Politica

  • Immigrazione e inversione culturale

    Uno degli aspetti più evidenti ed imbarazzanti del declino culturale dell’intera intera classe politica e dirigente viene spesso rappresentato dell’infantile processo di semplificazione adottato nei confronti di fenomeni complessi così interpretandoli attraverso un classico paradigma ideologico.

    Il fenomeno dell’immigrazione rappresenta sicuramente uno di questi casi, la cui difficile gestione di fatto ha determinato la creazione di due schieramenti politici avversi ed incompatibili, rappresentati da chi si dichiara assolutamente contrario sic et nunc contrapposto a coloro i quali, invece, vedono addirittura in questo epocale fenomeno l’unico strumento che possa assicurare la ripresa economica, cioè rispondere alla richiesta delle imprese di nuove figure professionali e, contemporaneamente, determinare la soluzione all’inverno demografico italiano ed europeo.

    Il recente studio pubblicato da Le Figaro, quasi completamente ignorato dai media italiani, ha il grande merito di riportare dei dati che possano fornire una griglia di valutazione da applicare ad una complessità in termini oggettivi (ma ovviamente sempre opinabili) e così escludere le interpretazioni politiche ed ideologiche. Questo studio sottolinea come le imposte versate dagli immigrati coprano solo l’86% dei costi che essi generano per il contribuente. Inoltre, solo il 62,4% degli immigrati in età lavorativa risulta occupato, contro una media UE del 67,5% e un tasso del 69,5% per i cittadini francesi nativi, in più con una percentuale di Neet sicuramente superiore.

    A questo si aggiunga che le politiche dei diversi stati tendono a favorire i ricongiungimenti familiari (forse inevitabili) determinando ulteriori flussi ma non più legati ad un ipotetico inserimento professionale ma motivati da ragioni semplicemente familiari, quindi con un aggravio ulteriore di costi per la pubblica amministrazione.

    Del resto il gap esistente tra le figure professionali richieste dalle imprese (quasi il 70% hanno difficoltà a reperire figure tecniche) e l’immigrazione assolutamente inidonea a rispondere a queste ricerche professionali non fa che certificare l’assoluta incompatibilità tra i due fenomeni.

    Questa consapevolezza, ovviamente, non deve portare le autorità politiche europee ed italiane ad una radicalizzazione delle posizioni, quindi con una chiusura totale ai flussi migratori. Contemporaneamente sarebbe finalmente giunto il momento di crescere culturalmente, abbandonando così la classica soluzione semplicistica ed ideologica che vede nell’immigrazione la soluzione ad ogni problematica nazionale sia essa economica politica o sociale.

    Lo sforzo culturale più che politico dovrebbe venire rappresentato ora più che mai dall’inizio di una articolata riflessione proprio in relazione a quel declino culturale del quale l’Italia e l’Europa intera ne rappresentano il simbolo.

    In questa “inversione culturale” proprio il nuovo tentativo di comprensione del fenomeno dell’immigrazione, potrebbe in questo caso dimostrarsi un fattore decisivo.

  • In memoria di Giuseppe Basini

    Cristiana Muscardini e Il Patto Sociale si uniscono al dolore della famiglia e al cordoglio di tutti coloro che hanno conosciuto l’On. Giuseppe Basini ricordandone la figura di grande spessore culturale sia nel campo della fisica che della politica. Laureato in Fisica nucleare si dedicò alla ricerca, ricoprendo importanti posizioni accademiche, sia in Italia che all’estero, fino a diventare dirigente del Centro nazionale di fisica nucleare.

    Basini fu tra i fondatori di Alleanza Nazionale, alle elezioni politiche del 1996 è stato eletto al Senato nelle liste di An in Emilia-Romagna, alle elezioni politiche del 2018, come esponente del Pli, è stato eletto alla Camera nella circoscrizione Lazio.

  • Venerdì 9 maggio

    Il 9 maggio, la giornata dell’Europa, sarà l’Alba di una certezza o solo un nuovo invito alla speranza?

    L’Europa c’è ma non si sente perché ancorata a vecchi trattati che non consentono di creare quell’Unione politica tanto decantata a parole, tante volte promessa e mai realizzata.

    Senza Unione politica non ci può essere una difesa comune, organica ed efficiente, problema quanto mai attuale in questi tempi bui e violenti.

    Senza l’Unione politica non ci può essere vero potere contrattuale in campo economico né possibilità di sederci ai vari tavoli per parlare di pace, giusta e duratura, laddove le guerre massacrano ogni giorno persone inermi o il terrorismo tiene in scacco stati e popolazioni.

