magistrati

  • In attesa di Giustizia: stica***

    Dal 2018 al 2024 allo Stato sono costati circa 220 milioni di euro gli indennizzi destinati ai cittadini vittime di ingiusta detenzione, cioè che sono stati arrestati salvo poi essere prosciolti o assolti: la cifra si ricava dall’ultima relazione del ministero della Giustizia sulla custodia cautelare e sulle ingiuste detenzioni in Italia…e molte vengono negate con motivazioni quantomeno fantasiose. Quello che colpisce è la distribuzione geografica delle riparazioni economiche: di questi 220 milioni, ben 78 sono stati versati in Calabria, a seguito di decisione delle competenti Corti d’appello di Catanzaro e Reggio. In altre parole, una regione che ospita soltanto 1,8 milioni di abitanti ha assorbito negli ultimi sette anni il 35% dell’intera spesa destinata a risarcire le vittime di ingiusta detenzione: tendenza stabile se, nel 2024, su quasi 27 milioni complessivi, 8,8 (e siamo al 33%) costituiscono il costo della Calabria…e forse c’è una spiegazione, sicuramente i numeri fanno riflettere.

    Non a caso si parla di un’area dominata da procure d’assalto che imbastiscono maxi operazioni contro la criminalità organizzata con decine, se non centinaia di arresti, e che molto spesso si rivelano ingiusti. Le più note – i cui effetti in termini di ricaduta sugli indennizzi diventano ora percettibili a processi conclusi – sono quelle firmate a suo tempo da Nicola Gratteri: prima a Reggio Calabria e poi a Catanzaro dove è stato Procuratore Capo dal 2016 al 2023.

    Ricordiamone alcune: quella contro la ’ndrangheta del 2003, nella Locride, con 125 misure di custodia cautelare (solo in otto vennero condannati e per gli arresti preventivi è necessaria una valutazione degli indizi con prognosi di “elevata probabilità di condanna”); l’operazione “Circolo formato” del 2011, quaranta persone arrestate tra cui il sindaco di Marina di Gioiosa Ionica e diversi assessori, in esito alla quale gli amministratori locali poi vennero assolti; l’ancora più nota operazione “Rinascita-Scott”, nel 2019: 334 persone mandate in carcere ed in primo grado ne sono state assolte 131, praticamente una su tre; buon ultima – ma non esaurisce l’elenco – l’inchiesta del 2018 che sconvolse la politica calabrese, con le accuse di corruzione e abuso d’ufficio contro l’allora Presidente della regione, Mario Oliverio, poi assolto.

    Stiamo parlando di Gratteri che ha sempre sostenuto che i risarcimenti per ingiusta detenzione erano riferibili agli anni prima del suo arrivo a Catanzaro ma adesso che la Corte d’Appello sta trattando proprio gli anni della sua gestione i numeri, anziché diminuire, sembra che aumentino.

    In effetti, nel 2024 il maggior numero di ordinanze di indennizzo per ingiusta detenzione è stato emesso proprio dalla Corte d’Appello di Catanzaro: 110 sulle 552 di tutto il territorio nazionale ed in taluni casi era stata già la Corte di Cassazione a definire le indagini di Gratteri come improntate ad un chiaro pregiudizio accusatorio; e non stati solo decine di cittadini ad avere la vita distrutta ma anche aziende finite ingiustamente nel tritacarne che sono state condotte all’inesorabile fallimento da inette amministrazioni giudiziarie.

    E’ il metodo calabrese: si getta la rete e si pesca a strascico: qualcosa resta sempre impigliato nella rete ma non è certo una pesca miracolosa: stica***… Piuttosto costosa per le casse pubbliche e prima ancora per la vita degli innocenti.

  • In attesa di Giustizia: terre di nessuno

    Nel Parco di Yellowstone, che ricade nel Distretto Giudiziario del Wyoming, si estende una striscia di terra della superficie di circa 130 chilometri quadrati che sconfina nell’Idaho ed in quel territorio, quasi un enclave tipo Campione d’Italia, non ci abita nessuno il che pone un problema giuridico: secondo il VI emendamento della Costituzione Americana ogni imputato ha diritto ad un giusto processo di fronte ad una giuria composta da cittadini dello Stato e del Distretto in cui il crimine è stato commesso…Dunque se in quella lingua di terra venisse commesso un delitto non sarebbe concretamente possibile celebrare un processo per la mancanza di potenziali giurati: d’altronde, essendo un’area disabitata, è improbabile che venga commesso un reato da chicchessia e di qualsiasi natura; nessuno, correttamente, ha mai pensato di istituirvi un Tribunale di Contea vuoto.

    Da noi invece, qualche anno fa, si è fatta una revisione della geografia giudiziaria perché alcuni Tribunali apparivano in sovrannumero rispetto al territorio, molti erano stati edificati distanti pochi chilometri di distanza uno dall’altro per offrire presidi di legalità in un tempo – quello della Unità d’Italia – in cui i mezzi di trasporto non erano quelli attuali e tra tutti primeggiava il Piemonte dove Casa Savoia ne aveva disseminati una quantità notevole (molti dei quali sopravvissuti), compreso un secondo Distretto di Corte d’Appello a Casale Monferrato in aggiunta a Torino. Spending review, redistribuzione delle risorse ed efficientamento del sistema sono risultati raggiunti ben al di sotto delle aspettative con questa riforma risalente al Governo Monti e non senza qualche singolare sviluppo come quello che riguarda la sede distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli, inizialmente soppressa e riaccorpata al Capoluogo, poi riaperta con un andirivieni di fascicoli che facilitava smarrimento e prescrizione ed ora in procinto di essere nuovamente chiusa abbandonando un’isola con oltre 50.000 abitanti, che in stagione diventano circa 400.000, e sei Comuni, nelle mani dei soli Giudici di Pace che – tra l’altro – hanno competenza limitata e nessuna per il reato più frequentemente commesso a livello locale: l’abuso edilizio.

