Governo

  • Centrosinistra e centrodestra: la grande truffa

    Il parco circolante di auto in Italia è rappresentato da autovetture di 12,8 anni ed una cilindrata media di 1.534 centimetri cubi, inoltre più del 50% delle autovetture ha poi una cilindrata compresa tra i 1300 e i 1600 cc.

    Nel nuovo decreto infrastrutture, che dovrebbe essere operativo dal 1°luglio 2025, il governo in carica ha deciso di introdurre nuovi parametri da applicare al pagamento dei pedaggi autostradali. Questi, infatti, verranno calcolati in base alle classi di emissioni dell’autovettura ed alle fasce orarie di utilizzo delle infrastrutture con l’obiettivo di “ottenere un decongestionamento della infrastruttura autostradale ed un vantaggio ambientale” (*). Di conseguenza, un lavoratore di reddito medio basso, proprietario di una Panda del 2012 euro 5, la quale emette tra i 99 e i 133 grammi di CO2/km, pagherà un pedaggio superiore rispetto all’attuale. A questo primo aumento del costo si aggiungerà anche un secondo in rapporto alla fascia oraria di utilizzo del tratto autostradale per il proprio trasferimento verso il luogo di lavoro, i cui orari, a forte congestione, risultano dettati non certo dal lavoratore.

    In altre parole, in perfetta sintonia con i governi precedenti, la attuale classe politica e governativa ancora una volta penalizza il lavoro ed i fattori di crescita economica e la stessa produzione di reddito espressione della sintesi di attività professionali, industriali e dei servizi le quali finalizzano gli orari all’aumento della propria produttività e della stessa qualità.

    Anche questo governo si allinea alle richieste ambientaliste imposte dall’Unione Europea e verso le quali viene confermato l’atteggiamento servile del governo in carica tipico delle maggioranze precedenti.

    Richieste che ha come unico obiettivo l’imposizione di uno stato nel quale i diritti vengano riconosciuti solo se aderenti ai precetti europei e nazionali ma i cui costi ricadranno, come in passato, sulle fasce dei lavoratori colpevoli solo di avere retribuzioni medio basse ed auto con parametri di emissione non in linea con il furore ambientalista.

    La truffa nasce proprio dalla constatazione che gli obiettivi del centro-sinistra come del centro-destra risultino sostanzialmente i medesimi, cioè relativi all’imposizione di uno stato il quale intende modificare i comportamenti dei cittadini persino nell’ambito professionale senza comprendere l’effetto potenziale con una frenata del PIL.

    L’unica differenza tra i due schieramenti è relativa alle modalità di conseguimento di questo stato etico, il quale assegna alla classe politica il potere assoluto.

    I governi di centro-sinistra, a cominciare da quello Prodi, che aumentò la tassazione delle auto in ragione della classe di emissione inferiore come espressione di una ideologia massimalista ambientalista che regna ora incontrastata in Europa.

    Al percorso ideologico espresso dai governi del centro-sinistra, i quali sostanzialmente hanno coperto le proprie lacune culturali in ambito economico e strategico con la propria cieca vis ideologica, indebolendo la domanda interna con il progressivo aumento della tassazione in nome di una maggiore tutela ambientale, fa riscontro quello ora adottato dal centro-destra.

    Questo si traduce nel semplice piacere nell’esercizio del potere finalizzato a rendere sempre più sudditi i propri cittadini, ma non più in virtù di una vis ideologica ma solo come espressione di poca competenza.

    Entrambi tuttavia dimostrano di non possedere nemmeno le basi minime sindacali in quanto viene invertito, per non dire azzerato, il principio della utilità marginale decrescente del denaro sulla base della quale viene applicata la progressività delle aliquote. Il risultato che ne consegue è assolutamente incredibile.

    Sulla base, infatti, di questa inversione del principio economico i contribuenti a basso reddito, e titolari di auto obsolete, pagheranno un servizio (pedaggio) ad un prezzo superiore rispetto a quello applicato ai contribuenti di fascia medio alta ma titolari di auto più recenti.

    Il centrodestra come il centrosinistra sospendono completamente ogni principio di equità fiscale ed inaugurano una nuova stagione nella quale viene applicato una tariffa per un determinato servizio applicando il principio inverso rispetto alla fascia di reddito appartenente. Ad un reddito inferiore, si ricorda che l’Italia è l’unico paese che negli ultimi 30 anni ha perso il potere d’acquisto rispetto alla crescita del +34% della Germania e +27% della Francia, e a ciò corrisponderà un maggior costo del servizio, drenando ancora una volta, come per le accise (**), risorse a sostegno della domanda interna e di conseguenza alla crescita del PIL.

    Questa nefasta deriva sociale è molto simile all’approccio della gallina spennata di Stalin, che esprime il principio sulla base del quale si toglie tutto ad un suddito rendendolo dipendente da una qualsiasi forma di elemosina statale. Che poi altro non è che il principio adottato da trent’anni nel nostro Paese, nel quale alla continua crescita della spesa pubblica e del debito corrisponde una diminuzione dei redditi disponibili.

