Politica

  • Alla vigilia dell’8 marzo dall’UE il grido dall’allarme sull’ancora difficile equilibrio di genere

    “Il 2024 è un anno storico sul piano elettorale: in tutto il mondo oltre 4 miliardi di persone saranno invitate a esprimere il loro voto, tra cui oltre 400 milioni di cittadini e cittadine dell’UE che voteranno alle elezioni del Parlamento europeo a giugno. In occasione di questa Giornata internazionale della donna riconosciamo il coraggioso attivismo delle suffragette europee che si sono battute per il diritto di voto quando questo era il privilegio degli uomini, e di tutte le donne, in tutta la loro diversità, che contribuiscono a plasmare una società più equa e paritaria”. E’ quanto affermano, in una dichiarazione congiunta, in occasione della Giornata internazionale della donna, la Commissione europea e l’Alto rappresentante/Vicepresidente. Il tema generale del 2024 è “Ispirare l’inclusione”, in linea con il tema di quest’anno delle Nazioni Unite, “Investire nelle donne: accelerare il progresso”. Purtroppo, come dalla Commissione sottolineano, la percentuale di donne nel mondo politico è però ancora lontana dall’essere rappresentativa delle nostre diverse società, con appena il 33% delle rappresentati nelle camere uniche o basse dei parlamenti negli Stati membri dell’UE e del 26,5% a livello mondiale.

    Nel 2023 solo sei Stati membri avevano raggiunto un equilibrio di genere superiore al 40% tra i loro parlamentari, mentre in sette Stati membri le donne parlamentari erano meno del 25%. Al Parlamento europeo si è prossimi a un equilibrio di genere di 40% di donne e 60% di uomini. A gennaio 2024 solo cinque Stati membri su 27 avevano capi di Stato di sesso femminile. A livello mondiale le donne detengono appena il 26,7% dei seggi parlamentari, il 35,5% dei seggi delle amministrazioni locali e solo il 28,2% delle posizioni dirigenziali sul luogo di lavoro. Se l’attuale lentezza dei cambiamenti persiste, entro il 2050 la percentuale di donne in posizione dirigenziale sul luogo di lavoro raggiungerà solo il 30%.

    E in molte parti del mondo le donne non possono ancora partecipare alla vita pubblica e in alcuni contesti sono completamente escluse dal processo decisionale e dallo spazio pubblico. “In tutte le società le donne continuano a subire discriminazioni e sono più esposte al rischio di violenza online e offline. Questo fatto è particolarmente grave per le donne in politica, le giornaliste e le attiviste, in particolare quelle che si battono per la difesa dei diritti umani. In quest’anno di elezioni incoraggiamo ovunque tutte le donne, anche le giovani, a esercitare il loro diritto di voto, rivendicare il loro spazio nella società e sentirsi in grado di partecipare alla vita politica”, dichiarano da Bruxelles.

    La Commissione ha appena pubblicato la relazione 2024 sulla parità di genere nell’UE, che offre una panoramica dei progressi compiuti nell’attuazione della strategia per la parità di genere 2020-2025. La maggior parte delle azioni previste dalla strategia è già stata realizzata. La prima Commissione guidata da una donna e composta da un collegio dei commissari equilibrato sotto il profilo del genere e la prima Commissaria per l’Uguaglianza sono riuscite a porre la parità di genere al centro dell’agenda dell’UE. La Commissione ha inoltre conseguito progressi sostenibili, raggiungendo un equilibrio di genere a tutti i livelli dirigenziali. Al 1º marzo 2024 il 48,5 % di tutte le posizioni dirigenziali in seno alla Commissione è occupato da donne.

    La svolta più recente è l’accordo politico raggiunto il 6 febbraio 2024 tra il Parlamento europeo e il Consiglio sulla proposta della Commissione di direttiva sulla lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica. Questa direttiva è il primo strumento giuridico completo a livello dell’UE per contrastare la violenza contro le donne, ancora troppo dilagante. La direttiva configura come reato in tutta l’UE determinate forme di violenza contro le donne, commesse sia offline che online. Le mutilazioni genitali femminili e i matrimoni forzati costituiranno reati a sé stanti. Costituiranno reato anche le forme più diffuse di violenza online, tra cui la condivisione non consensuale di immagini intime (compresi i deepfake), lo stalking online, le molestie online, l’incitamento all’odio misogino e il “cyber-flashing”. La direttiva prevede inoltre misure esaustive per la protezione delle vittime, l’accesso alla giustizia e il sostegno, quali case rifugio, centri anti-stupro e linee di assistenza telefonica. Le vittime di tutte le forme di violenza contro le donne che configurano reato a livello nazionale potranno beneficiare di tali misure.

