guerra

  • Nulla di certo tra Russia e Ucraina

    L’unica notizia certa, riguardo ad un cessate il fuoco tra Russia ed Ucraina, è che non vi è nulla di certo salvo i continui attacchi, sempre più virulenti contro i civili, dell’esercito dello zar.

    Il presidente ucraino continua, nonostante gli attacchi e le giravolte di Putin, a dare la totale disponibilità ad un periodo di tregua che possa essere prodromo ad una pace giusta e duratura mentre Putin continua a negare la tregua sostenendo che prima bisogna trovare un accordo.

    L’accordo cioè, secondo Putin, andrebbe fatto mentre cadono bombe e missili e le persone, civili e soldati, continuano ad essere uccisi in mezzo a devastanti e devastate macerie.

    Difficile, per i comuni mortali, immaginare di poter parlare di pace in questa realtà, ma comunque, nonostante la lunga telefonata con Trump, lunga anche per via delle traduzioni reciproche, lo zar non ha indicato né possibili date né ipotetici luoghi, siamo sempre ad dialogo nebuloso.

    Ancora una volta Trump, di fronte a Putin, non ha la volontà di prendere una posizione decisa, tutto il resto sono parole e più o meno buone intenzioni, da parte europea, che al momento rimangono proprio indicazioni di principio e di buoni intenti.

    Papa Leone XIV ha riacceso nuove speranze ma il silenzio di Kirill, il socio d’affari e di guerra di Putin, la dice lunga e non vorremmo che le esternazioni trumpiane, i suoi spregiudicati azzardi e le sue estemporanee dichiarazioni, anche sulla Santa Sede, portassero a nuovi problemi o a sminuire la portata di quanto il Papa sta facendo, nei suoi primi giorni di pontificato, sia nei riguardi dell’Ucraina che di Gaza.

  • Faida africana a Tripoli: sterminati gli animali dello zoo

    Leoni, antilopi e specie protette sono stati uccisi a sangue freddo o trafugati nello zoo di Abu Salim, nel caos seguito ai recenti scontri armati nella capitale libica Tripoli. È quanto denunciato dal giornalista libico Amr Fathalla in una serie di post pubblicati sul social X, accompagnati da immagini che mostrano i resti di diversi animali uccisi nello zoo situato nel sobborgo meridionale di Tripoli, roccaforte dell’ex comandante dell’Autorità per il sostegno alla stabilizzazione (Ssa), Abdulghani al Kikli, noto come “Ghaniwa”, ucciso in un agguato nei giorni scorsi.

    Secondo Fathalla, “anche gli animali non sono stati risparmiati dalla violenza” scoppiata nella zona dopo la morte del leader miliziano. In un altro messaggio, il giornalista ha rivelato che esemplari di Ammotragus lervia – la pecora berbera o “oudad”, specie protetta e a rischio di estinzione – sarebbero stati rubati dallo zoo, macellati e venduti nel vicino mercato della carne del quartiere islamico. “Una barbarie inaccettabile”, scrive Fathalla, aggiungendo che si tratta di un crimine che va perseguito.