    Senza Unione politica non si avrà mai una seria, concreta, iniziativa per il Mediterraneo sia per sconfiggere la tratta degli esseri umani che un’immigrazione incontrollata ed incontrollabile e per dare ai paesi africani certezze di sviluppo senza doversi sottomettere alle nuove colonizzazioni di Russia e Cina.

    Senza Unione politica l’Europa non conterà all’interno della Nato né potrà essere elemento moderatore tra gli interessi delle super potenze, Stati Uniti, Cina, Russia che oggi si contendono il monopolio di larghe parti del mondo mentre l’India cresce e prima o poi non solo l’Asia ed il Medio Oriente vorranno avere maggiore peso.

    Possa quest’anno, nel giorno dell’Europa, concretizzarsi nei fatti, non nelle parole la promessa dell’Unione politica e se i governi non comprendono per logiche di parte siano i cittadini a tornare a far sentire la loro voce.

  • Variabili innumerevoli e imprevedibili

    Chi pensa di poter spiegare il comportamento di Trump definendolo un “pazzo”, criticandolo per la sua apparente impreparazione alla politica internazionale o accusandolo di essere “ondivago” nelle sue decisioni annunciate e poi modificate in poco tempo è del tutto fuori strada. Dimentica, chi lo fa, che Trump non ragiona come siamo abituati a veder fare dai politici ma è, e resta, un uomo d’affari (seppur con i fallimenti alle spalle) e ogni suo comportamento lo denota. Già nel suo primo mandato usò spesso i dazi come uno strumento per le negoziazioni e li modificò o li annullò a seconda delle convenienze. Per ottenere ciò che vuole alza continuamente la posta, finge di dimostrarsi disponibile a negoziare e poi rilancia. Il suo obiettivo è “spiazzare” gli interlocutori, disorientarli e poi, poiché parte dal presupposto di avere in mano le carte più forti vuole ottenere il massimo risultato possibile. I suoi modi sono quelli di un bullo ignorante e prepotente, ma anche mostrarsi così gli fa gioco. Col sembrare irragionevole e imprevedibile lui crede (e forse ha ragione) di obbligare gli altri sulla difensiva e di renderli più disponibili ad evitare il peggio per loro.

    Se con la sua tattica sembra fare passi in avanti e altri indietro, la sua strategia è abbastanza chiara e lui sa bene ciò a cui mira. Il suo (e il nostro) problema è che nella vita degli uomini e delle società umane le variabili sono sempre infinite e nemmeno il piano più elaborato e, sperabilmente, lungimirante offre tutte le garanzie di successo. Bastano, spesso, fatti imprevisti e non voluti a modificare ogni risultato auspicato. Negli scacchi le variabili sono tutte calcolabili e l’avversario è uno. In politica, e soprattutto nella politica internazionale, gli amici possono diventare nemici (e viceversa) e ogni piccolo sassolino può trasformarsi in valanga. Uno degli eventi che probabilmente non aveva previsto e che lo ha costretto a parzialmente correggersi strada facendo è stato il crollo di valore dei titoli del tesoro americani. È facile immaginare che rientrasse nei suoi piani il “periodo di grazia” riguardante i dazi doganali ma, forse, è stato costretto ad anticipare i tempi.

    Trump ha abbandonato le giustificazioni ideologiche dei suoi predecessori ma l’obiettivo, e cioè uno sguardo americano-centrico sul mondo, è rimasto lo stesso. Gli USA hanno sempre usato il classico liberismo e l’idea della democrazia come fondamenti ideologici utili ad espandere la loro influenza. È cambiato, tuttavia, il contorno: con l’emergere di nuove potenze economiche e politiche è definitivamente finito il progetto di un mondo unipolare con a capo gli Stati Uniti. Attualmente, l’America di Trump non è più interessata a propagandare la globalizzazione, l’autorità morale o risolvere i problemi del mondo. L’”America First” si focalizza sull’interesse nazionale aperto a trattative pragmatiche basate sull’interesse reciproco. Con realismo, ora cerca soltanto di ottenere il massimo beneficio da ogni interazione nell’economia, nella sicurezza, nella politica. Se trova ostacoli nel negoziare questi benefici è pronto a usare la forza, sia essa economica o politica, ben conscio di essere tuttora il Paese del mondo più ricco economicamente e più possente militarmente. Nei limiti del possibile Trump cercherà di evitare una qualunque guerra poiché la trova controproduttiva e distruttiva, ma ciò non significa che escluderà del tutto e per sempre anche questa opzione, almeno come minaccia.

