Italia

  • Quei naviganti italiani, così coraggiosi (e un po’ folli)

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Franco Maestrelli apparso su ‘Destra.it’ il 30 ottobre 2025

    Chissà quanti turisti italiani, e magari anche liguri, che ogni anno passano le vacanze alle Canarie sanno che l’isola più settentrionale dell’arcipelago, Lanzarote, deve il suo nome al navigatore nativo di Varazze o di Celle Lanzarotto Malocello sbarcatovi nel 1312. E chissà quanti buongustai che apprezzano il baccalà alla vicentina o mantecato veneziano sanno che lo “stocfisi” ovvero lo stoccafisso fu portato in Laguna dal patrizio Pietro Querini che nel 1432 con la sua “cocca” chiamata La Querina naufragò su uno sperduto isolotto che il veneziano definì nel suo rapportò al Senato della Serenissima “in culo mundi”.

    Queste spigolature storiche sono raccolte nell’ultima fatica di Marco Valle “Andavano per mare. Scoperte, naufragi, e sogni dei naviganti italiani” edito quest’anno dall’editore vicentino Neri Pozza. L’autore, triestino trapiantato da quarant’anni a Milano e appassionato di viaggi di mare, seguendo la tradizione del trisnonno dalmata imbarcato a Lissa con Tegethoff, prosegue con questo saggio la sua preziosa opera di narratore dell’eccellenza italiana nella scoperta di nuove terre. Lo scorso anno sempre con Neri Pozza illustrò gli esploratori “terrestri” italiani con il suo saggio “Viaggiatori straordinari. Storie, avventure e follie degli esploratori italiani” quest’anno ci porta per mare riallacciandosi al suo “Patria senza mare”, una storia dell’Italia marittima (Signs Books, Milano 2022). E sempre i suoi libri che hanno alle spalle un serio lavoro di ricerca storiografica aggiornatissima come risulta dalle accurate bibliografie che completano i volumi, sono piacevoli da leggere perché scritti con scorrevolezza al punto da sembrare romanzi. Invece è storia vera, purtroppo spesso dimenticata come ricorda l’autore.

    La penisola italiana ha ottomila chilometri di coste ma riprendendo la citazione di Lucio Caracciolo direttore di Limes “il mare bagna l’Italia ma non gli italiani” ormai immemori delle passate glorie delle Repubbliche marinare e non solo. Il libro non poteva iniziare che con la figura più famosa dei navigatori italiani, Cristoforo Colombo e dei suoi predecessori liguri che fin dai tempi delle Crociate si avventurarono per mare, prima il Mare Interno, quella che lo storico Ferdinand Braudel definisce la “pianura liquida” e poi oltre le Colonne d’Ercole dello Stretto di Gibilterra quando le rotte mediterranee erano ormai minacciate dalla conquista musulmana.

    Marco Valle sulla base anche degli studi più recenti ribadisce che Cristoforo Colombo era genovese e cristiano sgombrando il campo dalle fanfaluche che lo descrivono come monferrino, catalano, ebreo o converso. E non risparmia le critiche all’attuale moda woke che in nome del politically correct ha abbattuto molte statue dedicate al navigatore negli Stati Uniti ed è giunta a eliminare il Columbus Day fortunatamente ripristinato quest’anno dal Presidente Donald Trump. L’autore ci illustra le vicende che portarono famiglie genovesi a installarsi in Spagna e in Portogallo e da lì cominciare ad affrontare la navigazione nell’Oceano Atlantico, dapprima costeggiando l’Africa oppure risalendo a Nord verso le ricche Fiandre e l’Inghilterra e infine con Colombo effettuando il pericoloso balzo verso il Nuovo Mondo.

    Valle poi ci racconta le vicende del geniale ammiraglio di Carlo V Andrea Doria, di Amerigo Vespucci che si trovò a dare il nome al Nuovo Mondo inizialmente ed erroneamente credute le Indie. Troviamo poi le vicende avventurose di Giovanni Caboto, naturalizzato veneziano e finito col figlio Sebastiano al servizio del Re d’Inghilterra. Altrettanto avventurosa è la vita di Giovanni da Verrazzano nato a Greve in Chianti e che ha dato il nome al più lungo ponte sospeso al mondo, il Verrazzano Bridge di New York. Il saggio di Valle ci immerge nelle complicate vicende storiche del XVI secolo dove le navigazioni oceaniche si intersecano con le guerre tra Spagna e Inghilterra e Francia senza dimenticare i temuti Saraceni con il calabrese Giovan Dionigi Galeni divenuto Comandante della flotta ottomana ricordato come Uccialì o Ucchialì (El Ulug Alì).