    L’ambasciata d’Austria in Libia ha rilanciato il contenuto della denuncia, accompagnandolo con la frase: “Ogni atto di crudeltà verso gli animali riduce la nostra umanità collettiva”. Al momento non è chiaro se le autorità locali abbiano avviato un’inchiesta sull’accaduto. Lo zoo di Abu Salim si trova in un’area che nei giorni scorsi è stata teatro di pesanti combattimenti tra milizie rivali e forze legate al Governo di unità nazionale (Gun) di Abdulhamid Dabaiba, contro il quale l’Est della Libia sta tentando la spallata finale. Qualche giorno dopo gli scontri nella capitale che hanno colpito anche gli animali dello zoo, il presidente della Camera dei rappresentanti di Bengasi, Aguila Saleh, vecchia volpe dell’agone politico libico e figura di spicco vicina a Khalifa Haftar, il generale che nel 2019 tentò di conquistare la capitale “manu militari”, ha dichiarato che è arrivato il momento per Dabaiba di lasciare il potere “volontariamente o con la forza”. Saleh ha definito il governo di Tripoli come “isolato e illegittimo”, già sfiduciato formalmente dal Parlamento nel 2021. La stampa della Libia orientale ha ventilato già qualche indiscrezione sui nomi per sostituire Dabaiba alla guida di un possibile nuovo governo. Emergono personalità come Salama Ibrahim al Ghweil, ex ministro degli Affari economici, Abdelbaset Mohamed, figura indipendente di Misurata, Abdelhakim Ali Ayu, già candidato alle presidenziali con posizioni vicine ad Haftar, Othman Adam al Basir, tecnocrate con esperienza internazionale in Canada, Ali Mohamed Sassi, politico emergente dalla Cirenaica, e Othman Abdeljalil, già ministro dell’Istruzione e ora della Sanità nel governo dell’est. Completano la lista Fadhel al Amin, esperto di sviluppo e già attivo nella diaspora, Mohamed al Mazoughi, figura di compromesso apprezzata trasversalmente, Mohamed Abdelatif al Muntasir, ex membro del Consiglio nazionale di transizione e imprenditore, Nasser Mohamed Weiss, tecnico poco noto ma apprezzato, e infine Issam Mohamed Bouzreiba, generale e ministro dell’Interno del governo orientale, vicino ad Haftar. Non tutti, però, sono d’accordo con la linea dura di Saleh. Un gruppo di 26 deputati della Cirenaica ha infatti espresso il proprio netto rifiuto alla formazione di un nuovo governo senza un accordo politico nazionale condiviso. In una dichiarazione congiunta, i parlamentari hanno ammonito sui rischi derivanti da “decisioni unilaterali” per la riuscita di progetti infrastrutturali e di sviluppo e per la tenuta della stabilità politica. Secondo questi deputati, ogni cambiamento governativo dovrebbe avvenire attraverso un “processo politico inclusivo e basato sul consenso nazionale”.

    La Brigata 444, vicina a Dabaiba, ha perlaltro rinvenuto una fossa comune non distante dallo zoo dve si è consumato l’eccidio di animali: ad Abu Salim, sobborgo meridionale di Tripoli sono stati trovati dieci corpi carbonizzati, tra cui quello di una giovane donna precedentemente rapita.

  • Etica e politica

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta

    Non è indispensabile ricorrere a Machiavelli per affrontare il tema del rapporto tra etica e politica. Molti ne scrissero nei secoli precedenti, a volte con un po’ d’ipocrisia, ma Tucidide cinicamente e francamente ci lasciò qualcosa che resta da sempre una verità: “I forti fanno ciò che possono e i deboli soffrono ciò che devono”. Per quanto amara e sconfortante possa suonare tale affermazione occorre prenderne atto e non illuderci che la realtà sia diversa da così o che la volontà ottimista la possa cambiare.

    Da tutti i tempi le varie politiche nazionali e soprattutto la politica internazionale seguono questa logica ed è giusto che sia così. La geopolitica ha un solo obiettivo: l’interesse nazionale. Pensare diversamente non solo è inutile, è addirittura controproduttivo. Invocare la moralità nei rapporti tra Stati è utile in tempo di pace ai fini di mantenere rapporti diplomatici e culturali tra i vari popoli coinvolti ma, in tempi di confronto o addirittura di guerra, è funzionale solo alla propaganda delle parti. Certamente, l’essere umano a cui si fa rischiare la propria vita ha bisogno di una giustificazione “superiore” per essere convinto a farlo e mai ci fu una guerra in cui un esercito attaccò un altro per dichiarati motivi egoistici o soltanto materiali. Un approccio moralistico è giudicato necessario per portare interi popoli a subire, o infliggere, le distruzioni che accompagnano ogni atto bellico. Perfino il cosiddetto “diritto internazionale” è una pura finzione che viene usata dagli uni contro gli altri secondo le convenienze. Quando noi critichiamo la Russia per averlo violato con la sua invasione dell’Ucraina, dimentichiamo che noi “Occidentali” facemmo la stessa cosa invadendo la Serbia, l’Irak e la Libia. Naturalmente, in questi casi le ragioni “morali” usate furono altre ma altrettanto faziose e addirittura inventate quali le (false) motivazioni umanitarie nel primo caso, inesistenti “armi di distruzione di massa” nel secondo e l’aiuto ai ribelli contro il potere costituito che li massacrava (in realtà si trattò di una guerra civile innescata da potenze straniere – vedi Francia, GB e USA – contro Gheddafi) nel terzo. Gli esempi di tal fatta sarebbero numerosi ma basterebbe ricordare che all’inizio del ‘900 l’invasione di eserciti europei, americani, giapponesi e russi in Cina fu anche allora giustificata con l’appello al “diritto internazionale”. Qualcuno ricorderà quali stragi efferate si commisero allora contro la popolazione cinese che voleva soltanto sottrarsi al colonialismo economico straniero (e all’invadenza dei missionari cristiani contro la secolare cultura locale).

