Politica

  • Il pressapochismo e le sue conseguenze

    Negli ultimi anni abbiamo visto, in troppe occasioni, molti capi di Stato, primi ministro, leader d’opposizione che non sempre sembravano consapevoli delle loro dichiarazioni e relative conseguenze, in altre consapevoli ed in totale spregio delle conseguenze.

    La teoria che l’inquinamento, non solo ambientale, possa avere colpito le capacità di ragionamento ed essere la causa non è stata al momento né suffragata da prove scientifiche ma neppure smentita, certo è che l’inquinamento emotivo ha procurato un’escalation di violenza in ogni strato della popolazione.

    Quello che oggi preoccupa ulteriormente è l’inconfutabile certezza che tutto si va deteriorando anche negli apparati più sensibili, non per nulla nessuno avrebbe potuto immaginare una sconfitta così tragica come quella subita dai servizi d’informazione israeliani il 7 ottobre.

    Che gli Stati Uniti abbiano periodicamente un attentato ad un presidente o ad un leader politico è cosa nota ma non può che stupire come si è compiuto l’atto scellerato, ma altrettanto maldestro, di chi ha sparato a Trump, uccidendo un inerme cittadino, nella disattenzione generale di chi era preposto, sul campo, alla sicurezza.

    I molto gravi attentati terroristi degli ultimi anni, che hanno colpito anche la Russia, e i tanti attentati minori, compiuti da persone già segnalate come pericolose, dimostrano purtroppo uno scadimento sempre più preoccupante dei sistemi di sicurezza.

    Viviamo in una società ad alto rischio ma i rischi maggiori sono dovuti allo scollamento delle istituzioni ed al pressappochismo.

  • Dopo la visita di Orban Putin bombarda gli ospedali dei bambini

    Dopo il nuovo massacro compiuto da Putin in Ucraina, dopo i missili russi sull’ospedale dei bambini cosa intende fare Orban, il peripatetico presidente dell’Unione in carica per i prossimi sei mesi?

    Il risultato della visita di Orban a Putin è stato una nuova strage in Ucraina, cosa accadrà ora dopo l’incontro di Orban con il dittatore cinese?

    I sei mesi della sua presidenza passeranno presto, c’è anche l’estate di mezzo, ma se il buongiorno si vede dal mattino dopo la visita di Orban a Putin vi è stata un’ulteriore escalation delle violenze russe contro Kiev, cosa dobbiamo aspettarci ora?

    Orban ha preso il suo incarico come il grimaldello per aprire una falla in Europa? Come strumento per accreditarsi leader fuori dai confini del suo paese dove, per la prima volta, comincia a crescere la opposizione al suo autoritarismo? Anche il suo nuovo gruppo al Parlamento europeo non è stato certo organizzato per migliorare il funzionamento dell’Europa ma per evidenti intessi economici e politici.

    Dopo la nuova strage in Ucraina e l’evidente volontà di Orban di muoversi, durante la sua presidenza, al di fuori dalle regole dell’Unione, noi tutti, istituzioni europee e governi nazionali in primis, dobbiamo fare chiarezza e portare allo scoperto chi fino ad ora, in ognuno degli Stati europei, ha solidarizzato, in modo più o meno palese, con Mosca perché la sicurezza delle nostre democrazie è messa a rischio e non si può più traccheggiare.

    Piaccia o non piaccia ad alcuni governi l’Europa deve darsi una politica estera ed una difesa comune, anche a fronte delle insicurezze americane, per questo, come è già stato fatto per la moneta unica si abbia il coraggio di partire con un gruppo di Stati, gli altri verranno poi, rimanere ancora immobili ed indecisi sarebbe un errore tragico dalle conseguenze irrimediabili.

  • Il vuoto identitario ed ideologico

    Nel secolo scorso Enrico Berlinguer, segretario del PCI, aveva posto la classe lavorativa al centro della propria attività politica. Difficilmente qualcuno potrebbe affermare che esistesse una identità personale tra il segretario del PCI e la classe operaia, tuttavia l’impianto ideologico del suo partito cercava di porsi come obiettivo la tutela e gli interessi della classe lavorativa. Una mancanza di identità, intesa come vicinanza nello stile di vita, veniva quindi sostituita da un articolato impianto ideologico in grado di unire persone e rappresentanti politici di estrazione culturale molto distanti.