    Particolarmente interessante è il capitolo sui “piemontesi in mare” dove Valle ci racconta di come il Duca Filiberto di Savoia iniziò il primo abbozzo di politica navale e nello sviluppo di questa politica troviamo un personaggio nato nella Valle di Susa (nel 1761) e poi avventuratosi nel mare per difendere le coste dalle scorrerie corsare nordafricane: Giorgio des Geneys. Ammiraglio durante le guerre contro i giacobini francesi partecipò al Congresso di Vienna come rappresentante di Vittorio Emanuele I. Il libro affronta poi le vicende poco note e poco onorevoli del “marinaio” Giuseppe Garibaldi e le intuizioni talassocratiche del Conte di Cavour e la sconfitta di Lissa per arrivare alle vicende belliche del “Guerrone” come lo definì San Pio X con particolare attenzione al siciliano Luigi Rizzo, uomo di mare autore con il suo MAS della beffa di Buccari assieme al poeta soldato Gabriele D’Annunzio e dell’affondamento della imperial regia corazzata Santo Stefano. Il saggio si conclude, dopo aver dedicato spazio alla stagione dei grandi transatlantici italiani con le vicende veliche di Agostino “Tino” Straulino, nativo di Lussinpiccolo e medaglia d’oro olimpica e tre volte campione mondiale di vela. Impossibile ricordare qui tutti i nomi e le vicende dei tantissimi naviganti italiani che hanno costellato la storia della penisola italiana ma vale la pena di leggere questo libro per scoprirli o riscoprirli.

    Marco Valle, Andavano per mare. Scoperte, naufragi e sogni dei naviganti. Neri Pozza Editore, Vicenza 2025 pagine 328 euro 20,00

  • Ne trarremo le conseguenze

    Immagino che l’ambasciatore russo, convocato alla Farnesina, non si sia sentito andare il latte alle ginocchia per la preoccupazione visto che sa bene come il suo zar abbia in Italia fieri ed indefessi sostenitori, nonostante tutte le nefandezze che compie ogni giorno ed ogni notte in Ucraina.

    Certo la convocazione dell’ambasciatore ha un valore simbolico, meno simbolica la dichiarazione che ha fatto Salvini, dopo le parole disgustose della portavoce del ministero degli Esteri di Putin, che ha tenuto a precisare che non si può continuare a sostenere Kiev, sembra un messaggio allo zar del quale fu già sostenitore.

    Con buona pace della Zokharova, non è un errore di battitura, la torre dei Conti, dopo più di mille anni, terremoti, guerre, invasioni, cambiamenti climatici etc etc, è sempre stata su, l’incuria l’aveva salvata poi, con i soldi che nessuno ha dato a Kiev per toglierli agli italiani, si è pensato di ristrutturarla ed è crollata.

    Si accerteranno cause e responsabilità nella speranza, ogni volta che si procederà ad un nuovo restauro di un monumento, che verifiche, competenze, misure di sicurezza siano studiate prima degli interventi, per salvare la vita degli operatori e per evitare che i monumenti crollino.

    Comunque la Zokharova si metta il cuore in pace, l’Italia ha così tanti monumenti che neppure tutte le speranzose maledizioni sue e del suo capo e la possibile imperizia di qualche impresario ci potranno ridurre in macerie, se poi minaccia la guerra, che per altro è già in parte in atto con gli attacchi informatici ed i droni vaganti, ne trarremo le conseguenze.

  • In attesa di Giustizia: rivalità transalpine

    Tra Italia e Francia sembra non esserci solo una sana rivalità ed una nobile gara sportiva nel football ma anche in materia di (in)giustizia, settore nel quale l’incertezza del risultato per la primazia non è per nulla inferiore a quella vissuta sui campi di calcio. Basti pensare che i transalpini inserirono il ripudio della pena di morte in costituzione un anno dopo aver perso la finale della Coppa del Mondo con gli azzurri sebbene quel raffinato metodo di esecuzione che è la ghigliottina fosse stato abolito con una legge ordinaria del 1981 che soppresse anche la pena capitale sia pure senza la sacralità – da noi riconosciuta nel 1948 – del canone costituzionale.

    Nel frattempo, però, da noi si offriva spettacolo con l’arresto – mediaticamente organizzato nei minimi dettagli – di Enzo Tortora le immagini del quale, se non altro, lo rappresentano con i braccialetti e non con i ceppi come Enzo Carra, politico democristiano condotto in udienza con schiavettoni ai polsi e catene per i corridoi del Tribunale di Milano richiamando alla memoria quell’Amatore Sciesa trascinato dagli sgherri austriaci per le pubbliche vie della città verso il patibolo.

