Politica

  • La platea Pd di Reggio Emilia contro Gentiloni e l’Ucraina

    Non ha avuto eco sulla stampa nazionale la contestazione al commissario Gentiloni alla festa dell’Unità di Reggio Emilia. L’ex premier e commissario europeo è stata contestato a tal punto che lo stesso Gianni Riotta, che lo stava intervistando, è dovuto intervenire con forza.

    La platea, che già aveva fischiato i ragionamenti di Gentiloni che riguardavano un’ipotesi, per il campo largo, di aprire a Renzi, è diventata incontenibile quando Gentiloni ha, giustamente e ovviamente, ribadito la necessità di sostenere l’Ucraina e si è arrivati quasi alla rissa sul tema Medio Oriente.

    Citiamo la notizia solo per sottolineare due aspetti: il primo che Gentiloni si è comportato correttamente come commissario europeo; il secondo che la posizione ufficiale del Pd sarebbe quella di sostenere l’Ucraina e di contrastare qualunque posizione antisemita. E pertanto non si comprende come gli iscritti e i simpatizzanti del Pd partecipanti alla festa dell’Unità abbiano così violentemente contestato Gentiloni, a meno che, al di là delle dichiarazioni ufficiali della segreteria del partito, sia vero, come in qualche occasione è stato dimostrato, che il Pd e la sinistra sono contro l’Ucraina e contro Israele.

  • La “trappola di Tucidide” di Cina e Usa. E l’insussistenza Europea

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo di Dario Rivolta apparso su notiziegeopolitiche.net il 27 luglio 2024