    Il problema del vero iato tra le ragioni morali e quelle politiche diventa ancora più evidente quando le motivazioni morali cui ci si riferisce sono diverse e spesso contrapposte tra i vari contendenti. Dalla seconda guerra mondiale in poi i vincitori occidentali invocarono le ragioni delle “democrazie” contro i sistemi “autoritari” dimenticando però che per attaccare la dittatura nazista che voleva occupare altre nazioni non si esitò ad allearsi con la dittatura sovietica. Anche la “guerra fredda” fu poi basata su due contrapposte visioni del mondo e ognuna delle due parti sosteneva di battersi per la maggiore libertà dei popoli contro, da un lato, “l’oppressione capitalista” e, dall’altro, la violazione delle “libertà individuali”. Ognuno non solo diffondeva al proprio interno le proprie “ragioni morali” ma cercava anche di convertire l’altra parte. In effetti ci furono anche in Unione Sovietica dei difensori (perseguitati) della liberal democrazia, così come da noi ci furono seguaci del marxismo-leninismo e perfino dello stalinismo. La realtà fu che non si trattava, se non per pura propaganda, di difendere certi valori ma di semplice concetto geopolitico mirante alla conquista della supremazia mondiale. Alla barba dei “valori” propugnati, quando Churchill andò a Mosca nell’agosto del 1942 si accordò con Stalin sulla percentuale di interferenza che Gran Bretagna e Russia avrebbero potuto rispettivamente esercitare sui futuri Stati europei e, nel successivo incontro di Yalta, Roosevelt chiese semplicemente che non si parlasse di “percentuali” ma la sostanza rimase la stessa. L’atteggiamento della NATO durante i fatti di Budapest del 1956 e di Praga del 1968 dimostrarono che l’accordo teneva. Si fu frequentemente sull’orlo di una vera guerra ma, fortunatamente per tutto il tempo, essa rimase “fredda”.

    Le nazioni cercano sempre la loro propria prosperità e temono le minacce ad essa e sono questi due imperativi a determinare le azioni dei vari governi. Che i tanti leader mondiali ne siano consapevoli è importante, indipendentemente da ciò che dicono ai rispettivi pubblici perché, se anch’essi credessero veramente a ciò che è predicato a gran voce alle masse come “valore”, non avremmo a che fare con dei politici bensì con dei fanatici che potrebbero diventare pericolosi.

    E’ bene ricordare tutto ciò a chi crede ingenuamente che la guerra in atto in Ucraina sia davvero per la “difesa della democrazia” e che lasciare che la Russia possa vincere diventi una “sconfitta morale”. Chi ha buon senso ed è realista sa che le ragioni politiche stanno sempre dietro le motivazioni ufficialmente addotte e che oggi con Mosca un accomodamento non solo è preferibile, ma addirittura giusto.

  • Forum UE-Ucraina sull’industria della difesa: rafforzamento dei legami nel contesto degli sforzi bellici

    Il 12 maggio si è tenuto a Bruxelles il secondo forum UE-Ucraina sull’industria della difesa per rafforzare la cooperazione e l’integrazione tra le industrie della difesa ucraina e dell’UE. Oltre 500 rappresentanti delle industrie della difesa dell’UE e dell’Ucraina si sono riuniti per rafforzare la cooperazione tra le due parti, incoraggiare gli appalti congiunti e aiutare l’Ucraina ad acquisire capacità nei settori prioritari. Un’industria della difesa forte e capace è fondamentale per mettere l’Ucraina in una posizione di forza per difendersi e scoraggiare eventuali aggressioni future.

    A margine del forum, si è riunita per la prima volta anche una task force UE-Ucraina sulla cooperazione industriale nel settore della difesa, recentemente annunciata, che apre la strada a potenziali progetti faro tra le due industrie. In occasione del forum, l’Ucraina e l’Associazione europea delle industrie aerospaziali e della difesa (ASD) hanno inoltre firmato un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione industriale nel settore della difesa. Le iniziative sono concepite per attrarre maggiori investimenti dell’UE nel settore ucraino della difesa e approfondire i legami industriali tra le due parti.

