Avvocati

  • Toghe&Teglie: cima alla genovese

    Il clima è decisamente migliorato, cari lettori, e ci si può dedicare ad una cucina più “primaverile”: sono Marisa Viacava, avvocato della sezione ligure di Toghe & Teglie e sono stata onorata di rappresentare il gruppo con una ricetta molto classica del territorio. Badate bene, questa è la ricetta di casa mia – quindi, in un certo modo, originale – ma si può dire che per la cima alla genovese, tipicamente pasquale, c’è una appetitosa variante per ogni famiglia dal confine con la Francia al promontorio delle Cinque Terre.

    Per una cima delle dimensioni della foto (regolatevi un po’ con le misure approssimative degli attrezzi di contorno ma, come sempre, qui si va a “spanne, appetito, commensali e sentimento”) fatevi preparare dal macellaio una “tasca” di fesa di vitello ben battuta e cucita su tre lati.

    Per il ripieno, che è la parte più interessante e variabile del piatto, procuratevi e mescolate una carota tagliata a cubetti e 100 grammi di piselli che avrete preventivamente scottati in acqua bollente, due o tre uova sode (anche di più a seconda della dimensione della “tasca”), 200 grammi di parmigiano grattugiato, 400 grammi di carne trita anch’essa di vitello, 50 grammi di pinoli che noi liguri difficilmente facciamo mancare, sale e noce moscata q.b., un po’ di maggiorana tritata. E’ necessario fare attenzione che il ripieno non sia eccessivo per evitare che scoppi durante la cottura, regolatevi anche in questo senso.

    Ora che avete pronto il ripieno, amalgamatelo, inserite le uova rassodate e farcite la cima, cucite il quarto lato e mettetela a cottura in acqua bollente con sedano, carota e cipolla per due ore buone a fuoco medio e se vedete che si gonfia eccessivamente punzecchiate con un ago per far fuoriuscire aria. Non è finita, non è ancora il momento di andare a tavola! La preparazione è abbastanza veloce ma la degustazione deve attendere.

    Una volta cotta, infatti, fate raffreddare e poi mettetela almeno dodici ore – una notte intera va bene – sotto un peso perché si serve fredda, tagliata a fette come un salume ed accompagnata da insalata mista, verdure a scelta, ed è ottima con salsa verde.

    Buona cucina a tutti, a presto!

  • In attesa di Giustizia: alterum non laedere

    “Diciamo che le cose che vi dobbiamo chiedere le sappiamo già…vogliamo vedere che risposte ci date: se quello che voi ci dite non converge ve ne andate dritti in galera”, “Tua moglie lo sa cosa hai fatto? Tu, mo’ ti puoi alzare, te ne vai, e poi ci rivediamo tra un mesetto però in una diversa posizione: tu dietro le sbarre”, “Noi le vogliamo bene, ha visto che città stupenda è Trani? E noi vogliamo farla tornare però in galera e dal carcere c’è una vista spettacolare sul mare”.

    Questo intercalare, definito nell’accusa “con modalità intimidatorie, minacciose, irridenti ed irrispettose”, è quello con cui due schietti gentiluomini, i Pubblici Ministeri di Trani, Michele Ruggero ed Alessandro Pesce, interrogavano i testimoni, in particolare tre dirigenti di azienda approfittando del fatto che quali persone informate sui fatti non erano assistite da un avvocato come gli indagati: il tutto nell’ambito di un’indagine relativa a presunti appalti truccati e questi fatti risalgono al 2015. Ci sono voluti nove anni tra giudizio penale per violenza privata (condannati) e disciplinare per arrivare ad una sanzione definitiva sebbene le intimidazioni, di cui abbiamo dato un saggio molto riassuntivo, fossero addirittura scolpite nei verbali di interrogatorio.

    Parliamone: sei mesi di reclusione per il primo, quattro per il secondo e con la condizionale per entrambi; la sentenza disciplinare, invece, ha previsto due anni di sospensione per Ruggero e nove mesi per Pesce…nel frattempo sono solo stati trasferiti a Bari ed hanno continuato a svolgere le loro funzioni incassando ogni mese e senza ritardo il meritato stipendio. Al termine della sospensione, che sta per iniziare, saranno ulteriormente trasferiti uno a Torino e l’altro a Milano a fare, però, i giudici civili e riprenderanno a macinare promozioni con il semplice passare degli anni e con esse aumenti salariali.