    Non più tardi di qualche mese fa il Governo aveva rassicurato l’Ordine degli Avvocati di Napoli prorogando proprio a dicembre il provvedimento di riapertura provvisorio in essere in attesa dell’avvio del necessario iter legislativo volto alla stabilizzazione della sede ma il diavolo ci ha messo la coda, o meglio, il Consiglio Giudiziario (che è una sorta di propaggine locale del C.S.M.) con il voto determinante – guarda un po’ – dei magistrati.

    Motivo: dopo il trasferimento di un giudice l’interpello per trovare chi lo sostituisse non è andato a buon fine, probabilmente a causa del sovrumano sacrificio richiesto a Suo Onore di prendere l’aliscafo alle 6,30 del mattino un paio di volte alla settimana per andare a fare udienza a Ischia…con la conseguenza di costringere tutti gli altri a prenderlo per raggiungere Napoli: poliziotti, carabinieri, testimoni, imputati, parti lese e periti e con ciò allontanando dalla sede di lavoro per molto più tempo del necessario una moltitudine di cittadini, parte dei quali costituiscono un presidio indispensabile della comunità come agenti delle forze dell’ordine, medici, infermieri, vigili del fuoco, ufficiali postali e via enumerando.

    Non è il solo esempio: per limitarsi ad un altro che ha creato disagi notevoli per l’utenza lo si rinviene con la soppressione del Tribunale di Montepulciano che impone complicate trasferte fino a Siena, ma la lista continua.

    A ciò si aggiunga che la sezione distaccata del Tribunale di Napoli a Capri era stata a suo tempo accorpata ad Ischia (competente anche per Procida) ed i profili critici devono essere moltiplicati per altre due isole, seppur più piccole.

    Molti anni fa, per ragioni diverse, ad Anacapri fu chiusa anche la Casa Mandamentale, cioè un piccolo carcere locale, ma di questo si lamentarono solo i pochissimi detenuti che trovavano molto chic espiare la pena nell’Isola Azzurra.

  • In attesa di Giustizia: il quarto (o quinto) stato

    E sciopero è stato: parliamo di quello indetto dalla Associazione Nazionale Magistrati per protestare contro il disegno di legge che separa le carriere tra giudicanti e pubblici ministeri e ci sarà, come in tutte le occasioni simili, discordanza e opacità sui dati di partecipazione. Basti pensare che con una circolare è stato espressamente previsto che, “alla giapponese”, si potesse scioperare lavorando, qualora vi fossero delle urgenze da affrontare sia pur sfoggiando coccarde tricolori come a una festa patronale e volantini con il frontespizio della Costituzione…quasi a simboleggiare che il contenuto interessa meno o non se n’è compreso il senso. Corre voce che qualcuno (o più di qualcuno) le urgenze se le sia signorilmente inventate per non subire la trattenuta di un giorno di stipendio come previsto per tutti i dipendenti pubblici.

    L’unica certezza è che questo sciopero deve considerarsi eversivo non potendo definirsi altrimenti definire lo sciopero di un potere dello Stato contro un altro potere dello Stato. Con buona pace del supposto clima eversivo creato dalla avvocatura a margine del dibattito sulle riforme: chissà, a proposito, come andrà a finire l’incontro congiunto tra la Premier, il Presidente dell’A.N.M e quello dell’Unione delle Camere Penali previsto tra pochi giorni? Forse alla maniera di quello tra Trump e Zelensky…

    Tornando all’agitazione, per chiarirne i contenuti, non ha nulla di sindacale: non rivendica migliori condizioni di lavoro, né una migliore efficienza organizzativa ovvero un più adeguato trattamento salariale: ci mancherebbe altro! Per chi non lo sapesse lo stipendio dei magistrati è misurato su quello dei parlamentari ed aumenta automaticamente ogni qual volta che questi altri gentiluomini si aumentano l’indennità.

    Questo sciopero, viceversa, è fortemente politico, indetto da un’associazione privata che rappresenta poche migliaia di magistrati che, in numero ancor minore, hanno inscenato flash mobs con coreografie in toga che ricordano il ‘Quarto Stato’ di Pellizza da Volpedo, protestando contro il legittimo esercizio delle prerogative del potere legislativo.

    Mutatis mutandis è come se il Parlamento scioperasse contro la magistratura per lamentarsi di una sentenza con cui non è d’accordo: e se il paragone può risultare corretto corretto è come se la mobilitazione fosse contro una sentenza di primo grado, visto che la riforma sulla separazione delle carriere è ancora lontanissima dal “passare in giudicato” dovendo affrontare altre tre letture tra Senato e Camera dei Deputati con maggioranza qualificata.
    Forse sarebbe apparso più istituzionale impegnarsi in una campagna referendaria successiva alla “riforma”, qualora approvata e, nel frattempo, svolgere opera di sensibilizzazione su problemi che dovrebbero scuotere la sensibilità degli operatori di settore come quello dei suicidi in carcere, per fare un facile esempio.