  • Coalizione internazionale approva l’istituzione del tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina

    In occasione della Giornata dell’Europa, la Commissione, rappresentata dal Commissario Michael McGrath e dall’Alta rappresentante Kaja Kallas, il Consiglio d’Europa, il Primo Ministro ucraino Denys Shmyhal e i rappresentanti di una coalizione internazionale di Stati si sono riuniti a Leopoli per approvare formalmente l’istituzione di un tribunale speciale per il crimine di aggressione contro l’Ucraina. Tutti i partecipanti, come riportato nella dichiarazione di Leopoli adottata, hanno accolto con favore il completamento dei lavori preparatori necessari per l’istituzione di un tribunale speciale in seno al Consiglio d’Europa, impegnandosi a istituire il tribunale speciale, ad avviarne rapidamente le attività e a sostenerlo nei suoi lavori.

    Il tribunale avrà il potere di indagare, perseguire e processare i leader politici e militari russi, che hanno la maggiore responsabilità per il crimine di aggressione contro l’Ucraina.

  • Sudan cuts ties with UAE over alleged paramilitary support

    Sudan has cut diplomatic ties with the United Arab Emirates (UAE), after repeatedly accusing the Gulf nation of backing the rival Rapid Support Forces (RSF) in the country’s civil war.

    The announcement came as the RSF were blamed for attacks on the usually safe city of Port Sudan, which started on Sunday and have continued until Wednesday.

    On Tuesday, Sudan’s Defence Minister Yassin Ibrahim accused the UAE of violating his country’s sovereignty through its “proxy”, the RSF.

    The UAE has repeatedly denied allegations that it is giving financial, military and political support to the paramilitary force.

    Two years of conflict has killed thousands, forced millions from their homes and created the world’s worst humanitarian crisis.

    As a result of the defence minister’s announcement, the Sudanese ambassador will be withdrawn from the UAE and Sudan will shut its diplomatic missions in the Gulf nation.

    Since Sunday, drone strikes have hit an international airport, a major power station and a hotel in Port Sudan. The army has accused the RSF of being behind the assault, but the paramilitary group is yet to comment.

    On Wednesday the Sudanese army said it had foiled a strike on the country’s biggest naval base.

    “They [the drones] were met with anti-aircraft missiles,” an unnamed source told the AFP news agency.

    Until now, Port Sudan had avoided bombardment and was regarded as one of the safest places in the war-ravaged nation.

    Sudan’s army has often accused the UAE of arming the RSF.

    Both the UK and the US have singled out the UAE in separate appeals for outside countries to stop backing Sudan’s warring parties.

    However, on Monday, the UN’s top court dismissed Sudan’s case against the UAE, in which it accused the Gulf state of complicity in genocide.

    The International Court of Justice in The Hague ruled that the case could not proceed because the UAE had opted out Article 9 of the Genocide Convention, which means that it cannot be sued by other states over genocide allegations.

    Reem Ketait, the UAE’s deputy assistant minister for political affairs, said the court’s decision was “clear and decisive”.

    “The international community must focus urgently on ending this devastating war and supporting the Sudanese people, and it must demand humanitarian aid reaches all those in need,” she said.

    Both the army and RSF have been accused of war crimes.

    Additional reporting by Cecilia Macaulay

  • Guerra e inquinamento

    Su Putin e la sua sciagurata guerra contro l’Ucraina abbiamo scritto, come tanti, in più occasioni e l’intensificarsi degli attacchi contro i civili, con decine di morti e feriti, avvenuti negli ultimi giorni è l’ennesima riprova della sua spregiudicata crudeltà e del poco valore che dà alle richieste di tregua.

    C’è però un aspetto di questa guerra che è meno attenzionato anche se particolarmente grave per le conseguenze presenti e future.

    Nei primi tre anni di guerra bombe, missili ad alto potenziale, esplosivi di ogni tipo, milioni di proiettili, droni e quant’altro e lo spaventoso quantitativo di macerie, ci sono intere città distrutte, delle quali molte con componenti pericolosi, hanno, grazie a Putin, dato un’altra terribile spinta al progredire dell’inquinamento più tossico, per non parlare dei mezzi militari distrutti ed anch’essi da smaltire.

    Grandi, immense quantità di terreno, quello che prima era il granaio del mondo, è in gran parte ormai perso per anni all’agricoltura, e le foreste bruciate potrebbero anche influire sui cambiamenti, in alcune zone, del clima.

