Giustizia

  • In attesa di Giustizia: lo show dei record

    Ci sono primati da Guinness di cui si farebbe volentieri a meno ma tant’è, se non proprio celebrati, devono almeno essere documentati.

    Il merito, si fa per dire, questa volta va ascritto al P.M. anglo-partenopeo Henry John Woodcock già campione europeo di competenza creativa ai tempi in cui era in servizio a Trani – una Sede giudiziaria sempre in grado di sorprendere…a prescindere dalla bellezza dell’antico palazzo che ospita il Tribunale, affacciato sul mare e prospicente la cattedrale – quando, saccheggiando le riviste di gossip piuttosto che informative (inesistenti) della Polizia Giudiziaria diede vita alla celeberrima indagine nota come “Vallettopoli”: un feuilleton in salsa Dagospia, frantumatosi in rivoli investigativi distribuiti a manciate in diverse Procure della Repubblica che, dopo aver sbirciato dal buco della serratura delle discoteche alla moda cosa facevano nel tempo libero veline, calciatori, nani e ballerine, ha esitato qualche modesta condanna per piccole cessioni di cocaina ad uso “socializzante” ed, in compenso, uno sputtanamento ad alzo zero per fatti  totalmente privi di rilevanza penale.

    Ma è con l’indagine “CONSIP” che sono stati raggiunti risultati da pessima gestione investigativa posti su vertici che mai nessuno aveva mai osato scalare: tutti assolti gli imputati e condannati solo i responsabili delle indagini…game, set, match! Nemmeno quei Pubblici Ministeri che nascondono i testi a discarico, almeno per ora, erano riusciti a tanto.

    Qualche esempio può illustrare plasticamente la manettara approssimazione con cui è stato utilizzato il materiale raccolto, tra l’altro, invadendo l’esistenza dei cittadini con migliaia di costose quanto inutili intercettazioni: secondo Johnny Woodcock in una di queste – sfruttata come caposaldo dell’accusa – sarebbe risultato che in un’azienda fosse stato addirittura istituito il ruolo di “responsabile del crimine”, dunque un’impresa  a matrice esclusivamente delinquenziale.

    Da un magistrato bilingue ci si sarebbe aspettato di meglio: il riascolto dell’intercettazione ha chiarito senza lasciare spazio a dubbi che la funzione cui si alludeva era quella di “responsabile cleaning”, cioè a dire chi gestisce gli addetti alle pulizie. Ci sarebbe da ridere, tutti tranne Woodcock che, all’evidenza, ha una conoscenza spannometrica anche dell’inglese, se non fosse che c’è chi sulla base di accertamenti tanto grossolani ha subito mesi di carcerazione come l’imprenditore Romeo: sei in galera ed altrettanti agli arresti domiciliari. Complimenti vivissimi anche al GIP che ha accolto le domande di arresto, per non parlare di quello che ha disposto rinvii a giudizio fondati su di un vuoto torricelliano…

    L’evanescenza dell’impianto probatorio, forse, era palese anche agli inquirenti e sin da subito tanto è vero che sono stati chiamati in soccorso i più fidati lacchè della carta stampata, con fuga pilotata di notizie che avrebbero dovuto restare riservate (inutile fare nomi delle redazioni destinatarie: possono facilmente immaginarsi e, comunque, risultano dalla sentenza): ecco, allora, i titoli cubitali e gli articoli copia e incolla di una informativa degli uomini di Woodcock contenente grossolane falsità.

    Su questa melma sono state scritte paginate di disinformazione e persino un libro; è uno Show dei record che fa inorridire ma non è finita: conclusa questa prima tranche  del processo a Roma, una seconda è ancora in corso a Napoli con protagonisti ed interpreti quasi immutati e può immaginarsi quale credibilità abbiano agli occhi del Tribunale, a tacere del fatto che il P.M. – sempre Enrico l’Inglesino – non ha più l’interesse a stabilire la verità ma quello di ottenere condanne per provare a salvare se stesso.

    A proposito, e il C.S.M. che dice? Tutto tace, mentre i cittadini si pongono delle domande: che garanzie si potranno mai avere se si dovesse diventare bersaglio in una delle sbilenche inchieste di un magistrato incorso in incidenti di percorso così gravi e senza precedenti nel mondo Occidentale? Se Roma piange, Sparta non ride ma questa è una piccola consolazione solo per la devastata Repubblica della Procura di Milano.

