Nove anni sono la pena richiesta dal P.M. di Tempio Pausania per Ciro Grillo ed i suoi amici per violenza sessuale. A questa pena che – forse – verrà inflitta, ed in quel caso bisognerà scontare, vanno aggiunti i sei anni sin qui trascorsi dall’inizio dell’indagine oltre agli ulteriori tempi per il giudizio di appello ed – eventualmente, in Cassazione: un tempo che pesa perché, in questo caso, è l’architrave della giovinezza, ma – soprattutto – perché misura la distanza incolmabile che continua ad esserci tra chi è giudicato e chi giudica…compresi coloro che non indossano una toga e hanno saccheggiato i social network per rinvenire e diffondere le immagini di un Ciro Grillo festaiolo, commentando ed insultando, dando voce alla solita compagnia di giro degli indignati in servizio permanente effettivo che meno sanno di una vicenda e – meno che mai – degli atti di un processo e più si sentono in diritto di pontificare. Una volta ci si limitava al popolo dei “Commissari tecnici”, quelli che avevano la soluzione tattica e la selezione di giocatori perfetta per portare al trionfo la Nazionale di calcio e ne parlavano al bar durante una partita a stecca: al giorno d’oggi la razza si è evoluta con legioni di genetisti, criminologi, esperti in dattiloscopia, balistica e persino in neuroscienze cognitive, sapientoni alimentati dal Davigo pensiero che credono che il concetto di certezza della pena equivalga a “più galera per tutti”.
Nove anni di carcere sono una vita ma cinque serviti solo per concludere il primo grado di giudizio sono già una pena al termine della quale, chiunque sia l’accusato, sarà una persona diversa dal presunto autore di oltre un lustro prima: forse peggiore ma forse anche migliore. E, allora, come la mettiamo con la finalità rieducativa della pena? Quei nove anni sono troppo pochi o troppi? Sicuramente sono una vita e qui si ferma il codice per porsi la domanda forse più difficile: che cosa sanno davvero i Giudici di quei ragazzi, della loro idea – se ne avevano una – di che cosa è giusto e che cosa no? Per comprendere la difficoltà di una risposta ragionata e racchiusa in una sentenza basterebbe guardarli oggi a confronto le loro foto del 2019: volti ancora segnati dall’adolescenza, bambini cresciuti ed abituati a raccontarsi in tempo reale, a giocare con la realtà fino a sfumarne i contorni.
E chi li giudicherà, prima ancora chi ne ha chiesto la condanna, non sono neppure gli stessi magistrati che hanno avviato e concluso tanto l’indagine quanto il processo: il Pubblico Ministeri è cambiato una mezza dozzina di volte, obbligando ognuno sopravveniente a studiarsi tutto un fascicolo di cui non sapeva nulla così come delle strategie originariamente allestite dal primo titolare, dei tre giudici che avevano iniziato il processo non ne è rimasto nemmeno uno ed anche in questo caso i cambiamenti sono stati plurimi ed in parte si spiega la inaccettabile durata.
Ma questa è giustizia e come si spiega? Semplice: a Tempio Pausania non ci vuole andare nessuno o – quantomeno – nessuno vuole restarci oltre lo stretto necessario e, tutt’al più, la destinazione è buona solo per ottenere un ambito posto di direttivo (Procuratore Capo o Presidente del Tribunale) o semi direttivo (Procuratore Aggiunto o Presidente di Sezione) indispensabile per il progresso in carriera e verso circondari più ambiti mentre del Tribunale di Tempio è stata pure soppressa la Sezione distaccata di Olbia che, se non altro, offriva una più apprezzata prossimità alla Costa Smeralda. Il peggio è che la Sardegna è praticamente tutta nelle medesime condizioni dal punto di vista della organizzazione giudiziaria con l’eccezione di Cagliari nel senso che lì le cose vanno un po’ meno peggio.
Chissà se di questi problemi, che sono autentici ed attuali del sistema e non limitati alla sola Sardegna, e conducono alla semi paralisi della giustizia, ci parlerà mai Sua Eccellenza Nicola Gratteri che ha ottenuto persino di avere un programmino tutto per sé su LA7 o se si limiterà alla tradizionale ostentazione della vanità del moralismo etico esaltata in tempi televisivi…chissà se saranno argomenti affrontati da Luciano Violante che si è accasato in RAI? Sventurata è la terra che ha bisogno di simili eroi.
Intanto a Tempio Pausania si deciderà il futuro di un gruppo di ragazzi: ci sono voluti sei anni ma – in fondo -a un giudice che neanche c’era quando è iniziata questa vicenda, di quella generazione, dei sei anni, non gliene frega niente e c’è da temere che penserà: “hanno giocato, è andata male a lei ed è andata male a loro”. Però nove anni (più sei quindici e ancora non sappiamo cosa verrà) sembrano, e sono, una vita ma non giustizia.