    Si parla ad esempio, e sempre per approssimazione in difetto, di 230 milioni di tonnellate di carbonio nei più di tre anni di guerra.

    Putin anche prima della guerra non aveva certo attenzione alla necessità mondiale di ridurre l’inquinamento infatti, durante il suo regime, le emissioni di gas serra sono aumentate del 23% mentre nell’Unione Europea erano diminuite del 30, ma ora la sua irrazionale e crudele fame di potere e conquista ha portato ad una situazione gravemente pericolosa per tutti perché i venti e le piogge non conoscono confini e portano ovunque i veleni che Putin ha disseminato in Ucraina.

    Putin è un pericolo per il mondo e anche questo aspetto Trump continua a non comprendere obnubilato da una sete di potere che lo accumuna ai dittatori come Putin e Xi Jinping, altro criminale ambientale, come ricordava Papa Francesco “nessuno si salva da solo” e noi ricordiamo che tutti paghiamo e pagheremo le conseguenze dei crimini altrui se non cerchiamo di impedirli.

  • Necessarie iniziative

    Mentre ogni giorno Putin fa nuove vittime in Ucraina colpendo con i suoi missili e droni, indiscriminatamente, civili, abitazioni, chiese, scuole, ospedali e centrali energetiche, Trump continua a temporeggiare, ormai consapevole che la pace non potrà ottenerla se non cedendo a tutte le ingiuste richieste dello zar, condannando l’Ucraina ma anche l’Europa ed il diritto internazionale.

    Intanto, giustamente e nuovamente, Zelensky invita il Presidente americano ad andare in Ucraina per rendersi conto di persona della realtà della situazione è delle sofferenze che con coraggio il popolo ucraino sopporta da tre anni continuando a difendere la propria patria  dalla violenza dell’aggressore.

    Ma Trump tace, non risponde all’invito, in alcune dichiarazioni dà la colpa della guerra alla stessa Ucraina, salvo poi smentirsi ma confermando comunque la sua poca simpatia per il Presidente ucraino, il che la dice lunga sul suo atteggiamento ma è evidente che avendo più che simpatia per Putin non può averla per Zelensky.

    L’Europa, o almeno alcuni paesi  del continente, in primis Francia e Regno Unito, si stanno rendendo sempre più attivi per riunire un gruppo di stati che si impegnino per dare all’Ucraina la copertura necessaria, ma l’assenza, l’indifferenza, non vogliamo pensarlo, l’ostilità di Trump, ed i suoi interessi politici ed economici, sono un ostacolo  considerevole. Per questo occorre la forza di fare noi tutti, politici, cittadini, mass media, in ogni campo, pressioni sul presidente americano per ottenere o che vada a vedere con i suoi occhi i massacri fatti da Putin o si decida subito a non dare più credito allo zar e prenda le necessarie iniziative a fermare il massacro.

  • Le armi riavvicinano Ue e Uk, Londra pronta a spedire soldati in Ucraina

    Mentre medita di mandare i suoi soldati in Ucraina, Londra potrebbe essere cooptata dalla Ue nei suoi programmi industriali di difesa.

    La “turbolenza globale innescata dal presidente statunitense, Donald Trump, sta rafforzando la determinazione dell’Unione europea a firmare un patto di difesa e sicurezza strategico con il Regno Unito, che consentirebbe alle aziende britanniche del settore bellico di partecipare agli appalti congiunti europei”, ha scritto il quotidiano “Financial Times”, riferendo che “le minacce di Trump di non difendere gli alleati della Nato e i suoi ammiccamenti alla Russia hanno spinto i Paesi europei a riarmarsi collettivamente, ad aumentare la spesa militare e a discutere su come unire le capacità per proteggere al meglio l’Ucraina in caso di un accordo di pace mediato dagli Stati Uniti”. “Sulla difesa, i britannici sono praticamente tornati sotto il nostro tetto”, ha dichiarato un diplomatico Ue al quotidiano, aggiungendo: “Ora serve solo questo accordo per formalizzarlo”.

    Secondo il “Financial Times” il patto sarebbe anche condizione necessaria per l’inclusione del Regno Unito nel programma da 150 miliardi di euro destinato agli acquisti congiunti di armi strategiche e consentirebbe alle aziende britanniche del settore, molte delle quali già strettamente legate ai partner industriali di Italia, Germania, Svezia e altri Stati Ue, di partecipare pienamente. Nonostante le tensioni con la Francia sul tema pesca, Bruxelles e Londra sono spinte dalla necessità di una cooperazione rafforzata contro le minacce globali. Secondo fonti diplomatiche del quotidiano, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa sosterrebbero entrambi un rafforzamento della cooperazione con il Regno Unito.