    Ai francesi mancava qualcosa, si sentivano surclassati…la piazza d’onore non era abbastanza perché troppo risalente nel tempo l’ostensione di Maria Antonietta alla furia dei sanculotti mentre un carro trasferiva la Regina dalla Conciergerie a quella che oggi si chiama Place de la Concorde per tagliare la testa a colei che si era appena scusata con il boia per avergli pestato inavvertitamente un piede; all’improvviso, tuttavia, ecco presentarsi l’occasione propizia per riguadagnare posizioni nel ranking dei forcaioli: la carcerazione di Nicolas Sarkozy che con grande dignità ha scelto di costituirsi raggiungendo a piedi ed a testa alta la prigione de La Santè (un inferno da 600 posti che ospita 1200 detenuti gareggiando anche in questo settore con i nostri istituti penitenziari), accompagnato dalla moglie che lo teneva per mano. E’ un’immagine che al curatore di questa rubrica colma il cuore di tristezza, sperando di non essere il solo ad interpretarne i sottesi: questa volta non c’è nulla di gioioso in quel tenersi per mano di un uomo ed una donna che si vogliono bene, in quel gesto che molto dice della mutua protezione e dei sentimenti che dita intrecciate si sanno scambiare…all’opposto, vi è una struggente malinconia perché è sempre tragico il procedere verso una cella di uomo che sia egli innocente o malvissuto.

    Nicolas e Carla sembrano i protagonisti di una (brutta) favola moderna che non viene dettata dal cuore, dalla fantasia, da sentimenti, dal desiderio di coltivare e condividere sogni ma sembra un copione scritto dagli autori di quelle trasmissioni specializzate nella ricostruzione di crime stories che alimentano morbosa e malsana curiosità degli spettatori.

    C’è da provare disgusto per chi, quasi fosse l’arrivo del Tour de France, ha scelto di trasmettere la diretta del momento – ignominioso per chiunque – in cui Sarkozy si avvia al luogo che vide prigioniero Landru, Alfred Dreyfus e persino Apollinaire mentre sul suo cammino, si applaude ed ingiuria e c’è chi canta la Marsigliese.

    E’ tale la volgare barbarie insita nel riprendere queste immagini in nome del diritto alla informazione – ed è sempre un parere personale – da rendere questo congedo dalla libertà un momento estremamente dignitoso e struggente nel suo ultimo atto che vede Nicolas e Carla che, ancora mano nella mano, si avviano fino alla porta del carcere uniti ed insensibili alla livella che azzera privilegi e cancella sperequazioni, che ha più il sapore di una rivincita sociale che di giustizia valutando con equilibrio i fatti e sanzionandoli secondo quanto prevedono i codici, bensì come rappresentazione emotiva e risarcimento simbolico delle ingiustizie sociali.

    Tutto ciò induce a escludere qualsiasi possibilità di interrogarsi sul senso della pena e sulla sua utilità, sul suo significato se applicata nei confronti di un uomo della personalità e dell’età di Sarkozy per quanto i reati per i quali è stato condannato siano gravi: associazione a delinquere per aver consentito che i suoi collaboratori chiedessero finanziamenti illeciti al regime di Gheddafi, al fine di sostenere la campagna elettorale per le presidenziali del 2007.

    Oggi, però, non discutiamo di innocenza o colpevolezza: piuttosto si dubita della opportunità dello scempio mediatico fatto di un momento di dolce intimità che nulla ha a che vedere con il trionfo della giustizia e tra le cui righe piace leggere il capitolo una fiaba che non è finita ed e rimasta tale anche nella mesta passeggiata mano nella mano fino a La Santè.

  • La crescita della povertà

    Ho sempre sostenuto che la crisi del nostro Paese abbia origini decennali a partire dalla fine degli anni novanta, quando si decise di privatizzare interi settori dell’Industria e dei servizi (autostrade ed energia con esiti disastrosi in termini di vita umane ed esplosione dei costi energetici), non per ridurre il debito come sarebbe stato auspicabile, ma il deficit e così mantenere in questo modo la libertà di aumentare la spesa pubblica ai governi che si sono succeduti fino all’ingresso nell’euro.

    Volgendo lo sguardo agli ultimi 10 anni nessun governo ha dimostrato un minimo di capacità e volontà di invertire questo terribile trend come del resto la finanziaria del governo Meloni conferma.

