Albania

  • Dittature ed elezioni libere come il diavolo e l’acquasanta

    La resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno

    o dall’interno, è questione di vita o di morte.

    George Orwell, da “Letteratura e totalitarismo”

    Riferendosi al diavolo, la saggezza secolare, tramite i tanti detti popolari, ci mette sempre in guardia. “Il diavolo si nasconde nei dettagli” recita un noto proverbio. Così come ci fa riflettere quanto hanno scritto molti scrittori, filosofi ed altre persone note. Il famoso scrittore francese Charles Baudelaire scriveva: “La più grande astuzia del diavolo è farci credere che non esiste”. Anche Johann Wolfgang von Goethe, il noto scrittore tedesco, ha trattato il rapporto tra il diavolo e Dio. La sua ben nota opera Faust, che si basa su una legenda locale, sulla quale lo scrittore lavorò per diversi decenni, tratta proprio l’accordo tra il personaggio principale, il dottor Faust, con Mefistofele (il diavolo, il maligno). Arricchito però dalle tante esperienze durante il suo viaggio con Mefistofele, in cerca di piaceri e delle bellezze del mondo, il dottor Faust, ci trasmette la sua ferma convinzione. “Hanno voluto scacciare il maligno e ci sono restati tutti i mascalzoni più piccoli!”. Una preziosa lezione questa per tutti. Perché non è solo il diavolo, ma ci sono anche molti altri mascalzoni, in carne ed ossa, che sono sempre presenti e fanno molti danni. Come il diavolo.

    La saggezza secolare del genere umano si tramanda di generazione in generazione. Una saggezza trasmessa oralmente e tramite documenti scritti da varie civiltà, in diverse parti del mondo. Comprese anche le Sacre Scritture. E da quella saggezza millenaria bisogna sempre imparare. Dalle tantissime esperienze vissute e sofferte risulta che ci sono delle realtà, esseri che non possono realizzarsi, convivere insieme, essendo inconciliabili tra loro. Per esempio, nelle Sacre Scritture si fa riferimento al diavolo, usando diversi denominazioni, ma comunque sempre contrapposto a Dio. Si fa riferimento anche a Giovanni Battista, il quale con l’acqua del fiume Giordano battezzava tutti coloro che credevano in Dio. E proprio riferendosi al battesimo con l’acqua, da allora questa, adoperata per i battesimi nelle chiese e benedetta dai sacerdoti, si chiama acquasanta. Ed è proprio l’acquasanta che teme più di tutto il diavolo. Ragion per cui vedendola, il diavolo scappa. Perciò lui e l’acquasanta sono inconciliabili e quell’inconciliabilità ha generato la ben nota espressione “essere come il diavolo e l’acquasanta”. Un’espressione questa, che viene usata per indicare due cose/persone che non possono essere insieme allo stesso tempo e posto.

    La saggezza umana, maturata nel tempo, ci insegna che le dittature, sotto le varie forme con le quali esse si presentano, non permettono mai delle elezioni libere, oneste e democratiche. Perché la dittatura e la democrazia sono due forme di organizzazione della società e dello Stato che, per definizione, sono ben contrapposte. Ragion per cui la dittatura e le elezioni libere, oneste e democratiche sono inconciliabili tra di loro. Sono come il diavolo e l’acquasanta. Quanto è accaduto prima, durante e dopo le elezioni amministrative del 14 maggio scorso in Albania ne è una palese ed inconfutabile testimonianza. Il nostro lettore è stato informato, in queste ultime settimane, di tutto ciò, sempre con la dovuta e richiesta oggettività. Sempre fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, risulta che ormai in Albania, dove da alcuni anni è stata restaurata una nuova dittatura sui generis, il risultato di quelle che si cerca di far passare per elezioni è sempre controllato, condizionato e manipolato per garantire la “vittoria” del primo ministro e della sua alleanza con la criminalità organizzata, con gli oligarchi e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Questa realtà è stata verificata e dimostrata anche con le “elezioni” amministrative del 14 maggio scorso. Si è trattato, fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, di un vero e proprio preannunciato massacro elettorale. Una realtà questa nota ormai anche al nostro lettore (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere, 8 maggio 2023; Cronaca di un massacro elettorale preannunciato, 15 maggio 2023; A mali estremi, estremi rimedi, 22 maggio 2023). Ed ogni giorno che passa altri fatti si stanno rendendo pubblici.

    Durante la riunione dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.), svoltasi a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990, è stato approvato quello che ormai è noto come il Documento di Copenaghen. L’articolo 6 del Documento prevede e stabilisce: “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare il nome della CSCE. A partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Albania compresa. Perciò il governo albanese ha l’obbligo di rispettare gli Atti e i Documenti dell’allora CSCE ed dell’attuale OSCE. Compreso anche l’articolo 6 del Domunento di Copenaghen. La scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che “…purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen”. E poi aggiungeva: “…Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passati dal male al peggio” (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Sì proprio di male in peggio. Come lo stanno dimostrando anche le ulteriori testimonianze e denunce pubbliche, depositate presso le dovute istituzioni del sistema “riformato” della giustizia. Ma tutto fa pensare, anzi è quasi una certezza, che quelle istituzioni avranno tutt’altro da fare, tranne che occuparsi, in rispetto della Costituzione e delle leggi in vigore, delle tante denunce riguardanti il massacro elettorale prima e durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso.

    Ormai è stato testimoniato e dimostrato che la criminalità organizzata è stata schierata in appoggio ai candidati sindaci del primo ministro sul tutto il territorio nazionale. Così come, purtroppo, è stato testimoniato e dimostrato che spesso la polizia di Stato, nonostante sia stata avvertita, non è intervenuta. Se non, addirittura, in determinate occasioni, abbia agevolato il compito della criminalità. Dimostrando così che è diventata una polizia agli ordini del primo ministro e/o di chi per lui. Sia prima e durante, ma anche dopo le elezioni, è stato testimoniato e dimostrato che a tanti cittadini con il diritto al voto è stato cambiato il seggio elettorale, senza informarli. Durante il giorno delle “elezioni”, si sono verificati e sono stati denunciati molti casi dell’attuazione di quella che è nota come la frode elettorale denominata “carosello”, oppure “il treno bulgaro”. Una frode basata sull’uso, al inizio, di una scheda elettorale contraffatta, Poi la scheda elettorale regolare, fatta uscire fuori dal seggio, viene compilata da “chi di dovere” e poi consegnata a molti selezionati cittadini che “votano” con le schede precompilate. Loro stessi, uscendo dal seggio, consegnano la scheda vuota per essere di nuovo usata. E così via.

    Ma non sono state solo queste le violazioni e le irregolarità compiute prima e durante le “elezioni” del 14 maggio scorso. È stato testimoniato e dimostrato che in molti seggi elettorali, sul tutto il territorio nazionale, sono state palesemente violate la legislazione in vigore e le apposite ordinanze della Commissione Centrale Elettorale, l’istituzione che ha il compito costituzionale di gestire, in tutte le fasi, le elezioni. Sia prima che durante le elezioni amministrative del 14 maggio scorso sono stati evidenziati e denunciati molti casi in cui ministri, sottosegretari, alti funzionari dell’amministrazione pubblica centrale e/o locale hanno consapevolmente violato quanto prevedono le leggi in vigore. Così come si sono verificati e sono stati evidenziati e denunciati molti, moltissimi casi di compravendita del voto. Ma anche dell’impedimento ad andare a votare dei cittadini i quali, con molta probabilità, non avrebbero votato per i candidati del primo ministro. Ed era stato proprio lo stesso primo ministro il quale, durante la campagna elettorale, in palese e consapevole violazione della legislazione, “consigliava” alle donne di “chiudere in casa i propri mariti che potevano votare contro”. Prima e durante le elezioni la criminalità organizzata e determinati oligarchi, “amici personali” del primo ministro e, allo stesso tempo, clienti del governo, hanno messo in circolazione ingenti somme di denaro per condizionare il voto dei cittadini, sia nelle grandi città, che nelle aree rurali, Dovrebbero essere stati tanti milioni messi in circolazione che hanno causato, secondo gli specialisti, il crollo dell’euro nel cambio con la moneta locale. Il nostro lettore è stato informato di questo fatto la scorsa settimana (A mali estremi, estremi rimedi; 22 maggio 2023). Durante il giorno delle “elezioni” del 14 maggio scorso, è stato evidenziato e verificato che i detenuti delle carceri hanno votato quasi tutti per i candidati del primo ministro! Chissà perché?! Così come è risultato che gli abitanti di un paese vicino alla capitale, i quali da alcuni mesi stanno protestando contro una decisione abusiva del governo che riguarda le loro proprietà, abitazioni e/o terreni, abbiano votato a “grande maggioranza” il candidato del primo ministro! Bisogna sottolineare che i seggi dove loro hanno votato erano parte integrante di una delle tre municipalità dove, per la prima volta ed in modo sperimentale, è stata applicata la numerazione elettronica del voto. E, guarda caso, in tutte quelle tre municipalità si sono verificate e sono state denunciate molti “malfunzionamenti” del sistema elettronico. Così come sono state verificate e denunciate molte irregolarità dovute alla presenza di persone, soprattutto giovani, che “aiutavano” a votare altre persone, non pratiche con il sistema. E in tutte quelle tre municipalità hanno vinto in modo “molto convincente” i candidati del primo ministro! Chissà perché e come?! Ma tutte le sopracitate violazioni delle leggi in vigore sono soltanto una parte di quello che è stato un vero e proprio massacro elettorale. Ogni giorno che passa l’elenco aumenta.

    Adesso però, dopo quel preannunciato massacro elettorale, dopo le tante denunce fatte, dopo tante inconfutabili testimonianze, il primo ministro, colto in flagranza, sta parlando di “errori” dei rappresentanti dell’amministrazione pubblica in passato, ma mai durante le elezioni, come si sta inconfutabilmente dimostrando. Il primo ministro sta parlando ormai, dopo lo “spettacolare risultato elettorale”, di “doveri” che lui ed i suoi eletti hanno nei confronti dei cittadini che hanno “votato” per loro. Lui sta ringraziando anche coloro che “non sono usciti di casa per andare a votare contro” (Sic!) E tutto questo il primo ministro lo sta facendo solo e soltanto per tergiversare l’attenzione pubblica dalle tante inconfutabili testimonianze e denunce riguardanti la ben ideata, programmata e altrettanto ben attuata “strategia” del massacro elettorale.

    Chi scrive queste righe è da tempo convinto che le dittature e le elezioni libere sono come il diavolo e l’acquasanta. E condivide quanto scriveva George Orwell; cioè che la resistenza al totalitarismo, sia esso imposto dall’esterno o dall’interno, è questione di vita o di morte. Chi scrive queste righe, vista la vissuta, sofferta e drammatica realtà albanese è convinto che la dittatura sui generis in Albania si rovescia solo con delle proteste a oltranza. Egli ripete, per l’ennesima volta, una nota e molto significativa frase di Benjamin Franklin: “Ribellarsi ai tiranni significa obbedire a Dio.”.

  • A mali estremi, estremi rimedi

    Maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

    Edmund Burke

    “Gli Stati partecipanti dichiarano che la volontà del popolo, liberamente e correttamente espressa mediante elezioni periodiche e oneste, costituisce la base dell’autorità e della legittimità di ogni governo”. Così comincia l’articolo 6 del Documento di Copenaghen. Si tratta di un importante documento, approvato durante la riunione svolta a Copenaghen dal 5 al 29 giugno 1990 dell’allora CSCE (Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa; n.d.a.). Il contenuto di quel documento si basava su quanto era stato concordato alla Conferenza sulla Dimensione Umana della CSCE e contenute nel Documento conclusivo della Riunione dei Seguiti della CSCE di Vienna nel 1989. Sullo stesso articolo 6 del Documento di Copenaghen si stabilisce che “Gli Stati partecipanti rispetteranno, di conseguenza, il diritto dei propri cittadini di partecipare al governo del proprio paese sia direttamente sia tramite rappresentanti da essi liberamente eletti mediante procedure elettorali corrette”. In più, sempre riferendosi all’articolo 6 del Documento di Copenaghen, gli Stati si devono impegnare a riconoscere “…la responsabilità di garantire e proteggere, conformemente alle proprie leggi, agli obblighi internazionali relativi ai diritti dell’uomo e agli impegni internazionali assunti, l’ordinamento democratico liberamente stabilito attraverso la volontà del popolo contro le attività di persone, gruppi od organizzazioni impegnati in azioni terroristiche o che rifiutano di rinunciare al terrorismo o alla violenza miranti a rovesciare tale ordinamento o quello di un altro Stato partecipante”. Nell’ambito del Documento di Copenaghen, l’articolo 6 rappresenta una parte molto importante con il quale si stabiliscono diritti e doveri per garantire il reale funzionamento di uno Stato democratico.

    La Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa era stata convocata per la prima volta a Helsinki il 3 luglio 1973. Poi ha proseguito i lavori a Ginevra. L’obiettivo di quelle riunioni era l’elaborazione di un testo che doveva diventare un documento base ad essere approvato da tutti gli Stati aderenti. Un atto quello ufficializzato di nuovo a Helsinki durante la Conferenza iniziata il 21 luglio 1975 dai rappresentanti dei 35 Stati partecipanti. L’Atto finale è stato approvato e firmato a Helsinki il 1° agosto 1975 dai capi di Stato e di governo dei Paesi partecipanti. L’Atto finale della Conferenza di Helsinki si compone da tre sezioni, nelle quali si raggruppano le principali questioni trattate e concordate durante i tre anni di negoziati. Si tratta della sezione della sicurezza, quella della cooperazione economica, scientifica, tecnica e ambientale e la sezione dei diritti umani. Bisogna sottolineare che l’Atto finale, approvato durante la riunione di Helsinki nel 1975, non essendo un vero e proprio accordo internazionale, non è stato perciò neanche soggetto di ratifica dai parlamenti dei singoli Stati membri. In seguito, proprio quando il blocco comunista dell’Europa orientale si stava sgretolando, è stata organizzata e convocata la riunione della Conferenza a Parigi, dal 30 maggio al 23 giungo 1989. Poi, dopo le due sopracitate riunioni della CSCE, quelle di Vienna e di Copenaghen, si è tenuta anche la riunione di Mosca dal 10 settembre al 4 ottobre 1991. Dopo la fine del lungo e problematico periodo storico della guerra fredda, anche la CSCE ha modificato i suoi programmi e obiettivi. Tutto stabilito dal Documento di Helsinki del 1992, intitolato “Le sfide del cambiamento”. Poi in seguito, durante il vertice di Budapest nel dicembre 1994, i capi di Stato e di governo dei Paesi membri della Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa hanno deciso di cambiare anche il nome della stessa Conferenza, perciò a partire dal 1° gennaio 1995 diventò attiva l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) con 57 Paesi membri del Nord America, dell’Europa e dell’Asia. Si tratta della più grande organizzazione di sicurezza regionale al mondo. L’obbligo dell’OSCE è, tra l’altro, quello di garantire la stabilità, la pace e la democrazia attraverso il dialogo politico. Riferendosi agli Atti ufficiali, l’attività dell’OSCE si svolge in tre settori fondamentali: il settore politico-militare, che tratta gli aspetti militari della sicurezza, quello economico ambientale, che affronta soprattutto argomenti dell’energia, dell’ambiente e dello sviluppo economico ed il settore della dimensione umana, dedicata alle tematiche dello Stato di diritto ed alla tutela dei diritti umani. Elezioni libere e democratiche comprese.