  • Presentato a Milano ‘Meglio separate’ di Gaetano Bono, il libro sulla separazione delle carriere in magistratura

    Presentato a Milano, lo scorso 6 marzo, il libro Meglio separate. Un’inedita prospettiva sulla separazione delle carriere in magistratura, del dott. Gaetano Bono, Sostituto Procuratore Generale alla Corte d’Appello di Caltanissetta, incentrato sulla divisione delle carriere dei Magistrati. Ad ascoltare Bono, attualmente il più giovane sostituto procuratore generale in servizio, una platea di avvocati e magistrati ,che ha affollato la Biblioteca “Avv. Giorgio Ambrosoli” al Palazzo di Giustizia di Milano, interessata ad un argomento sul quale, da trent’anni circa, si dibatte con pareri contrastanti. Bono, infatti, ha affrontato la questione, sia nel libro, sia durante la presentazione, senza pregiudizi, mostrando i punti di forza, le criticità e le possibili soluzioni. Criticità che portano la magistratura, come è emerso anche durante l’incontro, a contrastare e criticare la proposta, non ravvisando alcuna contrapposizione dei ruoli se non, piuttosto, un limite professionale e di ruolo. Punti di forza colti, invece, dagli avvocati. Il dibattito ha permesso di focalizzare l’attenzione anche sullo stato attuale della giustizia italiana, sui processi dilatati nel tempo e su quelli mediatici, sulle fughe di notizie, sulle difficoltà che sta affrontando il settore penale. E non poteva mancare un riferimento a Giovanni Falcone, la cui morte ha fatto scattare nell’autore, a oli 9 anni, il desiderio di diventare da grande sostituto procuratore.

    Introdotto dall’Avv. Daniele Terranova, Commissione Giustizia Tributaria dell’Ordine Avvocati Milano e moderato dall’Avv. Alessandro Mezzanotte, Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Milano, l’incontro ha visto la partecipazione del Dott. Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano, del Dott. Marcello Viola, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dell’Avv. Valentina Alberta, Presidente Camera Penale di Milano, del Dott. Giuseppe Santalucia, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, dell’Avv. Giovanni Briola, Consigliere Tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Milano.

  • In attesa di Giustizia: the joker

    Due perle di saggezza sembrano perfette per introdurre il commento di questa settimana.

    Il primo è di un grande avvocato di scuola napoletana e risale a diversi anni fa: “nei processi, molte volte non servono nemmeno i testimoni, le indagini della polizia giudiziaria, basta che gli imputati aprano bocca tentando di discolparsi…”

    Non a caso l’articolo 27 della Costituzione, prevedendo la presunzione di innocenza, tra i canoni impliciti sottende da un lato l’onere della prova a carico del Pubblico Ministero e dall’altro il corrispondente diritto al silenzio dell’accusato: quello che nei verbali viene definito “facoltà di non rispondere” di cui può avvalersi non rispondendo ad alcune o a tutte le domande che gli vengono poste così mettendo anche in sicurezza il rischio di autoincriminarsi con dichiarazioni contraddittorie, poco credibili se non apertamente autolesive.

    La seconda perla di saggezza è recentissima ed inaspettatamente riferibile a Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez che – incalzato dai cronisti per avere aggiornamenti sulla presunta (ma non troppo) crisi coniugale – ha affermato che, dal collezionare francobolli in avanti, ci sono cose decisamente più interessanti da fare piuttosto che impicciarsi della sua vita e spiegando che, anche quando sui social media hanno pubblicato spaccati generosi della loro vita, i cosiddetti Ferragnez hanno scelto cosa condividere e cosa no. Impeccabile e bisogna dargli atto di avere abilmente mantenuto sin dall’inizio un profilo molto basso non solo sulle vicende famigliari ma anche su quella del pandoro Farlocco, pardon, Balocco non meno che sulle obiezioni fatte direttamente a lui a proposito di gesti di liberalità, un po’ grossier, fatti a bordo della sua Lamborghini (e con denari non suoi), piuttosto che l’origine dei fondi per realizzare strutture sanitarie ed il reale numero dei posti letto resi disponibili. Consigliato bene o guidato da quella astuzia connaturata di chi, come lui, è “cresciuto sulla strada” e non nega le sue radici, poco importa: ciò che conta è che è rimasto comunque ai margini della shit storm che ha investito la moglie, una tempesta di m**** per chi non ha dimestichezza con gli anglicismi.

    Chiara Ferragni, invece, non ha mai praticato sin dall’inizio quel “bel tacer che non fu mai scritto” e che, come abbiamo visto è una garanzia scritta anche nella Costituzione: consigliata male o indifferente a buoni consigli (conoscendoli personalmente, sono sicuro che i suoi eccellenti avvocati non abbiano lesinato ottimi suggerimenti) si è prodotta in una quantità di spiegazioni che non giustificano nulla e che, anzi, sono state spesso contraddette da evidenze insuperabili: basti pensare alla palese equivocità del messaggio promozionale che accompagnava la confezione del dolcetto natalizio origine di tutti i guai che può definirsi “errore di comunicazione” solo per chi non conosca le basi della lingua italiana. La cosa peggiore è che, se un domani l’imprenditrice digitale dovesse sottoporsi ad un interrogatorio, sicuramente le sue dichiarazioni pubbliche potrebbero esserle ricordate chiedendo di chiarire meglio il suo pensiero verosimilmente riproducendole nei verbali di interrogatorio fino dalla fase di indagini per poi diventare micidiali polpette avvelenate perfette per inserirla senza misericordia nel tritacarne di uno di quegli esami dibattimentali al termine dei quali non si fanno prigionieri.