    La novella sulla separazione delle carriere, pur opportuna, non è – tra l’altro – che l’ennesima toppa a un sistema in decomposizione, rimanendo irrisolti le moltissime criticità e problemi di cui è affetta la giurisdizione ed è verosimile che, con la parte dedicata alla ristrutturazione del C.S.M.  non estirperà neppure quel cancro che sono le “correnti” della magistratura.

    Il rischio è che, gattopardescamente, si cambi tutto per non cambiare nulla.

  • In attesa di Giustizia: attenti agli spifferi

    Come riporta l’autorevole quotidiano “La Stampa” affrontando l’argomento del clima arroventato che caratterizza l’attuale confronto sulle riforme e del prestigio della Magistratura, il Presidente neo eletto dell’A.N.M., attribuendone ogni responsabilità ad altri è riuscito con tutta probabilità nel compito non agevole di farne precipitare ancor più l’indice di fiducia da parte dei cittadini che nel 2024 era già sceso al 31,2%: vedremo come in chiusura di questo commento.

    I cittadini, lato loro, quando vengono intervistati dai sondaggisti di EURISPES non possono esprimersi altro che sulla base di ciò che sentono in qualche dibattito televisivo, al più di ciò che leggono sui quotidiani  ma quello che meno conoscono è il sottobosco di interessi, guerre intestine, indulgenze o  rigori disciplinari che caratterizzano le lotte per il potere combattute dalle correnti della Magistratura pur avendone appreso dai libri a firma Palamara-Sallusti che hanno venduto centinaia di migliaia di copie. Soprattutto non ne conoscono i dettagli come quello che questa settimana la rubrica offre al voltastomaco dei lettori, tratto da una nota del lontano marzo 2010 inviata da un Procuratore Aggiunto all’allora Capo dell’Ufficio che – però – da lì a poco sarebbe passato ad altro incarico. Quale Ufficio di Procura? Quello di Milano, che teme il “contesto eversivo” dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario degli Avvocati Penalisti e declina l’invito a parteciparvi, quale se no?

    In tale nota veniva richiamata e confermata la conversazione intervenuta tra quel Procuratore Aggiunto con un Collega il quale, a fronte di un disaccordo sulla suddivisione dei compiti nei diversi dipartimenti, gli aveva ricordato che al Plenum (del C.S.M., N.d.R.) sei stato nominato Aggiunto per un solo voto di scarto e che questo è un voto di ***********. Avrei potuto dire ad uno dei miei Colleghi (di corrente…) al Consiglio che tu mi rompevi i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la ******* che poi avremmo sbattuto ad occuparsi di esecuzione…questo è il mondo e tutti sappiamo che va così.

    E ancora vogliamo sostenere la tesi di un prestigio messo in crisi dalle riforme con il rischio di subalternità alla politica e di avvocatura e eversiva e di indipendenza dell’Ordine Giudiziario quando le sorti della amministrazione della giustizia dipendono dagli inciuci correntizi.

    Quanto ci farebbero comodo in questo periodo due magistrati morti…il consenso arriva ai massimi livelli quando c’è la tangibile prova di questa testimonianza della magistratura!  Così parlò Cesare Parodi, eccolo lì il Presidente dell’A.N.M. di cui in esordio sono state preannunziate le gesta, alla presentazione di un libro dedicato ai magistrati vittime del terrorismo e della mafia: una frase mai smentita che seppur espressa con intervento provocatorio è un eufemismo definire infelice, rivoltante per chi – come il sottoscritto – ricorda la ferma stretta di mano di Giovanni Falcone ad un Convegno, il saluto da lontano a Paolo Borsellino in Procura a Palermo ed ha ancora negli occhi la pozza di sangue raggrumato dalla segatura là dove era stato ucciso Emilio Alessandrini e dove, ancora studente di giurisprudenza, era andato a posare un fiore e rendere onore a un martire: oggi, con buona pace del prestigio destinato a precipitare nell’abisso dopo queste espressioni, i magistrati sembrano rischiare di più la salute per gli spifferi delle correnti.

  • In attesa di Giustizia: liberté, egalité, fraternité

    Si è appena insediato il nuovo Presidente dell’ANM ed è subito contestazione tra gli stessi iscritti all’Associazione per aver osato suggerire l’apertura di un dialogo con il Governo in merito alle riforme sulla giustizia: un atteggiamento che fa il paio con quello assunto durante le Inaugurazioni dell’Anno Giudiziario, compreso quello – di cui la rubrica si è occupata nello scorso numero – dell’Unione delle Camere Penali. Muro contro muro: di alternative le Toghe non ne vogliono sentir parlare e chissà che non chiedano al nuovo vertice del sindacato di dichiararsi apertamente antifascista o, quantomeno, allinearsi al pensiero di Elodie al Festival di Sanremo esplicitando che piuttosto che votare Giorgia Meloni si farebbe tagliare una mano.

    E’ vero che anche noi abbiamo tradizioni rivoluzionarie rammentate da qualche valoroso episodio risorgimentale come le Cinque Giornate di Milano ma certamente nulla di comparabile agli accadimenti del 1789 che, al netto di soperchierie come il processo a Re Luigi (da consegnare ad ogni costo alla “Madame”), gettarono le fondamenta per fare della Francia una solida democrazia. Anche ai giorni nostri, in un contesto politico e di riforma della Giustizia si registrano alcune analogie ma – soprattutto – delle differenze: da un anno circa al Ministero della Giustizia d’Oltralpe siede Eric Dupond-Moretti: avvocato penalista di grande notorietà, figura sgradita, per usare un eufemismo, alla magistratura francese che – detto per inciso non ha le carriere separate ma il Pubblico Ministero dipende dall’esecutivo ad ulteriore dimostrazione della infondatezza delle ansie italiche che dovrebbero, tutt’al più,  basarsi su presupposti diversi e, peraltro, insussistenti.