    Quando si costituì ed, in seguito, quando si riuniva la Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa, la dittatura comunista in Albania, la più crudele e sanguinosa in tutta l’Europa orientale, criticava e ridicolizzava le decisioni prese dalla Conferenza. Dovevano passare quindici anni prima che il regime comunista albanese, pochi mesi prima del crollo, decise finalmente di presentare la richiesta per aderire alla Conferenza sulla Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Una richiesta che è stata accettata. Durante la riunione della CSCE di Copenaghen del 1990 il rappresentante dell’Albania ha assistito in veste di osservatore. L’Albania è diventata membro della CSCE il 19 giugno 1991, durante la riunione di Berlino dei ministri degli affari Esteri dei Paesi membri della Conferenza. Perciò, durante la seguente ed importante riunione della CSCE di Mosca, l’Albania ha partecipato come un Paese membro a pieni diritti. Da allora in poi tutti i governi albanesi hanno avuto l’obbligo di rispettare gli accordi presi e quanto sancito dai Documenti e dagli Atti finali, della CSCE prima e dell’OSCE in seguito. Ma purtroppo, durante questi ultimi anni, dal 2013 ad oggi, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, i tre governi albanesi, capeggiati dallo stesso primo ministro, quello attuale, hanno violato e spesso anche consapevolmente calpestato quanto sanciscono quei Documenti. Compreso anche l’articolo 6 del Documento di Copenaghen del 1990. Durante le cinque elezioni generali, quelle parlamentari e locali ed altre elezioni parziali locali, i tre governi dell’attuale primo ministro, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, compresi anche i rapporti finali dell’OSCE, risulta purtroppo che si è passato dal male al peggio. Risulta che l’esito finale delle elezioni è condizionato e controllato dal governo, in connivenza con la criminalità organizzata. E, durante questi ultimi anni, risulta che al controllo e al condizionamento del risultato finale delle elezioni in Albania stanno contribuendo attivamente anche alcuni noti oligarchi e imprenditori, clienti del primo ministro, che con lui dividono anche i milioni assicurati tramite tanti appalti illeciti. Ma siccome in Albania anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia sono direttamente controllate dal primo ministro e/o da chi per lui, tutto passa senza nessuna obbligatoria conseguenza penale, come se niente fosse.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato del preannunciato massacro elettorale prima e durante le elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso. “Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore, che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro”. Così scriveva il 15 maggio scorso l’autore di queste righe. E poi elencava diversi fatti accaduti, Dal pauroso crollo dell’euro nei cambi con la moneta locale, “…condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per ‘scopi elettorali’”, ai “patrocinatori” e agli “attivisti’, molto attivi prima e durante le elezioni. Faceva riferimento ai vari modi per condizionare il voto e all’attivo coinvolgimento della criminalità organizzata. Il nostro lettore veniva informato che “La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro”. In più lo scorso lunedì 15 maggio, l’autore di queste righe scriveva che “…Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania” (Cronaca di un massacro elettorale preannunciato; 15 maggio 2023).

    Ebbene, durante questi giorni, ad elezioni finite, sono stati tanti i fatti accaduti, documentati e denunciati, fatti che testimoniano inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed, in seguito, attuata strategia per avere uno “spettacolare risultato elettorale”, come si vanta il primo ministro. Ma per elencare tutti quei fatti sarebbero necessarie molte, ma veramente molte pagine. E non poteva essere diversamente. Perché la diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare” prevedeva il coinvolgimento attivo, su tutto il territorio, della criminalità organizzata. Prevedeva, in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore, il diretto ed attivo coinvolgimento, nolens volens, dell’amministrazione pubblica a tutti i livelli. Prevedeva l’uso delle istituzioni per “offrire” sostegno finanziario ai cittadini bisognosi. Prevedeva anche il diretto coinvolgimento di noti oligarchi e tanti imprenditori, “amici e clienti” del primo ministro, per offrire denaro in cambio del voto a favore. O, per lo meno, in cambio a non andare a votare a tutti quegli che potevano votare contro. Lo aveva chiesto spesso durante la campagna elettorale, in piena violazione della legge, anche il primo ministro, consigliando alle donne di “chiudere a chiave in casa gli uomini che non votavano per lui”! La diabolica “strategia” del primo ministro albanese per avere “una vittoria spettacolare”, costi quel che costi, prevedeva anche molto altro. Ragion per cui sono tanti, ma veramente tanti i fatti accaduti, le violazioni della legge elettorale da parte di istituzioni ed individui che sono obbligati a rispettare proprio quella legge.

    Tra le tante “novità” delle elezioni generali amministrative del 14 maggio scorso c’è anche il risultato di un partito che alcuni anni fa è passato alle mani di un grosso imprenditore, “amico e cliente” del primo ministro. Un partito che, da quando è stato costituito negli anni ’90, non ha mai avuto dei risultati elettorali come quelli di queste elezioni. Anzi, è stato sempre un partito che a malapena riusciva a portare in parlamento qualche deputato. Ebbene quel partito, a livello nazionale, adesso ha avuto un “sorprendente risultato”: è diventato uno dei tre o quattro più importanti partiti politici. E quello che è ancora più sorprendente è che il partito dell’imprenditore, “amico cliente” del primo ministro durante la campagna per le elezioni del 14 maggio scorso, non ha fatto nessuna attività elettorale, non ha presentato in pubblico nessun programma. Il capo di quel partito però, da tante denunce fatte pubblicamente e depositate ufficialmente nelle apposite istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, risulta avere speso tanti milioni, sia per comprare voti, sia per garantire di non subire il “voto contrario” per i candidati sindaci del primo ministro e per le liste del suo partito. Questo “attivo imprenditore” è solo uno dei tanti contribuenti per lo “spettacolare risultato elettorale”, costi quel che costi, del primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe continuerà a trattare per il nostro lettore quanto è successo prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso. Egli è convinto che le violazioni sono state veramente tante e hanno coinvolto direttamente il primo ministro, i suoi ministri e stretti collaboratori. Hanno coinvolto la criminalità organizzata e tanti imprenditori. Quello accaduto prima, durante e dopo le elezioni del 14 maggio scorso è un male grave, un male estremo. E come ci insegna da tanti secoli la saggezza popolare, per contrastare i mali estremi bisogna trovare e attuare estremi rimedi. Perché, come scriveva Edmund Burke, maggiore è il potere, più pericoloso è l’abuso.

  • Cronaca di un massacro elettorale preannunciato

    Elezione. Semplice artificio mediante il quale una maggioranza

    dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere.

    Ambrose Bierce

    Gabriel Garzia Márquez è un noto scrittore colombiano che nel 1982 è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura. Un anno prima veniva pubblicato un suo romanzo intitolato “Cronaca di una morte annunciata”. Una storia vera, accaduta una trentina di anni prima nel suo paese natale, quella che lo scrittore ha portato nel suo romanzo. Ovviamente cambiando i nomi dei suoi personaggi. Il romanzo racconta la storia di un giovane ucciso dai due fratelli gemelli di una ragazza con la quale lui aveva avuto una relazione. Durante quella relazione durata poco, la ragazza aveva persa la sua verginità. Tutto accade l’indomani del giorno in cui la ragazza si sposa con un altro uomo. Lo sposo però scopre che la sposa non era più illibata e la ripudia. Tornata a casa lei racconta tutto ai suoi due fratelli i quali decidono subito di vendicarsi. Escono di casa e fanno sapere a tutti quello che volevano fare. Saputa l’intenzione dei due fratelli di uccidere colui che aveva disonorato la sorella, alcuni compaesani hanno pensato che loro non sarebbero stati capaci di compiere un simile atto crudele. Altri speravano che la vittima fosse stata avvisata in tempo da potersi mettere in salvo. Altri ancora credevano che era tutta una storia inventata dai fratelli sotto l’effetto dell’alcol bevuto in abbondanza durante i festeggiamenti di poche ore prima. Ragion per cui nessuno si era mosso a trovare ed avvisare il ragazzo ed impedire la tragedia. Il caso ha voluto che il ragazzo, l’unico nel paese che ancora non sapeva niente, tornando a casa, li trova di fronte, coltelli alla mano. Il ragazzo ha cominciato a correre per mettersi in salvo, dirigendosi verso casa sua che si trovava proprio lì vicino. Il caso però ha voluto che sua madre, vedendo il figlio correre verso la porta e credendo che fosse riuscito, scese giù e chiuse la porta, ignara di aver lasciato il figlio nelle mani dei suoi assassini. I due fratelli raggiunsero ed uccisero il ragazzo, accoltellandolo

    Alla fine del romanzo il lettore apprende che i due fratelli, dopo essere stati condannati per omicidio, vengono lasciati liberi perché era stato riconosciuto il “motivo d’onore”. Mentre la loro sorella, dopo diciassette anni incontra di nuovo il suo ex marito che l’aveva ripudiata la prima notte del loro matrimonio. Lui si presenta alla sua porta portando una valigia piena di lettere da lei scritte nella speranza che venisse perdonata. Lettere che lui non aveva mai aperto. Questa è la storia che lo scrittore racconta nel suo noto romanzo “Cronaca di una morte annunciata”. Il caso ha voluto che proprio un anno prima che il romanzo fosse pubblicato, sua madre comunicò a Gabriel Garzia Márquez la morte della madre del ragazzo ucciso trentanni prima. Era un ragazzo di origini italiane che a quel tempo viveva e studiava a Bogotà, in Colombia. Lo scrittore è stato informato anche che la madre della vittima morì senza mai essersi ripresa dalla tragedia del suo giovane figlio. Sua madre, conoscendo l’intenzione del figlio Gabriel Garzia Márquez di scrivere e raccontare quella storia, lo supplicò di trattare tutto come se la giovane vittima di trentanni prima fosse stato suo figlio, perciò fratello dello scrittore. Un anno dopo, nel 1981 veniva pubblicato il romanzo con, all’inizio, la nota dell’autore: “Una cosa risolta così male nella vita non può risolversi bene in un libro”.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato dall’autore di queste righe anche sulle ultime giornate della campagna elettorale in Albania, prima delle elezioni amministrative del 14 maggio.  “La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini”. Aggiungendo in seguito, riferendosi al primo ministro albanese, che “…Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge.. Inoltre, il nostro lettore veniva informato che “…Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista”. Sottolineando che “…Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo”. In seguito il nostro lettore veniva informato che “…Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi” (Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere; 8 maggio 2023).

    Infatti, tutto quello che si è verificato e successo, sia prima delle elezioni amministrative di domenica scorsa, sia durante il giorno stesso delle elezioni, fatti accaduti, documentati e denunciati pubblicamente alla mano, risulta essere stata semplicemente la cronaca di un massacro elettorale preannunciato. È la cronaca di tutto quello che è ormai accaduto e noto al pubblico, di tutte quelle violazioni della Costituzione e delle leggi in vigore e che hanno garantito la tanto voluta “vittoria” personale del primo ministro. Anche se fino ad adesso, lunedì 15 maggio, i dati ufficiali sono parziali, essendo stati conclusi i conteggi solo in una parte dei municipi, si capisce che il primo ministro ha raggiunto il suo tanto ambito e vitale obiettivo. Ma sono state tante le violazioni, cominciate molto prima delle elezioni stesse. Il nostro lettore è stato informato del sistema ben organizzato di coloro che vengono chiamati come i patrocinatori. Sono tanti, migliaia e migliaia, reclutati e direttamente coinvolti per avere informazioni riguardanti i cittadini che possono votare, i loro famigliari, i loro bisogni, i loro “punti deboli”, per poi poterli minacciare e costringere a votare per il raggruppamento politico del primo ministro (Si sa di chi è la colpa, 7 novembre 2022; Uso scandaloso di dati personali, 31 gennaio 2022; Sono semplicemente seguaci del modello abusivo dei superiori, 16 gennaio 2023 ecc.). Per raggiungere il suo obiettivo, il primo ministro e i suoi “strateghi” hanno attivato anche un’applicazione informatica chiamata “l’Attivista”. Con quell’applicazione, installata dagli impiegati dell’amministrazione pubblica si possono tenere sotto pressione e controllo tutti. L’applicazione costringe quelli che l’hanno installata a dare il loro sostegno in rete al primo ministro, ai ministri e ad altri dirigenti dell’amministrazione pubblica. L’applicazione elenca tutti gli utenti in base alla loro “attività” in rete, prevedendo anche benefici e castighi a seconda dei casi.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato, comprende anche tutto quello che riguarda la diffusa povertà, dovuta alle “politiche governative” e tanto altro. Una vissuta e sofferta realtà quella che, inevitabilmente, ha portato al massiccio e preoccupante spopolamento dell’Albania. Ma gli “strateghi” del primo ministro, come quelli della dittatura comunista poco prima del crollo del regime nel 1991, sanno che la maggior parte di quelli che lasciano la madre patria non avrebbero votato per loro. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania riguarda anche le “assunzioni elettorali” di questi ultimi mesi, soprattutto nelle istituzioni dell’amministrazione pubblica. Riguarda il mai verificato, spaventoso, pericoloso e preoccupante “crollo” dell’Euro, soprattutto durante questo ultimo mese, prima delle elezioni di domenica scorsa. “Crollo” condizionato da ingenti somme di denaro illecito, entrato in Albania per “scopi elettorali”. Con tutte le ripercussioni gravi per il prossimo futuro. Ma al primo ministro poco importa. A lui importa solo e soltanto vincere a tutti i costi. La cronaca riguarda le violazioni delle leggi in vigore durante la campagna elettorale, sia da parte del primo ministro e dei suoi candidati sindaci, che di tutti i suoi “rappresentanti” politici. La cronaca del massacro elettorale riguarda anche l’evidenziato ritiro delle carte d’identità a molti cittadini, soprattutto parenti degli impiegati dell’amministrazione pubblica, per impedire loro la votazione a favore degli avversari del primo ministro.