    “Alterum non laedere”  è uno dei principi fondanti del diritto romano che sembra essere stato dimenticato proprio dai rappresentanti della legge e se è vero che l’Ordine Giudiziario non è costituito interamente da campioni come questi (o altri di cui questa rubrica ha narrato le gesta) e neppure da simpatici burloni come il Marchese di Popogna, la cui nobile figura è stata tratteggiata nel numero della settimana scorsa, un minimo comune denominatore caratterizza queste decine di casi che hanno provocato danni, a volte irreparabili, ai cittadini e di immagine al sistema giustizia: la lunghezza dei giudizi, con la quale vengono accompagnati verso sanzioni miti rispetto alle malefatte o ad una confortevole pensione quando il giudizio disciplinare non si conclude per “raggiunto limite di età” facendo salve liquidazioni da centinaia di migliaia di euro (ultimo stipendio, intorno ai 9000 abbondanti al mese, moltiplicato per almeno quarant’anni di servizio) e trattamento di quiescenza misurato sempre sull’ultima retribuzione.

    Allo sventurato Giudice Andrea Paladino, un galantuomo che ha subito una via crucis giudiziaria prima di essere assolto da accuse infamanti di corruzione (anche di lui e della sua vicenda umana si trovano tracce su questo settimanale), viceversa è stata avviata un’azione disciplinare che sta per concludersi ed è stata chiesta la radiazione. Radiato per non aver commesso il fatto: cosa ci sarà dietro questo scempio richiesto dal Procuratore Generale della Cassazione? Forse la non appartenenza ad una corrente della magistratura oppure ad una minoritaria? O, semplicemente, la condanna viene chiesta per non aver compreso il fatto? Mistero.

    A volte, invece, tutto fila via velocissimo come nel caso di Luca Palamara, destituito prima ancora che si concludesse l’indagine penale e dopo avergli mutilato la lista dei testimoni a difesa nel disciplinare mentre nel processo a Perugia una modifica delle imputazioni dell’ultimo momento ha consentito di patteggiare: cioè a dire, un altro giudizio evitando di ascoltare testimoni e – soprattutto – senza dare la parola a lui che nel frattempo aveva mandato clamorosi segnali di allerta pubblicando con Alessandro Sallusti due libri andati a ruba, trecentomila copie vendute solo del primo, nei quali scoperchiava il vaso di Pandora della magistratura…ma non del tutto, un po’ per volta fino ad essere zittito almeno nelle sedi in cui doveva rispondere da incolpato.

    Perché al clamore iniziale suscitato dall’affaire Palamara è seguita la consegna del silenzio? Una lettura postuma degli atti rivela una genesi quantomeno oscura di queste investigazioni e dei suoi sviluppi; e di chi era quella manina che ha guidato lo spegnimento del captatore informatico inserito proprio nel cellulare di Palamara e proprio in occasione di alcune conversazioni molto critiche? Un captatore informatico (o trojan che dir si voglia) inoculato nel telefono di Palamara in assenza dei presupposti di legge, così come era impalpabile l’accusa originaria di corruzione rivoltagli sulla cui debolissima struttura sono state inizialmente richieste le intercettazioni tradizionali. Sarà interessante ritornare su questi argomenti.

    Sembra di essere al cospetto di un generale regolamento di conti ed a pensar male si fa peccato (a volte nemmeno quello) ma non si sbaglia: l’unica certezza è che l’amministrazione della giustizia in questo sventurato Paese è un’area non sorvegliata della democrazia.

  • Toghe&Teglie: uova alla scozzese

    Buona settimana e ben trovati, lettori gourmet di questa rubrica. Sono Sara Astorino, crotonese trapiantata in Toscana del Gruppo Toghe & Teglie, praticamente una novizia su queste colonne.

    Siamo ancora in periodo pasquale ed una mia ricetta a base di uova – seppure arricchita in modo poco penitenziale – è stata molto apprezzata dagli amici e colleghi tanto che sono stata prescelta per provocarvi l’acquolina in bocca.

    Per la preparazione ho usato le uova di quaglia – ma vanno benissimo anche quelle di gallina – salsiccia non troppo piccante (va un po’ a gusto personale), carne di maiale, sale, salsa worcester e per la panatura finale farina, rosso d’uovo di gallina e pan grattato in questo ordine esatto…quantità “a sentimento”, come al solito.