    (*) https://www.investireoggi.it/pedaggi-2025-cosa-cambia-davvero-con-il-nuovo-decreto/

  • Faida africana a Tripoli: sterminati gli animali dello zoo

    Leoni, antilopi e specie protette sono stati uccisi a sangue freddo o trafugati nello zoo di Abu Salim, nel caos seguito ai recenti scontri armati nella capitale libica Tripoli. È quanto denunciato dal giornalista libico Amr Fathalla in una serie di post pubblicati sul social X, accompagnati da immagini che mostrano i resti di diversi animali uccisi nello zoo situato nel sobborgo meridionale di Tripoli, roccaforte dell’ex comandante dell’Autorità per il sostegno alla stabilizzazione (Ssa), Abdulghani al Kikli, noto come “Ghaniwa”, ucciso in un agguato nei giorni scorsi.

    Secondo Fathalla, “anche gli animali non sono stati risparmiati dalla violenza” scoppiata nella zona dopo la morte del leader miliziano. In un altro messaggio, il giornalista ha rivelato che esemplari di Ammotragus lervia – la pecora berbera o “oudad”, specie protetta e a rischio di estinzione – sarebbero stati rubati dallo zoo, macellati e venduti nel vicino mercato della carne del quartiere islamico. “Una barbarie inaccettabile”, scrive Fathalla, aggiungendo che si tratta di un crimine che va perseguito.

    L’ambasciata d’Austria in Libia ha rilanciato il contenuto della denuncia, accompagnandolo con la frase: “Ogni atto di crudeltà verso gli animali riduce la nostra umanità collettiva”. Al momento non è chiaro se le autorità locali abbiano avviato un’inchiesta sull’accaduto. Lo zoo di Abu Salim si trova in un’area che nei giorni scorsi è stata teatro di pesanti combattimenti tra milizie rivali e forze legate al Governo di unità nazionale (Gun) di Abdulhamid Dabaiba, contro il quale l’Est della Libia sta tentando la spallata finale. Qualche giorno dopo gli scontri nella capitale che hanno colpito anche gli animali dello zoo, il presidente della Camera dei rappresentanti di Bengasi, Aguila Saleh, vecchia volpe dell’agone politico libico e figura di spicco vicina a Khalifa Haftar, il generale che nel 2019 tentò di conquistare la capitale “manu militari”, ha dichiarato che è arrivato il momento per Dabaiba di lasciare il potere “volontariamente o con la forza”. Saleh ha definito il governo di Tripoli come “isolato e illegittimo”, già sfiduciato formalmente dal Parlamento nel 2021. La stampa della Libia orientale ha ventilato già qualche indiscrezione sui nomi per sostituire Dabaiba alla guida di un possibile nuovo governo. Emergono personalità come Salama Ibrahim al Ghweil, ex ministro degli Affari economici, Abdelbaset Mohamed, figura indipendente di Misurata, Abdelhakim Ali Ayu, già candidato alle presidenziali con posizioni vicine ad Haftar, Othman Adam al Basir, tecnocrate con esperienza internazionale in Canada, Ali Mohamed Sassi, politico emergente dalla Cirenaica, e Othman Abdeljalil, già ministro dell’Istruzione e ora della Sanità nel governo dell’est. Completano la lista Fadhel al Amin, esperto di sviluppo e già attivo nella diaspora, Mohamed al Mazoughi, figura di compromesso apprezzata trasversalmente, Mohamed Abdelatif al Muntasir, ex membro del Consiglio nazionale di transizione e imprenditore, Nasser Mohamed Weiss, tecnico poco noto ma apprezzato, e infine Issam Mohamed Bouzreiba, generale e ministro dell’Interno del governo orientale, vicino ad Haftar. Non tutti, però, sono d’accordo con la linea dura di Saleh. Un gruppo di 26 deputati della Cirenaica ha infatti espresso il proprio netto rifiuto alla formazione di un nuovo governo senza un accordo politico nazionale condiviso. In una dichiarazione congiunta, i parlamentari hanno ammonito sui rischi derivanti da “decisioni unilaterali” per la riuscita di progetti infrastrutturali e di sviluppo e per la tenuta della stabilità politica. Secondo questi deputati, ogni cambiamento governativo dovrebbe avvenire attraverso un “processo politico inclusivo e basato sul consenso nazionale”.

    La Brigata 444, vicina a Dabaiba, ha perlaltro rinvenuto una fossa comune non distante dallo zoo dve si è consumato l’eccidio di animali: ad Abu Salim, sobborgo meridionale di Tripoli sono stati trovati dieci corpi carbonizzati, tra cui quello di una giovane donna precedentemente rapita.

  • Sentenza della Corte di Cassazione

    Tutti sappiamo, o almeno ne abbiamo sentito parlare, della saggezza di re Salomone. Costui dovendo decidere, tra due donne che ne rivendicavano entrambe la maternità, a chi affidare un bambino, propose di tagliare l’infante a metà affinché tutti fossero soddisfatti. Naturalmente la vera madre dichiarò di preferire rinunciare al figlio piuttosto che causarne la morte. Così per Salomone fu evidente da che parte stesse la verità.