    La cronaca di quello che ormai risulta essere stato, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, un vero e proprio massacro elettorale preannunciato comprende tutte le “bizzarrie” del primo ministro durante la campagna elettorale. Sono delle violazioni legali, per non parlare poi dei codici morali e della buona condotta, l’uso in pubblico durante la campagna elettorale, delle offese personali e delle minacce, rivolgendosi ai suoi avversari, sia i dirigenti dei partiti dell’opposizione, che i loro candidati sindaci. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende tutte le violazioni legali compiute dal primo ministro con le sue “richieste” dirette fatte alle donne di “chiudere a chiave” gli uomini il giorno delle votazioni se non votavano per lui. Comprende anche le minacce di non avere supporto governativo per tutti i municipi che potevano essere gestiti da sindaci dell’opposizione. La cronaca di quello che è successo prima delle elezioni comprende, altresì i tanti e voluti comportamenti da coatto, i balli “popolari” del primo ministro con le donne per spostare l’attenzione pubblica dai veri problemi da lui causati. La cronaca di quello che ormai risulta essere stato un massacro elettorale preannunciato comprende la campagna elettorale “semplice e senza spese” del raggruppamento politico (leggi occulto) del primo ministro. Ma, allo stesso tempo, comprende anche e soprattutto l’intenso e continuo lavoro dietro le quinte per condizionare il risultato delle “votazioni” con la compravendita dei voti, le assunzioni e l’uso dell’amministazione pubblica durante la campagna elettorale, in palese violazione delle leggi.

    La cronaca del massacro elettorale preannunciato comprende il sistema “riformato” della giustizia, i cui rappresentanti “non vedono e non sentono”, perciò non reagiscono in seguito alle tante denunce pubblicamente fatte dall’opposizione. Comprende anche la Polizia di Stato che da anni funziona ormai come polizia del primo ministro. Comprende le decisioni dei tribunali e della Commissione Centrale Elettorale, della Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni e del Collegio Elettorale per sgretolare il maggior partito dell’opposizione. La cronaca del massacro elettorale preannunciato in Albania comprende anche tanti altri fatti accaduti prima e durante il giorno delle elezioni amministrative. Ma grazie a quel massacro elettorale il primo ministro è riuscito a vincere, fino ad adesso, pomeriggio di lunedì 15 maggio, nella maggior parte dei municipi, capitale compresa. Il risultato diretto di un simile massacro elettorale permette un ulteriore, preoccupante e molto pericoloso consolidamento della nuova dittatura in Albania.

    Chi scrive queste righe seguirà ed informerà anche la prossima settimana il nostro lettore delle gravi ed inevitabili conseguenze di quel massacro elettorale ideato, programmato ed attuato da mesi in Albania. Nel frattempo egli potrà fare riferimento alle tante violazioni legali che si stanno denunciando, alle testimonianze documentate e a tanto altro, per informare il nostro lettore con la dovuta e richiesta oggettività. Chi scrive queste righe condivide però il pensiero di Ambrose Bierce sulle elezioni che “…sono un semplice artificio mediante il quale una maggioranza dimostra a una minoranza che sarebbe follia tentare di resistere”. Come sta accadendo adesso in Albania.

  • Autocrati che stanno facendo di tutto per mantenere il potere

    Ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode, e la tirannia.

    Frederick William Robertson

    Settantotto anni fa, l’8 maggio 1945 alle 23.01, riferita al Central European Time (Ora standard dell’Europa Centrale; n.d.a.) entrava in vigore la resa definitiva della Germania e la fine della seconda guerra mondiale in Europa. L’accordo era stato firmato alle 02:41 della mattina del 7 maggio 1945 a Reims, in Francia, dai rappresentanti dei Paesi occidentali dell’alleanza e, per i nazisti sconfitti, dal generale tedesco Alfred Jodl. Poco prima della mezzanotte dell’8 maggio 1945, per espresso volere di Stalin, un altro accordo è stato firmato a Berlino tra l’Unione sovietica e la Germania nazista. A Mosca, nel frattempo, era già il 9 maggio. L’Armata Rossa era rappresentata dal maresciallo Georgij Žukov ed altri ufficiali sovietici, mentre l’Alto Commando delle Forze Armate tedesche (Oberkommando der Wehrmacht; n.d.a.) era rappresentato dal feldmaresciallo Wilhelm Keitel, insieme ad altri alti ufficiali dell’esercito. Con quell’accordo la Germania si arrendeva anche all’Unione sovietica. Perciò anche adesso la fine della seconda guerra mondiale in Europa si celebra ogni 8 maggio per i Paesi dell’alleanza occidentale, invece nell’Unione Sovietica prima ed in Russia adesso, quella ricorrenza si celebra ogni 9 maggio.

    Il 9 maggio però ha un altro valore storico per l’Europa. Era il pomeriggio del 9 maggio 1950. Al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri a Parigi, di fronte ai giornalisti, l’allora ministro Robert Schuman ha reso pubblica quella che da allora è nota come la Dichiarazione Schuman. Riferendosi a quella Dichiarazione, la scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore che si trattava di “Un documento storico che rappresentava le convinzioni ed il pensiero lungimirante dei Padri Fondatori dell’Europa unita”. Si trattava di un documento molto importante che presentava la vitale necessità dei Paesi europei di collaborare fra loro, invece di combattere. Le idee e le convinzioni dei Padri Fondatori dell’Europa unita, tra i quali anche Robert Schuman, sono stati adottati interamente dal Trattato di Parigi del 18 aprile 1951 con il quale si costituì la Comunità europea del Carbone e dell’Accaio. I sei paesi firmatari del Trattato erano la Francia, la Germania, l’Italia, il Belgio, il Lussemburgo e i Paesi Bassi. Nello stesso articolo della scorsa settimana l’autore di queste righe scriveva per il nostro lettore: “…Bisogna sottolineare che in quel periodo i Paesi europei stavano cercando di portare avanti il processo della ricostruzione dopo una lunga e devastante seconda guerra mondiale. […] E non a caso la prima iniziativa si riferiva a due materie prime, indispensabili sia per la guerra che per lo sviluppo economico, tanto importante in generale, ma anche durante quel periodo di ricostruzione. Si trattava del carbone e dell’accaio”. Aggiungendo in seguito che “…I Padri Fondatori erano convinti che il controllo comune della produzione di quelle due importanti materie prime avrebbe evitato una nuova guerra, soprattutto fra i due rivali storici, la Francia e la Germania, ma anche fra altri paesi europei. Ne era convinto anche Schuman che, nella sua dichiarazione, resa pubblica il 9 maggio 1950, sottolineava che così facendo una nuova guerra diventava “…non solo impensabile, ma materialmente impossibile”” (Necessarie riflessioni per evitare il peggio; 1 maggio 2023).

    La dichiarazione Schuman rappresenta un documento molto importante, che metteva le basi anche di quella che il 25 marzo 1957, con il Trattato di Roma, diventò la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea.  Il Trattato di Roma è stato firmato dagli stessi sei Paesi che costituirono la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio e stilarono altri atti approvati in seguito. Il 9 maggio è stato adottato come la “Giornata dell’Europa” dai capi di Stato e di governo dei Paesi membri dell’allora Comunità Economica Europea, durante il vertice di Milano del 1985. È stata scelta proprio quella data in ricordo della Dichiarazione che Robert Schuman rese pubblica il 9 maggio 1950. Quella Dichiarazione cominciava con la frase “La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”. In seguito si sanciva che “L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”. Una previsione che è stata poi verificata durante questi decenni.

    La Dichiarazione Schuman ed il pensiero dei Padri Fondatori, nonché diversi successivi atti ufficiali dell’Unione europea, hanno sancito, tra l’altro, anche i diritti ed i doveri degli Stati membri della stessa Unione. Atti che devono essere rispettati però anche dagli Stati che seguono le procedure dell’adesione nell’Unione europea. L’Albania è uno di quegli Stati. In Albania però e purtroppo, quanto è stato sancito dal pensiero dei Padri Fondatori, dalla Dichiarazione Schuman, nonché dai successivi atti ufficiali dell’Unione europea, non sono stati rispettati, spesso volutamente, durante questi ultimi anni. Ragion per cui il Consiglio europeo ha sempre posto delle necessarie ed invarcabili condizioni sine qua non, prima di prendere le dovute decisioni per continuare con le procedure dell’adesione. Il nostro lettore è stato spesso informato di questa realtà. E la ragione è solo e soltanto una: i tre governi capeggiati dall’attuale primo ministro, dal 2013 ad oggi, non hanno fatto niente per meritare l’avanzamento nelle procedure dell’adesione all’Unione europea, anzi! Perché non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì si stia consolidando e sia attiva una nuova dittatura sui generis, camuffata da un pluripartitismo di facciata da alcuni “raggruppamenti stampella” scelti e controllati del primo ministro. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il primo ministro sta facendo di tutto per annientare l’opposizione politica. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la criminalità organizzata collabori, fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, con il potere politico, sia nel prendere determinate decisioni ufficiali convertite in legge, sia per condividere in privato moltissimi milioni dei soldi pubblici in uno dei Paesi più poveri dell’Europa. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì è stato consapevolmente violato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri. Non può mai un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì una persona, il primo ministro, abusando pericolosamente del potere conferito, controlli tutti i poteri: l’esecutivo, il legislative, il giudiziario e quello dei media. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì il risultato delle elezioni, sia quelle parlamentari che amministrative, sia condizionato e controllato dal potere politico e dalla criminalità organizzata. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì la diffusa corruzione stia divorando sempre più tutto e tutti. Non può un Paese diventare membro dell’Unione europea se lì da anni si riciclano i miliardi provenienti dalla corruzione, non solo in Albania e dai traffici illeciti degli stupefacenti ed altro, gestiti dalla criminalità organizzata, sia quella locale che internazionale. Per queste e per altre ragioni, non può mai e poi mai un Paese diventare membro dell’Unione europea. Almeno se si tengono presenti il lungimirante pensiero e le convinzioni dei padri Fondatori, espressi nella Dichiarazione Schuman e nei testi ufficiali dei Trattati di Parigi e di Roma che costituirono, rispettivamente, il 18 aprile 1951 la Comunità europea del Carbone e dell’Acciaio ed il 25 marzo 1957 la Comunità Economica europea, precorritrice dell’attuale Unione europea. Ma anche in altri Trattati ed atti successivi.

    La prossima domenica in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative per eleggere 61 sindaci di altrettanti municipi. Il primo ministro però, fatti accaduti durante queste ultime settimane, fatti documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, sta facendo di tutto per annientare il diritto di voto libero dei cittadini. Lui sta minacciando pubblicamente e in palese violazione delle leggi in vigore, tutti coloro che potrebbero votare per i suoi avversari. E come lui lo stanno facendo anche altri sindaci che si ricandidano, nonché molti rappresentanti istituzionali della maggioranza governativa, nonostante atti del genere siano vietati e condannabili per legge. Ma, come sta realmente accadendo, niente possono fare le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, direttamente controllato dal primo ministro e/o da chi per lui. Tutto fa pensare che anche le elezioni amministrative della prossima domenica, come tutte quelle precedenti dal 2013 in poi, non saranno elezioni, ma semplicemente votazioni, come durante la dittatura comunista. Sempre fatti accaduti alla mano, risulta che il primo ministro, oltre a controllare tutti e tre i poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario) e quello dei media, controlla anche le istituzioni che gestiscono le elezioni come la Commissione Centrale Elettorale, la Commissione delle Rivendicazioni e delle Sanzioni ed il Collegio Elettorale. Lo testimoniano tutte le illecite decisioni prese da queste istituzioni dallo scorso marzo. Anche di questi fatti il nostro lettore è stato informato durante le scorse settimane. Una simile realtà rappresenta un’ulteriore ma molto significativa dimostrazione e testimonianza della restaurazione di una nuova dittatura sui generis in Albania.

    Il primo ministro sta facendo di tutto per vincere le elezioni, costi quel che costi. Veramente di tutto. Lo sta facendo per proteggere se stesso. La posta in gioco è molto alta. Perché se perdesse, allora per lui potrebbero cominciare seri, veramente seri problemi. E potrebbe accadere quello che fino ad oggi è veramente impensabile ed impossibile. Anche le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia potrebbero accanirsi contro di lui, come conseguenza di vari complessi maturati nel tempo che gli psicologi conoscono bene. Poi attualmente c’è un processo giudiziario in corso negli Stati Uniti d’America a carico di un ex alto funzionario del FBI (Federal Bureau of Investigation, Ufficio Federale di Investigazione; n.d.a.). Dalle dichiarazioni ufficiali rese pubblicamente note dalle istituzioni giudiziarie coinvolte e riferendosi alle indagini svolte, risulterebbe che il primo ministro albanese sia direttamente coinvolto. Sono tante le indiscrezioni rese pubbliche da credibili fonti mediatiche statunitensi che confermano tutto ciò. Il che significa che lui, il primo ministro albanese deve rimanere al potere, costi quel che costi, per godere dell’immunità diplomatica e per impedire di essere chiamato dai giudici statunitensi, con tutte le conseguenze possibili. Anche di questo fatto il nostro lettore è stato informato diverse volte durante questi ultimi mesi.

    Lo stesso giorno, la prossima domenica, il 14 maggio, mentre in Albania si svolgeranno le elezioni amministrative, in Turchia si svolgeranno le elezioni presidenziali. Il primo ministro albanese ha offerto pubblicamente tutto l’appoggio per il suo “caro amico”, il presidente turco, un ben noto autocrate. Proprio colui che ha ispirato nel suo operato il primo ministro albanese, come lui stesso ha ammesso pubblicamente in diverse occasioni. E mentre il 9 maggio 1945 l’Unione Sovietica firmava a Berlino, come Paese aggredito, l’accordo con la Germania nazista, dal 24 febbraio 2022 la Russia ha aggredito l’Ucraina, in seguito alla decisione presa da un altro autocrate, il presidente russo. Quanto è accaduto e sta accadendo in Ucraina ormai è noto. E come in Albania ed in Turchia, anche in Russia gli autocrati che controllano la situazione interna con una mano di ferro stanno facendo di tutto per mantenere il potere. Chissà fino a quando ci riusciranno?