    Donna copertina ormai solo per l’Espresso, Chiara Ferragni non perde occasione per riproporre sempre gli stessi ritriti argomenti, indifferente alla mancanza di risultati ed al monito immarcescibile di Giulio Andreotti secondo il quale una smentita è una notizia data due volte…ed in questo caso parliamo di multipli di due elevati a potenza e ricorda un po’ Davigo che si è morsicato la lingua ma lo ha fatto tardi, solo dopo la Caporetto dei manettari celebrata dalla Corte d’Appello di Brescia che ha confermato una condanna fondata in quella che fu un’autentica quanto supponente confessione, nell’erroneo convincimento di chi crede di essere sempre dalla parte della ragione anche quando ha torto. In questa rubrica è stato espresso e viene per ora mantenuto il convincimento – sulla base degli elementi disponibili – che il reato di truffa a carico della Ferragni non sussista ma in attesa della conclusione delle indagini e giustizia dello Stato, questa donna inconsapevole del valore del silenzio si è già sottoposta al giudizio del Tribunale che, forse, più le interessa: quello dei followers esponendosi ad un’autentica dèbacle.

  • In attesa di Giustizia: terno, quaterna, cinquina?

    Anche questa settimana ci sarebbe più materia di commento di quanto lo spazio della rubrica – se non dell’intero Patto Sociale – possa ospitare: del trasferimento di Chico Forti per scontare la pena in Italia, sul quale si è mosso qualcosa che ha offerto più una concreta speranza, tratteremo senz’altro quando il nostro concittadino tornerà in Italia ma il Governatore della Florida ha già firmato il corrispondente provvedimento.

    A Lucca, salta fuori da un fascicolo una sentenza già scritta prima ancora che sia concluso il processo: non è una novità ma la dice lunga sulla insofferenza di ampie fasce della magistratura rivolta alla funzione difensiva vista più come un ostacolo che un contributo a rendere giustizia.

    A tal proposito, naturalmente, meriterebbe almeno qualche riga la vicenda milanese che vede una donna imputata di aver lasciato morire di stenti la propria bimba mentre trascorreva uno spensierato week end con il fidanzato del momento: storia orribile peggiorata dalla scelta inaudita del Pubblico Ministero di indagare il difensore e due psicologhe del carcere di San Vittore supponendo che abbiano cercato di pilotare gli esiti della perizia psichiatrica; detto francamente, non si fa così: si attende la fine del processo e con tutti gli elementi a disposizione si apre un altro fascicolo senza sollevare clamore mediatico ed il rischio di condizionare soprattutto i giudici popolari oltre che il perito nel frattempo incaricato dalla Corte. In Procura sono volati gli stracci, la P.M. coassegnataria, in aperto dissenso con il collega (da cui non era stata neppure informata della iniziativa) ha restituito la delega al Procuratore Capo e gli avvocati di Milano hanno proclamato una giornata di sciopero indicendo nello stesso giorno un dibattito dall’eloquente titolo “Il processo alla difesa, la difesa del processo”.

    Nel frattempo a Perugia, accompagnata dalla tradizionale fuga di notizie, si allarga l’indagine sul presunto dossieraggio commissionato non si sa da chi e finalizzato non si sa a che cosa ad opera di funzionari della Direzione Nazionale Antimafia con il coinvolgimento del P.M. Laudati. Ricorda un po’ lo scandalo Telecom di qualche anno fa (in quel caso il capro espiatorio fu Giuliano Tavaroli, responsabile della sicurezza dell’azienda, un altro che dei dossier non se ne sarebbe fatto nulla) e vedremo come andrà a finire.

    E, mentre a Brescia si apre la fase preliminare del processo di revisione a carico di Olindo Romano e Rosa Bazzi, il C.S.M., dando un buon esempio di cui questa volta non si sentiva il bisogno e ad una velocità sinora sconosciuta ha già comminato la censura a Cuno Tarfusser, il magistrato che aveva osato presentare la richiesta di revisione senza interpellare prima il suo superiore. Colpevole di lesa maestà per il mancato rispetto di bizantine circolari interne di cui non è nemmeno certa l’esistenza. Qualcun altro, per marachelle più sostanziose sta, invece, attendendo in pensione un pronunciamento dell’Organo di autogoverno che varrà meno della carta su cui è scritto: non luogo a sanzione perché non più appartenente all’Ordine Giudiziario.

    Tuttavia, la giustizia quando vuole trionfa: Marco Travaglio è stato condannato per una evidentissima diffamazione nei confronti dell’attuale Vice Direttore del TG1 Grazia Graziadei sebbene ci sia voluto un po’ di tempo, per l’esattezza quattordici anni. Anni serviti per vedere uscire prima il terno sulla ruota di Roma con tre sentenze consecutive di assoluzione in udienza preliminare ed altrettanti annullamenti dalla Cassazione.

    Solo al quarto tentativo c’è stato un rinvio a giudizio ma non è bastato: condannato in primo grado, l’assoluzione è arrivata in appello ma ha subito un ulteriore annullamento della Cassazione (roba da Guinness dei primati) e nel giudizio di rinvio vi è stata una nuova condanna…non ancora definitiva.