    Viceversa, nei partiti odierni la ricerca ossessiva di una assoluta identità tra leader di partito iscritti e simpatizzanti esprime, invece, un deserto intellettuale ma soprattutto una incolmabile distanza tra gli stessi, cristallina espressione della mancanza di uno quadro ideologico di riferimento.

    In altre parole, in relazione al PD, l’inserimento e l’esaltazione di un fattore identificativo come l’orientamento sessuale, e soprattutto condiviso nella vita privata, esprime la volontà di creare identificazione tra simpatizzanti e quadri dirigenti.

    Tutto questo, mentre il mondo industriale registra il 15° calo consecutivo della produzione industriale ed assistiamo all’esplosione della cassa integrazione nei primi sei mesi del 2024, per i quali il PD non esprime alcuna opinione se non quella di una volontà referendaria contro il Jobs Act.

    Un comportamento molto comune anche a destra, in quanto la scelta di una multinazionale di Singapore di avviare uno stabilimento di chip in Piemonte piuttosto che nel Veneto non ha suscitato alcuna reazione nell’attuale presidente Zaia: esattamente come quella precedente della Intel che scelse la Germania piuttosto che la provincia di Verona. Risultò più interessante partecipare e mantenere, durante il covid, un bollettino quotidiano, oppure continuare ad intervenire alle diverse sagre di paese. Anche in questo caso il Presidente della Regione Veneto ha dimostrato, come il PD, una volontà di coltivare una identità tra il censo politico ed il popolo degli elettori.

    Questa legittima strategia nasce ed esprime, tuttavia, l’assoluto vuoto ideologico che contraddistingue, tanto a destra quanto a sinistra, i diversi leader privi di una visione del nostro Paese, soprattutto in prospettiva del suo futuro, dimostrandosi attenti ed interessati alla sola contemporaneità.

    L’identità e la condivisione, in altre parole, rappresentano il vuoto politico ed ideologico nato da un declino culturale all’interno del quale un fattore privato, come l’identità sessuale, diventa un elemento catalizzatore e caratterizzante.

    Esattamente come ci sono leader di partito che propongono il reddito di maternità (Gasparri) o affermano che una pista di bob rappresenti assieme alle Olimpiadi invernali uno strumento per fermare lo spopolamento montano (Zaia). Anche per questo il Paese si avvia ad una delle crisi istituzionali, economica e di rappresentanza più disastrose dal dopoguerra ad oggi.

  • “I giovani militanti di FdI non sanno quello che dicono. Ed è gravissimo”. Parla l’on. Cristiana Muscardini

    Pubblichiamo di seguito l’intervista che l’On. Cristiana Muscardini ha rilasciato alla rivista Policy Maker il 2 luglio 2024.

    Poca formazione, scarsa consapevolezza della storia, incapacità a rispettare il proprio ruolo e dialogo carente con i più grandi. Tutte le falle di Gioventù Nazionale secondo l’on. Cristiana Muscardini.

    Fratelli d’Italia corre ai ripari dopo l’inchiesta di Fanpage che ha mostrato alcuni giovani militanti di Fratelli d’Italia e di Gioventù nazionale, il movimento giovanile di FdI, fare battute razziste e antisemite. Le posizioni più critiche sono quelle di Flaminia Pace, presidente di Gioventù nazionale Pinciano, già ‘espulsa’ dal Consiglio nazionale giovani, ed Elisa Segnini Bocchia, ex capo segreteria della deputata di FdI Ylenja Lucaselli che ha rassegnato le dimissioni.

    Non semplici giovani militanti di FdI, dunque, ma volti di peso della linea verde del partito della premier Meloni. Sono circa una decina i profili al vaglio del partito che, a breve, deciderà cosa fare.

    Di tutto questo ne abbiamo parlato con l’on. Cristiana Muscardini, europarlamentare, in passato dirigente del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN), del Movimento Sociale Italiano (MSI), componente dell’esecutivo politico di AN e coordinatrice per la regione Lombardia di Generazione Italia.

     

    Lei è stata dirigente del Fuan, del MSI, di AN. Quali evoluzioni ha notato in merito all’organizzazione interna di questi soggetti politici?

    Diciamo che una volta i movimenti politici avevano delle scuole di partito, delle sezioni, dei circoli nei quali i giovani potevano confrontarsi tra di loro e con gli adulti. I ragazzi venivano in contatto con esperienze a loro sconosciute, gli si spiegava le cose che si potevano e quelle che non si potevano fare. Li si faceva crescere. Ai miei tempi, per esempio, c’era una cosa che oggi non c’è più.