    Chi scrive queste righe avrebbe avuto molto altro da dividere con il nostro lettore, ma si ferma qui. Egli però condivide il pensiero di Frederick William Robertson, secondo il quale ci sono tre cose al mondo che non meritano alcuna pietà: l’ipocrisia, la frode e la tirannia. E ricorda anche quanto affermava Georges Clemenceau circa un secolo fa. E cioè che “Una dittatura è un paese in cui non devi passare una notte intera per conoscere il risultato delle elezioni”. Mentre il Albania ci vogliono giorni e spesso settimane. Tempo necessario per “legittimare” la vittoria del primo ministro.

  • La doppia faccia di certi rappresentanti internazionali

    Colui che si permette di dire una bugia una volta,

    trova molto più facile farlo una seconda volta.

    Thomas Jefferson

    L’evangelista Luca ci racconta, tra l’altro, anche dell’amministratore di un uomo ricco che aveva abusato delle ricchezze del padrone. Lui, dopo averlo saputo lo chiamò e gli disse: “Che è questo che sento dire di te?”. E gli chiese di rendere conto di come aveva svolto il suo operato. Allora l’astuto amministratore, preoccupato di perdere tutto, pensò tra sé e sé: “Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno”. E trovò anche cosa fare dopo aver perso il lavoro. Doveva trovare qualcuno con il quale dividere quanto spettava al padrone. Chiamò uno dei debitori e disse “Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d’olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta”. Poi chiamò un’altro e disse “Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta“. L’evangelista ci testimonia in seguito quanto affermava il figlio del Signore. E cioè che “Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto. Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?”. Poi Gesù disse ai suoi discepoli: “Nessun servo può servire due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”. (Mammona significa il demone tentatore della ricchezza, ossia il diavolo stesso; n.d.a.). In seguito l’evangelista ci racconta quanto disse Gesù ai farisei i quali, si sa, erano molto attaccati al denaro e lo stavano ascoltando. “Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio” (Vangelo secondo Luca; 16; 1-15).

    L’autore di queste righe trova molto significativa una frase del noto scrittore e drammaturgo Luigi Pirandello, insignito con il premio Nobel per la letteratura nel 1934. Si tratta della frase “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”, scritta nel suo ben noto romanzo “Uno, nessuno e centomila”. Il personaggio principale del romanzo, Vitangelo Moscarda, detto Gengè, era il proprietario benestante di un banco di pegni. In base alle sue tante, tantisssime personali esperienze di vita vissuta, Gengè arrivò alla conclusione che “…l’essere umano, essendo uno, diventa nessuno nella moltitudine sociale, ma per gli altri si disgrega in centomila immagini, esseri differenti l’uno dall’altro.”. In realtà i tanti tormenti di Gengè ebbero inizio un giorno quando, mentre si stava guardando allo specchio, sua moglie gli disse che aveva il naso storto. Una constatazione quella, che da quel momento mise in dubbio e fece vacillare tante altre cose le quali, fino ad allora, rappresentavano per Gengè delle indiscusse convinzioni. Il che mise tutto in subbuglio e lo costrinse a riflettere su tutto e tutti. E si convinse che, siccome lui non si era accorto di un così banale e vistoso difetto fisico come il naso storto, allora potevano essere stati tanti altri difetti caratteriali sfuggiti a lui ma non ad altre persone. Gengè cominciò a cambiare i suoi atteggiamenti quotidiani, fino al punto che nessuno riconosceva più quella persona benestante che si godeva la sua vita beata. Sono state tante le decisioni prese da lui, ma non condivise dagli altri, compresa sua moglie che lo abbandonò, che lo resero pazzo agli occhi di tutti. Alla fine Gengè si ritirò in un ospizio per le persone povere e disagiate da lui stesso costruito. Lui, non usando più neanche il suo nome, diventò come i tanti altri in quell’ospizio, Perciò da uno Gengè diventò nessuno. Ma proprio grazie a quella metamorfosi lui cominciò a sentirsi finalmente libero. Libero da una moltitudine di maschere con le quali aveva avuto a che fare durante la sua vita prima di entrare nell’ospizio. “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Un saggio, eloquente e molto significativo messaggio di vita vissuta e sofferta, maestosamente scritto e trasmesso da Luigi Pirandello. Un messaggio che dovrebbe servire a tutti.

    Nel mondo ci sono state, ci sono e ci saranno sempre persone che si presentano con una doppia faccia, ossia dei bifronti. Come Ianus, meglio conosciuto come Giano, il primo dio italico, comunemente rappresentato con due fronti, due facce di un’unica testa: una davanti e l’altra dietro. Ma Giano viene considerato, più in generale, come la divinità dell’ingresso e dei passaggi. Tanto è vero che circa ventisette secoli fa Numa Popmilio, il secondo re di Roma ed il diretto successore di Romolo, dedicò a Giano il primo mese immediatamente dopo il solstizio d’inverno, raffigurando il mese con il quale si apre il nuovo anno. Ma nonostante il simbolismo di Giano come divinità bifronte, la persona di doppia faccia simboleggia l’ipocrisia, la falsità e l’inganno. Perciò nella nostra immagine collettiva, una persona di doppia faccia rappresenta sempre colui che, per determinati motivi ed interessi, cambia il suo linguaggio ed i suoi atteggiamenti a seconda delle convenienze. Comunemente una persona di doppia faccia è priva di dignità e di lealtà. Una persona di doppia faccia rappresenta la naturale o costretta mancanza di sincerità, rappresenta un essere umano con un’innata o acquisita abilità di manipolazione. Rappresenta un volto sempre coperto e nascosto da una o più maschere. Come quelle maschere, alle quali fa riferimento Luigi Pirandello.

    Purtroppo non sono poche le persone, con degli incarichi istituzionali, spesso molto importanti e di alto livello, che si presentano ed operano con una doppia faccia. E purtroppo non sono poche anche le conseguenze del loro operato. Sia a livello locale che internazionale. Conseguenze, le cui gravità le hanno sofferte e le stanno ancora soffrendo le popolazioni in diverse parti del mondo. Sia nel secolo passato, per non andare oltre, che in questi ultimi decenni. Come è accaduto in Afghanistan dal 2001 in poi. Da quando gli Stati Uniti d’America diedero inizio alla campagna militare nota come Enduring Freedom (Libertà duratura; n.d.a.), che aveva come obiettivo strategico il rovesciamento proprio del regime dei talebani. Una lunga presenza sul territorio di un ingente schieramento militare delle forze internazionali, soprattutto di quelle statunitense, durata venti anni. Una presenza che non solo non ha portato ad una “Libertà duratura”, ma, fatti accaduti e documentati alla mano, ha causato diversi scandali ed ha permesso di “chiudere gli occhi, le orecchie e la mente” di fronte ad una crescente corruzione a tutti i livelli del governo locale, i cui dirigenti avevano l’appoggio dei “rappresentanti internazionali”. Soprattutto di quelli statunitensi. Ma dopo una lunga presenza di quasi venti anni, tutto è finito con il vergognoso ritiro delle truppe internazionali, soprattutto quelle statunitensi, il 15 agosto 2021. Da allora i talebani hanno ripreso il controllo del Paese, generando di nuovo altre e sempre crudeli sofferenze per la popolazione afghana. Una popolazione che ha sofferto veramente molto anche prima, dal 1979 fino al 1989, quando il Paese era stato invaso dalle truppe dell’allora Unione Sovietica. E poi, durante la presa del potere da parte dei clan locali e dei talebani negli anni ’90 del secolo passato. Ma l’irresponsabilità, l’ipocrisia delle persone con la doppia faccia che esercitano degli importanti incarichi istituzionali è una delle cause anche di quello che sta accadendo dal 14 febbraio 2022 in Ucraina, dopo l’invasione militare ordinata dal dittatore russo. Oppure di quello che sta accadendo in questi giorni in Sudan.

    Purtroppo l’irresponsabilità e l’pocrisia delle persone con la doppia faccia, le quali esercitano degli importanti incarichi istituzionali a livello internazionale, da anni ormai sta generando delle gravi problematiche e delle altrettanto gravi derivanti conseguenze anche in Albania. Il nostro lettore è stato spesso informato, nell’arco di questi anni, su una simile, preoccupante e pericolosa realtà vissuta e sofferta in Albania. Così come è stato informato, sempre fatti accaduti e documentati alla mano, delle gravi conseguenze degli irresponsabili atteggiamenti di coloro che l’autore di queste righe da anni chiama i “rappresentanti internazionali”. Riferendosi soprattutto ai rappresentanti diplomatici degli Stati Uniti d’America, compresa l’attuale ambasciatrice statunitense in Albania. Colei che durante tutto il suo operato in Albania ha violato palesemente la Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961, soprattutto i punti 1 e 2 dell’articolo 41 della Convenzione.

    Ma anche a qualche alto funzionario del Dipartimento di Stato. Riferendosi, altresì, anche a certi alti rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea ed alcuni rappresentanti dell’Unione in Albania, soprattutto quelli dell’ultimo decennio, esclusa l’attuale rappresentante. Si tratta di un preoccupante e del tutto non istituzionale operato, quello dei “rappresentanti internazionali” in Albania, ma soprattutto dell’attuale ambasciatrice statunitense, sempre fatti accaduti, documentati ed ufficialmente denunciati alla mano, in pieno e palese sostegno di un primo ministro che rappresenta il peggio di quello che si poteva immaginare, riferendosi ad uno scenario da evitare, costi quel che costi. Di colui che rappresenta, almeno istituzionalmente la nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni in Albania. Una dittatura come espressione della pericolosa alleanza tra il potere politico, la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti internazionali, soprattutto di oltreoceano. Chissà perché?! Il nostro lettore è stato informato in continuazione di una simile, grave, preoccupante e pericolosa realtà non solo per l’Albania. Perché le conseguenze di quello che sta accadendo da alcuni anni in Albania, soprattutto a livello della corruzione diffusa, dell’abuso di potere, del controllo da parte del primo ministro, oltre al potere legislative ed esecutivo, anche di quello giudiziario e mediatico, del riciclaggio del denaro sporco, della collaborazione tra le varie criminalità organizzate internazionali si stanno verificando anche in altri Paesi europei, l’Italia inclusa.

    La scorsa settimana è arrivato in Albania, per una visita ufficiale, il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense. Colui che è l’incaricato anche per i Paesi balcanici, compresa l’Albania. Lui ha avuto degli incontri con il primo ministro ed il presidente della repubblica. Ma ha incontrato anche i rappresentanti di un “raggruppamento di opposizione” che da anni si sono messi al servizio del primo ministro, diventando una utile “stampella” per lui, nella sua irresponsabile e pericolosa corsa verso il potere assoluto. In seguito l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato ha rilasciato una lunga intervista in prima serata ad una televisione nazionale in buoni rapporti con il governo. Ebbene, durante quell’intervista il sostituto sottosegretario del Dipartimento di Stato statunitense ha fatto delle dichiarazioni contraddittorie. Ha fatto delle affermazioni che, fatti alla mano, contrastavano con quanto era accaduto precedentemente. E nonostante abbia dichiarato che la sua visita “non era assolutamente legata con le elezioni amministrative” quelle del 14 maggio prossimo, tutto, sia gli incontri fatti durante la sua visita, soprattutto con il raggruppamento d’opposizione “stampella” del primo ministro, che quanto ha dichiarato durante la stessa intervista televisiva, dimostrava proprio il contrario di quello che l’alto rappresentante del Dipartimento di Stato voleva far credere. Chissà se si è trattato di un altro caso di “doppia faccia”?!

    Chi scrive queste righe tratterà questo argomento, compreso il dannoso comportamento ipocrita di certi rappresentanti istituzionali internazionali, inclusi quelli statunitensi, anche nelle prossime settimane. Convinto che, come affermava Thomas Jefferson, colui che si permette di dire una bugia una volta, trova molto più facile farlo una seconda volta. Chi scrive queste righe pensa che oltre il simbolismo di Giano come divinità bifronte, le persona di doppia faccia simboleggiano l’ipocrisia, la falsità, la voluta manipolazione delle verità e l’inganno. Chi scrive queste righe trova molto significativa l’affermazione di Luigi Pirandello: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”. Sono veramente tante le maschere intorno a noi.

  • Il costo milionario del vizio di un primo ministro irresponsabile

    L’irresponsabilità aggrava le colpe e persino i crimini, checché se ne dica.

    Marcel Proust

    “Ad un vicin mercato due Compari,/ a corto di denari,/ vendettero d’un grande Orso la pelle,/ d’un Orso, ben inteso,/ che non aveano ucciso ancor né preso”. Così inizia la favola “L’Orso e i due Compari” di Jean de La Fontaine. I compari, due imbroglioni che volevano guadagnare soldi facili con delle eclatanti ma effimere promesse, garantiscono che entro due giorni avranno pronta e consegneranno la pelle dell’orso. Certamente tutto doveva essere ben pagato però. E come ci racconta La Fontaine, i due compari “…senza fare i conti coll’Orso,/ vanno in traccia dell’amico”. Ma il loro coraggio svanisce in seguito, perché appena nel bosco, “…ecco che subito si affaccia/ la belva che galoppa e mostra i denti”. Ovviamente i due compari, tremando dalla paura, si scordano della loro promessa. “Contratto addio! Non è quello il momento/ di far affari colla bestïaccia,/ ma di scappar… e scappan come il vento”. Jean de La Fontaine ci racconta cosa accade in seguito. “L’uno svelto s’arrampica su un albero,/ l’altro si butta in terra colla faccia,/ e fa il morto, non fiata, avendo udito/ che l’orso con chi puzza di cadavere/ di rado si è mostrato inferocito”. E veramente l’orso, sentendo la “puzza da morto” del compare sdraiato per terra, “nel bosco si rintana”. Vedendo l’orso scomparire nel bosco, il compare, salito sull’albero, “…scende allor dal ramo/ e coll’altro di cuore si congratula/ che ancor la sia passata così piana”. Una volta vicino all’altro ancora sdraiato e tremante dalla paura, chiede se l’orso gli avesse detto qualcosa riguardo alla sua pelle “…quando il muso all’orecchio avvicinò?”. Il suo amico, che non mancava di spirito e di pronta risposta, nonostante avesse passato dei brutti momenti pochi minuti prima, disse, se non avesse frainteso l’orso, che “…non bisogna vendere dell’orso/ la pelle mai prima d’averlo preso”. Ovviamente esistono anche altre varianti della stessa favola che, secondo gli studiosi, ci arriva, come tante altre, da Esopo. E si sa che Jean de La Fontaine ha ripreso e messo in versi molte delle favole attribuite ad Esopo, vissuto venticinque secoli fa nell’antica Grecia. Favole dalle quali ci si può imparare sempre. I due amici della favola “L’Orso e i due Compari”, nota anche come “La pelle dell’orso”, somigliano, per le loro ingannatrici promesse, a due altri imbroglioni, personaggi di un’altra nota favola, “I vestiti nuovi dell’imperatore”, maestosamente scritta da Hans Christian Andersen. Anche in questa favola sono due imbroglioni che, appena arrivati nella città dove viveva l’imperatore, spargono la voce di essere degli abili tessitori e di avere un particolare tessuto che non poteva però essere visto dalle persone incapaci e dagli imbecilli. Cosa accade poi è ben noto a noi tutti. Andersen ci racconta che, alla fine, è stato un bambino a mettere fine a quello “stato di incantesimo” che aveva costretto tutti a vedere quello che proprio non c’era. Con la sua innocenza il bambino disse quello che vedevano tutti, ma che nessuno voleva che si sapesse, per paura di passare per degli imbecilli. Disse che il re non aveva niente addosso! Tornando alla favola “L’Orso e i due Compari” di Jean de La Fontaine, l’insegnamento trasmesso, la morale è semplice: non credere mai a coloro che promettono una cosa che difficilmente potranno avere e/o fare.