    Da un po’ di tempo a questa parte diversi analisti di politica internazionale usano volentieri i concetti della “Trappola di Tucidide” per parlare dei rapporti tra Cina e Stati Uniti. Tucidide fu uno storico greco che sostenne fosse inevitabile scoppiasse la guerra tra una potenza dominante in declino e una nuova potenza nascente che aspirasse a prenderne il posto.
    Se applicassimo quel criterio alla situazione del mondo di oggi non dovremmo nemmeno domandarci se scoppierà una guerra tra la Cina e gli Stati Uniti. La sola domanda che potremmo porci è: quando.
    Per cercare di rispondere al quesito è interessante leggere l’intervista che l’americano Graham Allison ha concesso poche settimane orsono ad un giornale indipendente di Hong Kong. Il personaggio non è un qualunque politologo: fu assistente segretario alla Difesa nell’amministrazione Clinton ed è ora professore di Government alla Harward University, oltre che rettore e fondatore della John F. Kennedy scuola di Government, sempre alla Harward. In un libro dal titolo “Destinati alla guerra” naturalmente parla proprio di Washington e Pechino come classici rivali.
    Poco prima di rilasciare l’intervista aveva compiuto un viaggio in Cina dove incontrò non solo il ministro degli esteri Wang Yi e altri alti livelli del ministero degli Esteri, ma anche lo stesso presidente Xi Jinping per una lunga conversazione a due. Allison descrive l’uomo come fortemente ambizioso, sicuro di sé e determinato a far sì che la Cina diventi ogni cosa che potrà essere. Parole particolarmente curiose e interessanti sono quelle di Xi quando riferisce di una conversazione avuta con Barak Obama. Il presidente cinese ricorda che Obama gli disse che se i cinesi fossero diventati benestanti come gli americani e come loro consumassero la stessa quantità di energia con conseguente emissione di gas nocivi, la biosfera sarebbe diventata inabitabile per tutti. Dopo una pausa Xi aggiunse ad Allison: “Si immagina dunque che noi dovremmo essere felici di essere benestanti solo un quinto di quanto lo sono oggi gli americani?”. E dette lui stesso la risposta affermando che comunque la Cina era intenzionata a modernizzarsi in un suo proprio modo pur senza effetti negativi per l’intero mondo. Era fiducioso che, poiché i cinesi sono gente intelligente e grandi lavoratori, avrebbero facilmente raggiunto almeno la metà del PIL pro capite degli americani. E poi: “Faccia un conto aritmetico. Poiché noi siamo una popolazione quattro volte più numerosa significa che il nostro Pil pro-capite sarà due volte quello degli Usa. E con un PIL doppio avremo un budget della difesa che sarà il doppio, un budget per l’intelligence due volte più grande e una leva economica con altrettanta proporzione”.
    Sembrerebbe ovvio che, qualora ciò avvenisse, la “Trappola di Tucidide” potrebbe diventare una realtà.
    Allison non si dichiara però pessimista. Ritiene che esista, di là da un certo determinismo, un fattore umano che potrà influenzare il possibile comportamento dei leader. In particolare, riferendosi alla storia dei due millenni passati, ricorda che, pur in presenza di una potenza ascendente e di una in declino, non sempre ciò ha dato luogo ad una guerra. L’alternativa possibile dei nostri tempi è che i leader dei due Paesi, consci di ciò che potrebbe significare per il mondo un conflitto atomico, potrebbero scegliere di continuare a confrontarsi a distanza anche per trenta, quaranta o altri cinquant’anni senza ricorrere al conflitto. In questo caso sarebbero la storia e le rispettive popolazioni a decidere quale dei due sistemi, quello cinese o quello americano, meglio soddisfi ciò che i cittadini vogliono e il conflitto andrà appianandosi automaticamente.
    A una domanda in merito al risultato dell’incontro che Biden e Xi ebbero mesi fa a San Francisco, Allison risponde che, pur senza conoscere i dettagli di quell’incontro riservato, è probabile che si siano trovati d’accordo su diversi punti. Ammette tuttavia che entrambi possano aver nutrito e continuato a nutrire dubbi sulla buona fede e sul rispetto degli accordi da parte dell’altro. Sicuramente, continua, qualunque intesa sia stata raggiunta non ne saranno stati definiti i dettagli e quindi ciascuno potrà interpretare le cose a modo suo. Una seconda osservazione importante che Allison fa è che i poteri di un presidente Usa e di quello cinese sono molto diversi: mentre il primo opera in un sistema con più voci e con la presenza di contrappesi, il secondo può più facilmente imporre al proprio Paese le decisioni che intende assumere. E ciò potrebbe avere conseguenze, ma non necessariamente quelle di mutua soddisfazione.
    Un argomento cui l’intervistatore non rinuncia è di chiedere cosa pensi l’intervistato dei rapporti tra Cina e Russia. Allison risponde che molti politologi e politici statunitensi hanno continuato a ritenere innaturale, e quindi impossibile, una alleanza tra Cina e Russia e tuttora stentano ad accettare il fatto che sia stata proprio Washington a spingerli verso una alleanza sempre più stretta. La logica, ahimè negletta anche da politici altrimenti intelligenti, è “il nemico del mio nemico è mio amico”. È esattamente ciò che sta accadendo: Mosca e Pechino hanno il comune obiettivo di rendere innocuo quello che definiscono l’ordine egemonico statunitense “unipolare” per favorire invece un ordine multipolare in cui entrambe possano diventare dei poli strategicamente importanti nel mondo. Resterebbe solo da aggiungere che la Russia non aveva altra scelta dopo essere stata emarginata politicamente ed economicamente dall’occidente.
    Alla domanda “se la Russia è impegnata in una grande guerra contro l’Ucraina e se gli Stati Uniti si focalizzano su di essa, quale opportunità potrebbe crearsi per la Cina? Se nello stesso tempo esiste un Medio Oriente in fiamme e anche esso richiede l’attenzione degli Usa, come può Washington affrontare tre pericolosi scenari contemporaneamente?”. Anche in questo caso la risposta, non si sa se totalmente sincera o perché non è facile accettare di diventare una Cassandra, è relativamente ottimista: “L’atteggiamento dell’amministrazione statunitense nei confronti della Cina dovrà avere tre componenti: una ferma competizione, una continua comunicazione e una sincera cooperazione. A quale fine? Per ottenere una competizione pacifica, a lungo termine che consenta di vedere in 25 anni o in mezzo secolo quale dei due sistemi risponda con maggior successo a ciò che i popoli vogliono”. Inoltre, aggiunge, gli americani stanno saggiamente costruendo una rete di alleanze come l’AUKUS, il QUAD, il rafforzamento dei trattati con Giappone, Corea del Sud, Australia e Filippine, e ciò assicurerà un sufficiente contrappeso alla Cina nel contesto asiatico. È ovvio, continua ancora Allison, che gli Stati Uniti dovranno fare delle scelte poiché è impossibile, nonostante siano la più grande potenza militare del mondo, fronteggiare contemporaneamente tre aree di crisi lontane tra loro. Sarà allora ovvio che le risorse destinate all’Europa dovranno essere ridotte sostanzialmente e occorrerà fare una scelta anche dal punto di vista economico per assicurare che alcuni prodotti importanti attualmente controllati dalla potenza dominante siano garantiti e non resi disponibili ai concorrenti.
    A questo punto l’intervistatore pone una domanda cruciale che pochi, anche tra gli storici, oserebbero porre. “Quale parallelo si può fare tra questa situazione con la Cina e le sanzioni statunitensi che portarono alla guerra tra il Giappone e gli Stati Uniti nel 1940?“.
    La risposta: “E’ certo vero che, storicamente, un certo numero di rivalità tucididee si siano manifestate proprio sulle risorse… se noi forziamo un concorrente a scegliere tra un suo strangolamento sicuro entro sei mesi o un anno, oppure tentare una soluzione rischiosa ma magari con la possibilità di vincere una guerra… Può diventare razionale per un contendente scegliere la guerra. Ora, io penso che nell’attuale rivalità tecnologica l’amministrazione Biden sia determinata nel cercare di mantenere il più ampio possibile il gap con i cinesi in tutte le frontiere tecnologiche quali intelligenza artificiale, semiconduttori, genomica o quantum per la biologia sintetica. Tuttavia in nessuno di questi gli Usa saranno capaci di impedire alla Cina qualche versione diversa di capacità. Potrebbe essere questione di una generazione o due… i cinesi sono intelligenti e grandi lavoratori e hanno ogni anno dieci volte più laureati degli americani… in Cina, dove c’è una competizione molto più forte tra le compagnie produttrice di macchine elettriche, la società BYD (partecipata finanziariamente anche da Warren Buffett) è attualmente quella che ha preso la maggiore fetta di mercato che fu di Tesla. La mia scommessa sarebbe che la rivalità tecnologica sarà forte ma non arriverà al punto da strangolare le opportunità per la Cina di svilupparsi per conto proprio o di trovare altre fonti… Siamo in una economia globalizzata e ci sono altre fonti potenziali per quasi qualunque cosa gli Stati Uniti cercherebbero di tenere sotto controllo… Gli sforzi americani potranno ritardare ma non impedire gli sforzi cinesi su questi fronti… non penso che queste intenzioni americane possano diventare un decisivo fattore di guerra”.
    A questo punto ognuno tragga le valutazioni che preferisce dal contenuto di questa intervista, ma è corretto notare che in nessuno dei temi toccati nell’intervista si trova un qualunque ruolo per l’Europa. L’unica volta in cui la si menziona è quando si afferma che affinché gli Usa possano concentrarsi efficacemente nelle aree considerate di crisi è necessario per Washington ridurre gli impegni che ha verso il Vecchio continente. Naturalmente nessuno può auspicare che scoppi una guerra mondiale ma, se dovesse succedere, gli europei vi verrebbero trascinati solo come obbedienti vassalli e, se fortunatamente nessun conflitto accadesse, i veri “grandi” troveranno un qualunque accordo tra di loro e ciò accadrebbe alle spalle o addirittura sulle teste degli europei stessi.