    La logica che l’antico sovrano applicò fu quella che noi oggi definiamo “intelligenza parallela” e cioè, anziché ricercare una soluzione tra leggi, codici e codicilli usò il semplice buonsenso e la vera intelligenza.

    La questione sembra porsi come esempio anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione che ha deciso che lo stato paghi un indennizzo ai migranti trattenuti per otto giorni su di una nave soccorso prima che questa ottenesse il permesso di attraccare ad un porto italiano.  Non vorrei qui, né potrei discutere nel merito strettamente giuridico della cosa, anche perché non sono a conoscenza dei dettagli della sentenza. Ciò che mi permetto, invece, di affermare è che, giuridicamente giusta o sbagliata quella sentenza, è ben difficile farla collimare con il buon senso e, a mio giudizio, con il senso ultimo della giustizia.

    Qualcuno ha recentemente ipotizzato che grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale anche la funzione dei giudici potrebbe diventare superflua: poiché tutte le leggi sono già scritte sembrerebbe sufficiente affidare il compito di emettere sentenze ad un computer che sicuramente (?) non sbaglierebbe.

    In realtà, un computer può pure essere dotato di una inarrivabile intelligenza logica ma mai, poiché non gli sarebbe possibile, potrebbe utilizzare anche il buon senso.

    Nel caso del processo in questione credo che proprio il buon senso e una intelligenza non aritmetica ci consiglierebbe di considerare anche questi fattori:

    1 – gli emigranti in questione non erano, a stretto rigore, dei naufraghi e le loro vite non erano più in pericolo. Infatti, la nave soccorritrice aveva già provveduto a salvarli e rifocillarli. Nel momento in cui si trovavano su quella nave essi erano solamente delle persone qualunque che cercavano di entrare, senza averne ottenuto preventivamente il permesso, in un Paese straniero che non li aveva richiesti né desiderava la loro presenza.

    2 – Il vero e proprio naufragio avvenne nelle acque libiche e tutte le persone in pericolo furono salvate da un rimorchiatore, il Vos Thalassa. Ricevuto quest’ultimo l’ordine delle autorità libiche di sbarcare in un loro porto nacque una ribellione violenta a bordo, cosa che costrinse il comandante a richiedere l’aiuto della nave italiana Diciotti. Quest’ultima dovette attraversare la zona di mare di competenza maltese e chiese l’autorizzazione allo sbarco in un loro porto, sicuramente “sicuro”. Tuttavia, le autorità dell’isola rifiutarono di lasciare attraccare la nave che si indirizzò così verso l’Italia. Il ministro Salvini autorizzò lo sbarco solo a condizione che i violenti fossero sottoposti a un processo ma la sua richiesta fu rifiutata.  I minori, e altre cinque persone considerate a rischio per la loro salute furono allora autorizzate a sbarcare e il comandante della nave fu invitato dalle autorità italiane competenti ad indirizzarsi verso altra destinazione sicura. Durante i sei giorni che, disubbidendo all’invito, il comandante rimase fermo in porto, la nave avrebbe potuto raggiungere qualunque altro porto del Mediterraneo, magari più volenteroso di accoglierli.

    3 – L’allora Ministro degli Interni venne subito iscritto nel registro degli indagati per il reato di sequestro aggravato di persona insieme a Matteo Piantedosi, all’epoca suo capo di Gabinetto. Il fascicolo venne poi trasferito al Tribunale dei ministri, che però ne chiese l’archiviazione. Il tribunale ordinario tuttavia non accolse la richiesta trasmettendo l’incartamento al Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro. A febbraio 2019, la giunta per le autorizzazioni – con i voti della maggioranza Lega-M5S – respinse la richiesta bloccando di fatto l’iter giudiziario. Oggi, invece, la decisione della Cassazione di accogliere il ricorso di 41 migranti e concedere il risarcimento danni (stimato da 42.000 a 72.000 euro a persona). Se è pur vero che la magistratura resta indipendente dagli altri poteri istituzionali, è altrettanto vero che scelte strettamente politiche non dovrebbero essere sindacate dai magistrati, salvo che dalla Corte Costituzionale.

    3 – il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa è indubbiamente un fenomeno epocale ma è chiaro a tutti che immigrazioni incontrollate e abusive sono foriere di forti disagi, se non peggio, per le popolazioni autoctone. È quindi facilmente intuibile il perché la maggioranza dei popoli europei cerchi di scoraggiarle. La scelta del governo italiano di impedire o almeno ritardare l’attracco di una nave con migranti clandestini a bordo fu una scelta politica con finalità deterrente. Tra l’altro, una scelta condivisa dalla stragrande maggioranza dei cittadini che, a suo tempo, avevano scelto i politici autori di quelle scelte.

    4 – Come ha correttamente detto la Presidente del Consiglio Meloni una sentenza come quella recentemente emessa dalla Cassazione costituisce un precedente che potrebbe portare migliaia di altri immigrati clandestini ad avanzare la stessa richiesta di indennizzo causando così un pesante potenziale grave vulnus ai bilanci dello Stato. Non va sottovalutato l’effetto di incoraggiamento che tale sentenza potrebbe costituire per altri milioni di persone che ambirebbero ad entrare in Italia, e quindi in Europa, senza averne alcun titolo o diritto.

