena alimentare è una legge di natura che nessuno può stravolgere ed ignorare, il mondo, per continuare ad esistere, non ha bisogno di buoni o di cattivi ma di giusti, giusti che lo difendano per il bene presente e futuro di tutti.

    Una volta non si costruiva sui greti dei fiumi, si edificava dove i terreni erano più solidi, possibilmente su parti più rocciose nel sottosuolo e le case, di pietra o di mattoni pieni, erano esposte in modo da offrire la migliore esposizione alla luce ed al sole.

  • Sanità animale, ANMVI: ‘Che Tempo Che Fa’ ne parli con i Medici Veterinari

    Riceviamo e pubblichiamo un comunicato stampa dell’Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani

    È uno schiaffo alla sicurezza alimentare nazionale sostenere – come ha fatto il conduttore di Che Tempo Che Fa, Fabio Fazio – che “assumiamo antibiotici senza saperlo”. Nessun animale in corso di trattamento farmacologico può produrre alimenti destinati al consumo umano. Lo dice la Legge e lo dicono i Veterinari, il Ministero della Salute, l’Unione Europea e l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA, con sede a Parma).

    Ed è pura disinformazione affermare, come fa il prof. Roberto Burioni, che negli allevamenti si pratichi “l’utilizzo degli antibiotici per fare crescere di più di peso gli animali”. In Italia, come in tutta la UE, non lo si fa. E non lo si fa ormai da quasi vent’anni, sulla base di norme sull’alimentazione animale che vietano l’uso degli antibiotici come promotori della crescita dal 1° gennaio 2006.

    I farmaci ad uso veterinario, antibiotici compresi, sono necessari alla salute e al benessere degli animali. Il compito di garantire animali e consumatori di alimenti di origine animale è affidato ai sistemi veterinari degli Stati Membri. E l’Italia vanta un sistema veterinario tra i migliori al mondo.

    Auspichiamo che una trasmissione – con meritato seguito – come Che Tempo Che Fa voglia rettificare e, per il futuro, far parlare di sanità animale i Medici Veterinari.

    Ufficio Stampa ANMVI – Associazione Nazionale Medici Veterinari Italiani – 0372/40.35.47

  • Madagascar in ansia: a rischio il 50% della propria biodiversità

    ll Madagascar lancia un Sos: dai famosissimi lemuri al fossa, loro predatore e simile ad un piccolo puma, passando per lo strano pipistrello dai piedi a ventosa, sono 120 le specie di mammiferi a rischio di estinzione, più del 50% delle 219 presenti sull’isola simbolo della biodiversità. Hanno impiegato 23 milioni di anni di evoluzione per fiorire e ne impiegherebbero altrettanti per ricostruirsi, se dovessero scomparire: un arco di tempo molto più lungo di quanto ritenuto finora. Lo ha stimato uno studio pubblicato sulla rivista Nature Communications e guidato dal Centro per la biodiversità naturale di Leiden, nei Paesi Bassi, che dà l’allarme: secondo gli autori della ricerca, restano solo cinque anni per salvare il Madagascar dal punto di non ritorno.

    “È assolutamente chiaro che ci sono mammiferi unici al mondo che si trovano solo in Madagascar, alcuni dei quali si sono già estinti o sono sull’orlo dell’estinzione”, afferma Steve Goodman del Museo Field di storia naturale di Chicago, co-autore dello studio guidato da Nathan Michielsen: “Se non si intraprende un’azione immediata, il Madagascar perderà 23 milioni di anni di storia evolutiva, il che significa che tante specie uniche sulla faccia della Terra non esisteranno più”.

    Il Madagascar è la quinta isola più grande del mondo, ma se pensiamo alla ricchezza di ecosistemi e biodiversità presenti è più simile ad un mini-continente: il suo isolamento ha infatti permesso a piante e animali di evolversi in maniere uniche, basti pensare che il 90% delle specie non si trova da nessun’altra parte. Una biodiversità costantemente minacciata fin da quando gli esseri umani si sono stabiliti in maniera permanente sull’isola, circa 2.500 anni fa: da allora, molte estinzioni sono già avvenute, comprese quelle dei lemuri giganti, degli uccelli-elefanti e degli ippopotami nani.

    Per quantificare il rischio corso dalla vita sull’isola, i ricercatori hanno messo insieme una quantità di dati senza precedenti, che descrivono le relazioni evolutive tra tutte le specie di mammiferi che erano presenti nel Madagascar al momento della colonizzazione, 249 in tutto. Utilizzando simulazioni al computer, gli autori dello studio sono riusciti a calcolare il tempo impiegato da questa biodiversità per evolversi ed il tempo che impiegherebbe l’evoluzione per ‘sostituire’ tutti i mammiferi in caso di estinzione. I risultati mostrano che 120 specie su 219 attualmente viventi sono vicine alla scomparsa. Per ricostruire la diversità degli animali già estinti ci vorranno 3 milioni di anni, ma molti di più, 23 milioni di anni, saranno necessari se si estinguessero anche quelli attuali. Un arco di tempo che ha sorpreso i ricercatori: “È molto di più di quello che studi precedenti hanno calcolato per altre isole – commenta Luis Valente, uno degli autori dello studio – come la Nuova Zelanda o i Caraibi”. Questo non vuol dire che, se i lemuri scomparissero, potrebbero tornare a popolare la Terra tra 23 milioni di anni: quello che lo studio evidenzia è il periodo necessario all’evoluzione per raggiungere di nuovo un simile livello di complessità, anche se le specie sarebbero del tutto nuove.

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