    I suoi obiettivi economici sono di ridurre il debito pubblico e di rilanciare le capacità manifatturiere degli Stati Uniti andate diluendosi nel mondo globalizzato, quello da loro stessi costruito nel passato. Per ottenere questi risultati deve riuscire a modificare la bilancia commerciale oggi fortemente sfavorevole e i dazi sono un importante strumento di pressione. Chi attualmente vanta un saldo positivo verso gli Stati Uniti dovrà accettare di riequilibrare l’interscambio o ne pagherà le conseguenze. Naturalmente il livello delle tariffe doganali sarà tale da garantire l’equilibrio che Trump considera ottimale. Parallelamente, punterà a indebolire il dollaro, seppur con cautela, per rendere più costose le importazioni e più convenienti le esportazioni.

    Per quanto riguarda la sicurezza Trump è ben conscio che, paradossalmente, il bipolarismo precedente alla caduta dell’Unione Sovietica garantiva la pace molto di più dell’attuale semi-anarchia mondiale. Il punto d’arrivo cui mira ora potrebbe essere una nuova “Yalta” ma, per arrivarci da una posizione di forza, pensa di dover aver più carte in mano, in modo da poter dettare una buona parte delle future condizioni agli altri soggetti che si siederanno al tavolo. Rientra in questo calcolo la volontà di riprendere il controllo sulle principali vie di comunicazione (vedi Panama) e, conscio del ruolo futuro che giocherà l’Artico, poter mettere le mani sulla Groenlandia. Contemporaneamente, vuole garantirsi i confini a nord (Canada) e a sud (Messico) anche per controllare sia i commerci che le immigrazioni abusive. Non si creda che questa sua politica sia del tutto nuova: già nel 1867 Andrew Johnson comperò l’Alaska e avanzò l’ipotesi di farlo anche con la Groenlandia, così come nel 1803 la Louisiana fu comprata dalla Francia. Nel 1895 Grover Cleveland intervenne nella disputa di confini tra il Venezuela e la Guaiana sulla base della dottrina Monroe che dal 1890 aveva stabilito che tutto l’emisfero Occidentale fosse una “riserva” degli USA. Il segretario di Stato Richard Olney lo espresse in modo molto chiaro “Gli Stati Uniti sono praticamente sovrani su questo continente e il loro fiat è legge verso i soggetti cui si indirizzano”. Nel 1903 Theodor Roosevelt intervenne per garantire la secessione di Panama dalla Colombia in modo da garantirsi l’esclusività per la costruzione dell’istmo. Perfino Woodrow Wilson non rinunciò a intromettersi sulla sovranità altrui e nel 1915 mandò i marines a Haiti “per ristabilire l’ordine”, mentre nel 1916 inviò le truppe in Messico per catturare il “ribelle” Pancho Villa.  Si conoscono poi i numerosi interventi “intromissivi” americani in Guatemala, nella Repubblica Domenicana, in Cile, in El Salvador, in Nicaragua e a Grenada. La prima proposta alla Danimarca per la Groenlandia appartiene a Harry Truman che offrì ben 100 milioni in oro nel 1946. L’atteggiamento assertivo e prepotente di Trump è quindi una conferma della norma piuttosto che una rottura della tradizione.

    Oggi, a differenza dei recenti Presidenti che lo avevano preceduto, Trump ha capito essere soltanto la Cina, e non la Russia, il vero competitor del potere mondiale degli USA e quindi sta puntando ad un accordo diretto con Mosca non perché, come pensano alcuni superficiali, pensi di poter staccare la Russia dalla Cina, bensì perché attraverso l’accordo di Mosca si creino le premesse per la Yalta definitiva a cui punta.