  • L’Autonomia Differenziata legalizza la discriminazione territoriale degli italiani

    E’ giunto il momento di dire basta alle manipolazioni e alle bugie, alla luce del testo del Senato sull’Autonomia Differenziata, che si presenta perfino peggiorata rispetto al disegno di legge iniziale.

    In primo luogo che fine hanno fatto gli emendamenti di FdI che “avrebbero migliorato la legge Calderoli e confermato il diritto alla parità sui LEP?” Spariti, nelle parti che avrebbero dovuto garantire LEP uguali per tutti, mentre rimangono solo le affermazioni di pura propaganda, prive di contenuti reali.

    In realtà la riforma è stata incredibilmente peggiorata nelle parti che penalizzeranno il Sud, ma farà pagare un prezzo altissimo anche al Nord.

    Per raggiungere l’obiettivo della “scissione dei ricchi” e consentire alle Regioni sottoscrittrici delle Intese di tenersi le risorse erariali nel proprio territorio, Calderoli ha creato il sistema dei “due binari a velocità differenziata”, che sono il vero strumento con cui si sancisce con legge dello Stato la discriminazione dei diritti degli Italiani del Sud, e non solo.

    Infatti, premesso che non è mai stata prevista alcuna uguaglianza dei cittadini sui LEP, anche perché non ci sarebbe mai stata la disponibilità finanziaria per garantirli, quantificata in non meno di 80-100 miliardi l’anno, la discriminazione che crea i Paria nel nostro Paese è nella modalità mortificante con cui il Disegno di legge stabilisce, in base alla ricchezza, i “due binari a velocità differenziata”. E quindi, con il “binario dell’Alta velocità”, garantire il conseguente diritto delle Regioni sottoscrittrici delle Intese di gestire da subito ed in totale autonomia, nonché rinnovare ogni anno, i LEP; mentre, con il “binario dei treni regionali”, le altre Regioni non sottoscrittrici delle Intese saranno condannate a ben altre tempistiche e, soprattutto per lungo tempo, e forse per sempre, alla spesa storica.

    Ma come funziona il sistema dei “due binari a velocità differenziata”? Semplice, le regioni firmatarie delle Intese, appena definita la procedura e pubblicati i disegni di legge di approvazione delle Intese, da subito, grazie al combinato disposto degli articoli 3, 5 e 8 del disegno di legge, potranno definire i propri LEP e operare il loro assalto alla diligenza delle risorse erariali dello Stato. E potranno aumentarne il valore, modificarli e inserire nuovi LEP con cadenza annuale. Questo, come è noto, provocherà la riduzione delle risorse erariali statali e, quindi, la fine di ogni principio di solidarietà e di perequazione, in pratica la fine dell’Unità Nazionale. Come un ritorno al passato, all’Italia preunitaria. Le altre Regioni, non sottoscrittrici delle Intese, invece dovranno attendere l’adozione dei decreti legislativi, quindi 24 mesi dall’approvazione della riforma, e cioè verso marzo-aprile 2026, e che saranno basati sulla Spesa Storica dei costi e fabbisogni Standard, mentre le regioni ricche avranno aumentato i loro LEP già per due anni consecutivi. Ma non finisce qui, perché l’aggiornamento dei costi e fabbisogni standard, per le regioni non sottoscrittrici delle Intese, è previsto a cadenza triennale e a condizione che prima o contemporaneamente alla emissione dei decreti DPCM siano stati emessi i decreti di stanziamento delle risorse per consentire tali aggiornamenti. Il che vuol dire che, se non ci saranno tali disponibilità finanziarie (cosa del tutto probabile), non ci sarà neanche l’aggiornamento. Un po’ come, parafrasando i condannati all’ergastolo, “fine attesa mai”. Ma ciò che in assoluto appare indecente è la inaccettabile disparità tra Regioni che avranno tutto con cadenza annuale, a differenza di decine di milioni di italiani, non solo del Sud, che dopo i 24 mesi iniziali, dovranno attendere almeno altri tre anni, e cioè non prima di marzo-aprile del 2029, l’aggiornamento dei LEP, ma solo se a quella data ci saranno anche le necessarie risorse a copertura dei costi di aggiornamento. Questa non è una riforma, ma una condanna alla marginalizzazione di quasi la metà della popolazione italiana, che non può e non deve subire questa mortificazione.