    Sarà mai possibile che qualche politico europeo capisca che l’Europa deve assolutamente cambiare e mettere mano ai Trattati esistenti per costruire, con chi lo vorrà, una vera Unione politica di carattere federale? Altrimenti il destino degli europei sarà solo quello del “vaso di coccio” di manzoniana memoria.

    * Già deputato, è analista geopolitico ed esperto di relazioni e commercio internazionali.

  • Politica: l’arte di sapere mediare tra gli interessi personali e quelli comuni

    Avviso ai naviganti d’Europa, specialmente al mondo delle destre e dei conservatori, le prossime elezioni americane definiranno alcuni temi cruciali:

    1) quale sarà il rapporto tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea, dai dazi al sostegno politico, ed eventualmente militare in caso di attacco o comunque di pericolo per alcuni paesi europei; 2) quale sarà il rapporto tra gli Stati Uniti e la Nato; 3) quale sarà il rapporto tra gli Stati Uniti e l’Ucraina e la Russia; 4) quale sarà il rapporto tra gli Stati Uniti e la Cina, sia dal punto di vista commerciale che per quanto riguarda la politica espansionistica del presidente cinese; 5) e non ultimi i rapporti con Israele, il medio oriente, il Messico, l’inquinamento, l’energia.

    In sintesi il prossimo presidente degli Stati Uniti avrà molti problemi da affrontare e molte delle sue decisioni avranno conseguenze anche per noi, per questo sarebbe avveduto che, almeno in Italia, al di là delle simpatie di schieramento partitico, si evitassero dichiarazioni ed articoli come quelli che abbiamo sentito e letto in questi giorni da sinistra e da destra, ad esempio alcune considerazioni pubblicate dal Secolo d’Italia potrebbe un domani mettere in imbarazzo il Presidente del Consiglio Meloni se i risultati fossero favorevoli alla Harris, che per altro è una donna come la Meloni.

    La faziosità e una pessima consigliera specie in politica internazionale.

  • Il pressapochismo e le sue conseguenze

    Negli ultimi anni abbiamo visto, in troppe occasioni, molti capi di Stato, primi ministro, leader d’opposizione che non sempre sembravano consapevoli delle loro dichiarazioni e relative conseguenze, in altre consapevoli ed in totale spregio delle conseguenze.

    La teoria che l’inquinamento, non solo ambientale, possa avere colpito le capacità di ragionamento ed essere la causa non è stata al momento né suffragata da prove scientifiche ma neppure smentita, certo è che l’inquinamento emotivo ha procurato un’escalation di violenza in ogni strato della popolazione.

    Quello che oggi preoccupa ulteriormente è l’inconfutabile certezza che tutto si va deteriorando anche negli apparati più sensibili, non per nulla nessuno avrebbe potuto immaginare una sconfitta così tragica come quella subita dai servizi d’informazione israeliani il 7 ottobre.