    Non sono un giurista e quindi, come già detto, non intendo entrare nel merito legale ma se l’avvenimento riguardante Salomone, mito o realtà che fosse, un insegnamento doveva darci, sembra proprio che i giudici della Corte di Cassazione non ne abbiano tenuto conto.

    Purtroppo, mi nasce uno spiacevole sospetto: che la scelta fatta da quei magistrati rientri nel filone della guerra che il potere giudiziario ha intrapreso contro quello politico per la decisione di quest’ultimo (a mio avviso necessaria) di separare le carriere dei magistrati giudici da quelli inquirenti.

  • Almasri

    Penso, sperando di non sbagliare, che tutti vorremmo vivere in un mondo giusto dove il male, l’ingiustizia, sono sconfitti, un mondo abitato da persone che non fanno torto agli altri e rispettano i diritti umani.

    Purtroppo non è così, terroristi, criminali, dittatori, individui violenti in vari modi prevalgono sugli altri e minacce, fisiche ed economiche, condizionano la nostra vita, la vita dei singoli e la vita degli Stati.

    Vi sono situazioni, alcuni li chiamano giochi, che neppure immaginiamo e che spesso rendono, a noi comuni mortali, difficilmente comprensibili certe decisioni.

    In un viaggio in Cina, come co-Presidente del mio gruppo, un ministro, alle mie rimostranze per le troppe merci contraffatte e per il dumping praticato dal governo cinese, mi disse, con imperturbabile calma asiatica, che se non ci andava bene non era un problema per loro mandarci in Europa centomila e più cinesi.

    Voleva ovviamente farmi comprendere di non insistere più di tanto sul problema contraffazione salvo ritorsioni conseguenti.

    Tra gli Stati ci sono a volte situazioni che potremmo definire ricattatorie.

    Racconto questa esperienza per collegarmi al caso Almasri.

    Piace a molti creare una gran kermesse politico giornalistica su quanto è avvenuto con la liberazione di un personaggio che, più che essere sottoposto al giudizio della Corte internazionale, starebbe bene in un cimitero, ma non siamo nel far west e a regolare i conti dovrebbe essere una magistratura indipendente, capace e libera da condizionamenti.

    Sul caso Almasri vi sono molte domande senza risposta.

    Cosa ha impedito alla Corte internazionale di emettere un mandato di cattura mentre Almasri era in altri paesi europei, Regno Unito, Belgio, Germania?

    Come mai la richiesta d’arresto, nonostante Almasri fosse già stato monitorato, identificato e poi fermato in Germania, è avvenuta solo quando è arrivato in Italia?

    I servizi di intelligence italiani sono stati avvertiti in tempo utile per comunicare al Presidente del Consiglio, ed ai ministri competenti, quanto poteva accadere e poi è accaduto?

    I servizi addetti alla intelligence, dei vari Stati dell’Unione, è noto che dialogano molto poco e sembra evidente che i nostri servizi non dialogano abbastanza anche con i referenti politici e con le forze di polizia.

    Piaccia o non piaccia ad alcuni magistrati o all’opposizione, che se governasse obbedirebbe alle stesse necessità di stato dell’attuale governo, esistono  ragioni imposte dalla politica per Almasri come nel caso di Cecilia Sala ed altri.

    In Libia noi abbiamo interessi vitali per vari motivi, dal gas, senza il quale, dopo la guerra tra Russia ed Ucraina, avremmo gravi difficoltà per l’approvvigionamento energetico e per le conseguenze economiche, all’immigrazione, la Libia può invaderci di immigrati irregolari ed anche di terroristi o criminali, ricordiamo la minaccia cinese, all’obiettivo di continuare, in Italia, a non avere attacchi terroristici.

    A fronte di queste considerazioni, lasciamo perdere il volo di Stato perché solo chi è in mala fede può pensare di rimpatriare un soggetto come Almasri su un volo di linea, non si comprende perché l’iscrizione nel registro degli indagati, per Meloni e gli altri ministri, sia arrivata il giorno prima dell’audizione in Parlamento impedendo così che si svolgesse regolarmente.

    Almasri o non lo si cercava e non lo si arrestava, o si era costretti a rimpatriarlo, o a rischiare seriamente di subire le conseguenze della sua detenzione, in un film forse sarebbe spartito, ma noi siamo nella realtà.

    Moralmente è stata un operazione giusta? La moralità non c’entra, Almasri è un assassino, un violentatore, un aguzzino, mi auguro che Allah lo fulmini, che un vendicatore solitario faccia giustizia, e la realtà è che, purtroppo, la Corte penale, che non impedisce a Putin di andare dove gli pare, non ha gli strumenti per fare giustizia ed è o troppo lenta nelle sue richieste di arresto o è anche essa legata a tempistiche e giochi politici che ci lasciano perplessi.

  • L’illusione fiscale

    Tanto il governo Draghi quanto il governo Meloni hanno enfatizzato l’effetto economico della politica governativa la quale avrebbe destinato, a loro dire, 9/10 mld di risorse pubbliche nel taglio del cuneo fiscale. Esattamente come con il governo precedente i dati reali relativi all’impatto di questa strategia fiscale in relazione al reddito disponibile risultano controversi e per molti casi decisamente imbarazzanti.