    La decisione è teoricamente ricorribile in Cassazione questa volta, facendo cinquina, dal paladino della libertà di stampa che spesso confonde con quella di diffamare. Dunque, dopo quasi tre lustri, potrebbe non essere ancora finita e del resto come dicono gli americani “un bravo avvocato conosce la legge, un ottimo avvocato conosce i giudici” e la cricca del Fatto Quotidiano, autentico house organ delle Procure, li conosce molto bene tanto è vero che il pluripregiudicato Direttore continuerà a predicare la morale e la verità sulle colonne del suo giornale e nelle ospitate televisive senza che nessuno noti la stranezza di intere trasmissioni in cui i conduttori pendono dalle labbra di un diffamatore seriale.

    In attesa di Giustizia, noi de Il Patto Sociale, se anche dovessimo rimanere gli ultimi, andiamo avanti con il nostro sorriso ed il coraggio di raccontare e combattere.

  • In attesa di Giustizia: la strage degli innocenti

    Altre morti: quello degli infortuni sul lavoro è un argomento di cui questa rubrica si è già occupata ma gli anni passano e non sembrano esserci miglioramenti nella drammatica statistica delle “morti bianche” (oltre mille anche nel 2023) a tacere di quegli incidenti che comportano mutilazioni, lesioni gravi e di quelli in cui solo la fortuna ha evitato il peggio, insomma è una vera e propria strage degli innocenti.

    Ovviamente, dopo l’ultima tragedia a Firenze, c’è già chi invoca pene più gravi: una soluzione tanto facile, di gradimento a populisti e forcaioli, quanto statisticamente destinata a non produrre risultati; tanto per fare un esempio, restando nell’ambito dei reati colposi (cioè quelli non voluti ma verificatisi per negligenza), basta scorrere i dati relativi agli incidenti automobilistici fatali per avere contezza della inutile introduzione del reato di omicidio stradale che ha prodotto risultati controversi. Nelle annate migliori vi sono state riduzioni percentualmente marginali sui decessi: l’inasprimento delle pene, quindi, non ha svolto nessuna reale efficacia dissuasiva né risultati apprezzabili anche se, come suol dirsi, anche una sola vita salvata è un successo…ammesso che non si tratti di mere casualità registrate su grandi numeri.

    Senza dimenticarne altre sciagure terribili – come quello dei manutentori della linea ferroviaria a Brandizzo – l’indagine sulle morti a Firenze ha fatto emergere il problema legato al sub appalto dei lavori, spesso affidato con una lunga serie di delegazioni ad imprese che non assicurano standard minimi di sicurezza né  affidabilità, reclutando lavoratori privi di formazione specifica: altra circostanza che sta risultando proprio dall’inchiesta fiorentina sono le assunzioni con contratto misurato su mansioni diverse da quelle assegnate e questo è un ulteriore rilievo che fa riflettere più che sulle pene sulla esigenza di una rigorosa opera di prevenzione e vigilanza.

    Sebbene i ruoli degli Ispettori del Lavoro continuino a segnalare carenze della pianta organica vicine al 50%, ed è all’Ispettorato che è assegnata – tra le altre – la funzione di controllo sul rispetto della legislazione in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, gli strumenti volti ad una efficace prevenzione non mancano ma sono affidati ai privati, soprattutto allorquando si tratti proprio di assegnazione di opere in sub appalto.

    Sembra, dunque, che questa funzione sia misurata sulla serietà delle aziende che, per prime, devono offrire garanzie reali in materia (ed in difetto delle quali non potrebbero neppure partecipare alle gare sia pubbliche che private) ma che restano del tutto vanificate qualora, senza verifica neppure dalle stazioni appaltanti, le opere vengano subassegnate a soggetti che le medesime garanzie non offrono: i committenti  più rigorosi, per esempio, non solo esigono che solo una percentuale assai ridotta (a regola non oltre il 10%) possa essere subappaltata ma anche che tutte le realtà impiegate dispongano di un sistema di prevenzione degli illeciti ai sensi del d.lgs. 231/01 che contempla la responsabilità da reato delle imprese che, quindi, rispondono per una forma di colpa in organizzazione unitamente ai dirigenti e manager il cui comportamento integri un reato tra quelli previsti da uno specifico catalogo: e gli infortuni sul lavoro vi rientrano.

    In sintesi, il sistema – con la inaccettabile eccezione della mancanza di ispettori del lavoro, ma i soldi per le assunzioni non ci sono mai…- è strutturato per una adeguata prevenzione e basterebbe farlo funzionare senza affidarsi solo al “buon cuore”, se così si po’ dire, degli imprenditori che non sempre mostrano più sensibilità alla sicurezza, alla integrità fisica, alla vita, che non alle economie derivate dal risparmio su materiali impiegati, formazione, dotazione di strumenti individuali di protezione.