    Che gli Stati Uniti abbiano periodicamente un attentato ad un presidente o ad un leader politico è cosa nota ma non può che stupire come si è compiuto l’atto scellerato, ma altrettanto maldestro, di chi ha sparato a Trump, uccidendo un inerme cittadino, nella disattenzione generale di chi era preposto, sul campo, alla sicurezza.

    I molto gravi attentati terroristi degli ultimi anni, che hanno colpito anche la Russia, e i tanti attentati minori, compiuti da persone già segnalate come pericolose, dimostrano purtroppo uno scadimento sempre più preoccupante dei sistemi di sicurezza.

    Viviamo in una società ad alto rischio ma i rischi maggiori sono dovuti allo scollamento delle istituzioni ed al pressappochismo.

  • Dopo la visita di Orban Putin bombarda gli ospedali dei bambini

    Dopo il nuovo massacro compiuto da Putin in Ucraina, dopo i missili russi sull’ospedale dei bambini cosa intende fare Orban, il peripatetico presidente dell’Unione in carica per i prossimi sei mesi?

    Il risultato della visita di Orban a Putin è stato una nuova strage in Ucraina, cosa accadrà ora dopo l’incontro di Orban con il dittatore cinese?

    I sei mesi della sua presidenza passeranno presto, c’è anche l’estate di mezzo, ma se il buongiorno si vede dal mattino dopo la visita di Orban a Putin vi è stata un’ulteriore escalation delle violenze russe contro Kiev, cosa dobbiamo aspettarci ora?

    Orban ha preso il suo incarico come il grimaldello per aprire una falla in Europa? Come strumento per accreditarsi leader fuori dai confini del suo paese dove, per la prima volta, comincia a crescere la opposizione al suo autoritarismo? Anche il suo nuovo gruppo al Parlamento europeo non è stato certo organizzato per migliorare il funzionamento dell’Europa ma per evidenti intessi economici e politici.

    Dopo la nuova strage in Ucraina e l’evidente volontà di Orban di muoversi, durante la sua presidenza, al di fuori dalle regole dell’Unione, noi tutti, istituzioni europee e governi nazionali in primis, dobbiamo fare chiarezza e portare allo scoperto chi fino ad ora, in ognuno degli Stati europei, ha solidarizzato, in modo più o meno palese, con Mosca perché la sicurezza delle nostre democrazie è messa a rischio e non si può più traccheggiare.

    Piaccia o non piaccia ad alcuni governi l’Europa deve darsi una politica estera ed una difesa comune, anche a fronte delle insicurezze americane, per questo, come è già stato fatto per la moneta unica si abbia il coraggio di partire con un gruppo di Stati, gli altri verranno poi, rimanere ancora immobili ed indecisi sarebbe un errore tragico dalle conseguenze irrimediabili.

  • Il vuoto identitario ed ideologico

    Nel secolo scorso Enrico Berlinguer, segretario del PCI, aveva posto la classe lavorativa al centro della propria attività politica. Difficilmente qualcuno potrebbe affermare che esistesse una identità personale tra il segretario del PCI e la classe operaia, tuttavia l’impianto ideologico del suo partito cercava di porsi come obiettivo la tutela e gli interessi della classe lavorativa. Una mancanza di identità, intesa come vicinanza nello stile di vita, veniva quindi sostituita da un articolato impianto ideologico in grado di unire persone e rappresentanti politici di estrazione culturale molto distanti.

    Viceversa, nei partiti odierni la ricerca ossessiva di una assoluta identità tra leader di partito iscritti e simpatizzanti esprime, invece, un deserto intellettuale ma soprattutto una incolmabile distanza tra gli stessi, cristallina espressione della mancanza di uno quadro ideologico di riferimento.

    In altre parole, in relazione al PD, l’inserimento e l’esaltazione di un fattore identificativo come l’orientamento sessuale, e soprattutto condiviso nella vita privata, esprime la volontà di creare identificazione tra simpatizzanti e quadri dirigenti.

    Tutto questo, mentre il mondo industriale registra il 15° calo consecutivo della produzione industriale ed assistiamo all’esplosione della cassa integrazione nei primi sei mesi del 2024, per i quali il PD non esprime alcuna opinione se non quella di una volontà referendaria contro il Jobs Act.

    Un comportamento molto comune anche a destra, in quanto la scelta di una multinazionale di Singapore di avviare uno stabilimento di chip in Piemonte piuttosto che nel Veneto non ha suscitato alcuna reazione nell’attuale presidente Zaia: esattamente come quella precedente della Intel che scelse la Germania piuttosto che la provincia di Verona. Risultò più interessante partecipare e mantenere, durante il covid, un bollettino quotidiano, oppure continuare ad intervenire alle diverse sagre di paese. Anche in questo caso il Presidente della Regione Veneto ha dimostrato, come il PD, una volontà di coltivare una identità tra il censo politico ed il popolo degli elettori.