    E perché mai questo gentiluomo di chiara fama è così inviso all’Ordine Giudiziario tanto quanto il nostro carlo Nordio con l’aggravante di essere un avvocato? A causa, anch’egli, del programma di riforme che sta portando avanti sorretto però dall’appoggio bipartisan di tutte le forze politiche, nessuna delle quali è subalterna ai desiderata della magistratura associata, dei manutengoli della carta stampata che hanno giurato fedeltà alla Repubblica delle Procure e dei sodali di presunti avvocati transitati ineffabilmente dalla consolle di una discoteca a via Arenula e dei manettari con i polsi degli altri.

    Eric Dupond Moretti, inoltre, non subisce il condizionamento di magistrati fuori ruolo insediati in ruoli chiave al Ministero, come accade da noi, ed il potere politico è libero di esprimersi in linea con il programma di governo senza renderne conto se non al Parlamento ed ai cittadini: vuole una riforma delle regole per la diffusione delle immagini videoregistrate dei processi che non deve essere un diritto di cronaca assoluto ed incondizionato, ma deve essere preventivamente vagliata la sussistenza dell’interesse pubblico prima di dare il via ad una totalizzante gogna mediatica e deve essere munita di comprensibili e corrette spiegazioni all’ opinione pubblica delle peculiari regole processuali che vengono rappresentate…e tutto ciò mai prima che vi sia una sentenza definitiva, e le immagini non più replicabili dopo un periodo di cinque anni dalla sentenza e con il previo consenso delle persone interessate: altro che Quarto Grado, Chi l’ha visto? (o, meglio, Chi l’ha fatto?), Porta a Porta con i plastici delle scene del crimine e pseudo esperti d’accatto che argomentano di colpevolezza con disinvoltura da bar sport commentando il campionato di calcio.

    Un’altra area di intervento è la durata delle indagini, che il Ministro – ragionevolmente – non vuole che superino i tre anni, prorogabili a tre con adeguata motivazione solo se riguardano la criminalità organizzata.

    Violenta, poi, è stata la opposizione alla proposta di riforma del segreto professionale con divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni tra cliente e difensore, anche quando questi rivesta il ruolo di mero consulente con un gruppo di lavoro all’opera per realizzare un protocollo ed un sistema tecnologico in grado di immediatamente interrompere il flusso comunicativo del soggetto intercettato quando questi entra in contatto con il proprio difensore.

    E su questi temi il confronto si surriscalda: “Gli studi legali sono dei luoghi sacri, non può esistere difesa senza segreto professionale”, dice il Ministro. “È in malafede e sta lavorando per i suoi amici avvocati”, accusa la locale Associazione dei magistrati; “Difendo lo Stato di diritto contro dei metodi da spie”, replica Dupond – Moretti, senza troppi giri di parole.

    Tutto il mondo è paese e non si può escludere che qualcuno, come accadrebbe da noi, che qualcuno alluda che così il Ministro “mette in pericolo la sicurezza del Paese”, o “favorisce la Mafia”; ma, la differenza non banale è che da noi, il Parlamento francese vota in coscienza ed assoluta autonomia in piena condivisione della riforma.

  • In attesa di Giustizia: il vizio della memoria

    Era una mattina del tardo autunno del 1989, il codice di procedura penale era entrato in vigore da pochi giorni ed aveva comportato una modifica degli arredi nelle aule di Tribunale, non da tutti gradita, con il banco del P.M. che – nel rispetto della proclamata parità tra le parti – era stato spostato dal pretorio a fianco di quelli dei difensori: il rappresentante dell’accusa, in attesa che iniziasse l’udienza borbottava il suo dissenso non facendo mistero dell’avversione a quella novità e non è ben chiaro se dipendesse dall’allontanamento dai giudici o dalla maggiore prossimità con gli avvocati, probabilmente da entrambe le cose.

    E’ una storia vera, un ricordo legato a quel primo timido tentativo di affermare, sia pure solo visivamente, la terzietà del giudicante che solo dieci anni dopo sarà conclamata dalla modifica dell’art. 111 quando il dibattito sulla separazione delle carriere, visto come necessario passaggio per una completa attuazione del processo di impostazione anglosassone, aveva già iniziato ad infuocarsi.

    Il borbottio di un magistrato di quel giorno si è trasformato nel tempo in un’accanita battaglia di retroguardia contro ogni ipotesi di separazione anche solo delle funzioni già – peraltro – sancita dall’articolo 107 della Costituzione e la protesta è divampata dopo che l’ora segnata dal destino ha bussato sui cieli della Magistratura Associata con l’approvazione, in prima lettura, del disegno di legge su quella delle carriere: un iter che potrebbe concludersi entro l’estate considerato l’appoggio di alcune forze politiche esterne alla maggioranza che garantisce i numeri per l’approvazione di una norma di rango costituzionale a dispetto della indignazione manifestata in Aula dagli sherpa delle Procure.