    L’aumento delle pene, la creazione del reato di omicidio sul lavoro difficilmente farebbero scomparire il fenomeno delle morti bianche, rendendo solo più complesso un sistema già bizantino. Questo vale per ogni cosa: prima di introdurre nuove leggi sarebbe buona cosa far rispettare quelle esistenti. Altrimenti è solo propaganda e l’attesa di giustizia per il popolo dei lavoratori, di quelli più umili, meno pagati e meno “garantiti”, non risiede certo in condanne esemplari il cui dispositivo è buono solo per essere affisso su quelle troppe lapidi che non vorremmo più vedere ma in quelle morti che si devono e si possono evitare.

  • In attesa di Giustizia: galline in attesa di giustizia

    Solo gli sciocchi non sono in grado di riconoscere i propri errori e cambiare opinione se adeguatamente avviati sulla strada del ripensamento: di recente questa rubrica ha affrontato il tema – di grande attualità – del trattamento penitenziario riservato dall’Ungheria ad una nostra concittadina (e non solo a lei, per non discriminare nessuno) e della diversità dei codici e degli apparati giudiziari europei, con buona pace del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie che affonderebbe (condizionale d’obbligo) nelle comuni radici e tradizioni continentali e nella condivisa Convenzione dei Diritti dell’Uomo.

    Aspre critiche sono state mosse al mancato ravvicinamento dei sistemi penali, lamentando che questa non sia l’Europa che avrebbe dovuto unire gli uomini facendoli sentire “cittadini europei”…eppure, qualcosa si muove, anzi si è mosso e già da molto tempo in questa direzione ed in questo numero è cosa buona e giusta fare ammenda di quelle che paiono rivelarsi infondate doglianze.

    La buona notizia, ingiustamente sottovalutata e che riabilita un’Unione Europea – attenta a dettarci regole, regolamenti e codicilli con una frequenza tale da trasformarli in imposizioni – riguarda la tutela offerta alle galline ovaiole e parliamo dell’attuazione ad una direttiva nientemeno che del 1999 a cui noi italiani ci siamo tardivamente e colpevolmente adeguati con una delega al Governo del 2003 volta a provvedere al riordino e la revisione della disciplina sanzionatorio in materia di protezione delle galline ovaiole.

    Era ora: queste simpatiche bestiole da cortile aspettavano da anni un po’ di tutela e di giustizia! Forse non a caso il nostro provvido legislatore ha inserito il tutto nel medesimo disegno di legge che regola la responsabilità civile dei magistrati prevedendo un inasprimento delle pene già esistenti da irrogare a chi delinqua contro le gallinelle con pene “da irrogare secondo principi di effettività, proporzionalità e dissuasività” nonché mediante “riformulazione e razionalizzazione e graduazione dell’apparato sanzionatorio”.

    Ci mancherebbe altro! E, si badi bene, la Corte Costituzionale insegna che non vi è disparità di trattamento tra galline ovaiole e nullafacenti perché la diversificazione è conseguente alla esigenza di regolamentare situazioni non omogenee (volete mettere quelle adorabili creature che vi mettono l’ovetto in tavola con quelle scansafatiche che si limitano a razzolare tutto il giorno becchettando granaglie?).

    La questione è molto seria: nessuno leda i sacrosanti diritti delle galline e di ogni altra specie, è l’Europa che ce lo ha chiesto e bene ha fatto il legislatore nazionale, severo ma giusto, ad intervenire con l’autorevolezza che gli è propria.

    Certamente, dopo essersi occupato di “adeguare gli stabilimenti di allevamento” per queste docili fattrici, dispensatrici di gioie ai galli del pollaio, non sarebbe male che il Parlamento si occupasse  anche di adeguare agli standard di un paese civile gli stabilimenti di detenzione per coloro che sono in attesa di giudizio o in espiazione delle pene…perlomeno una volta risolto quel problemino legato alla carenza di organico di circa 18.000 Agenti di Custodia (i cui stipendi, ahimè costano…), misurato sulla attuale struttura carceraria e che è destinato ad aumentare vertiginosamente se la soluzione fosse quella di costruire nuove carceri o ristrutturare quelle già esistenti e in disarmo: a Monza, per esempio, ce n’è una in pieno centro abbandonata da decenni e divenuta luogo di rifugio di topi, ragni e salamandre ed in progressiva rovina. Ed è solo un esempio: nel Paese ce ne sono una quarantina, alcune mai neppure entrate in funzione: da Arghillà (RC) per mancanza di allacciamento idrico a Busachi, in Sardegna, un’altra frettolosamente chiusa e lasciata alle intemperie da lustri è quella di Pinerolo, altre ancora hanno i lavori fermi da tempo immemorabile per mancanza di fondi e nel frattempo vengono saccheggiate di quello che può tornare utile altrove: dai gabinetti ai serramenti.

    Ma questi sono problemi tipicamente nostri, di un’Italia che – per fortuna – sta al passo con i partner europei e garantisce alle galline il giusto processo.