    Questa legittima strategia nasce ed esprime, tuttavia, l’assoluto vuoto ideologico che contraddistingue, tanto a destra quanto a sinistra, i diversi leader privi di una visione del nostro Paese, soprattutto in prospettiva del suo futuro, dimostrandosi attenti ed interessati alla sola contemporaneità.

    L’identità e la condivisione, in altre parole, rappresentano il vuoto politico ed ideologico nato da un declino culturale all’interno del quale un fattore privato, come l’identità sessuale, diventa un elemento catalizzatore e caratterizzante.

    Esattamente come ci sono leader di partito che propongono il reddito di maternità (Gasparri) o affermano che una pista di bob rappresenti assieme alle Olimpiadi invernali uno strumento per fermare lo spopolamento montano (Zaia). Anche per questo il Paese si avvia ad una delle crisi istituzionali, economica e di rappresentanza più disastrose dal dopoguerra ad oggi.

  • “I giovani militanti di FdI non sanno quello che dicono. Ed è gravissimo”. Parla l’on. Cristiana Muscardini

    Pubblichiamo di seguito l’intervista che l’On. Cristiana Muscardini ha rilasciato alla rivista Policy Maker il 2 luglio 2024.

    Poca formazione, scarsa consapevolezza della storia, incapacità a rispettare il proprio ruolo e dialogo carente con i più grandi. Tutte le falle di Gioventù Nazionale secondo l’on. Cristiana Muscardini.

    Fratelli d’Italia corre ai ripari dopo l’inchiesta di Fanpage che ha mostrato alcuni giovani militanti di Fratelli d’Italia e di Gioventù nazionale, il movimento giovanile di FdI, fare battute razziste e antisemite. Le posizioni più critiche sono quelle di Flaminia Pace, presidente di Gioventù nazionale Pinciano, già ‘espulsa’ dal Consiglio nazionale giovani, ed Elisa Segnini Bocchia, ex capo segreteria della deputata di FdI Ylenja Lucaselli che ha rassegnato le dimissioni.

    Non semplici giovani militanti di FdI, dunque, ma volti di peso della linea verde del partito della premier Meloni. Sono circa una decina i profili al vaglio del partito che, a breve, deciderà cosa fare.

    Di tutto questo ne abbiamo parlato con l’on. Cristiana Muscardini, europarlamentare, in passato dirigente del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN), del Movimento Sociale Italiano (MSI), componente dell’esecutivo politico di AN e coordinatrice per la regione Lombardia di Generazione Italia.

     

    Lei è stata dirigente del Fuan, del MSI, di AN. Quali evoluzioni ha notato in merito all’organizzazione interna di questi soggetti politici?

    Diciamo che una volta i movimenti politici avevano delle scuole di partito, delle sezioni, dei circoli nei quali i giovani potevano confrontarsi tra di loro e con gli adulti. I ragazzi venivano in contatto con esperienze a loro sconosciute, gli si spiegava le cose che si potevano e quelle che non si potevano fare. Li si faceva crescere. Ai miei tempi, per esempio, c’era una cosa che oggi non c’è più.

    Cosa?

    A Milano, in piazza Duomo di sera si radunavano anarchici, missini, comunisti, era una specie di zona franca in cui si parlava e si discuteva. In quella piazza non c’era posto per gli estremisti, come Potere Operaio. Dopo tutto andò a morire con le violenze degli anni successivi.

    Com’è cambiata, secondo lei la militanza giovanile? Cosa manca oggi?

    Manca il confronto costante e quei luoghi di incontro nei quali si poteva fare due chiacchiere o affrontare argomenti più importanti. Ma questa è l’era di internet, tutti siamo convinti di parlare con tutti e invece non parliamo con nessuno. Io penso che la politica sia guardare negli occhi le persone. Secondo me questa distanza incide sui più giovani e sui meno giovani. Oggi l’uso indiscriminato della rete porta tutti a credere di potere dire e fare qualsiasi cosa senza avere la minima conoscenza. Ecco io credo che la maggior parte dei giovani oggi non sappia cosa sono stati il fascismo e il comunismo, cos’è stato il ‘68, con tutti i risvolti negativi, moltissimi, e forse anche qualcuno positivo, il significato della Rivoluzione francese.

    Che opinione si è fatta dell’inchiesta di Fanpage sui militanti di Gioventù nazionale?

    Io credo che, in ogni caso, i giornalisti abbiano il dovere di trovare, scovare la notizia ma devono farlo in maniera limpida. Credo anche che quello che questi giovani militanti di FdI hanno detto sia il frutto di una ignoranza dei fatti della storia, o della cronaca, ma anche della non consapevolezza del ruolo che essi rivestono. Sono all’interno dell’organizzazione giovanile di un partito che è al governo e che dice molto chiaramente “no all’antisemitismo”, “no al terrorismo”, “no alla discriminazione razziale” o alla discriminazione di qualsiasi altra natura.