    Cosa?

    A Milano, in piazza Duomo di sera si radunavano anarchici, missini, comunisti, era una specie di zona franca in cui si parlava e si discuteva. In quella piazza non c’era posto per gli estremisti, come Potere Operaio. Dopo tutto andò a morire con le violenze degli anni successivi.

    Com’è cambiata, secondo lei la militanza giovanile? Cosa manca oggi?

    Manca il confronto costante e quei luoghi di incontro nei quali si poteva fare due chiacchiere o affrontare argomenti più importanti. Ma questa è l’era di internet, tutti siamo convinti di parlare con tutti e invece non parliamo con nessuno. Io penso che la politica sia guardare negli occhi le persone. Secondo me questa distanza incide sui più giovani e sui meno giovani. Oggi l’uso indiscriminato della rete porta tutti a credere di potere dire e fare qualsiasi cosa senza avere la minima conoscenza. Ecco io credo che la maggior parte dei giovani oggi non sappia cosa sono stati il fascismo e il comunismo, cos’è stato il ‘68, con tutti i risvolti negativi, moltissimi, e forse anche qualcuno positivo, il significato della Rivoluzione francese.

    Che opinione si è fatta dell’inchiesta di Fanpage sui militanti di Gioventù nazionale?

    Io credo che, in ogni caso, i giornalisti abbiano il dovere di trovare, scovare la notizia ma devono farlo in maniera limpida. Credo anche che quello che questi giovani militanti di FdI hanno detto sia il frutto di una ignoranza dei fatti della storia, o della cronaca, ma anche della non consapevolezza del ruolo che essi rivestono. Sono all’interno dell’organizzazione giovanile di un partito che è al governo e che dice molto chiaramente “no all’antisemitismo”, “no al terrorismo”, “no alla discriminazione razziale” o alla discriminazione di qualsiasi altra natura.

    E lo dice da anni, non lo dice solo adesso con Giorgia Meloni, lo diceva il Movimento Sociale Italiano, lo diceva Alleanza Nazionale. Non è una scoperta di Giorgia Meloni, lei ha continuato nel solco di una tradizione. Ricorda il viaggio di Fini in Israele quando definì il fascismo il male assoluto? Ecco io credo che il male assoluto sia tutto ciò che viola la dignità e la vita degli altri.

    Le frasi pronunciate da quei ragazzi sono un segnale preoccupante di un rinato antisemitismo oppure sono solo frasi vuote?

    Credo che non ci sia nessun pericolo di un ritorno all’antisemitismo, anzi la destra ha dimostrato di difendere Israele più di quanto stia facendo la sinistra. E’ un segnale che deve comunque fare scattare l’allerta per far comprendere ai più adulti, di qualunque movimento politico e in questo caso quello di centrodestra, che i giovani vanno fatti crescere in maniera più consapevole. A me spaventa di più la irresponsabilità di quello che hanno detto, oltre alla gravità di quello che hanno detto. Sono convinta che non siano consapevoli della gravità di avere un pensiero di quel genere, anche se fosse stata solo una battuta sciocca. Quelle parole dimostrano che, in alcuni giovani, non c’è la consapevolezza di quello che è stata la storia, la vita, la sofferenza di milioni di persone, che non ci sia la consapevolezza della Carta universale dei diritti umani. E poi aggiungo anche un’altra cosa.

    Prego.

    Quelle parole dimostrano che non c’è la consapevolezza del ruolo. Quando si riveste un ruolo in un’organizzazione politica non si può parlare come se si fosse al bar dicendo sciocchezze. Non credo che questi giovani pensino quello che hanno detto, ritengo che lo abbiano detto perché così si sentivano di fare gli sbruffoni. Non si rendono conto della gravità delle loro parole ma è pericolosissimo sia perché le hanno pronunciate sia perché non ne comprendono la gravità.

    Potremmo sintetizzare con “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”.

    Non sanno quello che dicono. Però dopo averli perdonati, perché non li fuciliamo sulla pubblica piazza, va pensato per quei giovani militanti di FdI un percorso di nuova educazione. Tra i ragazzi più giovani mi sembra che non ci sia la percezione della differenza tra reale e irreale e di quanto le parole, anche le battute, possano ferire.