  • Arrivano le archiviazioni giudiziarie telematiche. E tra le toghe c’è chi sbuffa

    Circa il 70% dei procedimenti penali termina con l’archiviazione in fase d’indagine ma l’informatizzazione dei servizi giudiziari introdotta per legge (e già in larga parte rinviata al futuro, con l’eccezione delle archiviazioni) fatica ad entrare a regime. Dall’1 gennaio tutto è cambiato, il magistrato non può più disporre l’archiviazione firmando carte ma deve accedere ad “App” autenticandosi, indicare l’ufficio di appartenenza, inserire gli estremi del fascicolo, cliccare su “redigi atto” e su “archiviazione”, poi va scelta da un menù la motivazione. Per procedere a questo punto, però, bisogna giustificare ad “App” il motivo e il problema è che si deve scegliere tra una delle opzioni standard (ad esempio “Modello incompleto”) oppure procedere per una “descrizione libera”. Il tutto moltiplicato per centinaia e centinaia di fascicoli l’anno.

    Tutto questo è visto come una fatica insopportabile e una perdita di tempo da parte del ceto togato, che ha trovato ne Il Fatto Quotidiano il portavoce delle proprie frustrazioni. “Prima riuscivo ad archiviare un fascicolo in meno di dieci minuti, ora ci vogliono almeno due ore” ha lamentato il procuratore di Napoli Nicola Gratteri all’inaugurazione dell’anno giudiziario. “Stamattina nel mio ufficio il sistema è bloccato e non consente l’accesso, e in questi giorni siamo riusciti a inviare non più di tre o quattro richieste. Prima ci ribelliamo, segnalando con fermezza che “App” è radicalmente inadatto a gestire le indagini preliminari, e meglio è”, è quanto ha scritto ai colleghi – come riporta il medesimo quotidiano – il procuratore di Ascoli Umberto Monti. Il Fatto Quotidiano sottolinea che il Guardasigilli Carlo Nordio è al centro di numerosi strali di ex colleghi: “Le ricadute sugli assetti degli uffici saranno devastanti. Naturalmente il ministro, che per questo disastro dovrebbe dimettersi, non si assumerà la responsabilità”, pronostica in chat un gip del Sud. Qualcuno cede allo sconforto: “La sensazione di non essere più un magistrato, ma un funzionario che “flagga” caselle, è fortissima”, racconta in mailing list un pm siciliano. “Confesso di aver provato anche un senso di inutilità quando, dopo la terza volta che non si riusciva a copiare sul modello il testo della richiesta di archiviazione, ho abdicato e salvato le due righe del modello dandola vinta al sistema. Per la prima volta mi sono trovato a subire un vero e proprio condizionamento nel modo in cui ho esercitato la giurisdizione”. Una situazione che crea effetti paradossali: “Chiedere il rinvio a giudizio è diventato più semplice che archiviare“, scherza (ma non troppo) un giovane sostituto. Non male, per il ministro più garantista di sempre.

    Di control, le statistiche sugli errori giudiziari attestano che dal 1991 al 2022 la magistratura non solo non ha archiviato ma ha pure condannato 222 persone che non andavano processate. Il risarcimento dovuto per questi casi è stato di oltre 86 milioni di euro per tutti i 222 casi (solo nel 2022 gli errori giudiziari sono stati 8, e hanno comportato risarcimenti per 9 milioni e 951mila euro). Parallelamente, i casi di ingiusta detenzione – quando vi era sì motivo di processare una persona ma non di privarla della libertà nelle more del processo – sono stati oltre 30mila dal 1992 al 2022 (mediamente per 985 per anno) e hanno comportato indennizzi per oltre 846 milioni di euro (nel 2022 i casi di ingiusta detenzione sono stati 539, gli indennizzi corrisposti sono stati pari a 27,4 milioni di euro).

  • In attesa di Giustizia: le peggiori della settimana

    E’ difficile fare una graduatoria non meno che elencarle tutte, i lettori dovranno accontentarsi di una selezione.

    Abbiamo dovuto vedere le immagini di Ilaria Salis trascinata in catene come Amatore Sciesa e scortata da sicofanti in tuta mimetica e mefisto calato sul volto per avere un saggio sulla giustizia e le carceri ungheresi, perché iniziasse a scoperchiarsi un vaso di Pandora circa favoleggiate “tradizioni comuni e condivise” su cui si fondano istituti, sempre più numerosi, di cooperazione presupponendo il mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie in ambito UE: quello magiaro non è  certamente l’unico esempio, seguito a ruota da quello rumeno e chissà quanti ancora soprattutto tra i Paesi già appartenenti al Patto di Varsavia. Spiace dirlo proprio su queste pagine ma l’Europa sta dimostrandosi sempre più un’entità solo geografica e monetaria.

    Eppure non si tratta di novità se la Procura Generale di Milano – neanche a dirlo in persona del Consigliere Cuno Tarfusser – aveva espresso, già da tempo, parere negativo alla consegna all’Ungheria – in seguito alla emissione di un mandato di arresto europeo – proprio del coimputato di Ilaria Salis evidenziando la mancanza di garanzie di quel sistema e le condizioni detentive degne della Turchia di “Fuga di Mezzanotte”.