    E lo dice da anni, non lo dice solo adesso con Giorgia Meloni, lo diceva il Movimento Sociale Italiano, lo diceva Alleanza Nazionale. Non è una scoperta di Giorgia Meloni, lei ha continuato nel solco di una tradizione. Ricorda il viaggio di Fini in Israele quando definì il fascismo il male assoluto? Ecco io credo che il male assoluto sia tutto ciò che viola la dignità e la vita degli altri.

    Le frasi pronunciate da quei ragazzi sono un segnale preoccupante di un rinato antisemitismo oppure sono solo frasi vuote?

    Credo che non ci sia nessun pericolo di un ritorno all’antisemitismo, anzi la destra ha dimostrato di difendere Israele più di quanto stia facendo la sinistra. E’ un segnale che deve comunque fare scattare l’allerta per far comprendere ai più adulti, di qualunque movimento politico e in questo caso quello di centrodestra, che i giovani vanno fatti crescere in maniera più consapevole. A me spaventa di più la irresponsabilità di quello che hanno detto, oltre alla gravità di quello che hanno detto. Sono convinta che non siano consapevoli della gravità di avere un pensiero di quel genere, anche se fosse stata solo una battuta sciocca. Quelle parole dimostrano che, in alcuni giovani, non c’è la consapevolezza di quello che è stata la storia, la vita, la sofferenza di milioni di persone, che non ci sia la consapevolezza della Carta universale dei diritti umani. E poi aggiungo anche un’altra cosa.

    Prego.

    Quelle parole dimostrano che non c’è la consapevolezza del ruolo. Quando si riveste un ruolo in un’organizzazione politica non si può parlare come se si fosse al bar dicendo sciocchezze. Non credo che questi giovani pensino quello che hanno detto, ritengo che lo abbiano detto perché così si sentivano di fare gli sbruffoni. Non si rendono conto della gravità delle loro parole ma è pericolosissimo sia perché le hanno pronunciate sia perché non ne comprendono la gravità.

    Potremmo sintetizzare con “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

    Non sanno quello che dicono. Però dopo averli perdonati, perché non li fuciliamo sulla pubblica piazza, va pensato per quei giovani militanti di FdI un percorso di nuova educazione. Tra i ragazzi più giovani mi sembra che non ci sia la percezione della differenza tra reale e irreale e di quanto le parole, anche le battute, possano ferire.

    Crede che Fratelli d’Italia abbia preso i provvedimenti giusti nei confronti di quei militanti?

    Penso che li espelleranno, più di quello non credo possano fare. Poi non so se la magistratura riterrà di intervenire o se riceveranno delle querele.

    Ci potrebbe essere il commissariamento dell’organizzazione giovanile.

    Potrebbero anche commissariare i circoli coinvolti, non ci vedrei niente di tragico, anche per capire se, disgraziatamente, oltre alle persone coinvolte ce ne fossero altre.

    Secondo lei l’immaginario della destra italiana, quello costituito dal “modello Atreju”, è accattivante per i ragazzi?

    Credo che per essere accattivanti con i giovani bisognerebbe proporre cose effettive e concrete. Ci sono moltissimi giovani disponibili a pulire i fiumi, ad aiutare gli anziani, ad occuparsi degli animali abbandonati. Io per 25 anni sono stata vicepresidente dell’intergruppo degli animali al Parlamento eurpeo. Occuparsi degli animali significa occuparsi di qualcuno che è più indifeso, fa ritrovare empatia e contribuisce al rispetto dell’ecosistema nel quale tutti viviamo. Ecco penso che la politica non debba essere soltanto uno slogan, una promessa, una battuta, perché a ogni frase deve seguire un’azione politica.

    I più giovani si possono affascinare facendoli sentire utili alla società e non presentando un mondo che non offre niente perché non ci sono più le opportunità di una volta a meno che tu non sia molto bello, super intelligente o abbastanza ricco da andare a fare un master in America. Io, per esempio, continuo a tenere in vita un settimanale online, Patto sociale – Informazione Europa, ecco potrebbe essere una palestra di scrittura per tanti ragazzi.

  • La sagra delle manipolazioni e delle menzogne sull’Autonomia Differenziata per nascondere la polvere sotto il tappeto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, Presidente di Europa Nazione

    La riforma dell’Autonomia Differenziata nel corso della sua approvazione ha già integrato 26 violazioni della Costituzione, 12 forzature di legge e 42 truffe e manipolazioni che, per un disegno di legge di appena 11 articoli, costituiscono un record mondiale di mala politica, ed evidenziano una totale assenza di etica, moralità e correttezza di una classe politica incapace di vedere al di là dei propri interessi, le conseguenze gravissime di una triade di riforme che nulla hanno a che vedere con il bene comune e il rafforzamento della serenità e dell’unità del Paese, ma semmai l’esatto contrario.