    Evidentemente, in questa partita l’Europa non è che soltanto un piccolo pedone sia dal punto di vista politico sia militare e ci sarebbe da stupirsi del contrario, visto la incapacità di noi europei, dal dopoguerra ad oggi, di saper diventare un vero soggetto politico. Viene da sorridere sentire chi parla di una “difesa europea” che sarebbe sensata e possibile soltanto se l’Europa fosse capace (ma come potrebbe farlo con i politici che ci troviamo attualmente?) di trasformarsi in una Federazione di Stati. Chi farnetica di una “difesa” costruita esattamente come è la Nato dimentica che quest’ultima ha funzionato sempre e soltanto avendo un “capo in testa” che imponeva l’unanimità. Dovremmo noi oggi riconoscere questo ruolo ai francesi e/o ai britannici come auspicano Macron e Starmer? Dio ce ne scampi! Decisioni con il voto di maggioranza? Si potrebbe fare, come già avviene, per gli aspetti marginali ma non quando si tratta di politica estera o di difesa. Non è possibile nemmeno immaginare una Federazione europea composta da 27 Stati, magari addirittura con l’aggiunta della disastrata e disgraziata Ucraina! A parte che alcuni, vedi Polonia e i Baltici ad esempio, stanno già più con gli USA che con Bruxelles (salvo da quest’ultima incassare i generosi benefici economici), una futura, possibile e democratica Federazione dovrà partire dai Paesi che più pesano: Francia, Italia, Germania, Spagna, cui potranno eventualmente aggiungersi altri volenterosi con politici lungimiranti. È scontato che dell’Europa attuale Trump non se curi, salvo chiederle (imporle?) di pareggiare la bilancia commerciale e comprare più armi e prodotti agricoli geneticamente modificati (ogm).

    Nel suo intento di arrivare ad un primo accordo con la Russia è ben chiaro al tycoon che Mosca non arretrerà di un millimetro dai motivi che l’hanno spinta ad entrare in guerra. Tuttavia, visto che quelle in Ucraina è sempre stata una guerra per procura, accettare pari pari le condizioni russe significherebbe riconoscere la sconfitta degli Stati Uniti sul campo di battaglia ed è per evitare l’immagine negativa che ne scaturirebbe che Trump ha preso platealmente le distanze da Zelensky e chiede a Kiev di rimborsare, in qualche modo, gli aiuti ricevuti da Washington. In altre parole, deve disconoscere la paternità americana della situazione e porsi solo come terza parte. In più, in una ipotetica pace imporrà all’Ucraina di consentire a società americane di giocare la parte del leone nella futura ricostruzione. Con buona pace degli illusi europei. Un accordo con Putin, se le condizioni di Mosca saranno accettate, è possibilissimo e questo aprirà nel futuro non molto lontano (e proprio con l’intermediazione di Mosca) l’apertura di un tavolo economico-politico con Pechino. A quel tavolo dovranno poter sedere tutti e tre, Usa, Russia e Cina e saranno loro, insieme, a decidere come spartirsi le zone di influenza nel resto del mondo. Se si arriverà a questa fase, anche per vantare un maggiore potere negoziale Trump potrebbe coinvolgere anche l’India, storico nemico della Cina. Così il quadro sarà completo. Davanti ad un accordo tra tutti questi Grandi, il resto del mondo, compreso noi europei, non potrà che accettare e subire. Il vero rischio per Trump è che il suo atteggiamento così violento verso gli alleati tradizionali potrebbe creare le condizioni per costoro di cominciare a valutare le possibili alternative, magari guardando proprio alla Cina. Anche se una nuova Yalta farebbe comodo a tutti i Grandi, arrivarvi con una zona di influenza più ampia già acquisita farebbe comodo nel momento delle negoziazioni.

    Chi può affermare con assoluta certezza come andranno le cose nella realtà? All’inizio di questo articolo scrivevamo che le variabili sono così innumerevoli e imprevedibili che tutto potrebbe cambiare. Chissà se in meglio o in peggio per l’Europa.

  • Meloni: l’Europa si è un po’ persa

    “L’Europa si è un po’ persa da alcuni anni”, dice la Meloni, dimenticando di indicare le responsabilità di ciascuno, compreso il suo partito, che, prima andare al governo, sparava contro l’Europa inseguendo la Lega in una serie di dichiarazioni ed atteggiamenti completamente contrari a chi l’aveva preceduta, dal Msi di Almirante ad Alleanza Nazionale di Fini.

    La stessa Meloni, dichiarandosi contraria a togliere il voto all’unanimità che paralizza il Consiglio europeo impedisce decisioni tempestive e sopratutto l’avanzare di quella Unione politica e di difesa che è l’unica strada per garantire un futuro di libertà, ha, insieme ad Orban, una sua responsabilità oggettiva sullo stato attuale dell’Unione.

    L’Unione ha bisogno di rivedere i trattati, di capi di stato e di governo che abbiano una visione devono operare per dare all’Europa il peso politico che spetta a quattrocentoquarantotto milioni di cittadini che vogliono vivere in libertà, democrazia e sicurezza.