    In questo contesto, quindi, può giovare, per individuare e non dimenticare i responsabili di questo aumento vertiginoso in soli 10 anni dell’indice di povertà, l’elenco dei governi:

    Governo Renzi – Periodo: dal 22 febbraio 2014 al 12 dicembre 2016, Presidente del Consiglio Matteo Renzi, Coalizione di centro-sinistra.

    Governo Gentiloni – Periodo: dal 12 dicembre 2016 al 1° giugno 2018, Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, Coalizione di centro-sinistra.

    Governo Conte I – Periodo: dal 1° giugno 2018 al 5 settembre 2019 – Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Partiti di maggioranza Movimento 5 Stelle e Lega.

    Governo Conte II – Periodo: dal 5 settembre 2019 al 13 febbraio 2021 – Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Partiti di maggioranza Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Liberi e Uguali.

    Governo Draghi – Periodo: dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre 2022 – Presidente del Consiglio: Mario Draghi, Partiti di maggioranza Governo di unità nazionale con un’ampia maggioranza parlamentare.

    Governo Meloni – Periodo: dal 22 ottobre 2022 a oggi, Presidente del Consiglio Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia), Coalizione di centro-destra (Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia).

    Quelli che ora sono al governo e negli ultimi dieci anni si trovavano all’opposizione, all’interno del teatrino della politica criticavano giustamente le strategie dei governi precedenti, esattamente come quelli che erano in maggioranza e che ora si trovano all’opposizione, avversano anche giustamente le politiche del governo in carica.

    Purtroppo le uniche conseguenze generate dal gioco dei ruoli ricoperti alternativamente da tutti i partiti negli ultimi 10 anni si confermano certificate dal costante aumento della Spesa Pubblica e contemporaneamente del debito e della stessa pressione fiscale. Tre fattori determinanti nella politica economica di governo che tuttavia non sono stati utilizzati per attenuare gli effetti delle crisi, che dal 2008 si susseguono senza soluzione di continuità in Italia, e quindi con l’obiettivo di migliorare la competitività delle imprese o la qualità della vita delle famiglie.

    Viceversa, la crescita vertiginosa della povertà certifica una volta di più l’unico obiettivo che è stato utilizzato da tutti i governi dell’ultimo decennio, in altre parole finanziare i propri orti elettorali, dimostrando ancora una volta come la gestione delle Finanze pubbliche (Spesa, debito e pressione fiscale) rappresentino la vera forma di potere in Italia (*).

    Tutti colpevoli, quindi, nessun colpevole!

    (*) 2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

  • 61,5 milioni di euro dall’UE per sostenere la produzione di tecnologie pulite

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano pari a 61,5 milioni di euro a sostegno di investimenti strategici per incrementare la capacità di produzione in linea con gli obiettivi del patto per l’industria pulita nella regione Emilia Romagna. Questa misura contribuirà alla transizione verso un’economia a zero emissioni nette

    Nell’ambito del regime, l’aiuto assumerà la forma di sovvenzioni dirette, tassi di interesse agevolati e prestiti. Il regime sarà aperto a tutte le imprese che effettuano investimenti in Emilia Romagna aggiungendo capacità per la produzione delle tecnologie a zero emissioni nette nonché per la produzione dei principali componenti specifici di tali tecnologie. Il regime comprende anche aiuti per la produzione di materie prime critiche nuove o recuperate, necessarie per la produzione dei prodotti finali o dei principali componenti specifici. Gli aiuti potranno essere concessi fino al 31 dicembre 2030.

    Per la Commissione il regime è necessario e adeguato ad accelerare la transizione verso un’economia a zero emissioni nette e agevolare lo sviluppo di determinate attività economiche, che sono importanti per l’attuazione del patto per l’industria pulita.

  • Extra profitti anche fiscali e la credibilità del Paese

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Anche questo governo, esattamente come il precedente, segue il rituale della solita spasmodica ricerca, nonostante gli “extraprofitti fiscali” assicurati dal Fiscal Drag, di nuove risorse finanziarie che dimostra ancora una volta come gli anni passino senza lasciare nessuna traccia e fornisce un’ulteriore dimostrazione di come gli ultimi due governi non siamo poi tanto diversi.

    Il governo Draghi cercò inutilmente di tassare gli extra profitti delle aziende energetiche in un periodo di esplosione appunto dei costi dell’energia. Ora il governo Melon, in una medesima situazione, cioè nel pieno di una crisi industriale e sistemica dell’economia reale, di fronte agli imbarazzanti profitti del sistema bancario, adotta la medesima strategia fiscale la quale ovviamente sortirà gli stessi risultati ottenuti dal governo precedente.