    In termini generali queste manovre si dimostrano essenzialmente come una semplice operazione di natura politica e mediatica, in quanto non va dimenticato come ogni “riduzione del cuneo fiscale” viene accompagnata da una completa e radicale revisione delle tax expenditures.

    L’effetto combinato di tale rivisitazione fiscale si manifesta con la neutralizzazione degli effetti economici reali della riduzione del cuneo fiscale per le diverse fasce di reddito,  in più i vantaggi risultano risibili in rapporto alle dotazioni di finanza pubblica dichiarate. Soprattutto emerge evidente come questa grande operazione di “finanza pubblica” ad “esclusivo interesse dei lavoratori” alla fine si dimostra per lo Stato una semplice operazione a costo zero ma con un impatto mediatico ed elettorale molto forte.

    Nel frattempo, solo nel 2023, lo Stato italiano si è trovato maggiorata la propria dotazione finanziaria di oltre 24 miliardi grazie al Fiscal drag, alla quale va aggiunta una cifra molto simile (23 miliardi) proveniente dalla lotta all’evasione fiscale.

    Una semplice somma aritmetica dimostra come risultino quasi cinquanta (47 per la precisione) i miliardi di entrate extra alle quali andrebbero aggiunti anche i risparmi nei costi di servizio al debito pubblico conseguenti ai tassi di interesse decrescenti. Di questa dotazione finanziaria non si trova alcuna traccia all’interno delle leggi finanziarie del governo in carica.

    Tenendo comunque in conto come  una quota di tali risorse aggiuntive sia obbligatoriamente destinata al riequilibrio del rapporto debito/Pil come inevitabile conseguenza della approvazione del nuovo patto di stabilità, rimane ingiustificabile la continua crescita del debito pubblico (2981 miliardi) contemporaneamente all’aumento della spesa pubblica alla quale fa riscontro un continuo aumento della pressione fiscale.

    Viceversa, in rapporto ad una strategia fiscale che volesse riconoscere un immediato e verificabile ristoro per i lavoratori italiani, basterebbe considerare come un decimo di questa dotazione finanziaria aggiuntiva sarebbe stato sufficiente per mantenere lo sconto fiscale sulle accise dei carburanti. Questo, per cominciare, si sarebbe dimostrato un aiuto vitale soprattutto per le  fasce economiche più deboli, in considerazione anche del fatto che la cilindrata media in Italia delle automobili è di 1.524 cc, e quindi l’applicazione inversa del principio dell’utilità marginale decrescente  porterebbe un vantaggio immediato e tangibile per le fasce di reddito più basse.

    In più se per una volta un governo italiano intendesse adottare una politica assolutamente Innovativa e quindi anticipatrice delle problematiche anche solo per il breve termine, si potrebbe adottare. in previsione dell’aumento del 30% delle bollette energetiche nel 2025, la medesima riduzione dell’IVA dal 22 al 5% adottata  dal governo Draghi.

    Quella manovra ebbe un impatto sui conti dello Stato nel 2022 per circa 16 miliardi ma che ora invece  necessiterebbe di  risorse inferiori agli 8 miliardi in quanto il prezzo di riferimento del gas attuale, sul quale andrebbe calcolata la riduzione percentuale di 17 punti di IVA,  risulta inferiore del 55% rispetto a quello del 2022.

    Viceversa, si continua ad adottare la medesima politica della illusione fiscale.

  • La fuga dei cervelli: l’umiliazione della dignità nazionale

    I numeri rappresentano una realtà inequivocabile ed evidenziano, in considerazione di una totale omertà non solo politica ma anche mediatica, quali siano le priorità dell’intera classe politica e dirigente italiana nell’ultimo decennio in relazione ad una pandemia sociale che affligge le giovani generazioni. Basti ricordare, proprio a causa dell’abbandono del territorio italiano di molti laureati e diplomati, come siano 134 i miliardi, dal 2011 al 2023, calcolati come un semplice costo finanziario, oltre che umano, determinato dalla “fuga dei cervelli” che priva un paese del proprio futuro.

    In altri termini, un danno innanzitutto economico per oltre 8,4 miliardi all’anno che vale quasi tre volte l’aumento dei finanziamenti pubblici destinati al settore degli armamenti. Questo è il costo puramente economico per il Paese causato dalla fuga dei giovani che si sono formati all’interno del sistema dell’istruzione italiano, quindi finanziato da risorse pubbliche nazionali, e che ora vengono “regalati” a costo zero alle nazioni concorrenti le quali ringraziano sentitamente.

    In più, oltre al danno economico, che rappresenta una vera e propria beffa se si considera l’esportazione di talenti formati con risorse nazionali i cui benefici andranno a favore delle nazioni concorrenti, il Paese si trova a perdere quelle risorse umane che potrebbero permettere la sopravvivenza stessa della nazione nei decenni futuri non solo sotto il profilo demografico ma anche strategico.