    Nel mondo l’avanzare di forme  di governo che, attraverso sistemi elettorali che negano il diritto e spesso anche la libertà di scelta degli elettori, sistemi autoritari o addirittura dittatoriali, la violazione di diritti e regole internazionali, come nel caso della feroce guerra di Putin contro l’Ucraina, dovrebbero convincere anche la Meloni  che non è certo il tempo di muovere critiche all’Europa senza fare proposte utili.

    Gli Stati Uniti sono, e speriamo restino, il grande alleato occidentale ma concordare con le posizioni di Trump e di Vance sull’Europa significa solo indebolire l’Unione di fronte alle trattative necessariamente imposte dalla decisione americana di aumentare i dazi e da un piano per il cessate il fuoco in Ucraina che palesemente non decolla e per il quale l’Europa avrebbe diritto di sedersi al tavolo delle discussioni.

    Non crediamo siano necessarie ulteriori parole per ribadire una volta di più che l’unica scelta, necessaria ed urgente, è che quegli stati pronti procedano, come fu fatto per l’euro, a dare vita all’Unione politica e di difesa, gli altri seguiranno quando vorranno e saranno pronti.

    Un’Europa a due velocità, un ‘Europa concentrica o un’Europa immobile, dipendente da scelte altrui e a continuo rischio?

    I mercati liberi sono garanzia contro i conflitti ma i mercati non saranno mai liberi senza regole comuni e senza una piena guida politica, la Presidente del Consiglio se ne faccia una ragione, non si è patrioti non pensando al futuro comune che va ben al di là degli obiettivi ideologici o dagli interessi di parte.

  • Nebbia fitta

    Ci sono notizie eccellenti: il Papa è tornato a casa, potremo ancora contare sulla sua profonda fede ed umanità, sul suo inarrestabile impegno per la giustizia, per la pace, sulla sua dedizione per tutti coloro che hanno bisogno di ritrovare rispetto e dignità

    Ci sono notizie pessime, e sono sempre troppe, tra queste le dichiarazioni dell’amico personale di Trump, Steve Witkoff che ha completamente, ad oggi, sposato le tesi e le menzogne di Putin per l’Ucraina.

    Il presidente americano continua a sostenere che la pace è vicina, partendo da un accordo per il cessate il fuoco mentre, invece, si sono intensificati gli attacchi di Mosca alle zone residenziali ed alle strutture ucraine, e Witkoff dà per scontato che le zone occupate debbano rimanere russe.

    L’inviato speciale di Trump vede già nuove elezioni per sostituire il presidente Zelensky con persona più vicina e gradita allo zar e ovviamente ignora i crimini di guerra commessi da Putin e la deportazione di migliaia di bambini ucraini dei quali si sono perse le tracce.

    Se ci fermiamo a pensare un attimo a questi uomini d’affari, grandi imprenditori e giocatori di golf, che possono disporre del futuro di milioni di persone, forse anche dello stesso pianeta, quando per i loro interessi si mettono d’accordo, l’ira e lo sconforto si assommano

    Sempre più avanzano in varie parti del mondo sistemi autoritari che defenestrano la democrazia in nome di gruppi oligarchici o di dittatori che hanno anche la presunzione di farsi eleggere con la forza e la paura, quanto sta avvenendo in Turchia aumenta le preoccupazioni anche per le conseguenze che ne scaturiranno per l’Ucraina e per l’Europa.

    Volenti o nolenti, consapevoli o indifferenti, inetti o conniventi, abbiamo mondializzato il sopruso e la violenza politica, il diritto di alcuni di sopprimere i legittimi diritti di tutti gli altri, la manipolazione della realtà per trasformarla in verità di parte.

    In questo quadro sempre più allarmante vediamo un’Europa ancora incapace, salvo singoli tentativi, di raddrizzarsi e concludere quel processo di Unione politica tanto annunciato e mai realizzato con la conseguenza, al di là delle dichiarazioni, di diventare ogni giorno meno determinante o per meglio dire ininfluente.

    La guerra è in Europa ma al tavolo delle trattative l’Europa non c’è, Trump la tiene inchiodata a discettare sui dazi, disposto anche a far soffrire il popolo americano pur di eliminarla dalla politica internazionale.

    Sembra ormai che una nebbia fitta avvolga la mente di chi dovrebbe saper analizzare gli eventi nei loro molteplici risvolti e ciascuno, teso a difendere, malamente, i propri interessi di parte contribuisce a lasciarci scivolare nella palude, Italia docet.