    Si dimostra francamente avvilente come la questione decisamente complessa relativa ad una rimodulazione della pressione fiscale, sia diventata una semplice guerra ideologica di posizione tra schieramenti favorevoli al mantenimento dell’attuale asset fiscale ed altri che chiedono l’introduzione di una tassazione aggiuntiva. Una contrapposizione che si manifesta non solo nel classico conflitto tra maggioranza e opposizione, ma che si insinua persino tra gli alleati nella maggioranza di governo.

    Nessuno, tuttavia, in questo supportati dal supino silenzio del mondo accademico incapace di definire una posizione terza rispetto alle strategie economiche governative e delle opposizioni, si dimostra in grado di elaborare un’analisi che tenga nella dovuta considerazione il conseguente danno reputazionale alla credibilità del Paese con la introduzione di una normativa fiscale retroattiva.

    Questa politica fiscale si dimostra Infatti deleteria ed in grado di rivelarsi un fattore disincentivante nella determinazione dei flussi di investimenti, specialmente internazionali, verso il Paese.

    Non è difficile, infatti, adottando una semplice analisi economica, comprendere come una fiscalità retroattiva, ma anche solo l’ipotesi di una sua possibile applicazione, renda problematica, se non addirittura azzardata, qualsiasi possibilità di elaborare un piano strategico di investimenti.

    Un sistema fiscale dovrebbe assicurare un prelievo certo ed equo, e la propria stabilità dovrebbe dimostrarsi come un volano di sviluppo per il paese attirando operatori economici e quindi preziosi investimenti finalizzati alla crescita economica. Quando invece la fiscalità diventa l’Extrema Ratio per trovare quattro spiccioli che permettano un equilibrio di bilancio, diventa un fattore destabilizzante e assolutamente antieconomico per il Paese.

    Sembra incredibile come questo governo e il precedente non abbiano tenuto in alcuna considerazione gli effetti reputazionali devastanti di questa retroattività fiscale nei confronti degli extra profitti delle banche o delle aziende nel settore energetico. Questa infantile politica fiscale paradossalmente si rivela come un fattore determinante al pari dei costi energetici nel favorire concorrenti, in quanto l’incertezza fiscale risulta avere un costo incalcolabile che rende impossibile una qualsiasi progettualità economica.

    Non si intende certamente difendere le banche ora e tantomeno le aziende energetiche allora, ma la fiscalità richiede competenze articolate e non esponenti politici dalla dubbia competenza, incapaci persino di valutare gli effetti reputazioni di una singola norma fiscale.

  • La forma dell’acqua

    Nel principio dell’acqua Talete di Mileto affermava come l’acqua rappresentasse la sostanza primordiale da cui tutto ha origine e a cui tutto ritorna. A questo principio si potrebbe aggiungere anche che l’acqua trova e definisce il proprio percorso in ragione degli impedimenti che trova lungo il proprio deflusso.

    Come l’acqua gli investimenti in generale rappresentano il primo anello (la sostanza primordiale di Talete) di una complessa catena di sviluppo che trova la propria ultima definizione nella creazione anche di una nuova occupazione.

    Emerge, quindi, come naturale conseguenza che gli investimenti si dirigano verso quelle aree economiche nelle quali abbiamo la sicurezza di non trovare impedimenti (ed ecco il percorso come per l’acqua) di ordine burocratico, fiscale e normativo o, peggio, ideologico.

    Quindi, se gli investimenti si confermano nella loro essenza molto simili alla “forma dell’acqua” si comprende, allora, la strategia del gruppo farmaceutico Svizzero Roche che investirà 50 Mld di dollari negli Stati Uniti e che determinerà la creazione di 12.000 posti di lavoro.

    Nella medesima lunghezza d’onda si dimostra anche Novartis la quale ha destinato oltre 7000 Mld di dollari per nuove linee produttive sul territorio statunitense e, di conseguenza, 5.000 nuovi posti di lavoro.

    Adesso anche Stellantis ha deciso di dirottare i propri investimenti oltre Oceano con oltre 13 miliardi di dollari stanziati per nuovi insediamenti produttivi, mentre gli stabilimenti italiani del gruppo risultano tutti caratterizzati dall’adozione, per buona parte dei dipendenti, di contratti di solidarietà e si riduce la produzione di autovetture a 325.000 unità, pari a quella del 1953, Il gruppo, una volta italiano, guarda agli Stati Uniti. Per non parlare della terribile situazione occupazionale a Torino, un tempo polo dell’automobile europeo, dove degli oltre 57.000 operai metalmeccanici impiegati nella complessa filiera dell’Automotive attualmente il 70% risulta in cassa integrazione. Nessuno ha intenzione di assolvere la strategia di Stellantis e del suo azionariato e management, la quale ha usufruito fino a poche stagioni addietro di incentivi statali di ogni genere, anche durante il covid con le garanzie statali poi regolarmente restituite. Andrebbe, tuttavia, riconosciuto come all’interno di un mondo contemporaneo e globale le scelte di investimento di ogni azienda, come detto prima, vengono determinate dal contesto normativo, fiscale e burocratico.