    Ottenuta l’approvazione, la preoccupazione crescente sulla presa di coscienza dei cittadini italiani, specialmente del Sud, sta sollecitando molti soggetti politici a rivestire il ruolo di difensori d’ufficio della sciagurata riforma, con un florilegio di ulteriori bugie e manipolazioni, nonché insulti ai cittadini, senza avere mai letto il testo, e ancora meno capito, la tragedia che cercano di difendere e di trasformare in presunta opportunità per le vittime della congiura delle tre riforme.

    Tra i tanti che esaltano l’Autonomia Differenziata emergono, per inconsistenza degli argomenti, figure come quella del Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e del Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare Nello Musumeci che, dopo 17 mesi di processo approvativo della legge, con i loro interventi, se in buona fede, dimostrano di non avere capito nulla di questo provvedimento. In particolare Schifani nell’accusare nientemeno di “terrorismo politico” gli attacchi all’Autonomia, dichiara fideisticamente (ma senza avere letto una riga del provvedimento legislativo) “di rifiutarsi di pensare che questo governo possa approvare intese pericolose per il Sud”, e conclude la sua esternazione sostenendo la sua tesi, del tutto infondata, sul principio che “se non ci saranno i Livelli Essenziali di Prestazione l’Autonomia non partirà”. Gli fa eco il Ministro Musumeci che, dall’alto delle sue note competenze legislative e giuridiche, messe in atto nei cinque anni di gestione della Regione Siciliana dove ha risolto miracolosamente ogni problema, con il cipiglio che gli è tipico, insulta i meridionali e li sprona a smetterla di piangere. Ed aggiunge una affermazione criptica “Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle regioni settentrionali”; per concludere “Io ho votato il provvedimento al Senato e non avrei mai votato un provvedimento che potesse pregiudicare l’unità d’Italia”, con ciò confermando che non ha letto, o non ha capito il provvedimento approvato.  Questi due campioni della politica siciliana si assumono la responsabilità di difendere una norma indifendibile, incuranti del destino di 20 milioni di italiani del Sud, venduti a logiche di interessi personali e partitici, che di colpo vengono privati dei loro diritti costituzionali, del loro futuro e del doveroso rispetto dovuto al popolo sovrano. Come si fa a non capire che con l’approvazione della legge, nessuno potrà fermare il processo di trasferimento dei fondi dallo Stato alle regioni ricche, che lo otterranno con le intese che saranno operative nel giro di 4-5 mesi al massimo? Il procedimento previsto nei 24 mesi dall’approvazione del disegno di legge dei decreti legislativi per la determinazione dei LEP non riguarda le regioni ricche, che hanno le commissioni paritetiche, e quindi da subito potranno aumentare a loro piacimento i costi del LEP. Sono soltanto le Regioni fragili che dovranno aspettare i 24 mesi, e poi eventualmente per l’aumento dei costi dei LEP: prima dovranno aspettare altri tre anni, e poi anche il finanziamento dello Stato, che nel frattempo le regioni ricche avranno svuotato, e quindi non ci saranno le risorse necessarie a sostenere tali spese. Quindi Schifani e Musumeci, e tutti coloro che hanno votato questa riforma, specialmente se eletti nel Sud, con questo provvedimento hanno tradito non solo i diritti costituzionali dei cittadini del Sud, ma la logica stessa della solidarietà come principio fondativo della Patria comune. Il Sud è stato sacrificato sul terreno della disparità dei diritti e l’Autonomia Differenziata è la prima legge della Repubblica Italiana a legittimare tale disparità con l’avere sostituito lo Jus Civitatis con lo Jus domicili, banalizzando di fatto l’art. 3 della Costituzione Italiana sulla parità dei diritti, e concedendo ogni possibile beneficio solo in base alla residenza che, per i cittadini delle regioni ricche comporterà vantaggi e prebende, a discapito dello Stato e delle regioni povere, che dovranno sopravvivere in condizioni di assoluta assenza di solidarietà e perequazione. Non è accettabile che si restituisca il residuo fiscale alle Regioni ricche, che non ne hanno alcun diritto, essendo il pagamento delle imposte erariali un dovere nei confronti delle Stato, e quindi impedire alle regioni povere di avere risorse e trasferimenti dallo Stato, come fosse una condanna alla presunta incapacità di non essere diventate anch’esse ricche. Perché la perequazione tra i territori (che non c’è nella riforma malgrado imposta dalla Costituzione) e i principi di solidarietà, prescindono dal passato e dalle eventuali responsabilità, ma incidono sul futuro, ed appare incredibile che una destra di governo possa concepire una norma così assurdamente penalizzante e divisiva, da smuovere anche l’allarme della Commissione UE che sostiene come “la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Un’ultima domanda a Schifani, Musumeci e ai difensori d’ufficio di questo sciagurato provvedimento che non sarà dimenticato dagli italiani: quando lo Stato rimarrà senza risorse, per averle date alle regioni ricche, chi pagherà il Debito Pubblico, il Sud?