    Un danno economico, comunque, di dimensioni epocali e pari ad oltre il 13% del debito pubblico creato nel medesimo arco temporale, cioè tra il 2011 ed il 2024 (cresciuto di quasi 1000 miliardi dai 1987 miliardi nel 2011 a 2984 miliardi del 2024). Ma anche considerando una semplice annualità il costo si dimostra superiore di oltre due volte rispetto a quanto lo Stato destini al sistema di accoglienza nella complessa gestione del fenomeno dell’immigrazione (3,5 miliardi) il quale, tuttavia, ottiene comunque dal sistema dei media una maggiore attenzione di quanta ne venga riservata all’esodo di intere generazioni che mina il futuro nel medio e lungo termine della nazione.

    Il semplice confronto tra le grandezze che i numeri esprimono dimostra le priorità dell’intera classe politica che ha guidato il nostro Paese negli ultimi anni e chiarisce come questo disastro economico, unito all’impoverimento sociale, risulti inequivocabilmente il frutto di una precisa strategia che si estrinseca in queste priorità e coinvolge l’intero panorama politico italiano.

    In altre parole, rimanendo la visione proiettata al massimo al prossimo appuntamento elettorale, questa indifferenza verso l’esodo giovanile da una parte evidenzia la volontà di sottovalutare il problema delle giovani generazioni e contemporaneamente esprime l’obiettivo di abbandonare, per colpevole inettitudine o dolosa volontà, il Paese ad un inevitabile declino politico, economico e sociale, minandone la propria sopravvivenza e con lei la sua stessa dignità nazionale.

  • Violenza di genere: il silenzio della politica

    Colpisce, di fronte alla spaventosa escalation di delitti contro le donne, dalle più anziane alle quasi bambine, la mancanza di un serio ragionamento politico e sociale non solo sulle cause ma sulle contromisure culturali e pratiche da adottare.

    Alcuni media dedicano al problema intere puntate ricche di opinionisti che, più o meno esperti in criminologia, sociologia od altro, si affannano a stigmatizzare quanto è noto da anni a tutti coloro che nella quotidianità vivono, non obnubilati dal politicamente corretto che implica, ormai da tempo, la giustificazione di qualunque tipo di comportamento e, lasciatemelo dire, di devianza.

    Avremmo immaginato, nella nostra ingenuità, che il governo, o magari autonomamente le singole forze politiche, le stesse parti sociali, iniziassero una capillare campagna pubblicitaria, manifesti, spot televisivi, radiofonici, sulla Rete, per mandare messaggi contro la violenza, messaggi educativi per il rispetto verso ogni essere vivente, ogni sesso, anche quello liquido…

    Avremmo immaginato che partissero fin dalle scuole elementari e forse, visto l’uso degli smartphone da parte dei più piccoli, anche dall’asilo, specifici insegnamenti contro la violenza, i rapporti scorretti, l’incapacità di accettare i no ed i divieti, accompagnati da quegli insegnamenti che aiutano alla comprensione ed al rispetto reciproco.

    Certo in una realtà dove la violenza verbale, spesso la menzogna e più spesso la controinformazione, fanno costantemente parte del confronto politico diventa difficile ottenere che si comincino ad usare strumenti culturali che invitino alla comprensione dell’altro e alla giusta severità verso figli, allievi, giovani ed adulti perché quando le persone, i giovani cominciano ad avere comportamenti scorretti sempre più spesso possono diventare manipolatori, violentatori, nelle parole e nelle azioni, e poi anche assassini.

    Certo è che la situazione è degenerata e la mancanza di una concreta e solerte iniziativa culturale ad ampio raggio porta sempre più a ritenere che siamo di fronte ad una classe politica, comprese le associazioni di categoria e tutti coloro che, a vario titolo, hanno voce nel Paese, completamente incapaci di affrontare i temi più tragici e pericolosi della nostra epoca.

    Molti anni fa in Guadalupe e Martinica, terre francesi metropolitane, contro la piaga della violenza contro le donne, dovuta all’abuso di alcool, vi erano ovunque manifesti, rivolti in molti casi anche agli adolescenti, per condannare la violenza, per invitare a non bere in modo smodato, insomma vi erano segnali che facevano comprendere come la politica non fosse indifferente e cercasse di mandare messaggi sociali e culturali.

    Oggi in Italia, tolta qualche dichiarazione post delitto e qualche programma di elencazione dei fatti, tutto tace il che la dice molto lunga sulla capacità di comprensione, da parte della politica, di questo terribile problema della violenza, una classe politica incapace anche di ragionare e confrontarsi sulla realtà di un sempre più evidente astensionismo, gli italiani, al di là delle percentuali di questo o quel partito, sanno che al momento non si possono aspettare di essere compresi ed aiutati.

  • In attesa di Giustizia: arrestateli!

    Forse non servivano ulteriori conferme di una esondazione della magistratura dai propri compiti istituzionali perimetrati dal principio costituzionale della separazione dei poteri e dalla guarentigia di indipendenza: potevano bastare, dopo le ragionevoli intuizioni maturate dai primi anni ’90, le confidenze di uno dei componenti del collegio della Cassazione (composto con modalità abnormi in pieno periodo feriale) che confermò, rigettando il ricorso, l’unica condanna di Silvio Berlusconi con la conseguente applicazione della “Legge Severino”, implicando la sua immediata decadenza da parlamentare.