    In tale situazione in Europa il contesto si dimostra assolutamente disastroso per una diretta responsabilità attribuibile sostanzialmente a due soggetti politici, e cioè l’Unione europea, soprattutto con le sue ultime due Commissioni, e la serie dei governi italiani che si sono succeduti alla guida del Paese negli ultimi trent’anni.

    La scelta ideologica operata dalla Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen con l’imposizione del Green Deal, il quale comporta il divieto di produzione e vendita di motori endotermici dal 2035, anticipato al 2030 per quanto riguarda autonoleggi e flotte aziendali, si rivela un volano fantastico per gli investimenti del settore Automotive negli Stati Uniti  dove le restrizioni in termini di emissioni sono state abolite riuscendo in più così ad aggirare i dazi imposti dall’amministrazione Trump.

    Le aziende che hanno deciso di investire nel mercato statunitense possono trovare inoltre costi energetici inferiori rispetto a quelli praticati in Europa, che subisce gli effetti anche della sciagurata scelta della Germania di chiudere le centrali nucleari. E successivamente si è legata alle forniture del gas russo diventando ostaggio della politica di Putin con l’apertura del conflitto russo ucraino.

    Come la Germania, l’Italia, seconda economia manifatturiera in Europa, sta perdendo da anni, ad assoluta propria insaputa, buona parte degli investimenti nella filiera automobilistica ed industriale, proprio a causa di una trentennale assenza di una qualsiasi politica energetica la quale rappresenta il primo passo di una politica di sviluppo industriale ed economico, dimostrandosi in più non sazia di questo disastro strategico causato anche dall’aumento di oltre 17 punti dell’Iva per le bollette energetiche. L’ultimo intervento elaborato dal governo in carica è quello dell’introduzione di un pacchetto di incentivi nel settore auto i quali, come diceva Marchionne, favoriranno le auto estere e nel periodo attuale quelle “a carbone” provenienti dalla Cina (*).

    In Europa ed in Italia si dimostrano ancora una volta incapaci di comprendere la stessa forma dell’acqua ed ovviamente degli investimenti.

    (*) La Cina importa oltre 542 milioni di tonnellate di carbone in crescita nel 2025 del 12%

  • La sola visione futura assicura il futuro al Paese

    La sola libertà della visione futura è in grado di assicurare un futuro al Paese.  A differenza di quanto afferma il  mainstream, la vera priorità del nostro Paese non è rappresentata, come molti affermano, dalla formazione di tecnici in grado di realizzare i prodotti, quanto invece dall’espressione della Libertà di pensiero, intesa da Marchionne come la capacità di avere una Visione Futura ed in grado di identificare le opportunità di una  nazione e di un’azienda per affrontare le sfide attuali e del futuro (https://www.instagram.com/reel/DPwrQ44jsrj/?igsh=MWthaWljeHAwaGg1Yg==).

    Non è quindi la competenza tecnica la priorità da perseguire (e nel periodo dell’intervento del manager ancora non esisteva l’AI che tende a rendere alla portata di tutti le competenze tecniche anche se non quelle pratiche), ma la libertà di pensiero. In altre parole, appunto, la Visione.

    Quando si sentono i politici e il mondo accademico nel loro complesso parlare di “competenze” per rilanciare l’industria come più in generale l’economia nazionale, andrebbe ricordato loro come solo una visione futura, espressione di libertà e cultura, possano assicurare un futuro al nostro Paese.

    Un passaggio fondamentale che, ed ecco quindi che si parla di adeguamento e rinnovamento culturale, dovrebbe ridisegnare anche lo stesso perimetro di formazione della scuola e del mondo accademico. Questi, infatti, invece di proporre un modello politico ed economico da seguire dovrebbero fornire gli strumenti culturali per crearne di nuovi. Ridurre tutto, invece, alle sole competenze tecniche non fa che aprire le porte del know how esistente alle multinazionali straniere che già stanno facendo incetta delle PMI italiane, le quali operano in un Paese nel quale molto spesso la classe dirigente e politica non ne conosce le reali difficoltà.