    Nel mentre l’A.N.M. ha dissotterrato l’ascia di guerra preannunciando uno sciopero e manifestazioni di dissenso in occorso della inaugurazione dell’Anno Giudiziario con l’ostentazione di cartelli inneggianti a valori di una Costituzione asseritamente tradita, di coccarde tricolori sulla toga e minacciando anche di uscire dall’Aula durante l’intervento del Guardasigilli. Tutto molto scenografico ma non si tiene conto dell’inconsistenza di timori che la riforma sia servente a porre il Pubblico Ministero alle dipendenze dell’Esecutivo.

    Si tratta di un rischio non postulato dal disegno di legge e si potrebbe ottenere solo modificando altri articoli della Costituzione tra cui il 108 e il 109: quest’ultimo previsto per evitare che ciò che è uscito dalla porta rientri da una finestra…del Viminale.

    E’ il vizio della memoria: se si vuole ricordare la Costituzione è necessario farlo per intero e se si vogliono commentare – il che è legittimo – riforme in corso d’opera è indispensabile farlo esaminandole prive di interpolazioni non contemplate dal testo e neppure dalla relazione di accompagnamento

    E’ il vizio della memoria, non bisognerebbe dimenticare neppure un altro dettaglio: che una proposta normativa sulla separazione delle carriere è stata oggetto di una raccolta di firme largamente superiore al minimo richiesto il che offre una chiave di lettura non trascurabile.

    La rivolta dei magistrati, alla stregua di queste considerazioni si propone non solo come contro il Governo ed il Parlamento ma contro quel popolo italiano cui spetta il controllo sulla giurisdizione, quei cittadini il cui gradimento nei confronti dell’Ordine Giudiziario è ai minimi storici grazie agli inquietanti backstages  rivelati da Luca Palamara ed a qualche altra marachella conosciuta per vie diverse.

    Sia ben chiaro, la separazione delle carriere non sarà la soluzione di tutti i mali, serviranno un graduale cambio di mentalità e di tradizioni (e le nostre affondano nella storia della Colonna Infame come rammenta Cordero in uno splendido saggio) però è ineludibile: l’A.N.M. se ne faccia una ragione, è un primo passaggio e non è voluto solo da un pugno di deputati e senatori ma da milioni di italiani…e la memoria non tradisca riguardando alla nostra Costituzione che è una vecchia signora un po’ rigida che quei cittadini tutela e coinvolge nella vita pubblica ed è ricca di principi che costituiscono un baluardo per la distinzione dei Poteri dello Stato che nessuno è intenzionato a stravolgere.

  • In attesa di Giustizia: Buon Natale

    I lettori probabilmente si ricordano di uno degli antieroi di questa rubrica, l’ex Pubblico Ministero di Trani Michele Ruggiero, ma riassumiamo: trasferito a fare il giudice civile in Piemonte dopo una prima condanna per i metodi con cui interrogava i testimoni – tecnicamente definiti “tentativo di violenza privata”-  è stato  ritenuto colpevole anche in un successivo processo perché i verbali di interrogatorio li falsificava pure quando la sua moral suasion non era sufficiente a farsi dire quello che voleva per spedire qualcuno in carcere. Il totale è di quasi cinque anni di galera che dovrà scontare se saranno confermate le sentenze nei gradi successivi di giudizio. Dopo la seconda e più recente condanna il C.S.M. lo ha sospeso dalle funzioni per due anni ma…tranquilli, il panettone a tavola lo potrà mettere comunque perché la regola vuole che gli venga comunque corrisposto un assegno “alimentare” pari a circa 4.500 euro al mese che sono calcolati sul suo più elevato trattamento stipendiale di quando era in servizio: Buon Natale, quindi a Michele Ruggiero che non patirà la fame, pagato per non fare nulla, o meglio, pagato meno di quanto percepiva per, come sembra, faceva il suo lavoro ma, se non altro, senza nuocere.

    Buon Natale anche a Luca Turco, P.M. di Firenze che compie i 70 anni proprio come Gesù Bambino il 24 dicembre e in quella data andrà in pensione al culmine di una carriera che è stata costellata da una serie imbarazzante di flop: l’ultima delle sue inchieste, cosiddetta “Open” a carico di Matteo Renzi ed altri dieci imputati, si è conclusa dopo cinque anni con una sentenza  del G.U.P. di non luogo a procedere nei confronti di tutti, il che equivale a dire che il giudice non ha rilevato il benchè minimo elemento che potesse giustificare l’avvio di un processo con una anche minima possibilità di condanna per qualcuno. Per dare la misura del fallimento di quella indagine basti dire che il proscioglimento in udienza preliminare è una decisione talmente infrequente che gli avvocati la considerano una sorta di prova della esistenza di Dio. Nel palmares di Turco, però, non vanno dimenticate – tanto per fare altri esempi – l’inchiesta  per truffa e riciclaggio in danno del sistema sanitario a carico di Alberto e Lucia Aleotti, patron della “Menarini” avviata nel 2011 e conclusa dopo nove anni con assoluzioni definitive e per non parlare di quella su presunti concorsi universitari truccati a carico di quarantaquattro professori e ricercatori di diritto tributario in tutta Italia con sette arresti, ventidue interdizioni all’insegnamento: tutte le posizioni sono state addirittura archiviate (a Venezia perché aveva sbagliato grossolanamente ad individuare la competenza di Firenze) non senza aver subito anche la gogna mediatica, pregiudizi di immagine e progresso in carriera. Infine Turco, in quella che sembra essere una forma di ossessione nei confronti della famiglia Renzi, ha indagato e fatto arrestare per false fatturazioni e bancarotta i genitori e la sorella del leader di Italia Viva…tutti assolti. Sotto l’albero, tuttavia, questo P.M. troverà una sostanziosa liquidazione per i suoi quarant’anni in magistratura (malcontati circa 350.000 euro) e una dignitosa pensione sui 9.500 euro lordi al mese, ovviamente con tanto di tredicesima, al culmine di una carriera rimasta illibata sol perché un procedimento disciplinare nei suoi confronti sembra che al C.S.M. sia andato perduto e dopo il pensionamento Turco non è più giudicabile sotto questo profilo.