    Il primo passaggio consiste nel tritare la carne di maiale unitamente alla salsiccia, miscelandole per ottenere un composto molto liscio ed uniforme che andrà condito con due cucchiai di salsa worcester e un pizzico di sale.

    Successivamente le uova vanno messe in un contenitore con acqua gelata da portare poi sino ad ebollizione ed attendendo quattro minuti esatti prima di spegnere il fuoco.

    Ora bisogna far raffreddare le uova mettendo il contenitore sotto l’acqua fredda, così sostituendola gradualmente a quella calda. Dopo che le uova si saranno raffreddate e saranno state mondate del guscio, si arriva all’unico passaggio “lungo” della ricetta: preparate delle specie di polpette con il mix di carne di maiale e salsiccia facendo attenzione alla quantità: la particolare consistenza della carne e le dimensioni dell’uovo (soprattutto se viene usato quello di quaglia) consentono di usare solo pochissima carne che, di fatto, va spalmata intorno all’uovo, avvolgendolo.

    Terminata questa delicata operazione, ripassate nella farina, nel tuorlo d’uovo, nel pangrattato una prima volta e poi nuovamente in uovo e pangrattato.

    Il finale è la frittura con olio a 175 gradi (ed è opportuno munirsi di termometro digitale perché la temperatura è molto importante) ed, una volta dorato e ben cotto, se la dimensione dell’“involucro” di carne mista risultasse troppo sottile per prelevare le uova senza danneggiarle è bene usare una scolafrittura.

    Un’ ultima ultima nota: la migliore riuscita si lega ad una doratura molto forte, quindi grande attenzione nei passaggi finali della preparazione.

    Buon appetito e…alla prossima ghiottoneria!

  • Toghe&Teglie: mezzi ziti con broccoli in tegame e mollica tostata

    Buona settimana ai lettori affezionati di questa rubrica da Rossella Perricone della sezione “profondo Sud” di Toghe & Teglie. La ricetta che vi propongo questa settimana è stata tradotta in italiano per il titolo ma – non riesco a spiegarmi il motivo – viene più gustosa con il suo nome originale: mezzi siti cu u vrocculu arriminatu e muddica atturrata e per realizzarla, diciamo per tre quattro persone (in Sicilia anche solo due…), vi serviranno:

    50 grammi di uva passa, un cavolfiore bianco, 100 grammi di cipolla dorata, mollica di pane raffermo a volontà, olio  evo q.b., cinque  sarde sotto sale,  50 grammi di pinoli, una bustina di zafferano, sale e pepe q.b. e – ovviamente – ziti (o anche bucatini) spezzati in quantità “ad appetito”.

    Passiamo alla preparazione:

    fate ammorbidire l’uva passa in una bacinella di acqua tiepida ed intanto eliminate le foglie verdi del cavolfiore e la parte centrale più legnosa, poi dividetelo in cimette da lessare in acqua salata che conserverete dopo aver scolato.

    Tagliate la cipolla a fette sottili e rosolatela con l’olio e le sarde dissalate e private della lisca centrale. Una volta sciolte le sarde, alzate il fuoco, aggiungete i pinoli, l’uvetta scolata e fate andare a fuoco moderato per qualche minuto.

    A questo punto inserite anche le cimette di cavolfiore e lo zafferano sciolto in un po’ di acqua di cottura, mescolando continuamente per far rompere le cimette. Se serve, aggiungete altra acqua di cottura, sale e pepe.

    Su un fuoco a parte saltate la mollica in padella con l’olio per renderla croccante, salatela leggermente e siete pronti per far bollire la pasta rigorosamente nell’acqua di cottura dei cavolfiori; scolatela al dente e mettetela in padella con il condimento mescolando bene il tutto.

    Completate, al servizio, aspergendo le porzioni con la mollica di pane croccante a mo’ di formaggio grattugiato, un filo di olio e del peperoncino frantumato per dare al piatto una leggera nota piccante che non guasta.

    Un caro saluto a tutti e buon appetito!

  • In attesa di Giustizia: quando la giustizia è stupefacente

    Continua a tener banco la querelle sui test psico attitudinali per i magistrati e quel buontempone di Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica di Napoli, si è detto favorevole a condizione che vengano introdotti anche per altre categorie “a rischio” tra qui – neanche a dirlo – i politici e con l’aggiunta di alcol e narco test.