  • L’amministratore delegato di una società produttrice di gelati “espulso per attivismo politico”

    Si può fare politica, e litigare, anche con un gelato. Accade negli stati Uniti dove Ben & Jerry’s, casa produttrice di gelati acquisita nel 2000 da Unliver, ha affermato che il suo amministratore delegato, David Stever, è stato rimosso proprio da Unilever a causa dell’attivismo politico di Ben & Jerry’s. La casa madre aveva chiesto ai produttori di gelato di smettere di criticare pubblicamente il presidente Donald Trump.

    Ben & Jerry’s è nota per aver preso una posizione pubblica su questioni sociali sin dalla sua fondazione nel 1978 da Ben Cohen e Jerry Greenfield. Ha spesso sostenuto campagne su temi come i diritti LGBTQ+ e il cambiamento climatico.

    Il produttore di gelati è stato acquistato da Unilever nel 2000 tramite un accordo di fusione che ha creato un consiglio indipendente incaricato di proteggere i valori e la missione del marchio di gelati. Ma Unilever e Ben & Jerry’s sono in disaccordo da un po’. Il loro rapporto si è inasprito nel 2021 quando Ben & Jerry’s ha annunciato che avrebbe interrotto le vendite in Cisgiordania. La disputa si è intensificata nell’ultimo anno quando Ben & Jerry’s ha sostenuto un cessate il fuoco a Gaza. A novembre la società di gelati ha intentato una causa affermando che Unilever aveva cercato di impedirle di esprimere sostegno ai rifugiati palestinesi e circa un mese fa, in un altro atto giudiziario, Ben & Jerry’s ha affermato che Unilever aveva cercato di impedirle di criticare pubblicamente Donald Trump.

    La documentazione depositata in tribunale da Ben and Jerry’s afferma che la decisione di estromettere Stever, nella società di gelati sin dal 1088, è stata presa senza alcuna consultazione, come richiesto dall’accordo di fusione tra le due società.

  • Baci e abbracci

    Negli ultimi anni, mentre sono sempre più evidenti le incapacità che abbiamo a relazionarci anche con chi è seduto al nostro stesso tavolo ed aumentano i contatti virtuali e solo virtuali, sono diventati ormai un rituale obbligato i baci e gli abbracci negli inviti tra i leader politici, compresi i capi di Stato e di governo.

    Se anche non si sono mai visti prima i baci e il prolungato, più o meno, abbraccio tocca a tutti come fossero amici di lunga data, il più alto chinato per raggiungere il più piccolo a suo volta proiettato verso l’alto.

    Poi magari discuteranno, litigheranno ma alla fine si risaluteranno nuovamente con baci ed abbracci salvo poi fare dichiarazioni reciprocamente critiche alla stampa.

    In comune, al di là di eventuali simili appartenenze partitiche e sempre comunque divisi dai reciproci interessi nazionali, hanno solo la permanenza, per altro provvisoria, salvo i casi alla Putin e soci, al governo, al potere, solo i regnanti sembrano salvarsi da questo stucchevole rito dei baci ed abbracci, i mussulmani si abbracciano tra di loro, quando non sono occupati in guerre religiose.

    Così abbracciandosi tutti, senza distinguo di situazioni particolari, come potrebbero essere gli incontri in situazioni drammatiche in Ucraina, o particolarmente festose, e da molto tali occasioni mancano, gli abbracci ed i baci perdono qualunque valore e messaggio simbolico e diventano uno sterile rito.

    Forse pensano di dare ai cittadini che li guardano la sensazione di un clima pacifico e sereno, ma i cittadini poi vedono i fatti e, come accade per l’Unione Europea, capiscono bene che gli abbracci sono molti ma i fatti concreti, per realizzare l’Europa unita o politiche che si occupino concretamente dei problemi sociali ed economici, non ci sono.

    Non sembra ma i cittadini capiscono che i fatti non si fanno con baci ed abbracci ma incontrandosi in giusti compromessi a favore di tutti, sì i cittadini capiscono e perciò non votano più.

  • Sentenza della Corte di Cassazione

    Tutti sappiamo, o almeno ne abbiamo sentito parlare, della saggezza di re Salomone. Costui dovendo decidere, tra due donne che ne rivendicavano entrambe la maternità, a chi affidare un bambino, propose di tagliare l’infante a metà affinché tutti fossero soddisfatti. Naturalmente la vera madre dichiarò di preferire rinunciare al figlio piuttosto che causarne la morte. Così per Salomone fu evidente da che parte stesse la verità.