    Se a ciò si aggiunge che tale riforma ha almeno dieci violazioni della Costituzione, prima fra tutti l’abolizione del Fondo di Perequazione imposto dall’Articolo 119, terzo comma della Costituzione, e che non risulta dimostrata la copertura finanziaria del provvedimento, come evidenziato nel dossier della Camera, si ha evidente l’impossibilità di approvare una norma che non si comprende e, alla luce di tali carenze, come possa essere stata approvata dal Senato. L’approvazione di questa riforma in pratica, nel violare svariati principi costituzionali, contabili, etici e di ragionevolezza oltre che di doverosa e umana solidarietà, sarebbe la prima norma di legge della Repubblica italiana a sancire legalmente il principio della discriminazione su base territoriale dei cittadini italiani, e questo sarebbe un reato da Corte Internazionale di Giustizia. In ogni caso appare evidente che nessun parlamentare eletto nelle Regioni non sottoscrittrici delle Intese, di qualsiasi componente politica, può ignorare tali gravissime penalizzazioni dei diritti costituzionali dei cittadini del Sud, e non solo, e quindi operare con doverosa coscienza nel rispetto dei suoi doveri costituzionali, di rappresentanza e difesa dei cittadini italiani e dei territori a rischio di gravissima discriminazione dei loro diritti Costituzionali.

  • L’Occidente seduto sul bordo del precipizio?

    Ormai siamo abituati a tutto, guerre, massacri, satanismi, violenti di ogni età, ordine e grado, che ammazzano e violentano donne, distruggono scuole, picchiano i professori, sproloquiano sui social, devastano gli stadi e mettono a testa in giù il Presidente del Consiglio o qualche altro avversario.

    Siamo abituati alle leggi presentate, ritirate, non applicate, alle carceri strapiene, alle cure mediche rimandate di mesi per la mancanza di personale sanitario o per l’incapacità di gestirlo e di fare funzionare i macchinari, ai cavalcavia pericolanti e non sistemati, alle esondazioni dei fiumi, per altro mai ripuliti nei lunghi momenti di siccità.

    Siamo abituati a tutto ma che la più grande potenza occidentale, gli Stati Uniti, abbia un ex presidente che aspira a tornare alla Casa Bianca, anche se pieno di processi e primo attore di vari scandali, il quale, in un comizio elettorale e con dichiarazioni varie, di fatto afferma che lascerebbe carta bianca a Putin per fare quello che gli pare, minacciando anche di uscire dalla Nato e che l’America non si dovrà occupare se uno dei suoi alleati europei sarà invaso credo sia un drammatico segnale dell’abisso sul quale è seduto l’Occidente.

    Quando un leader politico non è in grado di comprendere la gravità delle sue affermazioni, per i risvolti interni ed esterni, ed anzi si compiace di alzare i toni e la violenza del linguaggio fino al parossismo, o c’è modo di intervenire per riportarlo alla ragione o bisogna bandirlo dalla vita pubblica.

    Tutti sappiamo come migliaia, purtroppo milioni di persone possono essere contagiate proprio dal machismo esasperato dei capi popolo che, alla caccia esasperata di voti, non realizzano che il loro esempio porta a conseguenze molto pericolose.

    Vale per gli Stati Uniti come per l’Italia, Giorgio Pisanò scrisse un importante libro sul primo dopoguerra in Italia “Sangue chiama sangue”, e ormai dovremmo sapere che violenza verbale chiama violenza anche fisica così, vale per tutti, se i toni non tornano ad un civile confronto la responsabilità peserà su coloro che hanno dato il cattivo esempio.

  • Camero delle Deputate

    E’ veramente singolare che alcune forze politiche e sociali continuano a negare che il nome di categorie, di persone e di luoghi, è un genere neutro e non riguarda il sesso femminile o maschile.