    La storia che stiamo per raccontarvi gli dà (in un certo senso) ragione e anche a chi, come chi scrive, sostiene che i test dovrebbero essere periodici e non solo somministrati al momento di entrare in servizio dopo il superamento del concorso. Accade in Calabria, proprio la terra in cui Gratteri è nato ed ha esercitato le funzioni per la quasi interezza della sua carriera, che un giudice sia stato appena riammesso in ruolo dopo una sospensione di un anno  seguita ad un certificato abuso di droga, cocaina ed anfetamine…e non era il primo provvedimento disciplinare inflitto a costui che, dal 2003 (sì, ventuno anni!) quando, ubriaco alla guida, ha anche percosso un passante: più volte segnalato per avere guidato in stato di ubriachezza e, per non farsi mancare nulla, di violenza e minacce nei confronti di appartenenti alle Forze dell’Ordine.

    Non vogliamo né possiamo giudicare: la evidente fragilità di quest’uomo, i problemi personali irrisolti che lo hanno condotto nel baratro delle dipendenze suggeriscono quella pietas di romana memoria…però è sconcertante che, a fronte di fenomeni di recidiva, gli sia stato consentito di proseguire nel suo delicatissimo ministero amministrando giustizia sotto i postumi di una sbornia o di qualche altra sostanza.

    I motivi di una deriva possono essere molteplici e la vita, poi, può essere crudele: solo per fare un esempio estremo torna alla memoria il caso di un grande giudice e giurista milanese che, alla fine degli anni ’70, andandola a trovare, trovò il cadavere fatto a pezzi a colpi di scure della anziana madre; il delitto rimase irrisolto, e divenne un alcolizzato: la umana comprensione non si discute, non fu destituito ma assegnato ad un ruolo (in collegio con altri due) nel quale non poteva nuocere ma, anzi, portare la sua esperienza e competenza che continuavano ad affiorare nei momenti di lucidità non infrequenti.

    Ed allora, Procuratore Gratteri, suvvia Presidente dell’ANM, è più responsabile riconoscere che i magistrati non sono superuomini e soffrono delle medesime debolezze e patologie di tutti, soprattutto di tutti coloro che devono giudicare; fu Davigo, negli anni ’90, a sostenere che i giudici sono il meglio della società ed i pubblici ministeri il meglio del meglio del meglio: infatti si è vista la fine che ha fatto.

    Per par condicio è giusto riferire che il Consiglio di Disciplina di Bologna ha di recente sospeso dalla professione un’avvocata che remunerava le sue praticanti (forse bisognerebbe definirle “aspiranti”) con generose righe di cocaina e questo accadimento consente di stagliare la differenza con il destino analogo di un magistrato: per un avvocato una lunga sospensione comporta non solo perdita di avviamento ma anche prestigio ed affidabilità pur senza sapere le ragioni del provvedimento perchè la selezione la fa il “mercato”, un politico è sottoposto al giudizio degli elettori mentre un magistrato è sostanzialmente inamovibile grazie, in buona misura, alla tradizionale indulgenza della Sezione Disciplinare del C.S.M..

    In questo quadro desolante, nei giorni di Pasqua, la splendida preghiera del penalista scritta dall’Avvocato Francesco Maisano di Bologna può aiutare ad alimentare la speranza in quella giustizia cui i difensori offrono un contributo essenziale:

    O Signore, Tu che hai detto “Beati i perseguitati a causa della giustizia” fai che io possa assolvere con spirito di fratellanza e carità il compito di difendere chi si affida a me; fai che sia, per chi mi cerca nel bisogno, quel che il Cireneo fu per te lungo la via dolorosa. Assistimi quando prenderò le ragioni di chi spera e lascia che io stesso speri in te quando la tua amorosa difesa mi salverà dal male.

  • Toghe&Teglie: tartufini mimosa

    Buona settimana a tutti da Emilia De Biase della sezione lombardo-campana di Toghe & Teglie: quest’anno per la festa della donna mi sono dedicata a questa ricettina facilissima che vi propongo. L’8 marzo è passato, dite? Vabbè, ci sarà pure l’anno prossimo e, comunque, non è vietato fare questi tartufini in altri momenti.

