In attesa di Giustizia: quinto grado
Non bastano programmi televisivi che si arrogano il diritto di svolgere vere e proprie indagini parallele sui fatti di cronaca nera senza evitare di esprimere giudizi, generalmente di colpevolezza perché al pubblico piace sapere che il bene vince sempre ed i cattivi hanno una punizione segnata nel destino: per chi si perdesse qualche puntata, ci pensa la carta stampata a celebrare un quinto grado di giudizio alimentando la fame di gogna di quel popolo italiano nel cui nome – lo abbiamo ricordato molte volte – è amministrata la giustizia e dovrebbe, pertanto, ricevere un’informazione corretta in proposito stimolando la funzione di controllo di una comunità che aspiri ad essere democratica a tutela dei diritti del cittadino dinanzi alle prevaricazioni del potere
Un’ennesima e recente esperienza dimostra – invece – che la cronaca giudiziaria, più che ad una doverosa e corretta informazione, sia intesa a sollecitare indignazione fomentando una pericolosa deriva illiberale che Tribunali e legislatore sono facilmente disposti ad assecondare: basti pensare al vergognoso sit in organizzato a Genova contro il Governatore agli arresti con provvedimenti in cui il Ministro della Giustizia ha affermato di far fatica a comprendere cosa ci sia scritto.
Questa volta parliamo della concessione degli arresti domiciliari, con braccialetto elettronico, ad uno dei due ragazzi americani accusati per l’uccisione del Vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello, avvenuta nel luglio 2019 a Roma.
Nessuno tra i cronisti ha ritenuto opportuno mettere in evidenza che si tratta di un imputato sotto processo (non ancora concluso) che ha già sofferto cinque anni di carcerazione preventiva e la cui pena, dopo l’annullamento da parte della Corte di Cassazione, è stata dimezzata per una ragione giuridicamente ineccepibile: il suo ruolo è risultato essere quello del concorrente anomalo nell’omicidio. Il che, tradotto, significa che ha partecipato all’aggressione nei confronti del sottufficiale dell’Arma ma senza l’intenzione di uccidere. Una differenza non banale rispetto all’omicidio volontario tutt’ora contestato al suo coimputato, colpevole materiale di quella morte.
La detenzione domiciliare con un dispositivo elettronico di controllo è – dunque – coerente con il tipo di responsabilità attribuita e proporzionata bilanciando la pena residua con quella già espiata in attesa di giudizio ed è stata disposta presso l’unico domicilio disponibile in Italia, quello dei nonni che non hanno colpa se risiedono a Fregene: tutto ciò è diventato ghiotto pretesto per sollecitare su alcuni quotidiani sentimenti di rabbia e rancore, come si trattasse di un crimine impunito, con titoli del tipo “Il killer del carabiniere va ai domiciliari al mare”. Ovviamente silenzio circa su quella dinamica processuale che, come altre anche questa volta, la nostra rubrica cerca di rendere comprensibile anche a lettori non tecnici.
Altrettanto ovviamente nessuno ha inteso ricordare l’immagine di questo giovane fotografato all’interno di una caserma che veniva predisposto all’interrogatorio del P.M. bendato e con le mani legate dietro la schiena con un garbato metodo di persuasione in salsa magiara.
Ecco allora che altri titoli come “Cerciello: un killer ai domiciliari. La moglie: giustizia al contrario” ed a seguire un articolo che trasuda in alternativa malafede o ignoranza dei fatti e del diritto (forse entrambe), scegliete voi, parla di un’informazione disinteressata alla comprensione dei fatti che, però, possono esercitare una pressione indebita sui giudici, anche compromettendo la loro indipendenza e imparzialità, generando sfiducia nelle istituzioni e promuovendo sentimenti di vendetta piuttosto che di giustizia.