    Mentre i conflitti generano ogni genere di crudeltà in varie parti del mondo e la povertà affligge decine di milioni di persone il Pd presenta una proposta di legge costituzionale per modificare il nome di Montecitorio, non più Camera dei Deputati ma Camera delle Deputate e dei Deputati.

    A parte la necessaria prova di intelligenza che dovrebbe essere chiesta prima di mettere le persone in lista, e questo vale per tutti non solo per il Pd, il senso del ridicolo e dell’opportunità non fanno certo parte del periodo Elly Schlein.

    Forse qualcuno prima o poi farà una nuova proposta per Montecitorio e cioè di cambiare da Camera dei Deputati a Camero delle Deputate, tanto se cambiando il numero degli addendi il risultato non cambia, anche cambiare nome non fa diventare più intelligente, capace, presente od opportuno chi non lo è.

  • L’anno delle elezioni mondiali e il futuro dell’Unione europea. Prospettive geopolitiche per il 2024

    Riprendiamo da ‘QN Il Giorno’ del 2 febbraio 2024 l’articolo di Achille Colombo Clerici che ripubblichiamo

    Duemilaventiquattro, anno di elezioni nel mondo che coinvolgeranno oltre due miliardi e 600 milioni di persone. Si comincia in giugno con il voto per il rinnovo del Parlamento dell’Unione Europea; seguiranno India, Stati Uniti, Russia, Indonesia. Nel nostro pianeta di reti sociali, politiche, commerciali e diplomatiche intessute tra loro senza interruzione, le decisioni degli uni influenzeranno più che mai quelle degli altri. Non ci saranno isole.

    Ce lo ricorda Riccardo Pennisi, analista politico e collaboratore di Aspenia, il quale, citando Il politologo Robert Kaplan, parla di una vendetta, o di una rivincita, contro chi ha creduto che la digitalizzazione, le reti sociali, le nuove tecnologie rendessero la realtà sociale omogenea, o le condizioni fisiche ininfluenti. Il peso della geografia sta tornando preponderante sulle spalle di chi si era cullato nei miti di autosufficienza, isolamento e superiorità.

    In Europa c’è, ad esempio, la questione dell’allargamento ad Ucraina, Serbia, Balcani, estendendovi le garanzie di stato di diritto, difesa comune e integrazione economica, come vorrebbe la geopolitica. Ma forse ci si dovrebbe chiedere se l’Unione Europea può allargarsi ancora. Zoppica infatti il consenso delle opinioni pubbliche, in molti anzi ritengono che sia già troppo larga…

    Intanto si è eroso anche l’altro pilastro di quasi tutti i sistemi politici europei, cioè la solida presenza di partiti che vedessero la società secondo linee di ispirazione cristiano-democratica, rimpiazzati da altri che ne accettano una visione gerarchica e diseguale. La legge sull’immigrazione adottata dalla maggioranza macroniana nel parlamento francese, con il consenso entusiasta di Marine Le Pen, è solo l’ultimo di una serie di casi che testimoniano la tendenza al ripristino di un sistema di frontiere rigido e selettivo.

    L’area subsahariana sta prendendo sempre più le forme di un “opposto” per l’Europa, area decisiva per i flussi migratori, per la fornitura di energia, per la presenza di risorse naturali strategiche. Ma sulla quale l’Unione non ha più quasi alcuna presa, né culturale né politico-diplomatica, sostituita spesso dall’ingresso di attori internazionali politici, economici, militari alternativi, legati alla Russia, al Golfo Persico e alla Cina.

  • Il turismo questo sconosciuto

    Durante tutto il 2023 non è passato giorno nel quale ministri, governatori delle regioni assieme agli stessi sindaci non avessero esaltato le performance dell’economia turistica.

    Tutte le affermazioni e gli ipotetici successi vantati tanto dai rappresentanti istituzionali quanto dagli operatori del settore del mondo del turismo italiano risultano, invece, viziate da un banale opportunismo politico.

    Rispetto ai nostri diretti concorrenti nel mondo dell’economia turistica l’Italia ha perso tra il -5/-6% (fonte WSJ) in termini generali, mentre i dati aggiornati relativi ai pernottamenti nel mese di luglio 2023 segnano una flessione del -15,3% con poco più di 64 milioni rispetto al 2019 nel quale segnarono oltre 74 milioni.