    Per prima cosa, preparate una ganache al cioccolato bianco portando a bollore 80 grammi di panna fresca, cui aggiungere 8 grammi di burro, scorza di limone grattugiata e 200 grammi di cioccolato bianco sminuzzato (i quantitativi esatti, per una volta che vengono forniti, prevedono 100 grammi di panna, 10 di burro e 250 di cioccolato bianco, io ne avevo solo 200 grammi e pertanto ho dovuto ridurre e bilanciare diversamente le dosi).

    Ottenuta questa crema, mettetela a raffreddare e intanto preparate del pan di spagna con cinque uova portate a temperatura ambiente e 190 grammi di zucchero sbattuti a lungo ed energicamente con un pizzico di sale e vanillina.

    Ne risulterà una meravigliosa spuma chiara cui vanno aggiunti 190 grammi di farina 00 setacciata, un po’ per volta, incorporandola con una marisa, delicatamente dal basso in alto badando a non far smontare il gonfiore della spuma e aggiungete anche un po’ di colorante alimentare giallo. Infornate in una teglia imburrata e un po’ infarinata oppure su carta forno imburrata, al massimo a 180° e fino a doratura. Occorreranno una ventina di minuti circa. Sfornate e mettete a raffreddare.

    Fatto questo, ritagliate i bordi e le parti esterne sotto e sopra della torta di pandispagna ottenuta e ricavatene cubetti. Una metà dei cubetti impastatela con dello yogurt greco (quello avevo in frigo ma, secondo me, può andar bene anche del mascarpone), buccia di limone grattugiata e un po’ di limoncello e formate un impasto da cui ricavare delle palline che cospargerete una ad una con la ganache al cioccolato bianco e poi tuffate e fatte rotolare nella ciotola con l’altra metà dei cubetti lasciati per la guarnizione finale ed irrorati anche loro di limoncello.

    Tutto chiaro, non è difficile vero? E allora datevi da fare e divertitevi ai fornelli!

    Buona Pasqua a tutti, io vado a preparare casatiello e pastiera.

  • In attesa di Giustizia: bene ma non benissimo

    Carlo Nordio ha preannunciato che questa settimana porterà in Consiglio dei Ministri la bozza di disegno di legge che prevede la somministrazione di test psico attitudinali per i magistrati che dovrebbero consistere sostanzialmente in una terza prova da sostenere dopo avere superato quelle scritte e l’orale del concorso.

    L’ Associazione Nazionale Magistrati, non c’è bisogno nemmeno di dirlo, strepita sostenendo che si tratti di una prova irragionevole e – forse – non ha tutti i torti seppure per ragioni diverse da una trasparente tutela della casta.

    In effetti – se quello nei termini riassunti sarà il criterio – la modalità è poco convincente: innanzitutto, se proprio si deve, sembrerebbe meglio che i test vengano somministrati prima di partecipare al concorso e non dopo per così evidenti ragioni che non vale neppure la pena di enumerarle: se, poi, il neo magistrato dovesse mostrare segni di un sopravvenuta inidoneità o squilibrio tutto ciò potrà ben essere rilevato durante il periodo di tirocinio da coloro a cui è affidato con le necessarie conseguenze.

    In secondo luogo, non è da escludere che una deriva psico fisica si possa verificare più avanti nel corso della carriera ed, allora, una soluzione maggiormente sensibile all’esigenza di garantire che il destino giudiziario dei cittadini sia affidato a magistrati compos sui può essere quella ipotizzata già molti lustri addietro da un avvocato piacentino, Carlo Tassi, e proposta senza fortuna nella sua veste di deputato del Movimento Sociale.

    Per quello che, con una certa frequenza, si annota in questa rubrica casi meritevoli di un check up non mancano e, del resto, è nella natura delle cose che un uomo possa subire un decadimento mentale o fisico che lo renda inabile a determinate mansioni: non c’è nulla di cui sgomentarsi, test analoghi sono previsti in altri Paesi come la Francia e la Germania, nel nostro li fanno i militari, gli appartenenti alle forze dell’ordine e nessuno si indigna se viene richiesto di rinnovare periodicamente la patente di guida o il porto d’armi: si tratta solo di prendere le misure necessarie a bilanciare il principio di inamovibilità dei funzionari pubblici prendendo le dovute distanze dal pur brillante pensiero espresso da Erasmo da Rotterdam nel suo “Elogio della follia”.