    Nel frattempo il Regno Unito sta valutando la possibilità di schierare truppe in Ucraina per un periodo di cinque anni. Secondo quanto rivelano alcune fonti del quotidiano “The Telegraph”, l’obiettivo sarebbe addestrare e ricostruire le Forze armate ucraine per prevenire una futura aggressione da parte della Russia. Il piano, discusso con Francia e altri alleati nell’ambito della “Coalizione dei volenterosi”, prevede una forza a guida europea incaricata inizialmente di garantire il rispetto di un eventuale accordo di pace e dare sollievo alle forze ucraine. Secondo fonti del quotidiano, i delegati militari francesi ritengono altamente improbabile che il presidente russo Vladimir Putin possa autorizzare un nuovo attacco in presenza di truppe occidentali in Ucraina, considerando che le sue forze attualmente riescono a conquistare solo piccole porzioni di territorio.

    Il piano, secondo le fonti del “Telegraph”, prevede inoltre che la “forza di rassicurazione” a guida franco-britannica possa contribuire a proteggere i cieli e i mari dell’Ucraina. Tuttavia, l’obiettivo principale del dispiegamento sarebbe iniziare immediatamente l’addestramento e la ricostruzione delle Forze armate ucraine, per scoraggiare qualsiasi futura aggressione russa. Il ritiro avverrebbe poi in diverse fasi, con le ultime truppe che dovrebbero lasciare l’Ucraina entro circa cinque anni. Secondo i servizi d’intelligence britannico, danese e tedesco, la Russia potrebbe essere pronta a dare il via a una nuova aggressione già entro cinque anni qualora venisse siglato entro breve un accordo di pace.

    Gli armamenti inviati dalla Germania alle Forze armate ucraine – in particolare il sistema di difesa aerea Iris-T e i carri armati da combattimento – “non sarebbero del tutto adatti alla guerra”. E’ quanto riferiscono alcuni media tedeschi che citano un rapporto interno trasmesso alle Forze armate tedesche (Bundeswehr) redatto dal vice addetto militare dell’ambasciata tedesca a Kiev. “Quasi nessun pezzo dell’equipaggiamento tedesco di grandi dimensioni è completamente adatto alla guerra”, avrebbe dichiarato l’addetto militare. Secondo il rapporto, ad esempio, “il Leopard 1A5 è affidabile”, ma “a causa della sua debole corazza, viene spesso utilizzato solo come mezzo d’artiglieria improvvisato”.

  • Domenica delle Palme: un’altra strage di Putin nel colpevole silenzio di Trump

    Trump ha ottenuto un evidente risultato con i colloqui con Putin: intensificare in modo esponenziale l’attacco russo contro l’Ucraina con la conseguente morte di decine e decine di civili, tra i quali molti bambini, e il ferimento di molte altre decine di persone inermi ed ancora la distruzione di molte strutture e civili abitazioni.

    Ottimo risultato quello del presidente americano, che in campagna elettorale blaterava di poter fare finire la guerra in un giorno e che da quando è presidente ha creato una serie di danni epocali all’economia e reso ancora più drammatica e insanguinata la guerra in Ucraina.

    Solo in un giorno, la domenica delle Palme, i russi hanno fatto a Sumy, una città ucraina, circa quaranta morti, salvo aggiornamenti che potrebbero far aumentare il numero delle vittime, tra le quali anche bambini per non parlare delle decine di feriti.

    Fino a quando il presidente americano continuerà a parlare senza concludere, quando capirà che ora, non domani, è il momento di prendere decisioni serie, drastiche, per aiutare il popolo ucraino e che Putin è un nemico delle libertà, della democrazia, del diritto e delle regole?

    O forse continuerà ad essere obnubilato dalla sua simpatia per Putin e da una miope visione economica che lo ha già portato, salvo fare in parte marcia indietro, a colpire il suo maggior alleato occidentale, l’Europa?

    Mentre il primo ministro inglese e vari leader europei, denunciando la barbarie dello zar russo, si spendono per cercare di dare al presidente ucraino il maggior sostegno possibile Trump continua a tacere, un silenzio sempre più colpevole.

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