    Buon Natale, infine, anche al Procuratore Generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, che da Procuratore Capo di Agrigento si fece un giretto sulla Open Arms per vedere cosa stava succedendo e poi se ne tornò tranquillamente in ufficio a ragionare su come e con quale incriminazione mettere sotto processo Matteo Salvini. I migranti vennero fatti sbarcare settimane dopo (ma non direttamente grazie a lui) e nel frattempo Patronaggio aveva indagato il Ministro dell’Interno per sequestro di persona senza rendersi conto che, nel suo ruolo, avrebbe dovuto impedire che si protraesse anche solo di un minuto l’ipotizzato sequestro di persona: il che, per il nostro codice penale, equivale ad esserne complici. Ma non c’è più nulla da temere per l’ex Procuratore, che è stato anche avanzato di grado, perché tanto Salvini è stato assolto perché il fatto non sussiste (tradotto: inesistenza originaria del delitto attribuito) e, d’altro canto, nessuno si è mai interrogato – neppure dopo che il fascicolo è passato per competenza a Palermo – se, nel caso, ci fossero anche altri compartecipi del presunto reato…Buon Natale, quindi anche a Giuseppe Conte e Danilo Toninelli che con Salvini condividevano certamente una responsabilità collegiale ma sarebbero stati assolti anche loro: se non altro, si sono risparmiati anni di tormenti giudiziari…di ciò se ne compiacciano.

    Buon Natale, di cuore, a voi lettori.

                                                                                  

  • In attesa di Giustizia: le audaci corbellerie dei solito noti

    Probabilmente aveva ragione il Prof. Gaetano Pecorella quando, a chi gli domandava come mai avesse spostato il suo asse politico dalla estrema sinistra a Forza Italia, rispondeva che lui non si era mai mosso da quello che considerava l’unico credo: le garanzie processuali, un patrimonio disperso dall’area progressista transitata al più bieco giustizialismo e – nel tempo – divenute cavallo di battaglia (un po’ per opportunità, bisogna ammetterlo) del centrodestra, con le dovute eccezioni che confermano la regola…

    Con la riforma sulla separazione delle carriere al momento silenziata e passata in secondo piano rispetto a quella sul premierato, la madre di tutte le battaglie è diventato il contrasto alla proposta di legge volta ad istituire la giornata del ricordo delle vittime di ingiustizia da mettere in calendario il 17 giugno, giorno dell’arresto di Enzo Tortora.

    A dare il via ad una congerie di corbellerie ci ha pensato, da par suo, il Presidente della Associazione Nazionale Magistrati il quale ha pontificato contestando che quello di Tortora possa definirsi un caso di malagiustizia perché in appello è stato assolto e perché istituire una simile ricorrenza contribuirebbe a creare un clima di sfiducia nella magistratura.

    Sua Eccellenza Santalucia, probabilmente, dimentica che oltre alla categoria degli errori giudiziari riferibili solo alle revisioni di condanna divenute definitive esiste quella delle ingiuste detenzioni: il caso di chi arrestato, in ultimo, viene assolto e risarcito dallo Stato. Santalucia, inoltre, pare non essersi accorto che, riferito all’Ordine Giudiziario, l’indice di gradimento del popolo italiano, già adesso, è simile a quello che si può avere per un gattino attaccato alle gonadi. Infine quanto al presunto, finale, trionfo della Giustizia Santalucia farebbe bene a documentarsi sulla sterminata serie di abusi, soprusi, dimostrazioni di iattante disinteresse per il rispetto della legge che hanno caratterizzato il calvario di Enzo Tortora a partire dalla studiata spettacolarizzazione delle immagini, trasmesse a reti unificate, del presentatore condotto via in manette da una caserma dei Carabinieri. E siccome al peggio non c’è limite, con sprezzo del ridicolo, Giuseppe Santalucia è stato capace persino di affermare che la proposta legislativa dia un messaggio in controtendenza rispetto alle numerose giornate in memoria della legalità come se l’arresto e la via crucis fatta patire a qualsiasi innocente possano costituire le note su cui comporre un inno al crimine.

    A quelli come Santalucia servirebbe di lezione (o forse no…) ascoltare Raffale Della Valle –  l’ultimo dei grandi penalisti italiani – che si commuove quando racconta di aver pensato persino di abbandonare la professione quando si è sentito un orpello inutile, indesiderato e quasi deriso durante la difesa di Enzo Tortora, di essersi rivolto per disperazione ad Enzo Biagi che raccolse il suo grido di dolore tramutandolo in una lettera aperta al Presidente della Repubblica pubblicata in prima pagina sul Corriere, denunciando quanto stava accadendo a Napoli grazie a chi veniva definito “Il Maradona del diritto”…stic****, forse in Procura intendevano quel Maradona dell’indimenticabile gol con la mano.