    Nel frattempo prende quota l’indagine della Procura di Perugia sugli accessi abusivi alle banche dati e il possibile “dossieraggio” ad opera di un militare della Guardia di Finanza distaccato alla Direzione Nazionale Antimafia e dal suo superiore, il P.M. Antonio Laudati: tra sussurri e grida, più che altro uno scaricabarile tra i personaggi coinvolti, spicca la scelta di quest’ultimo di avvalersi della facoltà di non rispondere all’interrogatorio  opportunamente disposto dal Procuratore Capo umbro, Raffaele Cantone.

    Lo abbiamo chiarito più volte: il diritto al silenzio per l’accusato è un canone costituzionale implicito nel secondo comma dell’articolo 27 ed espressamente previsto dal codice; essendo l’interrogatorio un atto di natura essenzialmente difensiva, ognuno ha diritto di difendersi come ritiene più opportuno, anche tacendo.

    L’esercizio di questo diritto spetta, ovviamente, anche a Laudati ma non è trascurabile il dettaglio che al silenzio di fronte a Cantone abbia fatto seguire la distribuzione, tramite il suo avvocato, di una nota scritta in cui, viceversa, risponde dettagliatamente alle contestazioni che erano state formulate nell’invito a comparire in Procura e che avrebbero costituito il fil rouge dell’interrogatorio senza trascurare qualche bordata all’indirizzo dell’allora Procuratore Nazionale…ed il trasferimento di una delicata fase investigativa, che dovrebbe essere scongiurato, dalle aule di tribunale alla stampa a “redazioni unificate” è servito.

    Bene ma non benissimo, anche questa settimana ed in attesa di giustizia le ombre sono più delle luci: non c’era da aspettarsi nulla di buono, particolarmente in periodo di Passione quando si celebra il ricordo del più clamoroso errore giudiziario della storia.

    Buona Pasqua a tutti.

  • Toghe&Teglie: farfalle con filetto di luccio

    Cari lettori, buona settimana da Vittorio Pacchiarotti della Sezione Laziale del Gruppo Toghe & Teglie; apprezzata dai miei amici e colleghi, propongo anche a voi questa ricetta molto semplice ed altrettanto appetitosa… e l’apparenza non vi inganni, non è quella pasta in bianco da 26€ a porzione che sembra faccia fine mettere in tavola in taluni ristoranti milanesi.

    Qui parliamo di un primo che può considerarsi anche un piatto unico (dipende anche dalla quantità di pesce che verrà impiegato) realizzato tutto con prodotti del territorio e pescato del lago di Bolsena per il quale non servono particolari competenze se non, proprio, nella scelta delle materie prime.

    Olio buono, aglio pulito della camicia e sminuzzato, gambi di prezzemolo tritati e una spolverata di peperoncino: mettete tutto in padella a soffriggere con l’aggiunta di un’ombra di concentrato di pomodoro e sfumate con vino bianco, inserendo per una brevissima cottura a fuoco moderato dei filetti di luccio. Salate q.b..

    A parte preparate del porro, facendolo insaporire in un’altra padella con olio, poca acqua (non deve friggere o bruciare) e poco sale e non appena prende colore, togliete dal fuoco e frullate insieme ai filetti di pesce ottenendo una crema che metterete da parte.

    Nel frattempo avrete messo a bollire l’acqua immergendovi la pasta ed, a cottura quasi ultimata, scolate le farfalle (può andar bene un altro tipo di pasta, se gradito) ed unitele alla crema di porro e filetti di luccio in una delle padelle usate in precedenza e mantecate, sempre a fiamma moderata, per un paio di minuti.

    All’impiattamento, arricchite con delle olive taggiasche denocciolate e tagliate a pezzettini e con una grattatina di limone; se piace, può starci molto bene un po’ di pepe profumato macinato al momento.

    Et voilà, il piatto è pronto, perfetto anche per un pranzo pasquale.

    A proposito…auguri sin da ora e tutti voi, a presto!