    Una delle tante significative e vissute testimonianze di quell’insegnamento si è verificata di recente anche in Albania. Fatti accaduti alla mano, ormai anche in base a delle decisioni definitive prese da diversi tribunali internazionali, dimostrano inconfutabilmente che il primo ministro ha molto in comune con i due compari della favola di Jean de La Fontaine. L’unica differenza è che, mentre i due compari promettevano, in cambio di denaro, di consegnare la pelle dell’orso, il primo ministro albanese, dal 2015 e fino a qualche settimana fa, prometteva e giurava pubblicamente di incassare denaro nelle casse dello Stato, in seguito ad una causa giudiziaria da lui generata. Una causa che sulla base aveva la chiusura di un media televisivo che era critico con lui e con il suo operato. Il nostro lettore sarà informato di questo caso nei seguenti paragrafi. Si tratta però di un ulteriore caso che testimonia la consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media in Albania. Una violazione come espressione diretta della volontà e delle spinte vendicative del primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato la scorsa settimana di questa vissuta, sofferta e testimoniata realtà in Albania (Consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media; 3 aprile 2023). Purtroppo per le casse dello Stato e per i poveri contribuenti albanesi, le “minacce” e le “promesse” del primo ministro, per avere dei milioni come ricompensa al caso giudiziario da lui generato, non sono valse a niente. Anzi, adesso si devono pagare dei milioni per il vizio, uno dei tanti, dell’irresponsabile primo ministro albanese. Ma mentre il compare della favola, quello che ha finto di essere morto, diceva all’altro che “…non bisogna vendere dell’orso/ la pelle mai prima d’averlo preso”, il primo ministro albanese, dopo aver scatenato un caso perso già in partenza, adesso si è “scordato” delle sue “minacce” e delle sue “promesse” e sta cercando di fare delle altre, molto “originali”, per spostare l’attenzione pubblica.

    Il caso in questione riguarda lo scontro del primo ministro albanese con un imprenditore italiano attivo nel campo delle energie rinnovabili e dei rifiuti. Lui è noto in Italia, tra l’altro, anche come amministratore delegato della squadra di pallavolo di Roma che ha vinto lo scudetto 1999-2000. In più lui nel 2014 ha acquisito una squadra di calcio londinese, della terza divisione inglese. Lo stesso imprenditore ha investito in Albania negli anni ’90, insieme con un noto gruppo energetico italiano ed una nota banca tedesca, nel campo delle energie rinnovabili, per la costruzione di una centrale idroelettrica su un fiume nel sud del Paese. In seguito, nell’aprile 2013, ha investito in Albania anche nel campo mediatico, con una importante emittente televisiva. Una emittente che dal 2014 ha cominciato a trasmettere a tempo pieno sia in Albania che anche sul territorio italiano. Ed è proprio con quell’imprenditore, titolare dell’emittente televisiva, con il quale si è scontrato aspramente il primo ministro albanese. Vendetta che è stata scatenata perché la linea editoriale dell’emittente non era gradita al primo ministro albanese. Anzi, era molto critica con lui e con il suo operato. Ovviamente anche l’imprenditore italiano non era uno stinco di santo. Da indiscrezioni rese note a tempo debito, risulterebbe che, trovatosi in difficoltà con gli investimenti sulla centrale idroelettrica, cercava di avere degli accordi con il governo. E siccome i negoziati svolti non hanno dato gli attesi risultati, non per motivi di principio da parte delle autorità albanesi, allora è cominciato anche lo scontro tra le due parti contendenti. Uno scontro che con l’andare del tempo diventò sempre più agguerrito. Ovviamente l’imprenditore italiano e le sue imprese in Albania, soprattutto l’emittente televisiva, partivano in difesa. Invece, da parte del primo ministro albanese, tutto è stato trattato più come una vendetta che come uno scontro e un contenzioso amministrativo. In seguito, per camuffare la vera ragione, il primo ministro e i suoi più stretti collaboratori hanno coinvolto anche le istituzioni del sistema di giustizia, soprattutto la procura ed il tribunale, per colpire l’avversario, l’imprenditore italiano. Da quel momento il caso ha suscitato interesse pubblico e mediatico ed ha scatenato accuse reciproche. Un caso che è finito nelle aule dei tribunali in Albania e poi anche nel Regno Unito e negli Stati Uniti d’America.

    L’accanimento del primo ministro albanese, dei suoi più stretti collaboratori e dei media da loro controllati contro l’imprenditore italiano si scatenò ufficialmente nel giugno 2015, una settimana prima delle elezioni amministrative. Tutto cominciò l’8 giugno 2015 con l’accusa all’imprenditore, da parte della procura albanese, di “evasione fiscale, riciclaggio e falso in documentazione”. Poi proseguì con il sequestro della emittente televisiva, il cui segnale, dal 10 ottobre 2015, venne oscurato. La ‘scusa’ era il “mancato pagamento delle forniture di energia elettrica”. In seguito il 13 novembre 2015 venne oscurato il segnale della stessa emittente sul territorio italiano. Sono stati congelati i beni dell’imprenditore italiano e di sua madre, anche lei azionista dell’emittente televisiva. Il primo ministro albanese, nel giugno 2015, durante una trasmissione televisiva in prima serata, considerava l’imprenditore italiano e i suoi collaboratori come un “fenomeno scandaloso contro il quale abbiamo dichiarato guerra e che combatteremo fino alla fine”. E poi il governo da lui capeggiato avrebbe “fatto tremare le fondamenta del sistema giudiziario”! Nel frattempo l’imprenditore italiano si trovava nella capitale del Regno Unito. Ed era proprio a Londra dove è stato sottoposto ad un arresto eseguito dalla polizia inglese, in seguito ad un mandato di cattura internazionale emesso l’8 giugno 2015 dalla procura albanese. Mandato con il quale si chiedeva l’estradizione dell’imprenditore italiano in Albania per poi essere lì giudicato. Dopo l’avvio del processo giudiziario nel Regno Unito a carico dell’imprenditore italiano, nel luglio 2016 il tribunale londinese Westminster Magistrates Court (Tribunale dei magistrati di Westminster; n.d.a.) non ha accolto la richiesta della procura albanese per l’estradizione. Secondo il tribunale londinese le prove depositate dal governo albanese a carico dell’imprenditore italiano sono state considerate come “totalmente fuorvianti”. Dopo quella sentenza, il governo albanese aveva annunciato un ricorso in appello. Ricorso quello poi dopo ritirato. Chissà perché?! Forse perché le prove non erano veramente attendibili, bensì prefabbricate ad artem solo e soltanto per l’uso dalle istituzioni del sistema di giustizia albanese. L’imprenditore italiano, invece, aveva presentato nel frattempo una richiesta per l’avvio di un procedimento arbitrale contro lo Stato albanese presso l’ICSID (International Centre for Settlement of Investment Disputes – Centro internazionale per il regolamento delle controversie relative ad investimenti; che è un’istituzione della Banca mondiale con sede a Washington D.C.; n.d.a.). Ebbene l’ICSID ha dato ragione all’imprenditore italiano. In seguito anche l’Interpol ha ritirato il mandato d’arresto contro l’imprenditore italiano. Mentre nell’aprile 2019 l’ICSID ha condannato il governo albanese al pagamento all’imprenditore della somma di 110 milioni di euro in risarcimenti e spese. In seguito, contro quella decisione, il governo albanese ha presentato ricorso. Mentre il primo ministro albanese tuonava e giurava che l’imprenditore italiano non avrebbe ricevuto niente, nessun centesimo da parte dello Stato albanese. Lui si è scatenato contro tutti quelli che sostenevano il contrario. Anche sui media internazionali che citavano le decisioni del tribunale londinese Westminster Magistrates Court e dell’ ICSID. Anzi, secondo il primo ministro albanese, sarebbe stato proprio l’imprenditore italiano a dover pagare dei milioni. Una ben nota retorica che da tempo non convince più nessuno. Il 29 marzo scorso è arrivata la decisione definitiva dell’ICSID sul sopracitato ricorso del governo albanese. Ebbene, quel ricorso è stato di nuovo rigettato ed è stata rinnovata la condanna per il governo albanese a pagare all’imprenditore italiano i danni a lui causati. Danni che ammontano a circa 110 milioni di euro, più gli interessi bancari e delle ingenti spese per le procedure giudiziarie.

    Chi scrive queste righe è convinto che l’ingente somma da pagare dai poveri cittadini albanesi è il costo milionario del vizio di un primo ministro irresponsabile. Proprio di colui che adesso, dopo aver fallito con le sue ingannatrici retoriche, le sue promesse e le sue minacce, sta facendo un’altra proposta “originale”. Quella di far uscire l’Albania dall’ICSID, con tutte le gravi conseguenze. Ad oggi lo hanno fatto solo la Bolivia, il Venezuela e l’Ecuador. Paesi che sono noti per delle realtà preoccupanti nei rispettivi territori. Chi scrive queste righe, trova anche delle somiglianze tra il primo ministro albanese e i due compari della favola di Jean de La Fontaine. Ed egli è convinto, come Marcel Proust, che l’irresponsabilità aggrava le colpe e persino i crimini, checché se ne dica.

  • Consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media

    La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva,

    ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva.

    Albert Camus

    Era il 16 settembre 2022 quando la Commissione europea adottò un regolamento, un Atto per la libertà dei media europei (European Media Freedom Act). Un Atto “per proteggere il pluralismo e l’indipendenza dei media nell’Unione”. L’intenzione era, tra l’altro, quella della salvaguardia contro le ingerenze politiche nelle decisioni editoriali e, allo stesso tempo, di stabilire misure per proteggere l’indipendenza degli editori e rivelare i conflitti di interesse. Si tratta di un Atto con il quale si cerca di regolamentare l’indipendenza dei media di servizio pubblico, nonché la trasparenza sulla proprietà dei media e sull’allocazione della pubblicità. Si fa altresì sapere da documenti ufficiali resi pubblici che “…la legge per la libertà dei media stabilirà nuovi requisiti per la distribuzione della pubblicità statale ai media affinché la distribuzione sia trasparente e non discriminatoria”. La vicepresidente della commissione per i Valori e la Trasparenza, riferendosi al nuovo Atto ha dichiarato: Negli ultimi anni abbiamo assistito a varie forme di pressione sui media: è giunto il momento di agire. Dobbiamo stabilire principi chiari: nessun giornalista dovrebbe essere spiato a causa del suo lavoro e nessun mezzo di comunicazione pubblico dovrebbe diventare un mezzo di propaganda.”. Mentre il Commissario europeo per il Mercato interno, ha dichiarato che i media, tra l’altro, devono far fronte “…a minacce alla libertà e al pluralismo”.

    Durante la prima settimana dello scorso mese è stato reso pubblico il testo di una risoluzione del Parlamento europeo sull’Albania. Una risoluzione che deve essere discussa adesso in Parlamento, prima di essere definitivamente approvata. Una risoluzione che è molto critica e tratta diversi argomenti della realtà albanese durante l’anno 2022. Tratta con preoccupazione anche la continua violazione della libertà dei media. Nel testo della risoluzione si afferma che il Parlamento europeo “…esprime la sua preoccupazione per la mancanza del progresso al raggiungimento della trasparenza istituzionale e della libertà dei media”. In più si accentua “…il ruolo che hanno i dirigenti politici alla creazione di un ambiente che possa rendere possibile simili libertà”. Nel testo della risoluzione si evidenzia anche che il Parlamento europeo “…condanna gli sforzi per discreditare i giornalisti” per poi condizionare l’informazione pubblica. Si evidenzia anche “…il fallimento a garantire la sicurezza dei giornalisti”. Si afferma che l’Albania ha avuto “un mancato progresso” durante gli ultimi due anni per quanto riguarda la libertà dei media. Tutto ciò dovuto alle “…pressioni politiche contro i giornalisti, soprattutto da parte del governo, mentre il primo ministro ha assunto il ruolo del disciplinatore”. Nel testo della risoluzione si evidenziano anche “…i finanziamenti diretti dei media da parte di diverse agenzie governative, senza trasparenza”. In più si chiede al governo di “…garantire l’indipendenza dei media sulle trasmissioni pubbliche”, di regolamentare i media e di fare “…la trasparenza della proprietà, dei finanziamenti e della pubblicità pubblica dei media”. Bisogna sottolineare però che il testo di questa risoluzione è stato scritto dalla relatrice del Parlamento europeo per l’Albania, che è dello stesso schieramento politico di cui fa parte anche il partito socialista, capeggiato dal primo ministro albanese.

    Nella terza settimana del mese appena passato la violazione della libertà dei media in Albania è stata evidenziata anche dall’ultimo rapporto del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America. Si tratta di un rapporto molto critico che analizza ed evidenzia la corruzione a tutti i livelli delle istituzioni governative ed altre serie problematiche. Il rapporto tratta anche la preoccupante realtà in cui si trovano i media in Albania. Si evidenzia che purtroppo “…ci sono pochi media indipendenti, perché la maggior parte dei media sono di proprietà di noti imprenditori con molteplici interessi, i quali usano i media per far progredire [proprio] quegli interessi”. Il rapporto evidenzia, anche che ci sono prove credibili che “… alti rappresentanti dei media usano i media per ricattare le imprese, minacciandoli con dei rapporti negativi”. Tutto con il tacito, ma ben noto appoggio del governo e soprattutto del primo ministro. Si perché in Albania il primo ministro, colui che fa di tutto per controllare i media, ha degli ottimi rapporti di “collaborazione reciproca” con i proprietari dei media. E se qualcuno, per motivi puramente di interessi imprenditoriali in altri settori, quello delle infrastrutture per primo, cerca di “minacciare” e sgarra nelle politiche editoriali e della copertura mediatica delle attività del primo ministro, allora arriva subito la punizione del primo ministro onnipotente. Il nostro lettore è stato informato anche di queste punizioni (Inevitabili conseguenze dell’irresponsabilità di un autocrate; 6 dicembre 2022).