    Obbedisco! Scattano sugli attenti gli sherpa dell’ANM con il PD a dettare la linea in Commissione Giustizia della Camera dove si doveva, tra l’altro, soltanto discutere della unificazione dei tre diversi disegni di legge presentati sulla istituzione della giornata delle vittime di ingiustizia: con comica vigliaccheria la scelta è stata quella dell’astensione dal voto per non essere stati approvati gli alati pensieri che i giuristi vicini al Campo Largo avevano elucubrato per definire la nozione di errore giudiziario senza indispettire i sodali togati.

    Vero è anche che, al di là dei buoni propositi, la cultura della giustizia della attuale maggioranza sembra risiedere nella raffica di nuovi reati (molti dei quali totalmente inutili) introdotti nell’ordinamento in un paio d’anni, nella ignavia rispetto alla tragedia dei suicidi in carcere e delle condizioni di vita nei penitenziari: una cultura che viene plasticamente descritta dalla intima gioia che la masturbazione mentale regala al sottosegretario Andrea Delmastro al pensiero di detenuti che soffocano nei nuovi blindati della Polizia Penitenziaria.

    In conclusione, se in qualche modo può definirsi la bagarre scatenatasi intorno a questa proposta di legge è che stiamo assistendo alla festa della ipocrisia e della viltà bipartisan.

  • In attesa di Giustizia: lui è peggio di me

    Questo era il titolo di un film di una trentina di anni fa interpretato da Andriano Celentano e Renato Pozzetto: ovviamente regalava il sorriso, cosa che non sono in grado di fare Marco Travaglio e Andrea Del Mastro…tanto per scegliere una coppia di impresentabili da commentare in questo numero de Il Patto Sociale.

    Il primo dei due, sempre pronto a commentare come ferite non rimarginabili alla giustizia e democrazia tutte le sentenze che non rechino la parola “condanna”, è – per il momento – rimasto silente a proposito dell’esito del terzo grado di giudizio a carico di Piercamillo Davigo, una notizia che, impropriamente, la maggior parte dei quotidiani ha riportato inserendo nel titolo “Appello bis per Davigo”: vero, ma così si mimetizza una realtà non banale e cioè che l’annullamento della sentenza di condanna da parte della Cassazione è stato solo parziale, essendo divenuta definitiva una parte della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che ha condannato l’ex P.M. di Mani Pulite per rivelazione di segreto d’ufficio, una rivelazione senza uguali precedenti  come annotano i giudici bresciani usando proprio il corsivo per meglio evidenziare il concetto.

    Davigo, dunque, nuovamente a giudizio solo per alcune delle condotte contestate che la Corte d’Appello dovrà rivalutare ma ciò non significa che verrà automaticamente assolto mentre risulta definitivamente condannato per altre. Tecnicamente lo si deve definire un pregiudicato ma non si può dire commentando oltre la superficie la notizia di quel parziale successo che significherebbe, per amor di verità (una virtù, peraltro, raramente coltivata dal Fatto Quotidiano), affrontare, la parte meno gradevole della decisione.

    La famiglia Travaglio è in lutto e questo, forse, spiega il silenzio del Direttore che, a suo tempo, sentenziò in anticipo che “Davigo non deve rispondere di nulla perché è riuscito a tutelare il segreto”, una difesa preventiva con inattesi sussulti garantisti che è stata smentita. Questa volta, però, la condanna, sia pure parziale non è motivo di festa come se, in base al metro di giudizio standard di Travaglio, Davigo fosse improvvisamente diventato motivo di imbarazzo, una brutta persona poiché condannato, e fosse preferibile nascondere la circostanza come quando si butta la polvere sotto al tappeto… il che non è: Piercamillo Davigo è uno con cui non avrei mai voluto avere a che fare come imputato e non è stato piacevole neppure da difensore ma non è una brutta persona tantomeno perché è pregiudicato come non lo sono tanti che lui stesso ha fatto condannare da P.M. o condannato con le sue mani quando è passato alle funzioni giudicanti.

    Un bel tacer non fu mai scritto e – detta tutta – l’ammutolimento su dettagli non secondari di questa vicenda è di gran lunga preferibile alle giustificazioni che, invece, ha ritenuto di dare il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro Delle Vedove: uno con il cognome che evoca la fantozziana contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ma anche in questo caso non fa per nulla ridere. Ripugna.

    Ripugna, la notizia non è nuovissima, la sua affermazione secondo la quale è una intima gioia non lasciare nemmeno respirare chi viene trasportato dal nuovo blindato della Polizia Penitenziaria riservato ai detenuti in regime di alta sicurezza o al 41 bis ritenendo che gli agenti della PolPen condividano il suo medesimo entusiasmo ad incalzare chi siede su quel veicolo. Sottosegretario, lei ha forse studiato diritto costituzionale al buio? Forse non ha mai avuto notizia che il precedente motto degli Agenti di custodia era “Vigilando redimere” che – se pure in latino fosse un po’ zoppicante come in diritto costituzionale – non ha bisogno di essere tradotto?