    La logica che l’antico sovrano applicò fu quella che noi oggi definiamo “intelligenza parallela” e cioè, anziché ricercare una soluzione tra leggi, codici e codicilli usò il semplice buonsenso e la vera intelligenza.

    La questione sembra porsi come esempio anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione che ha deciso che lo stato paghi un indennizzo ai migranti trattenuti per otto giorni su di una nave soccorso prima che questa ottenesse il permesso di attraccare ad un porto italiano.  Non vorrei qui, né potrei discutere nel merito strettamente giuridico della cosa, anche perché non sono a conoscenza dei dettagli della sentenza. Ciò che mi permetto, invece, di affermare è che, giuridicamente giusta o sbagliata quella sentenza, è ben difficile farla collimare con il buon senso e, a mio giudizio, con il senso ultimo della giustizia.

    Qualcuno ha recentemente ipotizzato che grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale anche la funzione dei giudici potrebbe diventare superflua: poiché tutte le leggi sono già scritte sembrerebbe sufficiente affidare il compito di emettere sentenze ad un computer che sicuramente (?) non sbaglierebbe.

    In realtà, un computer può pure essere dotato di una inarrivabile intelligenza logica ma mai, poiché non gli sarebbe possibile, potrebbe utilizzare anche il buon senso.

    Nel caso del processo in questione credo che proprio il buon senso e una intelligenza non aritmetica ci consiglierebbe di considerare anche questi fattori:

    1 – gli emigranti in questione non erano, a stretto rigore, dei naufraghi e le loro vite non erano più in pericolo. Infatti, la nave soccorritrice aveva già provveduto a salvarli e rifocillarli. Nel momento in cui si trovavano su quella nave essi erano solamente delle persone qualunque che cercavano di entrare, senza averne ottenuto preventivamente il permesso, in un Paese straniero che non li aveva richiesti né desiderava la loro presenza.

    2 – Il vero e proprio naufragio avvenne nelle acque libiche e tutte le persone in pericolo furono salvate da un rimorchiatore, il Vos Thalassa. Ricevuto quest’ultimo l’ordine delle autorità libiche di sbarcare in un loro porto nacque una ribellione violenta a bordo, cosa che costrinse il comandante a richiedere l’aiuto della nave italiana Diciotti. Quest’ultima dovette attraversare la zona di mare di competenza maltese e chiese l’autorizzazione allo sbarco in un loro porto, sicuramente “sicuro”. Tuttavia, le autorità dell’isola rifiutarono di lasciare attraccare la nave che si indirizzò così verso l’Italia. Il ministro Salvini autorizzò lo sbarco solo a condizione che i violenti fossero sottoposti a un processo ma la sua richiesta fu rifiutata.  I minori, e altre cinque persone considerate a rischio per la loro salute furono allora autorizzate a sbarcare e il comandante della nave fu invitato dalle autorità italiane competenti ad indirizzarsi verso altra destinazione sicura. Durante i sei giorni che, disubbidendo all’invito, il comandante rimase fermo in porto, la nave avrebbe potuto raggiungere qualunque altro porto del Mediterraneo, magari più volenteroso di accoglierli.

    3 – L’allora Ministro degli Interni venne subito iscritto nel registro degli indagati per il reato di sequestro aggravato di persona insieme a Matteo Piantedosi, all’epoca suo capo di Gabinetto. Il fascicolo venne poi trasferito al Tribunale dei ministri, che però ne chiese l’archiviazione. Il tribunale ordinario tuttavia non accolse la richiesta trasmettendo l’incartamento al Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro. A febbraio 2019, la giunta per le autorizzazioni – con i voti della maggioranza Lega-M5S – respinse la richiesta bloccando di fatto l’iter giudiziario. Oggi, invece, la decisione della Cassazione di accogliere il ricorso di 41 migranti e concedere il risarcimento danni (stimato da 42.000 a 72.000 euro a persona). Se è pur vero che la magistratura resta indipendente dagli altri poteri istituzionali, è altrettanto vero che scelte strettamente politiche non dovrebbero essere sindacate dai magistrati, salvo che dalla Corte Costituzionale.

    3 – il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa è indubbiamente un fenomeno epocale ma è chiaro a tutti che immigrazioni incontrollate e abusive sono foriere di forti disagi, se non peggio, per le popolazioni autoctone. È quindi facilmente intuibile il perché la maggioranza dei popoli europei cerchi di scoraggiarle. La scelta del governo italiano di impedire o almeno ritardare l’attracco di una nave con migranti clandestini a bordo fu una scelta politica con finalità deterrente. Tra l’altro, una scelta condivisa dalla stragrande maggioranza dei cittadini che, a suo tempo, avevano scelto i politici autori di quelle scelte.