    Crede che Fratelli d’Italia abbia preso i provvedimenti giusti nei confronti di quei militanti?

    Penso che li espelleranno, più di quello non credo possano fare. Poi non so se la magistratura riterrà di intervenire o se riceveranno delle querele.

    Ci potrebbe essere il commissariamento dell’organizzazione giovanile.

    Potrebbero anche commissariare i circoli coinvolti, non ci vedrei niente di tragico, anche per capire se, disgraziatamente, oltre alle persone coinvolte ce ne fossero altre.

    Secondo lei l’immaginario della destra italiana, quello costituito dal “modello Atreju”, è accattivante per i ragazzi?

    Credo che per essere accattivanti con i giovani bisognerebbe proporre cose effettive e concrete. Ci sono moltissimi giovani disponibili a pulire i fiumi, ad aiutare gli anziani, ad occuparsi degli animali abbandonati. Io per 25 anni sono stata vicepresidente dell’intergruppo degli animali al Parlamento eurpeo. Occuparsi degli animali significa occuparsi di qualcuno che è più indifeso, fa ritrovare empatia e contribuisce al rispetto dell’ecosistema nel quale tutti viviamo. Ecco penso che la politica non debba essere soltanto uno slogan, una promessa, una battuta, perché a ogni frase deve seguire un’azione politica.

    I più giovani si possono affascinare facendoli sentire utili alla società e non presentando un mondo che non offre niente perché non ci sono più le opportunità di una volta a meno che tu non sia molto bello, super intelligente o abbastanza ricco da andare a fare un master in America. Io, per esempio, continuo a tenere in vita un settimanale online, Patto sociale – Informazione Europa, ecco potrebbe essere una palestra di scrittura per tanti ragazzi.

  • La sagra delle manipolazioni e delle menzogne sull’Autonomia Differenziata per nascondere la polvere sotto il tappeto

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Nicola Bono, Presidente di Europa Nazione

    La riforma dell’Autonomia Differenziata nel corso della sua approvazione ha già integrato 26 violazioni della Costituzione, 12 forzature di legge e 42 truffe e manipolazioni che, per un disegno di legge di appena 11 articoli, costituiscono un record mondiale di mala politica, ed evidenziano una totale assenza di etica, moralità e correttezza di una classe politica incapace di vedere al di là dei propri interessi, le conseguenze gravissime di una triade di riforme che nulla hanno a che vedere con il bene comune e il rafforzamento della serenità e dell’unità del Paese, ma semmai l’esatto contrario.

    Ottenuta l’approvazione, la preoccupazione crescente sulla presa di coscienza dei cittadini italiani, specialmente del Sud, sta sollecitando molti soggetti politici a rivestire il ruolo di difensori d’ufficio della sciagurata riforma, con un florilegio di ulteriori bugie e manipolazioni, nonché insulti ai cittadini, senza avere mai letto il testo, e ancora meno capito, la tragedia che cercano di difendere e di trasformare in presunta opportunità per le vittime della congiura delle tre riforme.