    Viceversa, la visione futura risulta necessaria per la sopravvivenza del sistema industriale quanto di quello economico nel suo complesso e va ricercata e valorizzata, non come oggi che viene addirittura allontanata in quanto richiede investimenti economici e culturali che il mondo politico non è in grado di realizzare ed anche solo di ipotizzare.

    Mai come ora la mancanza di una visione del nostro Paese negli ultimi trent’anni rappresenta la prima causa della disastrosa politica energetica che ci vede ora con i prezzi più alti d’Europa. Nessuno negli ultimi 30 anni ha dimostrato la capacità di fornire una visione del Paese in ambito di approvvigionamento energetico dimostrando così di possedere una visione in grado di spaziare nel tempo ben oltre l’ultimo appuntamento elettorale, che rappresenta l’orizzonte operativo del mondo politico.

    Nel contesto di un mercato fortemente competitivo, per superare anche il dumping retributivo, energetico e sociale dei paesi in via di sviluppo, risultano assolutamente vitali le visioni globali in grado di valutare le potenzialità dei sistemi italiani ed europei in rapporto con i molteplici concorrenti.

    Questa visione come espressione culturale, se veramente espressione della libertà di pensiero, si rivelerà assolutamente distante da ogni ideologia la quale rende le menti schiave dei principi politici che lo schema ideologico esprime. Basti pensare nella contemporaneità all’ideologia ambientalista che ha già distrutto e sta azzerando il sistema Automotive europeo con la cieca applicazione del GreenDeal.

    La libertà, quindi, si esprime attraverso la capacità di superare i propri schemi ideologici avanzando verso il futuro. Viceversa ancora oggi questo atteggiamento ideologico, e per questo anti culturale, accomuna socialisti, conservatori e liberali chiusi tra le loro piccole ed obsolete certezze ideologiche che nascondono, tuttavia, una totale incapacità nell’elaborazione di una visione del futuro che risulti anche in minima parte lontana dalle proprie certezze ideologiche.

    Solo la libertà nella elaborazione di una visione futura, e quindi espressione della cultura, potrebbe fornire un orientamento e, di conseguenza, offrire una possibilità di salvezza al Paese.

  • Tunisia a caccia di investimenti italiani

    Tunisi ha ospitato a fine settembre il forum “Investment Africa 2025” radunando decine di aziende italiane e tunisine, istituzioni economiche e diplomatiche di Italia e Tunisia, per sostenere nuove possibili sinergie ed espansioni. All’evento è intervenuto anche l’ambasciatore d’Italia in Tunisia, Alessandro Prunas, che ha ribadito la profondità dei legami economici tra i due Paesi all’insegna della diplomazia della crescita. Sandro Fratini, presidente del centro d’affari italo-tunisino Delta Center, ha sottolineato l’importanza di accompagnare gli operatori italiani alla scoperta del mercato locale, che si sta affermando come hub strategico in Africa. Sempre più aziende italiane, nel biennio 2024-2025, hanno intensificato la loro presenza in Tunisia o annunciato piani di espansione significativi.

    L’ambasciatore Prunas ha ricordato che l’Italia si conferma un partner economico di primaria importanza per la Tunisia. Con investimenti pari a 159,4 milioni di dinari tunisini (47 milioni di euro), l’Italia si è confermato il secondo Paese investitore nel primo semestre del 2025. Questa cifra, che rappresenta circa il 10% degli investimenti diretti esteri (Ide) totali (escluso il settore energetico), testimonia il forte legame e la fiducia degli investitori italiani nel mercato tunisino. Nel dettaglio, l’industria manifatturiera ha attratto circa il 62,9% degli Ide totali, seguita dal settore energetico con il 24,3%. I servizi e l’agricoltura hanno contribuito in misura minore. Guido D’Amico, presidente di Confimprese Italia, ha dichiarato che il forum “è stata l’occasione per confermare i rapporti economici che legano l’Italia alla Tunisia e al Mediterraneo come fulcro dello sviluppo d’impresa del terzo millennio”. D’Amico ha evidenziato che la collaborazione con Delta Center, Confimprese e Conect è “l’esempio di una cooperazione strategica per realizzare l’impegno imprenditoriale e istituzionale che porterà il nostro Paese a completare il progetto del Piano Mattei”. Per sostenere nel tempo questo rapporto, Confimprese Italia “ha previsto un panel relativo all’internazionalizzazione di impresa con una delegazione istituzionale tunisina durante le celebrazioni dei 30 anni di Confimprese Italia”, ha aggiunto D’Amico.

