E’ bastato che Giorgia Meloni andasse a prendersi un cafferino con Trump e, come per caso o per magia, gli Ayatollah hanno rilasciato la giornalista Cecilia Sala fino ad allora trattenuta in un carcere di massima sicurezza senza accuse precise ed in realtà senza colpe diverse dall’essere donna, occidentale e soprattutto cittadina di quel Paese che aveva in custodia l’ingegnere iraniano Mohammad Abedini, colpito da provvedimento di arresto internazionale ed in attesa di estradizione verso gli Stati Uniti con l’accusa di aver fornito componenti elettronici impiegati per un attentato a militari in Giordania.
Cosa si siano detti e cosa abbiano condiviso la Premier e il Presidente eletto non è dato sapere ma la triangolazione giudiziaria tra USA, Italia ed Iran sembra ora avviarsi ad un lieto fine tutto sommato prevedibile: liberata l’italiana, il difensore del persiano ha subito chiesto alla Corte d’Appello di Milano (competente per decidere sulla consegna agli americani) di concedere al suo assistito gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e, guarda caso, lo stesso giorno del rientro in Italia di Cecilia Sala c’è stato un vertice a Palazzo Chigi con la partecipazione di Carlo Nordio e Alfredo Mantovano.
Per una serie di coincidenze, dopo tale incontro e prima della decisione della Corte d’Appello di Milano, è pervenuta una richiesta del Ministro della Giustizia che, facendo leva su prerogative che gli sono proprie, ha chiesto di revocare la misura di arresto a carico di Abedini perché mancherebbe il requisito della doppia incriminazione posto alla base delle procedure di estradizione, e cioè a dire che i fatti attribuiti all’accusato siano considerati reato sia nel paese che richiede la consegna che in quello in cui è stato arrestato. Detta tutta, questa è una decisione che spetterebbe alla Corte d’Appello contro il cui provvedimento è possibile fare ricorso per Cassazione e solo l’ultima parola spetta al Ministro della Giustizia ed è, diciamo così, insolito che quest’ultimo intervenga mentre è in corso il giudizio, così come è piuttosto strano che – con atteggiamento ed interpretazione della legge di senso opposto – avesse dato seguito alla richiesta di estradizione quando era pervenuta dagli Stati Uniti meno di un mese prima.
La sostanza è che non sapremo mai cosa si sono detti Giorgia e Don ed è giusto così: la diplomazia ad alti livelli deve conservare i suoi margini di riservatezza come la elasticità nella gestione dei rapporti tra Paesi alleati e non: ma che nessuno ci venga a raccontare che quella è stata una visita di cortesia o che il vertice Nordio-Mantovano, come da loro stessi affermato, non aveva nulla a che vedere con questo caso e mano che mai che qualche giudice Iraniano abbia subito la moral suasion dell’ambasciatore italiano (visto che la Sala non aveva neppure un difensore) e si sia convinto che non c’erano ragioni per trattenerla ad Evin o meno che mai lo abbia fatto per un sussulto di coscienza.
Le coincidenze esistono ma quando sono troppe non possono considerarsi più tali e se c’è stata qualche forzatura nelle procedure, in fondo, nessuno se ne lamenti posto che l’ingegnere Abedini è da considerarsi comunque presunto innocente che ha già fatto ritorno al suo Paese con il primo volo e Cecilia Sala una innocente tout court.
Scambi di questo tipo – perché di ciò si tratta in ultima analisi – se ne sono fatti a decine durante la guerra fredda ed in quei casi si trattava quasi sempre di vere e proprie spie e se ne sono fatti anche in tempi recenti coinvolgendo Paesi come Francia, Gran Bretagna e, naturalmente, USA; uno degli ultimi è stato un giocatore di basket americano che Putin ha restituito in cambio di Viktor Bout che non era proprio un galantuomo ma uno dei trafficanti di armi più ricercati del pianeta: nulla di tutto ciò si può dire ancora di uno dei protagonisti né lo si potrà mai neppure ipotizzare dell’altra tranne a voler considerare che la redazione del Foglio ospiti un’antenna della CIA.
Con buona pace di Corrado Augias, Michele Santoro e persino Rosy Bindi – resuscitati dai rispettivi sepolcri per l’occasione – che avevano preconizzato l’inutilità della missione della Premier a Palm Beach e l’inerzia del Governo di fronte al dramma di una concittadina ingiustamente detenuta in un paese canaglia, la differenza rispetto al passato è che certi scambi possono concordarsi e realizzarsi di fatto davanti a un cafferino e un vassoio di cookies e non a Berlino sul Ponte delle Spie. E Giustizia, in fondo, è fatta.