    Tra i tanti che esaltano l’Autonomia Differenziata emergono, per inconsistenza degli argomenti, figure come quella del Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani e del Ministro per la Protezione Civile e le politiche del Mare Nello Musumeci che, dopo 17 mesi di processo approvativo della legge, con i loro interventi, se in buona fede, dimostrano di non avere capito nulla di questo provvedimento. In particolare Schifani nell’accusare nientemeno di “terrorismo politico” gli attacchi all’Autonomia, dichiara fideisticamente (ma senza avere letto una riga del provvedimento legislativo) “di rifiutarsi di pensare che questo governo possa approvare intese pericolose per il Sud”, e conclude la sua esternazione sostenendo la sua tesi, del tutto infondata, sul principio che “se non ci saranno i Livelli Essenziali di Prestazione l’Autonomia non partirà”. Gli fa eco il Ministro Musumeci che, dall’alto delle sue note competenze legislative e giuridiche, messe in atto nei cinque anni di gestione della Regione Siciliana dove ha risolto miracolosamente ogni problema, con il cipiglio che gli è tipico, insulta i meridionali e li sprona a smetterla di piangere. Ed aggiunge una affermazione criptica “Noi abbiamo bisogno di competere con il Nord, sapendo che i nostri obiettivi sono diversi da quelli delle regioni settentrionali”; per concludere “Io ho votato il provvedimento al Senato e non avrei mai votato un provvedimento che potesse pregiudicare l’unità d’Italia”, con ciò confermando che non ha letto, o non ha capito il provvedimento approvato.  Questi due campioni della politica siciliana si assumono la responsabilità di difendere una norma indifendibile, incuranti del destino di 20 milioni di italiani del Sud, venduti a logiche di interessi personali e partitici, che di colpo vengono privati dei loro diritti costituzionali, del loro futuro e del doveroso rispetto dovuto al popolo sovrano. Come si fa a non capire che con l’approvazione della legge, nessuno potrà fermare il processo di trasferimento dei fondi dallo Stato alle regioni ricche, che lo otterranno con le intese che saranno operative nel giro di 4-5 mesi al massimo? Il procedimento previsto nei 24 mesi dall’approvazione del disegno di legge dei decreti legislativi per la determinazione dei LEP non riguarda le regioni ricche, che hanno le commissioni paritetiche, e quindi da subito potranno aumentare a loro piacimento i costi del LEP. Sono soltanto le Regioni fragili che dovranno aspettare i 24 mesi, e poi eventualmente per l’aumento dei costi dei LEP: prima dovranno aspettare altri tre anni, e poi anche il finanziamento dello Stato, che nel frattempo le regioni ricche avranno svuotato, e quindi non ci saranno le risorse necessarie a sostenere tali spese. Quindi Schifani e Musumeci, e tutti coloro che hanno votato questa riforma, specialmente se eletti nel Sud, con questo provvedimento hanno tradito non solo i diritti costituzionali dei cittadini del Sud, ma la logica stessa della solidarietà come principio fondativo della Patria comune. Il Sud è stato sacrificato sul terreno della disparità dei diritti e l’Autonomia Differenziata è la prima legge della Repubblica Italiana a legittimare tale disparità con l’avere sostituito lo Jus Civitatis con lo Jus domicili, banalizzando di fatto l’art. 3 della Costituzione Italiana sulla parità dei diritti, e concedendo ogni possibile beneficio solo in base alla residenza che, per i cittadini delle regioni ricche comporterà vantaggi e prebende, a discapito dello Stato e delle regioni povere, che dovranno sopravvivere in condizioni di assoluta assenza di solidarietà e perequazione. Non è accettabile che si restituisca il residuo fiscale alle Regioni ricche, che non ne hanno alcun diritto, essendo il pagamento delle imposte erariali un dovere nei confronti delle Stato, e quindi impedire alle regioni povere di avere risorse e trasferimenti dallo Stato, come fosse una condanna alla presunta incapacità di non essere diventate anch’esse ricche. Perché la perequazione tra i territori (che non c’è nella riforma malgrado imposta dalla Costituzione) e i principi di solidarietà, prescindono dal passato e dalle eventuali responsabilità, ma incidono sul futuro, ed appare incredibile che una destra di governo possa concepire una norma così assurdamente penalizzante e divisiva, da smuovere anche l’allarme della Commissione UE che sostiene come “la devoluzione di ulteriori competenze alle regioni comporta rischi per la coesione e le finanze pubbliche del Paese”. Un’ultima domanda a Schifani, Musumeci e ai difensori d’ufficio di questo sciagurato provvedimento che non sarà dimenticato dagli italiani: quando lo Stato rimarrà senza risorse, per averle date alle regioni ricche, chi pagherà il Debito Pubblico, il Sud?

    *Presidente di Europa Nazione

  • ‘Al fianco di Berlusconi – Da Cavaliere a Presidente’, il nuovo libro di Dario Rivolta