    In altre parole, oltre alla mistificazione dei dati oggettivi la complessa economia turistica italiana ha perso in competitività ed attrattività rispetto ai concorrenti europei, in particolare Grecia, Francia e Spagna.

    Paradossale poi che molti analisi individuino una delle cause di questa flessione nella ricerca della centralità di una offerta legata “al lusso” che ha per contro assicurato un pessimo ritorno di immagine con i lettini venduti nel Salento a 1000 euro.

    Questi impietosi dati vengono, poi, confermati anche per la stagione invernale, come riportato da demoskopika.it, che ha rilevato una contrazione del -6,7% degli arrivi e dei turisti stranieri ed una flessione della spesa del -7,1%.

    In questo contesto di numeri importanti ma al tempo stesso incontestabili sarebbe opportuno ripensare le strategie che sembrano alla base dell’economia turistica italiana, partendo dal semplice presupposto che l’Italia rappresenti un unicum nel mondo e quindi meriti la elaborazione di strategie turistiche uniche.

    Risulta evidente come la scelta verso un banale turismo di lusso indicata tanto per tanto per Cortina d’Ampezzo (si pensi alla questione dell’aeroporto di Fiames) quanto per Venezia, che si vorrebbe trasformare in una piccola Montecarlo (dimenticando il vantaggio fiscale del Principato), rappresenti un approccio banale ed espressione di incompetenza, oltre che essere inapplicabile ed assolutamente deleteria per il settore turistico in generale, come i dati hanno confermato.

    Il turismo rappresenta sicuramente una fonte importante di sviluppo economico dell’economia italiana, ma contemporaneamente assicura una bassa concentrazione di manodopera per milione di fatturato e con qualifiche professionali più basse rispetto al mondo manifatturiero.

    Al contrario, basti pensare come la Gran Bretagna stia raggiungendo un livello di economia manifatturiera molto simile a quella degli anni settanta/ottanta grazie ad una strategia adottata degli anni passati dal primo ministro Cameron (2010/16).

    L’unicità dell’offerta turistica italiana dovrebbe indurre al ricorso di strategie che non si limitino ad adottare modelli a noi lontani ma ad un approccio diverso rispetto ad ogni altra parte del mondo in forza proprio della sua specificità.

    I numeri dimostrano come fino ad ora il turismo non sia ancora stato compreso nella sua articolata espressione e rimanga un settore sconosciuto soprattutto a quelle figure istituzionali che si vantano di inesistenti successi.

  • La ratifica del Mes e la specificità italiana

    Al di là delle solite schermaglie politiche che caratterizzano il panorama italiano ed abbastanza avvilenti, la vicenda legata alla ratifica del Mes sta raggiungendo dei contorni imbarazzanti.

    L’opposizione preme per la firma del Mes il quale viene usato solo ed esclusivamente come strumento politico di contrasto al governo, dimenticando come il governo Draghi non l’avesse ratificato. Il governo in carica dimostra rara indecisione e tentennamenti in relazione alle strategie da adottare, ventilando una possibile ratifica in cambio di qualche concessione “decimale” relativa al deficit e probabilmente anche al debito pubblico.

    Pur essendo diretto dai 19 Ministri delle Finanze, il Mes viene gestito da una Commissione alla quale accedono persone “di competenze internazionali” che usufruiscono inoltre di uno scudo penale e civile in relazione alle proprie operatività.

    In altre parole, la “commissione tecnica” rappresenta una sorta di organo con una extraterritorialità decisionale e, di conseguenza, può imporre, qualora lo ritenga necessario, in rapporto all’andamento della finanza internazionale, anche delle ristrutturazione dei debiti pubblici per i paesi che hanno sottoscritto il trattato.

    La logica conseguenza è rappresentata dal cambiamento della natura stessa del debito pubblico e del deficit, i quali da indicatori finanziari di sostenibilità economica della politica adottata da un Paese membro si trasformano in semplici fattori finanziari e, di conseguenza, soggetti ad una valutazione di mercato immediata. Entrambi, quindi, escono da una valutazione economica di natura prospettica e relativa anche ad una credibilità della politica di un governo.