    La violazione della libertà dei media in Albania, non di rado, è stata trattata anche da noti giornali ed agenzie mediatiche internazionali. Critiche molto dure sono state fatte ufficialmente alcuni mesi fa anche dai rappresentanti della nota organizzazione Reporters Sans Frontières (Reporter senza frontiere; n.d.a.). Il 29 settembre 2022 il noto quotidiano tedesco di orientamento conservatore Die Welt (Il mondo; n.d.a.) ha dedicato un articolo alla preoccupante realtà albanese. Una realtà con molte gravi problematiche legate alla corruzione diffusa, al sistema “riformato” della giustizia e alla violazione della libertà dei media. L’autrice dell’articolo evidenzia, tra l’altro, che infatti “…la corruzione è una piaga per l’Albania che è molto difficile da far guarire. Il Paese si schiera alla 110a posizione tra i 180 dell’Indice della Percezione della Corruzione [attuato] da Transparency Internazional (Trasparenza internazionale; n.d.a.)”. E poi, basandosi su delle verifiche fatte da lei personalmente in Albania, l’autrice evidenzia che la corruzione “…non è presente soltanto negli alti livelli, ma anche nella vita quotidiana di ogni cittadino, dalla visita dal medico alla scelta della scuola elementare”. Sempre in base alle verifiche fatte personalmente sul posto dall’autrice dell’articolo, lei scrive “…l’Albania non è ancora in grado di esercitare un controllo giuridico, costituzionale e parlamentare sul governo”. Perciò il primo ministro ha “le mani libere” per fare quello che lui ha deciso. L’articolo tratta anche la violazione della libertà dei media in Albania. Riferendosi a quello che le ha conferito la rappresentante dell’Unione Europea in Albania, l’autrice scrive che “La concezione della stampa come un correttore ha bisogno di svilupparsi in Albania”, ribadendo che il Paese si schiera alla 103a posizione tra i complessivi 180, secondo la graduatoria pubblicata dai Reporters Sans Frontières. L’autrice dell’articolo scrive che i media, soprattutto quelli televisivi, “sono principalmente nelle mani di alcuni ricchi imprenditori e con dei legami politici”. Aggiungendo che il primo ministro “ha suscitato ultimamente scalpore dopo aver minacciato una giornalista con la ‘rieducazione’”, dopo alcune domande imbarazzanti per lui. In seguito il primo ministro ha escluso la giornalista dalle prossime conferenze stampa.

    Il 18 novembre 2022 sono venuti in Albania un gruppo di giornalisti che rappresentavano i Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e Reporters Sans Frontières. Hanno avuto un difficile incontro con il primo ministro albanese. In una conferenza stampa, dove era presente anche il primo ministro, i giornalisti hanno affermato, tra l’altro, che il primo ministro gli aveva mentito, riferendosi alla sopracitata “condanna” della giornalista con la “rieducazione”. In più i rappresentanti di Reporters Sans Frontières hanno accusato il primo ministro albanese di averli attaccato durante l’incontro che hanno avuto con lui prima della conferenza stampa, in presenza anche di altri rappresentanti istituzionali internazionali. Hanno, altresì, dichiarato però che nonostante quegli attacchi, loro non indietreggeranno. Uno dei rappresentanti di Reporters Sans Frontières ha dichiarato durante la conferenza stampa che l’Albania è l’ultima nei Balcani occidentali per quanto riguarda la libertà dei media, schierandosi solo prima della Turchia. E si sa qual è la realtà dei media in Turchia! In più lui ha dichiarato che il primo ministro albanese non è trasparente e che non possono essere tollerabili le conferenze stampa con delle domande accordate prima. Alcuni rappresentanti di Reporters Sans Frontières presenti all’incontro con il primo ministro hanno confermato, ad una fonte mediatica non controllata dal primo ministro, che durante l’incontro lui “…ha reagito male quando uno di noi ha detto che in Europa solo la Turchia che ha dei giornalisti incarcerati e media chiusi è peggio dell’Albania”. Loro hanno confermato che il primo ministro “…si è scontrato personalmente con gli interlocutori, a volte aggredendoli, a volte cercando di sedurre”. Loro hanno confermato che il primo ministro, durante quell’incontro “…aveva un comportamento tipico di un dirigente non democratico”. Mentre il segretario della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti ha chiesto al governo albanese di aumentare gli sforzi e di non trascurare i giornalisti. In più ha chiesto al governo di “riconoscere il ruolo dei giornalisti come critici nell’interesse  degli cittadini e di applicare le raccomandazioni della Commissione europea e del Consiglio d’Europa sulla sicurezza dei giornalisti”. Lui ha sottolineato: “…siamo stati qui [anche] tre anni fa ed abbiamo constatato il basso livello della libertà dei media. Adesso vediamo che la situazione non è migliorata e, anzi, siamo preoccupati perchè non abbiamo più a che fare con la cattura dei media, ma constatiamo la cattura dei giornalisti per servire gli stretti interessi privati. Ma in una democrazia i media servono per proteggere gli interessi del pubblico”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières hanno evidenziato tutto in un rapporto scritto e reso pubblico il 18 novembre 2022. Loro affermano che “…Per molte delle minacce contro il giornalismo indipendente in Albania, la causa continua ad essere la “cattura” delle parti importanti dell’ambiente mediatico da interessi imprenditoriali”. Riferendosi ai proprietari dei media nel rapporto si afferma che “…usano sistematicamente i loro asset mediatici per servire le loro agende private o politiche, invece che l’interesse pubblico”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières scrivono nel loro sopracitato rapporto, dopo l’incontro con il primo ministro albanese, che “…l’ingerenza diretta dei proprietari dei media sull’indipendenza editoriale è alta”. Secondo loro tutto ciò “…ha minato da tempo la fiducia del pubblico sull’integrità dei media ed ha portato ad una cronica autocensura nell’ambito della comunità dei giornalisti, nonché alla mancanza di un qualitativo rapporto investigativo”. I rappresentanti dei Partner della Piattaforma del Consiglio d’Europa per la Sicurezza dei giornalisti e di Reporters Sans Frontières, dopo l’incontro il 18 novembre scorso con il primo ministro albanese, non sono stati convinti da lui e dalle sue giustificazioni. Essi sono convinti però, riferendosi alla libertà dei media, che “la situazione in Albania sta peggiorando”. E questa conclusione la hanno dichiarata anche durante la sopracitata conferenza stampa con il primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe è convinto che in una dittatura gli spazi per i media indipendenti sono, se non inesistenti, veramente molto, ma molto, limitati. Egli, da anni ormai, è convinto che in Albania è stata restaurata e si sta sempre più consolidando una nuova e pericolosa dittatura. Il nostro lettore è stato molto spesso informato, sempre fatti alla mano, di una simile realtà. Ragion per cui c’era da aspettarsi anche la consapevole e pericolosa violazione della libertà dei media. Chi scrive queste righe condivide il pensiero di Albert Camus secondo il quale “La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva, ma è certo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva”.

  • Lunghe mediazioni europee e solo un accordo verbale

    L’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo.

    Robert Emil Lembke

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato sul vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, svoltosi a Tirana il 16 marzo scorso. Un vertice al quale hanno partecipato, oltre all’anfitrione, il primo ministro albanese, anche due alti rappresentanti della Commissione europea. I due illustri ospiti erano l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ed il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Dopo il vertice si è tenuta anche una conferenza congiunta con i giornalisti. Chi conosce la realtà albanese, nonché l’innata e viscerale abilità del primo ministro albanese di mentire e di ingannare, non poteva avere dubbi che lui avrebbe fatto di nuovo quello che sta facendo da anni in simili occasioni. E cioè che avrebbe di nuovo mentito ed ingannato spudoratamente, cercando di presentare per vera solo una immaginaria e virtuale realtà. Una realtà che niente ha a che fare con quella vera, vissuta e sofferta quotidianamente dalla maggior parte degli albanesi. Una realtà che, proprio perché è tale, da alcuni anni ha costretto, dati ufficiali alla mano, circa un terzo della popolazione residente in Albania a lasciare tutto e tutti e cercare una vita migliore in altri paesi europei ed oltreoceano. Ma purtroppo anche i due illustri ospiti europei, trascurando, loro sanno perché, la vera realtà albanese, hanno parlato di “successi” mai raggiunti, anzi! Una realtà, quella albanese, che da anni è stata descritta con dei dettagli anche dai rapporti ufficiali delle istituzioni internazionali specializzate, comprese alcune dell’Unione europea. Chissà perché i due alti rappresentanti della Commissione europea non erano stati informati del contenuto di quei rapporti dai loro collaboratori?! Riferendosi a quelle irreali dichiarazioni durante la congiunta conferenza con i giornalisti, dopo il sopracitato vertice del 16 marzo scorso, il nostro lettore è stato informato del fatto che “si è ripetuto però e purtroppo lo stesso scenario. Come in tante altre precedenti occasioni durante questi ultimi anni, anche giovedì scorso, nonostante la vera, vissuta, sofferta e scandalosa realtà albanese, gli illustri ospiti europei hanno parlato di “successi” (Sic!). Ma a quali “successi” si riferivano?”. Ed in seguito l’autore di queste righe faceva una lunga serie di domande, mettendo in evidenza l’eclatante contrasto tra la vera realtà e quella immaginaria e illusoria, dovuta ai tanti “successi” del primo ministro albanese e del suo governo. “Successi” ai quali si riferivano i due alti rappresentanti della Commissione europea (Ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei; 20 marzo 2023). “Successi” che non solo non hanno convinto nessuno ma, evidenziando proprio l’ipocrisia e l’irresponsabilità dei due alti rappresentanti della Commissione europea, hanno messo in repentaglio la serietà stessa delle istituzioni dell’Unione europea.

    Durante il vertice di Tirana del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, oltre alle sue solite bugie ed inganni verbali riguardo l’immaginaria e illusoria realtà albanese, il primo ministro ha fatto riferimento allo stato in cui si trova l’Albania nel suo percorso europeo. Ed anche in questo caso ha mentito. Ha prima espresso il suo riconoscimento ed ha ringraziato, per il loro continuo appoggio, i due alti rappresentanti della Commissione europea, i quali, in seguito, hanno parlato dei “successi” dovuti all’impegno del primo ministro e del suo governo. Poi, parlando anche lui di “successi e della fruttuosa ed apprezzabile collaborazione tra le parti”, il primo ministro albanese ha detto che era contento perché “…l’atmosfera di questo vertice è stata estremamente positiva”. Parlando del processo dell’adesione dell’Albania nell’Unione europea, lui ha detto che “…noi oggi siamo molto felici mentre constatiamo che le cose sono andate secondo le previsioni: non abbiamo avuto nessun ritardo e non abbiamo nessun problema”. Una bugia bella e pura, detta dal primo ministro come al suo solito, senza batter ciglio. Si, perché fatti accaduti, documentanti e pubblicamente noti alla mano, comprese anche le ripetute decisioni del Consiglio europeo di questi ultimi anni, il processo europeo dell’Albania ha avuto solo ritardi e rinvii ed è stato contrassegnato da tantissimi seri e preoccupanti problemi. Riferendosi alla collaborazione con la Commissione europea, il primo ministro, contento e fiero, ha confermato che “…. abbiamo un pieno accordo in tutto l’asse di questa collaborazione strategica”. E poi, sempre fiero e contento, lui ha aggiunto che finalmente “…l’Albania adesso non è più in coda del treno dell’integrazione [europea], bensì alla testa.” (Sic!). In seguito si è rivolto all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza che, da Tirana, doveva andare direttamente, l’indomani, nella Macedonia del Nord per assistere ai difficili negoziati tra la Serbia ed il Kosovo. “… Mi permetta di dire che noi guardiamo con ammirazione i suoi sforzi per la normalizzazione dei rapporti tra il Kosovo e la Serbia”, ha dichiarato riconoscente il primo ministro albanese. Proprio lui che è molto fiero e contento anche del ruolo dell’Albania nella regione dei Balcani. Un ruolo che “…viene valutato come un modello per l’aspetto della promozione della pace, del dialogo e della normalizzazione”. E sicuramente era una dichiarazione autoreferenziale e di autostima, suscitata dal suo subconscio, perché lui non perde mai occasione di apparire come uno dei veri promotori della pace, della collaborazione e della stabilità nella regione dei Balcani occidentali. Anche la vanità è una sua caratteristica innata e viscerale. Lui rivendica anche la paternità, insieme con il suo “caro amico”, il presidente serbo, dell’iniziativa Open Balkans. Un’iniziativa che contrasta un’altra iniziativa europea, sempre nella regione dei Balcani occidentali, quella che dal 2014 è nota come il Processo di Berlino. Un’iniziativa fortemente voluta ed appoggiata sia dalla Germania, quale promotore dell’iniziativa, sia dagli altri Stati membri dell’Unione europea e dalle sue istituzioni. E anche dai Paesi dei Balcani occidentali, alcuni dei quali, come la Serbia e l’Albania, magari formalmente. Mentre l’iniziativa Open Balkans è stata promossa e sostenuta soltanto da tre dei sei Paesi dei Balcani occidentali, e cioè dalla Serbia, dall’Albania e dalla Macedonia del Nord. Mentre il Montenegro, il Kosovo e Bosnia ed Erzegovina hanno contrastato l’iniziativa, ribadendo, convinti, che portava vantaggi soltanto alla Serbia. Il nostro lettore è stato informato diverse volte e a tempo debito anche dell’occulta e pericolosa iniziativa Open Balkans, del suo ideatore, un multimiliardario e speculatore di borsa da oltreoceano e di chi gli sta dietro, compreso il presidente serbo ed il primo ministro albanese  (Accordo ingannevole e pericoloso, 13 gennaio 2020; Bugie scandalose elevate a livello statale; 24 febbraio 2020; Preoccupanti avvisaglie dai Balcani, 8 novembre 202; Un’ingannevole ed occulta iniziativa regionale, 31 maggio 2022; Smascheramento in corso di un’accordo regionale occulto, 13 giugno 2022; Pericolose somiglianze espansionistiche, 26 agosto 2022 ecc…).