    Il Paese nordafricano si sta affermando come un hub strategico per le aziende italiane, che nel biennio 2024-2025 hanno intensificato la loro presenza o annunciato piani di espansione significativi in settori chiave come l’automotive, il tessile, l’energia e la tecnologia. I dati relativi alla prima metà del 2025, recentemente pubblicati dall’Agenza per la promozione degli investimenti esteri (Fipa), indicano che gli Investimenti diretti esteri (Ide) hanno raggiunto 1,65 miliardi di dinari tunisini (circa 492,7 milioni di euro), segnando un aumento del 20,8% rispetto allo stesso periodo del 2024, del 35,8% rispetto al 2023 e del 63,6% rispetto al 2022. A trainare questa ripresa sono stati principalmente il settore manifatturiero e quello energetico, che insieme rappresentano la quasi totalità degli investimenti esteri.

    In questo contesto di crescita, l’Italia si conferma un partner economico di primaria importanza per la Tunisia. Con investimenti pari a 159,4 milioni di dinari tunisini (47 milioni di euro), il 10% del totale, l’Italia si posiziona come il secondo Paese investitore da gennaio a fine giugno 2025, preceduta solamente dalla Francia con investimenti pari a 421 milioni di dinari tunisini (circa 124 milioni di euro), ovvero oltre il 33% degli Ide totali, esclusa l’energia. Gli investimenti totali dichiarati – che includono sia progetti esteri che nazionali – hanno raggiunto circa 3,3 miliardi di dinari (pari a un miliardo di euro) nei primi sei mesi dell’anno. Questo dato, che comprende nuovi progetti ed espansioni aziendali, riflette un clima di fiducia generale e un rinnovato slancio per l’economia tunisina. Secondo l’ultimo rapporto di Qhala e Qubit Hub, la Tunisia si è anche aggiudicata il secondo posto nell’Africa 2025 AI Talent Readiness Index, a pari merito con l’Egitto e subito dietro il Sudafrica. Questa classifica testimonia la rapida trasformazione digitale della Tunisia, l’integrazione delle Ict nell’istruzione e le strategie sostenute dal governo tunisino per promuovere i talenti del settore dell’intelligenza artificiale a livello mondiale.

    Di particolare importanza è poi il fatto che la Tunisia ha già rilasciato oltre 350 certificati di origine per l’esportazione di prodotti locali verso vari Paesi africani, nel quadro dell’accordo sulla Zona di libero scambio continentale africana (Zlecaf). Tali certificazioni permettono alle aziende esportatrici di beneficiare della riduzione dei dazi doganali, la cui soppressione è prevista a partire dal primo gennaio 2026. La Zlecaf, operativa dal maggio 2019 e ratificata dalla Tunisia nell’agosto 2020, è un progetto chiave dell’Unione africana (Ua) volto a promuovere la cooperazione Sud-Sud per un’Africa integrata, prospera e pacifica, in linea con gli obiettivi dell’Agenda 2063 dell’Ua. Tale accordo mira a rafforzare le relazioni commerciali tra i 55 Stati membri, che rappresentano un mercato di oltre 300 milioni di consumatori e un volume di scambi annuo stimato in 3,4 miliardi di dollari, eliminando le barriere doganali alla libera circolazione di beni e servizi. Secondo i dati del Centro di promozione delle esportazioni (Cepex), il potenziale inesplorato della Tunisia in Africa è stimato a circa 1,2 miliardi di dollari, con opportunità maggiori nel Nord Africa (754 milioni di dollari). Attualmente, secondo il ministero tunisino dell’Industria, delle Miniere e dell’Energia, ci sono circa 910 aziende italiane operative nel Paese nordafricano. Di queste, circa 370 operano nel settore industriale e impiegano oltre 57mila persone. Nel settore del tessile e abbigliamento, circa un terzo sono italiane.

  • Siena vince il premi “Città verde europea” 2027

    Siena è tra le vincitrici del premio “Città verde europea” 2027 con il riconoscimento “Foglia verde”.

    La giuria ha elogiato Siena per le sue aree verdi e l’uso sostenibile del suolo, nonché per l’efficacia dei sistemi di gestione dei rifiuti. La giuria ha riconosciuto che la città ha raggiunto un impressionante 61,4% di riciclaggio dei rifiuti urbani e ridotto i rifiuti da discarica ad appena l’1%.

    La città toscana riceverà 200 000 euro.

    Quest’anno hanno gareggiato per aggiudicarsi i premi un totale di 20 città. Un gruppo internazionale composto da sette esperti indipendenti di sostenibilità urbana ha valutato ciascuna candidatura e ha selezionato sette città finaliste.

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