    A proposito di Procure Generali: quella di Brescia ha chiesto la conferma della condanna di Piercamillo Davigo affermando che “Davigo ha trasformato documenti riservati nel segreto di Pulcinella”: il parere non è vincolante e deciderà liberamente la Corte d’Appello ma il pronostico non sembra favorevole e probabilmente genera ansie nella redazione del Fatto Quotidiano dove, all’improvviso, hanno scoperto che esiste la presunzione di innocenza, tanto è vero che Travaglio si sta sperticando nella difesa di un imputato; il che è cosa buona e giusta anche se suona vagamente sospetta la circostanza che tutto questo fervore garantista sia rivolto nei confronti del figlio del suo ’”azionista di riferimento”: Beppe Grillo.

    Naturalmente Ciro Grillo deve essere considerato – come tutti – presunto innocente fino a sentenza definitiva ed ha diritto ad un giusto processo come vuole la nostra Costituzione…un processo che però, nel suo caso e come prevede la legge, si sta celebrando a porte chiuse per la delicatezza degli argomenti, tutelando il diritto alla riservatezza tanto della denunciante quanto degli accusati.

    La regola generale vuole che ai processi vi sia la partecipazione del pubblico con la finalità di consentire il controllo sull’andamento della giurisdizione da parte dei cittadini nel cui nome vengono pronunciate le sentenze. Viene allora da domandarsi: se questa pubblicità è legittimamente esclusa perché (e, soprattutto, come) la si aggira, commettendo, tra l’altro, un reato (anche se non viene mai contestato), divulgando poi a mezzo stampa i verbali corrispondenti alle udienze non pubbliche? Nello specifico, il riferimento è ancora una volta al Fatto Quotidiano ed alla vicenda per violenza sessuale di gruppo che vede coinvolto Grillo jr. e i suoi amici, in particolare, sembra che l’interesse sia stato improvvisamente rivolto all’interrogatorio della ragazza, presunta vittima senza risparmiarne neppure un passaggio tra quelli che contengono le vivaci contestazioni delle difese e che, al di fuori di un’aula di Tribunale, possono ascriversi più al gossip ginecologico che ad un settore della informazione e della cronaca giudiziaria.

    Gran finale riservato al recentissimo flop che arricchisce lo score imbarazzante del Pool Corruzione Internazionale – ora soppresso dal Procuratore Capo – che fu creato a suo tempo da quel Fabio De Pasquale, che (a sua volta presunto innocente) è sotto processo per avere, nella nota indagine ENI-Nigeria, occultato prove a favore degli imputati, poi tutti assolti: sentenza contro la quale si è pure ingegnato di fare appello finendo letteralmente sbeffeggiato dalla Procura Generale.

    Questa volta, il 30 gennaio, sono stati tutti assolti gli accusati in un processo per supposte tangenti pagate da un’azienda tedesca per l’appalto di lavori nella metropolitana di Mosca. Cosa importasse alla Procura milanese di tutto ciò non era chiarissimo fin dall’inizio ma, con buona pace del “filtro” da sempre malfunzionante dell’udienza preliminare, sono finiti a giudizio manager finlandesi, tedeschi, russi ed anche qualche italiano: questi ultimi per avere emesso… delle fatture che apparivano da subito regolari, inerenti a forniture di materiali.

    Il fatto non sussiste, è la formula tranciante adottata dal Tribunale che chiude dopo nove anni questa vicenda e suona come dire: perdonate loro (i Pubblici Ministeri) che non sanno quello che fanno, convinti tuttavia di essere investiti di una missione salvifica, meritevole persino di essere esportata…anche senza licenza; un po’ come quella volta che, qualcuno lo ricorderà, c’era stato chi voleva arrestare Yasser Arafat per atti di terrorismo mentre partecipava ai funerali di Pertini.

    In attesa di giustizia, ungheresi e rumeni paiono essere in ottima compagnia.

  • Non cadere nel tombino

    In Italia in 30 anni ci sono stati 30.000 errori giudiziari che hanno portato ingiustamente in carcere, per mesi, per anni, per decenni persone innocenti privandole di una parte, a volte considerevole, della loro vita con tutto quanto ne consegue per le relazioni famigliari, interpersonali, per il lavoro, la vita sociale e la salute mentale.

    Questi errori hanno avuto un rilevante peso economico sia per i singoli, ingiustamente detenuti, che per lo Stato che ha dovuto, giustamente, provvedere, anche se a volte in ritardo, ai risarcimenti.

    Il Ministro della Giustizia ha dichiarato che nel 2026 si arriverà finalmente al pieno dell’organico, intanto i tribunali sono intasati, da anni, da pratiche e processi inevasi e non si sa come risolvere il problema nell’immediato.

    Il digitale corre veloce e forse un domani saremo giudicati, assolti o condannati, dall’intelligenza artificiale, Dio ce ne scampi, sta però di fatto che più gli enti pubblici sono informatizzati e meno funzionano le cose, basti pensare all’impossibilità di accedere ai siti delle questure, per prenotare l’appuntamento per il rinnovo del passaporto, o le attese di mesi per avere, Milano o Roma è indifferente, la carta d’identità.