    Questa metamorfosi del debito pubblico e del deficit potrebbe rappresentare un pericolo enorme per i paesi ad alto rapporto tra PIL e debito pubblico, dei quali l’Italia ne è la più lampante espressione, anche grazie all’adozione massiccia di finanziamenti a debito del PNRR.

    L’isolamento attuale del nostro Paese, quindi, non dovrebbe essere ricondotto ad una volontà politica antieuropeista, quanto, in considerazione della particolare situazione della finanza pubblica italiana, all’espressione di un tentativo di preservare la unicità, anche se in negativo, dell’Italia.

    Non si possono porre oggi le condizioni per una stretta finanziaria nel medio termine, imposta attraverso la commissione del Mes, ad un paese che non ha ancora compreso quanto e come sia stata sprecata l’opportunità offerta con il Quantitative Easing.

    Una opportunità sprecata che ha solo creato una percezione di sospensione dalla realtà attribuibile ai governi Renzi, Gentiloni e Conte 1 ed in relazione ai fondamentali economici finanziari del Paese.

    Il Covid prima, la guerra russo-ucraina dopo, con la conseguente inflazione ed esplosione dei costi energetici, hanno sostanzialmente azzerato le mediocri illusioni dei governi precedenti.

    Il Mes ora rappresenta l’opportunità, attraverso la ratifica o meno, di dimostrare di avere una visione prospettica, invece del solito opportunismo politico che vede come protagonisti il governo e l’opposizione.

  • Addio a Kissinger e a un’epoca in cui la diplomazia era fatta di relazioni tra persone

    La morte di Henry Kissinger segna la fine di un’epoca, un’epoca nella quale la diplomazia, il rapporto tra gli stati, non era affidato ai social ma alle capacità di avere relazioni nel rispetto tra le persone e nella conoscenza approfondita dei problemi interni ed esterni.

    Sembrava eterno Kissinger che, fino all’ultimo, non ha fatto mancare alla comunità internazionale il suo pensiero ed i suoi suggerimenti, avvolto in un’aurea quasi mitica per le sue capacità diplomatiche, le sue relazioni, anche con paesi e capi di stato molto “difficili”, che gli facevano individuare le strade, a suo avviso, più giuste da percorrere.

    In una società dove anche il pensiero sembra diventato liquido e lo studio delle realtà geopolitiche e della storia dei popoli sempre più ignorata, dobbiamo sperare che il Segretario di Stato americano Antony Blinken, tanto attivo sia per la guerra in Ucraina che per quella di Israele contro i terroristi di Hamas, sappia suggerire alle diplomazie in ogni stato, la necessità di tornare ad una diplomazia capace, incisiva e consapevole delle conseguenze delle scelte e delle non scelte.

  • Attualità del pensiero politico conservatore e le sue prospettive odierne

    Vengo da molto lontano, ma vado molto avanti. Voglio conservare i principi immortali dei nostri padri, il fuoco sacro della società. Ricevo l’eredità dei nostri padri con beneficio di inventario; il buono è mio, il male lo scarto; ma anche quando hanno sbagliato, voglio imitare i figli buoni di Noè che coprirono pietosamente le nudità del loro padre, senza dimenticare gli errori per non cadere in essi.” Questa frase del giornalista e politico spagnolo Antonio Aparisi y Guijarro (1815 – 1872) rende bene il significato dell’essere conservatore.  Riecheggia il Salmo 78, 3 “ Quel che abbiamo udito e conosciuto e che i nostri padri ci hanno raccontato, non lo nasconderemo ai loro figli” e risponde alla banale osservazione su che cosa ci sarebbe oggi da conservare.

    Il contrario di conservatore è il progressista che vuole fare tabula rasa, che ispira la cancel culture.  Per reazione all’ideologia progressista da alcuni anni si vanno affermando nelle elezioni politiche movimenti variamente definiti che raccolgono il voto di un popolo conservatore. Nel Parlamento europeo esiste un raggruppamento che si definisce Conservatore e Riformista di cui è a capo Giorgia Meloni ma nella storia italiana non è mai stato presente un partito che si definisse tale.