    Come prestabilito, l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, dopo il sopracitato vertice di Tirana l’indomani, il 17 marzo scorso, era già ad Ohrid, una nota città della Macedonia del Nord, in riva al omonimo lago. Una città dove, dopo il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso, era previsto lo svolgimento di un altro incontro, sempre con la mediazione degli alti rappresentanti dell’Unione europea, tra il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Un incontro nell’ambito di quello che, dal novembre 2022, è ormai noto come il piano franco-tedesco per la normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo. Ohrid è la città dove, il 13 agosto 2001, sono stati sottoscritti anche quelli che da allora vengono riconosciuti proprio come gli Accordi di Ohrid. Accordi che hanno messo fine ad un pericoloso conflitto armato, avviato all’inizio del 2001, tra le due etnie, quella macedone e quella albanese, parti integranti della popolazione macedone. Chissà perciò se la scelta di Ohrid è stata fatta anche come un buon auspicio per l’esito delle trattative, promosse dall’Unione europea, sulla normalizzazione delle relazioni tra la Serbia ed il Kosovo? Ma non sempre servono e funzionano i buoni auspici.

    Le trattative, si prevedeva, dovevano essere difficili. E così sono veramente state. La mattina del 18 marzo scorso ad Ohrid sono cominciati, all’inizio, gli incontri separati tra gli alti rappresentanti dell’Unione europea e i capi delle delegazioni della Serbia e del Kosovo. L’Unione europea era rappresentata dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza e dal rappresentante speciale dell’Unione europea per il dialogo tra la Serbia ed il Kosovo. In seguito agli incontri separati, si è svolto anche l’incontro comune, dove hanno partecipato i due alti rappresentanti dell’Unione europea, il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Si è trattato di un lungo incontro e, da quanto riferito in seguito, si è trattato soprattutto di trattative non facili che non hanno permesso di raggiungere gli obiettivi proposti dall’Unione europea. Obiettivi che si riferivano al piano franco-tedesco di undici punti, trattati senza un esito positivo anche durante il vertice di Bruxelles del 27 febbraio scorso. Purtroppo neanche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, dopo circa dodici ore di incontri separati e di lunghe e difficili trattative tra le parti, non si è ottenuto quello era stato prestabilito dall’Unione europea. Anzi, proprio l’Unione europea, tramite i due suoi alti rappresentanti, è stata costretta a cambiare gli obiettivi per mettere d’accordo il presidente della Serbia ed il primo ministro del Kosovo. Alla fine è stata raggiunta una faticosa intesa tra le parti. Un’intesa che metteva insieme il testo dell’accordo, elaborato in base a quanto è stato raggiunto a Bruxelles il 27 febbraio scorso e a quanto le parti si sono concordate durante le trattative ad Ohrid, con quello che è stato intitolato “L’allegato di attuazione” dell’accordo stesso. Ma come a Bruxelles il 27 febbraio scorso, anche ad Ohrid, il 18 marzo scorso, l’accordo non è stato di nuovo firmato! E sia a Bruxelles che ad Ohrid, il primo ministro del Kosovo ha affermato la sua disponibilità a firmare. Un rifiuto quello che ha messo di nuovo in difficoltà i mediatori europei e soprattutto l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza. Perché, dalle tante esperienze legali e di giurisprudenza, sia quelle dei singoli Paesi, sia di quelle internazionali, nonché dalle ben note norme della legislazione internazionale in vigore, si sa che sono soltanto gli accordi firmati che obbligano le parti firmatarie. Mentre quelli non firmati, come quello raggiunto soltanto verbalmente il 18 marzo scorso ad Ohrid, permettono di fare scelte diverse e prendere altre decisioni in futuro. E, guarda caso, sono proprio gli accordi tra la Serbia ed il Kosovo che, pur essendo firmati, non sono stati in seguito rispettati dalle parti per delle diverse “ragioni”. Dalle esperienze di questi ultimi anni risulta che sono tanti gli impegni presi con i precedenti accordi di Bruxelles nel 2013 e 2015, che in seguito sono stati disattesi dalle parti firmatarie, la Serbia ed il Kosovo. Perciò chissà cosa succederà con l’accordo non firmato di Ohrid?! Una prima avvisaglia è arrivata da Belgrado, solo un giorno dopo le lunghe e difficili trattative di Ohrid. Il presidente serbo ha dichiarato perentorio: “Lo dico anche oggi, che nessuno può imporre un obbligo legale alla Serbia”. Aggiungendo, riferendosi all’accordo non firmato e al suo Allegato di attuazione, che “…Ci sono cose che non possiamo fare e che non sono [neanche] realistiche”. Rimane da seguire gli sviluppi successivi, ma niente fa pensare in positivo.

    Chi scrive queste righe pensa che l’accordo non firmato di Ohrid, raggiunto dopo le lunghe e difficili mediazioni europee, soprattutto dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, purtroppo non sarà rispettato. Non ha caso è stata rifiutata la firma finale. E si sa, come affermava il giornalista tedesco Robert Emil Lembke, che “l’accordo di principio è la più cortese forma di disaccordo”. E l’accordo non firmato non obbliga chi è malintenzionato.

  • Ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei

    L’ipocrisia è un vizio alla moda, e tutti i vizi alla moda passano per virtù.
    Molière, da “Don Giovanni o Il convitato di pietra”

    Giovedì scorso, 16 marzo, a Tirana si è tenuto un altro vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania. Dopo il vertice è stata prevista e si è svolta anche una conferenza congiunta con i giornalisti del primo ministro albanese e delle due massime autorità della Commissione europea: l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ed il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Si è ripetuto però e purtroppo lo stesso scenario. Come in tante altre precedenti occasioni durante questi ultimi anni, anche giovedì scorso, nonostante la vera, vissuta, sofferta e scandalosa realtà albanese, gli illustri ospiti europei hanno parlato di “successi” (Sic!). Ma a quali “successi” si riferivano? Forse a quelli attuati dalla criminalità organizzata, in stretta connivenza con il potere politico e con il primo ministro? O forse dei “successi” conseguiti dai rappresentanti istituzionali di tutta la gerarchia dell’amministrazione pubblica, centrale e locale, che hanno fatto della corruzione il loro principale obiettivo da raggiungere? Si riferivano, chissà, ai “successi” dei massimi rappresentanti politici, primo ministro in testa, che sono convinti e hanno da tempo dimostrato che l’abuso del potere a loro conferito, oltre ad essere un diritto, è anche un dovere da “onorare”? I due massimi rappresentanti della Commissione europea si riferivano anche ai “successi” raggiunti dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizia che niente hanno fatto e stanno facendo per far rispettare le leggi. Istituzioni che, fatti accaduti e che stanno tuttora accadendo, fatti documentati e testimoniati, fatti pubblicamente denunciati alla mano, sono sotto il controllo personale del primo ministro e/o di chi per lui. O forse avevano in mente i continui “successi” dell’economia del Paese, grazie ai quali la povertà sta diventando sempre più diffusa e sta colpendo sempre più cittadini? “Successi” che sono talmente tanti ed eclatanti che, da anni, stanno costringendo gli albanesi a scappare e chiedere asilo altrove, in altri paesi dell’Europa. E nonostante quei “successi eclatanti”, chissà perché, solo in questi ultimi anni hanno lasciato il Paese circa un terzo di tutta la popolazione residente in Albania?! Un simile spopolamento non si è verificato in nessun altro paese da dove partono dei profughi: paesi che da anni sono afflitti da guerre e da conflitti armati tra varie fazioni. Oppure, giovedì scorso, 16 marzo, i due massimi rappresentanti della Commissione europea, elogiando l’operato del primo ministro e del governo albanese, si riferivano ai “successi” dei massimi rappresentanti istituzionali, governativi e locali, che in questi ultimi anni hanno fatto dell’Albania un “porto franco” dove si riciclano dei miliardi del mondo della criminalità e dei raggruppamenti occulti locali ed internazionali e altri miliardi, prodotti dalla diffusa corruzione? Basta riferirsi però ai rapporti ufficiali del Moneyval (Comitato di Esperti per la valutazione delle misure anti riciclaggio e il finanziamento del terrorismo, struttura del Consiglio d’Europa; n.d.a.). oppure ai rapporti ufficiali di un’altra struttura specializzata, il FATF (Financial Action Task Force on Money Laundering, nota anche come il Gruppo di Azione Finanziaria (GAFI); specializzato  nella lotta al riciclaggio dei capitali di origine illecita e nella prevenzione del finanziamento al terrorismo; n.d.a.). Ebbene da alcuni anni l’Albania è uno dei Paesi osservati continuamente per il riciclaggio del denaro sporco. O forse i due massimi rappresentanti della Commissione europea avevano in mente i “successi” ottenuti dal primo ministro e dai suoi “consiglieri informali privati” a corrompere alti funzionari delle istituzioni, sia oltreoceano che delle istituzioni dell’Unione europea? Uno scandalo tuttora in corso negli Stati Uniti d’America, sul quale stanno indagando due procure e due commissioni parlamentari, vede proprio coinvolto anche il primo ministro albanese. Il nostro lettore è stato informato nelle precedenti settimane di questo scandalo (Collaborazioni occulte, accuse pesanti e attese conseguenze, 30 gennaio 2023; Un regime corrotto e che corrompe, 13 febbraio 2023; Angosce di un autocrate corrotto e che corrompe, 20 febbraio 2023; Un autocrate corrotto e che corrompe, ormai in preda al panico, 27 febbraio 2023 ecc…). Oppure i due alti rappresentanti della Commissione europea, quando parlavano di “successi”, si riferivano ai “successi” del primo ministro e/o di chi per lui a “convincere” i rappresentanti internazionali in Albania e soprattutto quei diplomatici statunitensi e dell’Unione europea della serietà e del massimo impegno del governo? Rappresentanti che, a loro volta, chissà perché, violano anche quanto previsto dalla Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, una realtà quella, ormai nota da anni per il nostro lettore.

    Giovedì scorso, dopo il vertice del Consiglio di Stabilizzazione ed Associazione tra l’Unione europea e l’Albania, il primo ministro albanese, durante la congiunta conferenza con i giornalisti ha detto senza batter ciglio: “…noi siamo molto felici oggi mentre constatiamo che le cose sono andate come previsto […] e possiamo riconstatare l’andamento [positivo] della riforma di giustizia”. Affermando, sempre senza batter ciglio, perché è abituato a mentire, che: “La riforma di giustizia ha cominciato a dare dei frutti significativi” (Sic!). Per poi aggiungere, sempre riferendosi alla riforma di giustizia e sempre senza batter ciglio: “…sono fiero che l’Albania è l’unico Paese in tutta la regione che ha fatto questo passo. Ѐ l’unico paese che ha fatto questa riforma…”. L’unica frase dove ha detto una parte della verità. Perché la vera ed intera verità è che sono state proprio le istituzioni specializzate dell’Unione europea a sconsigliare fermamente altri Paesi balcanici, Macedonia del Nord compresa, a non intraprendere e attuare una riforma del sistema di giustizia come quella attuata in Albania! Una riforma che è stata ideata, programmata ed attuata in modo tale da garantire il controllo di tutte le istituzioni del sistema direttamente dal primo ministro. Ed è proprio quello che è successo in Albania. La saggezza popolare ci insegna che la lingua batte dove il dente duole. Mentre gli psicologi ci insegnano che il subconscio svela proprio ciò che si vuole nascondere. Si, perché il primo ministro albanese vuole proprio nascondere quello che ormai è pubblicamente noto non solo in Albania. E cioè il voluto ed ottenuto fallimento della riforma del sistema di giustizia.

    Durante la stessa conferenza con i giornalisti l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza, allo stesso tempo vicepresidente della Commissione europea, ha detto all’inizio del suo intervento: “Sono veramente felice di essere qui in Albania”. Poi, riferendosi al processo di integrazione europea dell’Albania, ha affermato: “…Noi vediamo e diamo il nostro benvenuto al chiaro orientamento strategico dell’Albania verso l’Unione europea”. Nel seguito del suo intervento davanti ai giornalisti l’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha detto: “Voglio ammettere e valutare chiaramente che questo Paese (Albania; n.d.a.) ha dimostrato un poderoso impegno nell’ambito delle riforme necessarie ed ha raggiunto risultati importanti, soprattutto nel campo della giustizia. L’Albania ha applicato una riforma radicale di giustizia che ha fatto passi in avanti in maniera sostenibile”. Poi, riferendosi alla presa di posizione dell’Albania in difesa dell’ordine basandosi al regolamento internazionale e alla Carta delle Nazioni Unite, ha dichiarato che quel posizionamento “…ha dimostrato chiaramente la qualità dell’Albania come un partner affidabile per la sicurezza”. Si, proprio così. Mentre sempre più spesso e senza ambiguità l’Albania viene considerato dai rapporti ufficiali delle più note istituzioni specializzate internazionali, comprese quelle dell’Unione europea, come un Paese che è diventato centro del traffico e dello smistamento delle droghe che arrivano sia dall’America Latina che dai paesi orientali. Dagli stessi rapporti l’Albania risulta essere un Paese dove la criminalità organizzata collabora con il potere politico. Ma risulta altresì che la criminalità organizzata albanese ormai sta diventando molto attiva e pericolosa anche in molti altri Paesi europei ed in America Latina. Alla fine del suo intervento davanti ai giornalisti, durante la sopracitata conferenza stampa, l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha dichiarato che era una cosa buona di sapere che “…possiamo appoggiarsi ai nostri partner, soprattutto a quelli dei Paesi candidati (all’adesione nell’Unione europea; n.d.a.) come l’Albania.”. Si tratta di paesi come l’Albania, con i quali l’Unione europea condivide “…a 100% un posizionamento comune nel campo della politica degli esteri, che è un chiaro segnale della vostra volontà europea”. Chissà che informazioni gli hanno preparato i suoi collaboratori all’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza prima di venire in Albania il 16 marzo scorso? Ma una cosa è certa; dalle sue dichiarazioni risulta che lui ha fatto riferimento non alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, bensì ad una realtà virtuale, molto simile a quella che presenta sempre il primo ministro albanese e la sua potente propaganda governativa. Chissà perché?!

    Durante la stessa conferenza stampa con i giornalisti è intervenuto anche il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato. Lui ha cominciato dicendo: “Sembra che Tirana è un posto come si deve. Tirana è un posto come si deve per far venire gli europei.”. Ed era certo, dopo aver sentito il primo ministro albanese, che “…per l’Albania è proprio l’Europa la sua priorità geopolitica.”. Poi convinto il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato ha affermato, riferendosi all’Albania, che “abbiamo naturalmente visto quello che abbiamo raggiunto, quello che abbiamo raggiunto l’anno scorso. E l’anno scorso è stato un anno con tanti successi per l’Albania.”! Si, proprio così. E poi ha aggiunto impressionato: “quello che vediamo è che il progresso generale nel paese è ottimo”. E anche lui ha fatto riferimento alla riforma di giustizia. Ma nonostante tutti, non solo in Albania, si stiano convincendo sempre più, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, che si tratta di un ideato, voluto ed attuato fallimento, lui, il Commissario europeo per l’Allargamento e la Politica di Vicinato ha detto: “La riforma di giustizia sta dando dei risultati come lo vediamo […] ed incoraggiamo che l’Albania continui in questa direzione”. E rispondendo ad un giornalista, ha detto che in Albania ormai “…ogni cosa è al posto giusto.” (Sic!).