    4 – Come ha correttamente detto la Presidente del Consiglio Meloni una sentenza come quella recentemente emessa dalla Cassazione costituisce un precedente che potrebbe portare migliaia di altri immigrati clandestini ad avanzare la stessa richiesta di indennizzo causando così un pesante potenziale grave vulnus ai bilanci dello Stato. Non va sottovalutato l’effetto di incoraggiamento che tale sentenza potrebbe costituire per altri milioni di persone che ambirebbero ad entrare in Italia, e quindi in Europa, senza averne alcun titolo o diritto.

    Non sono un giurista e quindi, come già detto, non intendo entrare nel merito legale ma se l’avvenimento riguardante Salomone, mito o realtà che fosse, un insegnamento doveva darci, sembra proprio che i giudici della Corte di Cassazione non ne abbiano tenuto conto.

    Purtroppo, mi nasce uno spiacevole sospetto: che la scelta fatta da quei magistrati rientri nel filone della guerra che il potere giudiziario ha intrapreso contro quello politico per la decisione di quest’ultimo (a mio avviso necessaria) di separare le carriere dei magistrati giudici da quelli inquirenti.

  • Ci siamo sbagliati?

    E se fosse quello espresso, in varie forme, da Trump il sentimento più profondo degli Stati Uniti? Non sono forse stati sterminati gli indiani? Ed i pochi sopravvissuti non vivono certo in condizioni ideali, derubati delle ricchezze delle loro terre, visti come una minoranza da sopportare, loro che erano i nativi americani.

    E nelle sterminate terre da conquistare all’agricoltura ed all’allevamento non è spesso accaduto che gli allevatori facessero guerra ai contadini e ci fossero violenze di ogni genere?

    La violenza, fisica e verbale, non è una novità e anche ogni progresso porta in se violenze, ingiustizie, prevaricazioni, nonostante tutti i passi avanti della scienza la legge del più forte prevale ancora.

    C’era però un tempo, o almeno così era sembrato a noi, che dall’America venivano messaggi positivi, nei film il cattivo soccombeva al buono, la giustizia trionfava, ciascuno poteva coltivare speranze sotto la Statua della Libertà.

    Ci siamo sbagliati? Forse sì perché è impossibile che un uomo, con tutte le caratteristiche di Trump, abbia potuto tornare nella Stanza Ovale, nonostante i processi e gli scandali, senza il consenso della gente e se è stato votato vuol dire che rappresenta almeno una buona parte dello spirito americano.

    Prima della campagna elettorale in molti ci eravamo chiesti come era possibile che una grande nazione come gli Stati Uniti avesse candidate per la presidenza solo due figure come Trump e Biden, l’uno che con le sue urla e atteggiamenti da bullo, l’altro ormai visibilmente troppo anziano e provato nella salute.

    È sbagliato il sistema elettorale? A nostro avviso sì, quando per esercitare il diritto al voto bisogna iscriversi alle liste elettorali è già un passaggio che lede la democrazia diretta.

    Ricordo come, durante la prima presidenza Trump, amici irlandesi, abituati per anni ad andare negli Stati Uniti ad incontrare parenti e a fermarsi per un certo tempo, ci avevano detto di non riconoscere più l’America, non si poteva commentare nulla, si sentiva che le persone avevano paura ad esprimersi liberamente, decisero di rinunciare ad andare in un mondo dove si stava perdendo il senso della spontaneità, della stessa libertà.

    Guardando le esibizioni di Musk e di Trump, i cappellini, i saltelli, le motoseghe, prende un profondo senso di repulsione e di scoramento, tutto è ormai uno spettacolo, un alzare l’asticella della provocazione, uno sminuire gli altri, un volersi accreditare con i peggiori del mondo, un tessere ricatti.

    Un po’ di responsabilità l’Europa l’ha certamente, nelle colonie inglesi e francesi furono mandate, in gran parte, persone che l’Europa non voleva in patria e oggi forse Trump cerca una rivincita?

    Nel nuovo ordine mondiale che Trump, Musk, Putin e Xi-Jinping stanno programmando spetta a noi europei decidere cosa vogliamo fare, restare vassalli o tornare ad essere il fulcro della democrazia e questa scelta passa anche dal futuro dell’Ucraina e dalla speranza che la maggior parte degli abitanti degli Stati Uniti non la pensino come Trump.

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