    Giunge quindi opportuno il saggio Conservatori. Storia e attualità di un pensiero conservatore di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti con contributi di Giovanni Orsina, Andrea Morigi, Francesco Pappalardo e Mauro Ronco che offre una mappa storico – politica per orientarsi di fronte a un termine spesso frainteso o distorto. L’intento del saggio è mostrare gli elementi per costruire in Italia un vero conservatorismo “tradizionalista”. Cito dal libro questo breve brano che spiega bene che cosa si intende: «Conservatore è chi vuole il progresso dei singoli e della società nella continuità; chi vuole mantenere e trasmettere a chi viene dopo non solo quello che di buono vi esiste, ma anche e soprattutto quello che vi è in esso di perenne, di originario, di conforme alla legge di Dio, a una retta antropologia e al senso comune e all’esperienza, arricchito da quanto le generazioni precedenti hanno “capitalizzato” in termini di progresso e la generazione presente può aggiungervi in termini di valore. In uno slogan: chi è conservatore vuole un mondo “a misura d’uomo e secondo il piano di Dio”.

    E per fare questo è necessario coglierne il sentimento di reazione alla modernità che ha raggiunto il suo apice con la Rivoluzione francese e partire proprio da quegli autori che hanno reagito e criticato i principi dell’89. Il rifiuto degli immortali principi dell’89 è infatti il punto di separazione che distingue il vero conservatore dal conservatore “posizionale” che invece pur reagendo a taluni aspetti della modernità viene a patti con essa e ne assume molti postulati.

    Gli autori percorrono un lungo itinerario che, esaminando gli scrittori che lucidamente e fin dall’inizio espressero le critiche a quel fenomeno epocale che fu la Rivoluzione francese (dall’inglese Edmund Burke al savoiardo Joseph de Maistre), giunge fino ai tempi nostri passando per il legittimismo francese e spagnolo (il Carlismo). Nell’excursus storico-politico il saggio esamina aspetti peculiari e deviazioni del conservatorismo in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Austria, Germania e negli Stati Uniti. Non manca un capitolo dedicato alle “tentazioni” del pensiero conservatore che spesso cede ai compromessi con la modernità e che se comporta inizialmente un forte consenso, paga poi con cadute che lo azzerano del tutto (i casi di Action Française e del Fascismo italiano). Ampio spazio è poi concesso nel saggio al poco conosciuto episodio delle Insorgenze che videro il popolo reagire anche con le armi alle imposizioni dei rivoluzionari francesi (e nostrani) e in cui si può vedere la presenza di un sentimento conservatore.

    Dopo la Restaurazione, inquinata dalle concessioni alla modernità ereditata dal periodo napoleonico, il pensiero conservatore sopravvive nel legittimismo degli antichi Stati pre-unitari sopraffatti militarmente e con falsi plebisciti dal Regno di Sardegna e poi dal Regno d’Italia ma soprattutto nel mondo cattolico che si oppone sul piano culturale e sociale al liberalismo e ai “falsi conservatori” della cosiddetta Destra storica. Quel mondo e quel popolo conservatore daranno vita all’Opera dei Congressi e poi al Patto Gentiloni stretto con i liberali moderati per opporsi al pericolo del socialismo nascente.

    Dopo la Grande Guerra i conservatori si troveranno a scegliere tra il modernismo del Partito Popolare di Sturzo e il movimento fascista nel cui “fascio” si troveranno anche esponenti del conservatorismo cattolico tradizionalista come Alessandro Monti della Corte (1902 – 1975). Alla fine della tragedia del secondo conflitto mondiale il popolo conservatore troverà un alveo nella Democrazia Cristiana soprattutto in occasione delle elezioni del 18 aprile 1948 che vedranno sconfitte le sinistre social-comuniste del Fronte Popolare e l’affermazione dei Comitati Civici di Luigi Gedda (1902 – 2000).

    Il libro esamina anche l’altra svolta epocale, quella del Sessantotto a cui il popolo conservatore deluso dai tradimenti della DC seppe opporre la Maggioranza Silenziosa in un sussulto di reazione seppure breve e si arriva al 1994 con il trionfo di Forza Italia di Silvio Berlusconi e la fine della conventio ad excludendum delle destre politiche che durava da decenni. Invernizzi e Sanguinetti dedicano un capitolo alle correnti e ai protagonisti del pensiero conservatore a partire dall’Ottocento con Clemente Solaro della Margarita, a cui si deve la significativa frase “Una sola è la destra, e vi appartengono color che la Religione, il il bene e la gloria dello Stato hanno in mira”, con il meno noto Emiliano Avogadro della Motta, con Monaldo Leopardi e il Principe di Canosa per arrivare a fine Ottocento all’ala intransigente del movimento cattolico dell’Opera dei Congressi (Sacchetti, Casoni, Toniolo, Tovini, Medolago Albani) e nel nuovo secolo il combattivo Domenico Giuliotti.