  • Presentato a Milano ‘Meglio separate’ di Gaetano Bono, il libro sulla separazione delle carriere in magistratura

    Presentato a Milano, lo scorso 6 marzo, il libro Meglio separate. Un’inedita prospettiva sulla separazione delle carriere in magistratura, del dott. Gaetano Bono, Sostituto Procuratore Generale alla Corte d’Appello di Caltanissetta, incentrato sulla divisione delle carriere dei Magistrati. Ad ascoltare Bono, attualmente il più giovane sostituto procuratore generale in servizio, una platea di avvocati e magistrati ,che ha affollato la Biblioteca “Avv. Giorgio Ambrosoli” al Palazzo di Giustizia di Milano, interessata ad un argomento sul quale, da trent’anni circa, si dibatte con pareri contrastanti. Bono, infatti, ha affrontato la questione, sia nel libro, sia durante la presentazione, senza pregiudizi, mostrando i punti di forza, le criticità e le possibili soluzioni. Criticità che portano la magistratura, come è emerso anche durante l’incontro, a contrastare e criticare la proposta, non ravvisando alcuna contrapposizione dei ruoli se non, piuttosto, un limite professionale e di ruolo. Punti di forza colti, invece, dagli avvocati. Il dibattito ha permesso di focalizzare l’attenzione anche sullo stato attuale della giustizia italiana, sui processi dilatati nel tempo e su quelli mediatici, sulle fughe di notizie, sulle difficoltà che sta affrontando il settore penale. E non poteva mancare un riferimento a Giovanni Falcone, la cui morte ha fatto scattare nell’autore, a oli 9 anni, il desiderio di diventare da grande sostituto procuratore.

    Introdotto dall’Avv. Daniele Terranova, Commissione Giustizia Tributaria dell’Ordine Avvocati Milano e moderato dall’Avv. Alessandro Mezzanotte, Consigliere dell’Ordine degli Avvocati di Milano, l’incontro ha visto la partecipazione del Dott. Fabio Roia, Presidente del Tribunale di Milano, del Dott. Marcello Viola, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano, dell’Avv. Valentina Alberta, Presidente Camera Penale di Milano, del Dott. Giuseppe Santalucia, Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, dell’Avv. Giovanni Briola, Consigliere Tesoriere dell’Ordine degli Avvocati di Milano.

  • Toghe&Teglie: la patacò

    Ben ritrovati a tutti, dopo breve tempo, da Saverio La Grua del Gruppo Toghe & Teglie e questa settimana ho il piacere di proporvi la patacò, una gustosa minestra che ha come ingrediente principale la farina di  cicerchia, uno dei più antichi legumi, coltivato nel territorio di Licodia Eublea. Temo che altrove sia complicato trovarla…se volete provarla o trovate un galantuomo sul posto che ve la spedisce oppure se passate da quelle parti fatene scorta.

    Una volta trasformata in farina, viene utilizzata nella Sicilia centro-orientale per preparare questo piatto molto nutriente e saporito che, con l’aggiunta di broccoletti siciliani e salsiccia, prende il nome di patacò.

    La realizzazione, che ben si addice al periodo invernale, è molto semplice e richiede tempi brevi.

    Gli ingredienti per un perfetto pataco’ per quattro persone sono i seguenti: 250 grammi di farina di cicerchia, 300 grammi di salsiccia, 400 grammi di broccoletti siciliani, aglio, olio evo, sale q.b. e, a piacimento, peperoncino rosso.

    Iniziate soffriggendo uno o due spicchi d’aglio finemente tritati, aggiungete la salsiccia sbriciolata e fate rosolare a fuoco moderato. Unite, poi, i broccoletti che nel frattempo avete fatto cuocere (ma non troppo, appena sbollentati) in acqua salata, mescolando per alcuni minuti e aggiungendo, se necessario, un po’ dell’acqua che avete usato per cuocere proprio i broccoli.

    In un tegame dai bordi alti versate, ora, due litri di acqua, salandola, e non appena sta per arrivare a bollore, versate a pioggia la farina di cicerchia, mescolando ripetutamente con una frusta per evitare la formazione di grumi.

    Appena il composto raggiunge la consistenza voluta, non dovrebbe essere né troppo liquida né troppo densa ma dipende dal gusto personale, mischiate una parte della salsiccia e dei broccoletti ed impiattate.

    Al servizio, distribuite sulla minestra il resto del condimento, aggiungete un filo di olio evo e corredate i piatti con dei crostoni di pane abbrustoliti.

    Dite la verità: peccato che la cicerchia non si trovi all’Esselunga…a me l’ha regalata qualche giorno fa il sindaco di Licodia Eublea dove si coltiva questo squisito legume: eventualmente provate a chiamare in Municipio…

    Buon proseguimento a tutti voi

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