    È uscita la seconda edizione di un libro su Berlusconi imprenditore e politico scritta da uno stretto collaboratore che gli è stato vicino negli anni del maggiore sviluppo e dell’entrata in politica. Dalla costruzione dell’impero televisivo all’acquisto del Milan, dallo sviluppo internazionale delle sue imprese alla “discesa in Campo”, Dario Rivolta fu suo assistente personale partecipando, a volte in prima persona, a molte di quelle avventure. Questa edizione, rivisitata e aggiornata, svela i retroscena e le strategie di un uomo che nel bene (secondo ammiratori e seguaci) e nel male (secondo i suoi detrattori), ha segnato la storia dell’Italia negli ultimi trenta e più anni. Ne esce la figura di un uomo carismatico e simpatico, dalle indubbie qualità di imprenditore ma con alcune manchevolezze nella gestione del suo ruolo politico. Lungi dall’essere un’agiografia o, al contrario, un ennesimo atto di accusa tra i tanti che sono stati scritti contro Berlusconi, Rivolta, senza nascondere il suo affetto, mette in evidenza gli aspetti della personalità sia nelle sue luci che nelle sue ombre. Non a caso, l’ex Ministro Gianni De Michelis che ha firmato la prima prefazione scrive: “…uno che Berlusconi lo conosce bene e ne apprezza le doti indubbie e ne critica, sine ira ac studio, i difetti”. Anche l’Ambasciatore Carlo Marsili che firma la seconda prefazione è concorde: “ne è uscito un quadro che anche chi non conosceva bene Berlusconi…è indotto a valutarlo per quello che è: assolutamente obbiettivo”.

    Il libro è sotto forma di intervista e la suddivisione in capitoli tematici lo rende un racconto di facile e veloce lettura. L’intervistatore è Eric Jozsef, corrispondente in Italia di Liberation e già Presidente dell’Associazione della Stampa Estera.

    AL FIANCO DI BERLUSCONI – Da Cavaliere a Presidente

    Fas Editore 2024  Euro 19.90

    Acquistabile presso: www.unilibro.it, https://tabook.it/, www.amazon.it, direttamente presso l’editore (www.faseditore.it) oppure in libreria su prenotazione

  • Politici senza acqua

    Per governare bene bisogna conoscere i problemi che si devono affrontare oggi, avere visione del futuro e procedere celermente. Bisognerebbe anche conoscere i problemi che andavano risolti ieri e l’altro ieri e non perdere più tempo.

    Delle tante situazioni difficili che vanno risolte alcune sembrano non essere ancora entrate nella agenda, per questo suggeriamo a tutti coloro che si occupano di politica, nei luoghi ove si può intervenire direttamente o si può suggerire ad altri di farlo, perciò maggioranza e opposizioni, di fare un piccolo esperimento.

    Chiudete l’acqua centrale della vostra abitazione, dell’ufficio, dei bagni di Montecitorio e Palazzo Madama, per 24 ore rimanete senza acqua, neppure quella minerale dei vari frigoriferi e provate a vedere come vi sentite, nel frattempo, per distrarvi e passare il tempo, guardatevi qualche foto di tante zone della Sicilia, della Sardegna, del centro Italia.

    Anche se il nostro Paese è il più forte consumatore di acqua minerale sembra difficile poterla usare per irrigare i campi e, se, mentre aspettate di riaprire i rubinetti, avete voglia di leggervi qualche dato che, fino ad ora vi è inspiegabilmente sfuggito (inspiegabilmente è ironico visto i tanti interessi che ci sono dietro l’acqua e gli acquedotti) potrete scoprire che quasi il 45% dell’acqua delle reti di distribuzione va dispersa, perduta per sempre, basta riguardare quanto risulta nel 2021.

    Regioni ricche d’acqua ma senza acqua, case e imprese agricole completamente all’asciutto e intanto anche le aree dove si sono verificate le recenti tragiche alluvioni soffrono di siccità perché alluvioni e siccità si inseguono ed alternano nel ciclo idrogeologico.

    Se gli acquedotti perdono acqua non stanno certo meglio dighe e bacini di stoccaggio, sporchi di troppi sedimenti, obsoleti, mai finiti di realizzare, o mai collaudati, mentre dei dissalatori si parla solo e solo si parla.

    Senza acqua non c’è agricoltura, non c’è industria, non c’è turismo, non c’è vita ma dietro i consorzi delle acque e dei canali, dietro la gestione delle risorse idriche, dietro la manutenzione, non fatta, dei fiumi, dietro troppe attività, collocate in aree pericolose per la falda, vi sono interessi che, ad oggi, hanno scalzato via i diritti dei cittadini.

  • Il paradosso degli incentivi fiscali

    Gli incentivi fiscali possono determinare degli  esiti contraddittori a seconda del loro posizionamento.  Sembra incredibile come ancora oggi sia necessario precisare la differenza negli  esiti con la politica degli incentivi se posizionati a monte o a valle di una qualsiasi filiera industriale.