    Ma forse è troppo pretendere da costui che abbia anche solo sfogliato qualche pagina scritta da Cesare Beccaria o letto, figuriamoci capito, cosa sottintende l’articolo 27 della Costituzione dove afferma che le pene devono ispirarsi al senso di umanità…però, almeno qualche giornale oltre la pagina dello sport lo avrà occhieggiato, magari avrà visto un telegiornale che riportava la notizia del soffocamento da parte di agenti della polizia di Minneapolis di un nero, John Floyd, durante l’ arresto per il presunto impiego di una banconota falsa da venti dollari: un presunto innocente martoriato e ucciso senza motivo e sebbene gridasse la sua disperazione “non respiro!” perchè gli agenti, con un ginocchio premuro sul collo, facevano qualcosa che al poco Onorevole Del Mastro sembra provocare orgasmi incontenibili invece che farlo riflettere sulla circostanza che quei poliziotti sono stati processati e l’autore materiale dell’omicidio, commesso tenendo per più di otto minuti il ginocchio sul collo di Floyd che implorava pietà, è stato condannato a ventidue anni di carcere. Probabilmente ignora anche questo e con opportuno uso del participio può definirsi un ignorante.

    “Volevo dire che è alla mafia che non diamo respiro”, ha provato a giustificarsi Del Mastro: la classica pezza peggiore del buco perché quello che ha detto in una occasione pubblica ha un significato inequivocabile. Tranne per chi, oltre a Beccaria (figuriamoci Pietro Verri e Carlo Cattaneo), alla Costituzione e forse al latino, probabilmente non conosce nemmeno l’uso della lingua italiana.

  • In attesa di Giustizia: Milano, provincia di Trani

    Ci risiamo: ancora una volta un Pubblico Ministero che occulta (in questo caso non verbalizzando) prove a discarico degli indagati al fine di poterne chiedere ed ottenere l’arresto; si tratta dell’ex P.M. di Trani, Michele Ruggiero, condannato in primo grado dall’Autorità Giudiziaria di Lecce ed è la seconda sentenza dopo quella – ormai definitiva –  inflitta per i metodi di interrogatorio dei testimoni da Procura della Repubblica delle banane di cui si è interessata in precedenza proprio questa rubrica.

    Tre anni e nove mesi e, se sarà confermata la responsabilità nei successivi gradi di giudizio, la sommatoria delle pene garantiranno a Ruggiero una discreta e meritata permanenza nelle patrie galere: nel frattempo, il nostro pregiudicato (perché tale è a tutti gli effetti), pur trasferito di sede e funzioni ha continuato ad esercitare la giurisdizione nel settore civile e continuerà a farlo salvo un sussulto di dignità della disciplinare del C.S.M.. Alzi la mano chi sarebbe entusiasta se, anche solo per una bega condominiale che lo riguardi, dovesse trovarsi al cospetto di siffatto campione del diritto e delle garanzie costituzionali.

    Per come sono emersi e sono stati ricostruiti i fatti Michele Ruggiero avrebbe omesso di verbalizzare dichiarazioni testimoniali strutturalmente importanti senza le quali si giungeva ad una sintesi non corrispondente al tenore effettivo di domande e risposte che autorizzavano conclusioni ben lontane dalla realtà ed in base alle quali dei cittadini sono stati arrestati, rinviati a giudizio e ne è stata chiesta la condanna.

    La Procura di Trani, purtroppo, non è nuova a scandali di questo genere e viene da domandarsi se, paradossalmente, l’aria di mare che si respira dal Palazzo di Giustizia affacciato sull’Adriatico non risulti nociva per i Pubblici Ministeri e se è vero che una distinzione deve sempre farsi tra la Magistratura e i singoli magistrati il comportamento di alcuni di questi ultimi – non tutti, ma comunque troppi – si riflette inesorabilmente. sull’immagine e la credibilità delle istituzioni e non aiuta nemmeno annotare che, per quanto formalmente corretta sia nella sostanza irragionevole la censura da pochi giorni inflitta da un C.S.M.  (solerte e rigoroso quando vuole) al Dott.  Paolo Storari per essere disperatamente intervenuto al fine di impedire una condanna ingiusta.

    E’ un altro capitolo dell’arcinota vicenda dei verbali secretati consegnati a Davigo: sono state violate delle regole ma, sia pure con un comportamento irrituale, Storari ha onorato la funzione di organo di giustizia che deve riconoscersi al P.M.: in un clima di contrasto, ostilità intestine alla Procura di Milano, sfiducia reciproca, opinabili metodi usati e opaca gestione dell’indagine ENI – NIGERIA il cui finale è noto a tutti e più che mai ai lettori di questa rubrica.

    Grazie allo scomposto ma coraggioso intervento di questo magistrato è emerso lo spaccato inquietante di come possano malamente gestirsi le funzioni inquirenti. Da un lato il “modello De Pasquale” affine al “modello Ruggiero” e dall’altra il “modello Storari”, uno che si è adoperato in tutti i modi per convincere i suoi colleghi a depositare le prove a favore delle difese che stavano imboscando e a dissuaderli dal tentativo di usare un calunniatore professionista per delegittimare il Presidente del Collegio giudicante perché la Procura (così si è espresso Paolo Storari) “non poteva permettersi di perdere il processo ENI”… anche a costo di far perdere la giustizia.

    Per un rompiscatole ignorato, tacciato di creare un clima sfavorevole all’accusa, l’ultima spiaggia divenne rivolgersi a Davigo, sbagliando a fidarsi di lui ma – in ultimo – consentendo di scoprire un verminaio che, dopo aver perso il processo, ha definitivamente fatto perdere la faccia alla Procura.

    Milano provincia di Trani? C’è da augurarsi di no a fronte di un unico (sarà davvero tale?) per quanto grave episodio rispetto alla recidiva reiterata e specifica della Procura pugliese ma c’è da augurarsi una volta di più che abbia torto Davigo quando dice che non ci sono innocenti ma solo colpevoli che la fanno franca.

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