    Nessuno sembra accorgersi dei disagi che i cittadini stanno subendo, in speciale modo i più anziani ed i meno esperti nell’informatizzazione, abbiamo una società solo per giovani mentre la maggioranza della popolazione è anziana, un problema la denatalità ma un problema anche non comprendere le difficoltà di chi non smanetta sui social.

    Siamo assolutamente favorevoli ai grandi progetti, purché si realizzino effettivamente, ma mentre si guarda alle mete più in alto sarà bene che governo ed opposizioni, nazionali, regionali e locali, guardino anche in basso dove vive e sgomita la gente comune. Inoltre guardando sempre e solo in alto si rischia di cadere in un tombino rimasto aperto.

  • In attesa di Giustizia: la fabbrica dei reati

    Lo scorso fine settimana si sono tenute le cerimonie di apertura dell’Anno Giudiziario: per prima a Roma e subito dopo in tutti gli altri capoluoghi di Corte d’Appello. In un momento dedicato alla sintesi del lavoro svolto nei diversi territori, i dati sulla produttività degli Uffici sono stati commentati con l’accompagnamento di una sorta di fil rouge rappresentato dalla diffusa (e comprensibile) lamentazione sulle carenze di organico tanto della magistratura quanto delle funzioni amministrative.

    Il Ministro della Giustizia ha rassicurato che – con il concorso già in essere per 400 posti – e quelli prossimi venturi entro un paio d’anni le scoperture relative a giudicanti e requirenti saranno colmate: beato lui che ci crede ancora mentre, con qualche lodevole eccezione come il Distretto di Perugia, il piatto piange e si consolidano pendenze ed arretrati che – viceversa – si sarebbero dovuti abbattere con le riforme approvate per conseguire gli agognati fondi del PNNR. Tanto per la cronaca, Roma è in testa a questa classifica di demerito. Dimentica, però, il Guardasigilli che proprio la sua proposta di istituire un Collegio Giudicante per decidere sulle richieste di arresto assicurando maggiori garanzie agli indagati ha suscitato le perplessità della Ragioneria dello Stato perché non si sa bene dove rovistare in fondo alla cavagna per pagare gli stipendi del maggior numero di giudici necessario che andrebbero a sommarsi a quelli già oggi mancanti.

    In tutto questo, e se ne è già trattato in precedenti occasioni, il legislatore esita a dare il via libera ad una corposa ed ancor possibile depenalizzazione, che libererebbe da penosi incombenti la Polizia Giudiziaria e sgombrerebbe Procure e Tribunali dalla gestione di una moltitudine di “reati nani” che riguardano comportamenti di nessun allarme sociale e nessun disvalore meritevole della sanzione penale, tutt’al più di una multa al pari del divieto di sosta: dall’esercizio abusivo della professione di custode di condominio alla falsificazione del marchio “salame di Varzi”, tanto per fare un paio di esempi (ma sono centinaia).

    Per soprammercato, mentre il sovraffollamento carcerario torna ad essere un’emergenza, quella che può definirsi “la fabbrica dei reati” sforna a ciclo continuo nuove e fantasiose fattispecie di delitto che hanno come capostipite l’inutilissimo e confuso decreto anti rave party cui hanno fatto seguito l’omicidio nautico, l’abbandono scolastico, la resistenza passiva a Pubblico Ufficiale e molte altre ancora che trovano i loro spunti opportunistici nei più disparati fatti di cronaca contribuendo solo ad abbassare, se esistesse, il PIL del diritto penale liberale di cui Carlo Nordio è sempre stato un alfiere…ma qualcuno, evidentemente rema contro e – pochi lo sanno, poco se ne sa ed ancor meno se ne parla – il suo Capo di Gabinetto, un Magistrato chiamato a quel ruolo cruciale per la dimostrata capacità organizzativa del Tribunale di cui era Presidente, ha rappresentato l’intenzione di dimettersi anche per le continue ingerenze del suo vice.

    Nel frattempo, l’Associazione Nazionale Magistrati, invece di offrire un contributo costruttivo, sembra preoccupata solo di criticare l’operato del Guardasigilli, preoccupata essenzialmente di scongiurare la separazione delle carriere.

    A proposito di ANM: in questi giorni si è conclusa la revisione del processo in favore di Beniamino Zuncheddu (anche di questa vicenda si è occupata la rubrica) che, con 33 anni di carcere da innocente ha conquistato il triste Guinness dei Primati di settore e che dovrebbe essere nominato senatore a vita diventando la memoria per il nostro futuro perché, come dice Primo Levi, chi dimentica il passato è condannato a riviverlo e nessuno vuole che si ripetano vicende come quelle di Enzo Tortora e Beniamino Zuncheddu. Ma a costui, risultato vittima di conclamata insipienza, incompetenza, inadeguatezza di chi lo aveva malamente giudicato, l’ANM non chiede scusa, difendendo la bugia secondo cui la responsabilità dei giudici mortificherebbe la loro indipendenza, sempre pronta a protestare se si prova a negare alla magistratura un potere assoluto ed incondizionato che schiaccia gli individui nella morsa tra la fabbrica dei reati e quella parodia di Stato di diritto che siamo diventati.

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