    *Presidente di Europa Nazione

  • ‘Al fianco di Berlusconi – Da Cavaliere a Presidente’, il nuovo libro di Dario Rivolta

    È uscita la seconda edizione di un libro su Berlusconi imprenditore e politico scritta da uno stretto collaboratore che gli è stato vicino negli anni del maggiore sviluppo e dell’entrata in politica. Dalla costruzione dell’impero televisivo all’acquisto del Milan, dallo sviluppo internazionale delle sue imprese alla “discesa in Campo”, Dario Rivolta fu suo assistente personale partecipando, a volte in prima persona, a molte di quelle avventure. Questa edizione, rivisitata e aggiornata, svela i retroscena e le strategie di un uomo che nel bene (secondo ammiratori e seguaci) e nel male (secondo i suoi detrattori), ha segnato la storia dell’Italia negli ultimi trenta e più anni. Ne esce la figura di un uomo carismatico e simpatico, dalle indubbie qualità di imprenditore ma con alcune manchevolezze nella gestione del suo ruolo politico. Lungi dall’essere un’agiografia o, al contrario, un ennesimo atto di accusa tra i tanti che sono stati scritti contro Berlusconi, Rivolta, senza nascondere il suo affetto, mette in evidenza gli aspetti della personalità sia nelle sue luci che nelle sue ombre. Non a caso, l’ex Ministro Gianni De Michelis che ha firmato la prima prefazione scrive: “…uno che Berlusconi lo conosce bene e ne apprezza le doti indubbie e ne critica, sine ira ac studio, i difetti”. Anche l’Ambasciatore Carlo Marsili che firma la seconda prefazione è concorde: “ne è uscito un quadro che anche chi non conosceva bene Berlusconi…è indotto a valutarlo per quello che è: assolutamente obbiettivo”.

    Il libro è sotto forma di intervista e la suddivisione in capitoli tematici lo rende un racconto di facile e veloce lettura. L’intervistatore è Eric Jozsef, corrispondente in Italia di Liberation e già Presidente dell’Associazione della Stampa Estera.

    AL FIANCO DI BERLUSCONI – Da Cavaliere a Presidente

    Fas Editore 2024  Euro 19.90

    Acquistabile presso: www.unilibro.it, https://tabook.it/, www.amazon.it, direttamente presso l’editore (www.faseditore.it) oppure in libreria su prenotazione

  • Politici senza acqua

    Per governare bene bisogna conoscere i problemi che si devono affrontare oggi, avere visione del futuro e procedere celermente. Bisognerebbe anche conoscere i problemi che andavano risolti ieri e l’altro ieri e non perdere più tempo.

    Delle tante situazioni difficili che vanno risolte alcune sembrano non essere ancora entrate nella agenda, per questo suggeriamo a tutti coloro che si occupano di politica, nei luoghi ove si può intervenire direttamente o si può suggerire ad altri di farlo, perciò maggioranza e opposizioni, di fare un piccolo esperimento.

    Chiudete l’acqua centrale della vostra abitazione, dell’ufficio, dei bagni di Montecitorio e Palazzo Madama, per 24 ore rimanete senza acqua, neppure quella minerale dei vari frigoriferi e provate a vedere come vi sentite, nel frattempo, per distrarvi e passare il tempo, guardatevi qualche foto di tante zone della Sicilia, della Sardegna, del centro Italia.

    Anche se il nostro Paese è il più forte consumatore di acqua minerale sembra difficile poterla usare per irrigare i campi e, se, mentre aspettate di riaprire i rubinetti, avete voglia di leggervi qualche dato che, fino ad ora vi è inspiegabilmente sfuggito (inspiegabilmente è ironico visto i tanti interessi che ci sono dietro l’acqua e gli acquedotti) potrete scoprire che quasi il 45% dell’acqua delle reti di distribuzione va dispersa, perduta per sempre, basta riguardare quanto risulta nel 2021.

    Regioni ricche d’acqua ma senza acqua, case e imprese agricole completamente all’asciutto e intanto anche le aree dove si sono verificate le recenti tragiche alluvioni soffrono di siccità perché alluvioni e siccità si inseguono ed alternano nel ciclo idrogeologico.

    Se gli acquedotti perdono acqua non stanno certo meglio dighe e bacini di stoccaggio, sporchi di troppi sedimenti, obsoleti, mai finiti di realizzare, o mai collaudati, mentre dei dissalatori si parla solo e solo si parla.

    Senza acqua non c’è agricoltura, non c’è industria, non c’è turismo, non c’è vita ma dietro i consorzi delle acque e dei canali, dietro la gestione delle risorse idriche, dietro la manutenzione, non fatta, dei fiumi, dietro troppe attività, collocate in aree pericolose per la falda, vi sono interessi che, ad oggi, hanno scalzato via i diritti dei cittadini.

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