    Se mai qualcuno avesse avuto dei dubbi sulle implicazioni, sottostanti alle affermazioni di quel giudice passato nel frattempo a miglior vita ed alla loro genuinità, il libro-intervista firmato da Sallusti e Palamara tra le tante ragioni di inquietudine rassegna il contenuto di una conversazione intercettata in cui, in sostanza, si dice che – seppur con imputazioni azzardate – Salvini va fermato ad ogni costo: la contiguità subalterna ad una parte politica è indiscutibile.

    La corrispondenza mail intercorsa tra magistrati, diciamo progressisti per evitare almeno qualche querela, che rappresenta la preoccupazione di trovare un metodo per “fermare” un Presidente del Consiglio senza scheletri nell’armadio segna, peraltro, uno dei momenti più bui della lunga notte della Repubblica.

    Il linguaggio impiegato nelle mail, pur correndo sul filo del rasoio, è attento ad evitare l’evidenza di un reato o dell’istigazione a commetterne uno: sono pur sempre magistrati e sanno come esprimersi, un po’ meno si possono definire servitori dello Stato, ma – senza neppure forzare troppo la mano – ce ne sarebbe abbastanza per iscrivere gli autori sul registro delle notizie di reato e approfondire in che modo si stia incitando i propri sodali a porre in essere attività volte a sovvertire l’ordine costituzionale per una volta tanto frutto del voto dei cittadini.

    Ce n’è di sicuro abbastanza per promuovere un disciplinare ma è improbabile che lo faccia il Procuratore Generale della Cassazione visto che uno dei più scalmanati è uno dei suoi colleghi di Ufficio; si può sempre confidare nel Ministro della Giustizia che, pare, abbia già interessato il C.S.M.

    Sarebbero tutti da arrestare ma non nel senso che intendono le Signorie Loro, tanto affezionate al tintinnare delle manette, ma in quello di arginare l’impunito strapotere di cui si stanno appropriando e nutrendo: se non ora, che l’indice di fiducia della magistratura segna i minimi storici, quando? C’è da temere mai.

    Servirebbero una politica diversa, che non si sia indebolita da sola modificando l’articolo 68 della Costituzione dopo averne abusato, e un Ordine Giudiziario che sappia sedere educatamente al tavolo delle istituzioni, stando al suo posto.

    Servirebbero dei pubblici funzionari, dunque anche tutti i rappresentanti eletti, che abbiano almeno letto una volta l’articolo 54 prendendo consapevolezza che le loro mansioni vanno svolte con disciplina e onore.

    E se qualcuno sembra che sia venuto meno ai propri doveri, si tenga pure lo stipendio purchè sia messo in condizione di non nuocere, se non altro fin quando le sue responsabilità non siano confermate o escluse: e fa specie – ma non poi così tanto – che il C.S.M. garantisca la poltrona a magistrati condannati già in primo grado…un po’ a seconda della corrente di appartenenza, questo è anche vero…mentre un sindaco rischia di essere destituito grazie alla Legge Severino solo perché ha autorizzato un ristorante alla realizzazione di una veranda sospettandosi un retrostante fatto corruttivo e prima ancora che siano concluse le indagini.

    Questioni di opportunità suggeriscono che i partecipanti ad una mailing list, chiaramente sovversiva, invece che sedere in Cassazione o in qualche ruolo di prestigio e potere, pur nel rispetto del principio di non colpevolezza, dovrebbero essere spediti velocemente ad ammortare cambiali nella sezione distaccata di Tribunale di Capracotta.

    E dire che fu proprio Davigo ad affermare che “i politici che delinquono vanno mandati a casa prima del giudizio definitivo”: perché i magistrati, no, allora, seguendo questo giacobino ragionamento? Non vale anche per costoro l’articolo 54? Forse no, o forse la presunzione di non colpevolezza per costoro è più intensa? E l’A.N.M. si faccia una ragione che l’Ordine Giudiziario non è più in grado di ammantarsi di quella cultura della giurisdizione rispetto alla quale, a troppi magistrati, manca l’alfabeto di base.

  • In Romagna piove sempre sul bagnato

    Il 2 e 3 maggio di quest’anno, 2024, ero a Faenza con l’onorevole Gerard Collins, già ministro irlandese e parlamentare europeo, e sua moglie Ilary, che da tempo voleva vedere la città dove aveva vissuto un suo antenato.

    Faenza si era faticosamente ma con grande determinazione rialzata dalla tragica alluvione del 2-3 maggio 2023, anche se ancora molti negozi rimanevano chiusi e si vedevano ancora le tracce di quello che era stato un autentico incubo. In edicola il settimanale faentino SetteSereQui aveva un titolo a caratteri cubitali ‘Tanti cantieri, pochi rimborsi’.