    Negli anni più vicini non viene trascurata la coraggiosa opera di divulgazione di autori afferenti al mondo conservatore effettuata dalla casa editrice Rusconi sotto la direzione di Alfredo Cattabiani né viene dimenticato l’apporto di Giovannino Guareschi e di tanti altri. All’identikit dell’Italia conservatrice seguono poi i contributi di Francesco Pappalardo su come è nata l’Italia, di Mauro Ronco sull’importanza del filosofo Giambattista Vico e di Andrea Morigi che ricorda l’esperienza negli anni Novanta della rivista conservatrice Percorsi diretta da Gennaro Malgieri senza dimenticare la dotta prefazione del politologo Giovanni Orsina. Il volume è completato da un’accurata e utile parte di indicazioni bibliografiche. In conclusione un libro consigliabile a chi voglia conoscere il pensiero conservatore per costruire oggi un’opposizione al processo secolare di dissoluzione della società e intercettare il “«“Paese profondo” resistente a ogni pressione ideologica delle sinistre e molto più a destra  delle  élite  politiche  che  si  trovano  a  rappresentarne  le istanze. […] Una “deep Italy” erede di un passato soffocato dalle ripetute “colonizzazioni”  ideologiche  subìte  –  per  usare  una  locuzione cara al regnante Pontefice –, ma anche prodotto delle contraddizioni  di  una  globalizzazione  pilotata  da  centri  di  potere  “discreti” che se ne servono per i loro disegni gnostici di mega-reset orwelliani».

  • La lotteria familiare della politica

    Tra mille posizioni retoriche uno degli strumenti attraverso il quale la politica potrebbe riacquisire un minimo di credibilità potrebbe essere quello di adottare delle misure minime, ma in grado di permettere il mantenimento di un rapporto con la civiltà che li ha eletti.

    Da troppo tempo la carriera politica rappresenta un affare di famiglia in quanto vede coinvolti mariti e mogli ma anche figli e cugini i quali beneficiano di tutti i vantaggi che un incarico politico può distribuire dalla propria posizione.

    La carriera politica in questo modo diventa una sorta di SuperEnalotto per l’intera stirpe familiare, la quale discenda da deputato o da un senatore o dal rappresentante politico regionale fino al livello comunale.Questo tipo di percezione sempre più evidente nel corpo elettorale determina un progressivo allontanamento della politica dal circostante mondo della realtà.

    In più viene azzerata  sempre più la autorevolezza generale confermata  dalla dimostrazione di una priorità concessa ad una riforma istituzionale preferita a quella di un sistema elettorale all’interno del quale l’elettore sia messo nella possibilità di scegliere i propri rappresentanti.

    In fondo basterebbe una semplice legge la quale escludesse, o perlomeno limitasse, vantaggi che una carica politica comunque possa assicurare, escludendo in questo modo ogni persona legata da un vincolo di parentela con l’eletto. Un limite che permetterebbe alla politica di tornare a rappresentare sicuramente una posizione di privilegio ma non più ad esercitare i vantaggi di una vincita al SuperEnalotto per l’intera famiglia di appartenenza del politico stesso.

    Il distacco del mondo della politica rispetto agli elettori parte anche da queste piccole cose, con mariti e mogli in parlamento, figli di rappresentanti del governo i quali, senza arte né parte, vengono assunti nella FIGC (Federazione Italiana Gioco Calcio o nella Fondazione Milano Cortina) o cognati ministeriali, molti dei quali senza il minimo sindacale di competenza.

    Se veramente si volesse aumentare la credibilità della politica risulterebbe fondamentale che questa posizione politica non rappresentasse la vincita di una lotteria una l’acquisizione di una posizione, di privilegio, per un solo componente della famiglia stessa.

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