    Lo stesso giorno, il 16 marzo scorso, solo poche ore dopo la sopracitata conferenza stampa, durante un’altra conferenza stampa, i rappresentanti della Commissione per le rivendicazioni e le sanzioni presso la Commissione Centrale Elettorale hanno negato al maggior partito dell’opposizione di presentarsi come tale alle elezioni amministrative previste per il 14 maggio prossimo. Una decisione in palese violazione della Costituzione albanese e delle leggi in vigore. Un altro passo però “nella giusta direzione”, quella tanto voluta dal primo ministro albanese.

    Chi scrive queste righe pensa che cosa avrebbero detto i Padri Fondatori dell’Unione europea di tanta ipocrisia e irresponsabilità di alcuni rappresentanti europei, come quelli “illustri ospiti” che erano a Tirana il 16 marzo scorso. Di certo però i Padri Fondatori rispettavano i veri valori morali dell’umanità. Essi non avrebbero mai e poi mai pensato di basare la fondazione dell’Europa unita sull’ipocrisia e l’irresponsabilità dei suoi rappresentanti istituzionali e sulla “vendita d’anima” in cambio a chissà quali benefici. Purtroppo, anche adesso, dopo più di tre secoli, dobbiamo dare ragione a Molière, il quale era convinto che l’ipocrisia è un vizio alla moda e tutti i vizi alla moda passano per virtù. Come cercano di fare anche certi rappresentanti dell’Unione europea.

  • Un regime che si sforza di ingannare con le apparenze

    La barba non fa il filosofo.

    Plutarco

    Barba non facit philosophum, ossia la barba non fa il filosofo. Ne era convinto Plutarco e lo aveva scritto in uno dei suoi trattati, parte integrante della raccolta intitolata Moralia (Opere morali; n.d.a.). Con quel detto il noto filosofo dell’antichità intendeva evidenziare quello che la saggezza popolare ha riassunto in tanti proverbi che mettono in guardia a non fidarsi alle apparenze. Sì, perché la saggezza umana, basata su secolari esperienze di vita vissuta e sofferta ci insegna ad essere molto attenti alle apparenze. “Sulle apparenze non formar giudizi, perché fallaci son gli esterni indizi”. Così recita uno dei proverbi. E su quel prezioso e sempre valido insegnamento della saggezza umana hanno scritto in molti, tra scrittori e filosofi, compreso anche Carlo Collodi.

    Tra le tante bellissime fiabe scritte da Carlo Collodi c’è anche “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati e senza amor proprio”. Una fiaba che ci racconta di Tommaso, ma che tutti chiamavano Masino. Come ci racconta Collodi “Masino aveva tutti i difetti che può avere un giovinetto della sua età, fra gli undici e i dodici anni”. Si, perché Masino era, tra l’altro, “disubbidiente, goloso, pigro, dormiglione, nemico dell’acqua per lavarsi le mani e il viso”. Ma era anche “spacciatore di bugie all’ingrosso e al minuto, ciarliero, impertinente, rispondiero e avversario implacabile dei libri e della scuola”. Ragion per cui, come ci afferma Collodi, “…la mamma lo sgridava: il babbo lo rimproverava: il maestro lo puniva, i compagni di scuola lo canzonavano della sua buaggine”. Ma Masino era ormai abituato, non si preoccupava più di tanto e diceva fra se e se: “Quando avranno detto ben bene, si cheteranno!”. E così si rimetteva l’animo in pace. Ma un giorno Masino, come ci racconta Collodi, “si ficcò in testa di essere perseguitato ingiustamente”. E ne era convinto che “La colpa, dunque, non è mia. La colpa è della mamma, la quale non si cheta mai; la colpa è del babbo, che urla sempre… la colpa è del maestro, che ha bisogno di farmi scomparire tutti i giorni dinanzi a’ miei compagni di scuola”. Da quel giorno Masino cominciò a pensare alle tantissime ingiustizie che doveva sopportare. E come lui anche tanti altri ragazzi come lui. Perciò un giorno a Masino venne naturale la domanda: “Se mi facessi il difensore dei ragazzi come me?”. Prima pensò di scrivere un libro, una commedia “per dare una buona lezione ai babbi e alle mamme, e per correggere questi signori maestri, che sono peggio di tutti”. Ma poi, pensando alla commedia che poteva scrivere, gli venne il dubbio: “E se per disgrazia me la fischiano?”. No, doveva scegliere qualcosa di meglio. E allora pensò se “non sarebbe più liscia se scrivessi invece un bel raccontino, da mettersi sui giornali?”. Pensato, fatto. Il racconto lo intitolò “Un Ragazzino Modello, ossia una buona lezione per i genitori e per i maestri di scuola”. Il racconto cominciava così: “Masino era il più buon figliolo di questo mondo. Il suo babbo e la sua mamma lo sgridavano sempre, e lui li lasciava sgridare: il suo maestro, per cavarsi il gusto di punirlo, gli levava la colazione, e lui per prudenza faceva colazione prima di andare a scuola. Ma venne finalmente un giorno in cui i suoi genitori e il suo maestro si accorsero d’avere un gran torto a fargli sempre de’ rimproveri, e allora le cose andarono di bene in meglio”. E da quel giorno, come ci racconta Collodi, le cose andarono sempre meglio per Masino. La mamma non solo non lo sgridava, ma gli dava sempre ragione. Lei addirittura consigliava a Masino, quando lui non voleva andare a scuola, che “Per andare a scuola c’è sempre tempo […]. Non studiar tanto, perché a studiare c’è sempre tempo!”. Anche il babbo gli dava sempre ragione. Non solo ma era anche pronto a raccontare ai carabinieri delle punizioni che il maestro costringeva Masino a subire. Il babbo era pronto ad andare e dire al maestro che “…i maestri possono pretendere che i loro scolari sappiano la lezione… ma obbligarli a studiare, no, no, mille volte no!”. E come ci racconta Collodi “…il babbo andò davvero a trovare il maestro, e gli fece una bella lavata di capo, da ricordarsene per un pezzo”. Dopodiché il maestro capì di aver sbagliato e si pentì. E quando Masino andò poi l’indomani a scuola, Collodi ci assicura che il maestro, tenendo il berretto in mano, disse: “Scusa, sai, Masino, se l’altro giorno ti messi in penitenza. Fu uno sbaglio, perdonami: tutti si può sbagliare in questo mondo. Che cosa avevi fatto, povero figliuolo, da meritarti quel castigo? Non avevi imparato la lezione… Ma è forse questa una mancanza? Che forse gli scolari hanno l’obbligo di saper la lezione?”. E leggendo la fiaba possiamo sapere che finalmente “Agli esami della fin dell’anno, il bravo Masino si fece moltissimo onore, e il suo babbo e la sua mamma gli regalarono venti pasticcini e un panforte di Siena”. Quello aveva scritto Masino. Una volta scritto il Racconto, come ci conferma Carlo Collodi, l’autore della fiaba, Masino offrì il testo a “parecchi giornali, ma nessuno volle accettarlo. I più benigni si contentarono di ridergli in faccia”. Allora Masino, si consolò dicendo: “Peccato che nessuno abbia voluto pubblicarmi questo Racconto! Che bella lezione sarebbe stata per i genitori brontoloni e per i maestri tiranni! …. Ma ormai ci vuole pazienza! E i ragazzi, con la scusa di farli studiare, si troveranno sempre perseguitati!….”. Con queste frasi termina il Racconto di Masino che voleva apparire completamente diverso da quello che in realtà era. E, in più, voleva convincere anche tutti gli altri che era proprio come il Masino del Racconto da lui scritto e non quello che conoscevano e sgridavano sempre la mamma, il babbo ed il maestro. Così finisce questa fiaba. E come da tutte le fiabe, c’è sempre tanto da imparare e da tenere bene in testa. Perché potrebbero essere anche nella vita vissuta tante situazioni simili a quelle descritte nelle fiabe. Compresa “L’avvocatino difensore dei ragazzi svogliati …” di Carlo Collodi.

    Quanto sta accadendo in queste ultime settimane in Albania, potrebbe servire come soggetto non di una fiaba, ma bensì di un dramma, se non, addirittura, di una tragedia. Ma comunque ha qualcosa in comune anche con la sopracitata fiaba di Carlo Collodi. E la cosa in comune riguarda proprio la disperata tentazione di apparire all’opposto di quello che realmente si è. Da tempo lo sta facendo il primo ministro albanese, che cerca di apparire come un personaggio “interessante, originale e fuori dal comune”. Cercando anche, costi quel che costi, di convincere gli altri di una simile apparenza e soprattutto che lui è una persona perbene. Nonostante la realtà quotidiana, quella vissuta e sofferta, testimonia proprio il contrario. Il nostro lettore è stato da anni informato con tutta la dovuta oggettività, dati e fatti accaduti, documentati e pubblicamente denunciati alla mano, dei continui abusi di potere, dei tantissimi e sovrapposti scandali di corruzione e di malgoverno che coinvolgerebbero direttamente e/o indirettamente proprio lui, il primo ministro albanese.

    Ma quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini che ci sono anche molte altre persone, rappresentanti politici ed istituzionali di altissimo livello, che cercano di apparire proprio per quelli che non sono. Come aveva tentato di fare Masino, nella sopracitata fiaba di Carlo Collodi. Ma, facendo riferimento soltanto a quello che è accaduto dall’inizio di questo mese di marzo in poi in Albania, non ci sono dubbi che ci siano anche altre persone che cercano di ingannare con le apparenze e di generare danni e gravissime conseguenze con le loro prese di posizione e le loro decisioni. E che, nascoste dietro quelle fasulle apparenze, agiscono per quello che realmente sono, recando ulteriori danni. Ma facendo riferimento a quanto è successo dall’inizio di questo mese risulterebbe che ci siano anche dei giudici, che con i veri giudici non hanno niente in comune, i quali, purtroppo, con le loro “decisioni” in palese violazione della Costituzione del Paese e delle leggi in vigore, stanno contribuendo, nolens, volens ad annientare il pluripartitismo ed a consolidare la nuova dittatura in Albania. Basta riferirsi alla decisione presa il 3 marzo scorso da tre giudici della la Corte d’Appello della Giurisprudenza generale di Tirana, in base alla quale è stata negata al maggior partito dell’opposizione di registrarsi per partecipare alle elezioni amministrative del 14 maggio prossimo. Il nostro lettore è stato informato di quella decisione la scorsa settimana (Un regime corrotto e che corrompe, adesso anche smascherato; 6 marzo 2023).

    Quanto è accaduto e sta accadendo anche in queste ultime settimane in Albania dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che il nuovo e “riformato” sistema di giustizia ormai è controllato direttamente e personalmente dal primo ministro e/o da chi per lui. Il che significa la violazione del principio della separazione dei poteri, definito da Montesquieu già dal 1748 e che rappresenta un fondamentale criterio per giudicare e valutare se un sistema politico sia democratico, oppure un regime autoritario, una dittatura. Tutto l’operato delle istituzioni del nuovo e “riformato” sistema di giustizia in Albania dimostra e testimonia inconfutabilmente la ben ideata, programmata ed in seguito attuata sottomissione del sistema alle volontà del primo ministro. Il che significa anche il voluto fallimento dei “buoni propositi” con i quali hanno cercato, alcuni anni fa, di convincere tutti sulla “bontà e validità” della riforma del sistema di giustizia in Albania. E si sa che l’ideatore di questa riforma è stata una Fondazione per la Società aperta che fa capo ad un multimiliardario e speculatore di borsa di oltreoceano. I rappresentanti di quella Fondazione ne hanno dichiarato con vanto la loro paternità, riferendosi alla riforma del sistema di giustizia in Albania. Ma non hanno mai ammesso il suo fallimento. E così facendo loro hanno cercato di apparire per quelli che non sono e di convincere anche gli altri e farli credere a quella ingannatrice apparenza. Anche di questa allarmante e preoccupante realtà il nostro lettore è stato da anni e spesso informato.

    Quanto è accaduto e sta accadendo, sia prima che in queste ultime settimane in Albania, dimostra senza mezzi termini, sempre dati e fatti documentati e pubblicamente denunciati alla mano, che alcuni miseri individui, ubbidendo alle “direttive” pervenute dagli uffici governativi, fanno di tutto per apparire come i veri rappresentanti politici del maggior partito dell’opposizione. E così facendo diventano sempre più ridicoli ed incredibili. Ma il danno lo stanno recando e come. Chissà perché e per quale profitto?! Si tratta di alcuni individui i quali pretendono di rappresentare il maggior partito dell’opposizione, ma che invece riescono a malapena rappresentare se stessi. Anche perché il loro “capo”, nonostante avesse rassegnato le dimissioni come dirigente del partito il 21 marzo 2022, cioè un anno fa, risulta essere ancora in funzione per il tribunale di Tirana. Chissà perché?! Si sa però che lui, per anni, è stato la “stampella” del primo ministro e come tale sta miseramente servendo anche adesso. Di questi miseri e ridicoli “dirigenti politici” il nostro lettore è stato informato spesso e a tempo debito. Così come è stato informato, altresì, del comportamento di certi “rappresentanti internazionali” in servizio in Albania, nonché di alcuni loro superiori, sia oltreoceano che nelle istituzioni dell’Unione europea. E tutti hanno una cosa in comune; sono degli ipocriti, che predicano bene ma razzolano male, cercando di nascondersi dietro delle ingannatrici apparenze. E così facendo hanno, purtroppo, sostenuto un autocrate, un dittatore che collabora con la criminalità organizzata e determinati raggruppamenti occulti locali ed internazionali.

    Chi scrive queste righe è convinto e lo ripete spesso che quello restaurato in Albania in questi ultimi anni è un regime che, tra l’altro, si sforza di ingannare con le apparenze. Lo ha fatto sempre ma soprattutto lo sta facendo adesso,che si trova in vistose difficoltà dovute ai tantissimi scandali che si susseguono e che si sovrappongono. Chi scrive queste righe ha riletto con piacere la fiaba “L’avvocatino difensore…” di Carlo Collodi. Anche perché è convinto che la barba non fa il filosofo. E che le apparenze non possono ingannare a lungo neanche in Albania.

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