    In questi giorni, a distanza di quattro mesi, Faenza e la Romagna sono nuovamente sott’acqua, le polemiche imperversano, ma l’acqua, più veloce, ha di nuovo distrutto case, aziende, territorio. Nel maggio 2023 erano state coinvolte le aree di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini, Bologna, Ferrara: su un’area complessiva di oltre 800 chilometri quadrati e 7 province, si erano registrate 80 esondazioni, 80mila frane. Trentaseimila persone erano dovute sfollare.

    Ora, senza entrare nelle polemiche, vorremmo però risposte ad una semplice domanda: se qualcosa non ha funzionato, ed ovviamente non ha funzionato, ci sarà una responsabilità di qualcuno o assisteremo al solito scaricabarile reciproco?

    Io so che a Milano, almeno dal 1980, si è discusso molto sul problema e le soluzioni da prendere per il Seveso e il Lambro che ad ogni pioggia forte esondavano e, dal 1980, sono passati 44 anni, si sono susseguite giunte di diverso colore politico ma il risultato non è mutato: Lambro e Seveso ancora esondano e i cittadini subiscono.

    Non vorremmo che fosse la stessa cosa per la Romagna, così come per altre zone bersagliate da esondazioni e frane, non ultime le Marche.

    Ci dovrebbe essere qualcuno in grado di superare gli impasse burocratici e che, conoscendo i territori, possa intervenire con tempestività e decisioni utili.

    Purtroppo non ci sembra che questo qualcuno ci sia stato e ci sia per l’alluvione in Romagna e siamo tristemente consapevoli che la politica sembra non aver capito che ci sono emergenze che non possono essere risolte aspettando degli anni ma che occorrono interventi rapidi e mirati, compresi gli interventi che servono a risarcire, almeno economicamente, tutti coloro che hanno visto distrutte le loro case e ‘annegati’ i loro risparmi e sacrifici.

  • Il minimo Stato

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Quale “sottile” senso di inadeguatezza istituzionale emerge nell’assistere al dibattito politico contemporaneo all’ennesima catastrofe.

    L’Emilia Romagna è stata ancora una volta colpita da un ennesimo disastro ambientale generato da una alluvione e le cause sono già fonte di polemica tra i diversi schieramenti politici.

    Come spesso succede nel nostro Paese, applicando il semplice principio della logica, la responsabilità andrebbe equamente divisa tra gli enti locali e lo Stato centrale. Ad ogni livello istituzionale, nel 2023, invece di collaborare per avviare una procedura d’urgenza (proprio in considerazione dei medesimi avvenimenti dello scorso anno) con l’obiettivo di raggiungere una messa in sicurezza dei fiumi liberandoli dai detriti accomunati da decenni di ideologico abbandono, si sta combattendo dalle reciproche posizioni politiche ed ideologiche una battaglia ancora una volta sulla pelle degli alluvionati.

    Il rimpallo delle responsabilità dimostra il livello culturale e di sensibilità espressi dell’intera classe politica italiana, che vede un ex presidente della Regione accusare da Strasburgo il governo in carica ed il governo che scarica ogni responsabilità sulla gestione regionale dei finanziamenti indirizzati alle problematiche territoriali.

    In questo contesto miserevole sia sotto profilo etico che culturale, tuttavia emerge una figura nuova ed assolutamente di livello “superiore” in rapporto al contesto.

    Seppure si sia ancora all’interno di una crisi i cui effetti sono ad oggi difficili da quantificare, ecco il ministro Musumeci affermare come nella sua visione consideri inevitabile rendere obbligatoria una assicurazione per gli edifici contro gli eventi atmosferici e soprattutto i danni da questi creati.

    In altre parole, lo Stato privatizzerebbe le conseguenze economiche ed ambientali causate anche, ma non solo, dalla propria incompetenza ed inefficienza operativa, in quanto emerge evidente il rapporto tra i ritardi burocratici che caratterizzano ogni messa in sicurezza del territorio in qualsiasi regione italiana e le terribili conseguenze anche in termini di vite umane. E soprattutto si libererebbe dall’onere dei costi generati dalla propria inefficienza e dei danni subiti dalla popolazione in rapporto all’evento straordinario.

    In questo contesto quindi, risulta molto difficile definire il livello istituzionale rappresentato da un ministro la cui attività è unicamente finalizzata a sollevare lo Stato da ogni propria responsabilità, così da rendere ogni iniziativa istituzionale (comunale, regionale e statale) operativa sul territorio assolutamente svincolata da ogni responsabilità, proprio in ragione dell’assicurazione o meglio del suo obbligo.

    In buona sostanza, questo ministro ha trovato il modo vergognoso di liberare tutti gli enti pubblici dalle conseguenze economiche delle proprie scelte di politica infrastrutturale che troppo spesso causano le condizioni per simili catastrofi, ma soprattutto esenta lo Stato dalle conseguenze dei propri ritardi ed omissioni che ancor più determinano il vero abbandono del territorio e che accrescono a livello esponenziale gli effetti degli eventi meteorologici.

    Mai era stato raggiunto un livello istituzionale così mediocre da un rappresentante delle istituzioni che invece di tutelare il territorio cerca di liberare lo Stato da ogni tipo di responsabilità.

    Lo Stato interpretato da simili figure politiche si avvia verso la sua minima caratura istituzionale.

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