    Nel caso, per esempio, dell’industria automobilistica qualsiasi forma di incentivo relativo a favorire l’acquisto di un’auto, esattamente quanto scelto dal governo in carica, rappresenta un sostegno alla politica “commerciale” quasi sempre utilizzato, come diceva Marchionne negli anni passati, a favore della vendita di automobili estere e magari nell’ultimo periodo cinesi.

    Anche se gli esempi risultano sempre molto difficili da dimostrarsi veramente esemplificativi, sarebbe come se il bonus edilizio fosse stato adottato come incentivo alla vendita delle realtà immobiliari esistenti e non a favore di un eventuale efficientamento energetico, come è avvenuto in realtà, anche con effetti disastrosi per quanto riguarda il debito alla spesa pubblica.

    In quest’ottica, all’interno di una politica di sviluppo di una qualsiasi filiera industriale i medesimi incentivi dovrebbero rappresentare la prima forma di sostegno alle produzioni o quantomeno al mantenimento delle complesse filiere all’interno del confine nazionale.

    Solo in questo caso, quindi, questi assumerebbero i connotati di una forma di sostegno non al singolo settore manifatturiero, ma più complessivamente ne trarrebbe un vantaggio la stessa occupazione, e, di conseguenza, anche allo sviluppo della domanda interna e quindi dello stesso PIL.

    Nel complesso momento nel quale il sistema economico/industriale si trova, per la prima volta dal dopoguerra ad oggi, di fronte alla quindicesima flessione della produzione industriale un governo consapevole avrebbe dirottato ogni incentivo a monte della filiera, più che allo sviluppo del commercio dei prodotti per riuscire ad acquisire qualche decimale di crescita.

    In quanto l’obiettivo strategico dovrebbe essere quello di invertire il trend della disastrosa flessione della produzione industriale, la quale non è ancora oggi condizionata dalla politica fiscale a sostegno espressa dal governo in carica come dai precedenti.

    Va ricordato, infatti, come gli ultimi governi, compreso l’attuale, si sono dimostrati espressione di un imbarazzante pressapochismo economico optando  con la scelta dei bonus fiscali ed incentivi a valle di ogni filiera industriale e quindi anche di quella Automotive. Ed ecco allora come i risultati ovviamente non tardano ad arrivare, come qui sotto ricordati (*), con un calo della produzione industriale nel settore industriale dell’auto del -20%. Un disastro strategico e politico oltre che economico il quale non può venire semplicemente attribuito alla congiuntura internazionale ma anche ad un’incompetenza di fondo di chi ha gestito negli ultimi vent’anni la politica economica ed industriale del Paese.

    Tornando, quindi, agli incentivi fiscali ed economici, sarebbe opportuno ricordare come proprio dal loro posizionamento, se a monte o piuttosto a valle della filiera industriale, questi potranno garantire un futuro al nostro Paese oppure condannarlo alla propria estinzione industriale ed economica.

    (*) https://www.motorionline.com/anfia-ad-aprile-in-italia-la-produzione-cala-ancora-203/

  • Bipolarismo e astensionismo

    Se bipolarismo significa che due coalizioni, composte da più partiti, si confrontano e sfidano nelle competizioni elettorali con una nuova legge, che ripristina il diritto di scelta degli elettori attraverso la preferenza, il sistema può funzionare.

    Se invece attraverso il bipolarismo si tenta di riportare in vita un bipartitismo che ha già dato i suoi frutti avvelenati, allontanando i cittadini dal voto e dalla politica, siamo assolutamente contrari così come siamo contrari ad esperienze simili a quella del Pdl che tanti problemi ha creato, problemi dei quali ancora, in parte, subiamo le conseguenze.

    Quella che per molti decenni è stata la più grande democrazia al mondo, gli Stati Uniti, proprio attraverso il bipartitismo, oltre che ad un distorto sistema per il quale per votare bisogna iscriversi alle liste elettorali, sta ormai dimostrando di non essere in grado neppure di presentare per le presidenziali candidati sufficientemente credibili ed in grado di rappresentare nel mondo un punto di reale riferimento.

    Negli Stati Uniti la non partecipazione al voto, per colpa del bipartitismo, è un problema, problema che è arrivato anche in Europa e che da noi può essere arginato, eliminato, solo restituendo ai cittadini la possibilità di confrontarsi con scelte politiche e programmi chiari nei quali si sentano, almeno in parte, coinvolti.

    L’uso smodato dei social, che non possono sostituire luoghi di incontro fisico con lo scambio di idee tra persone reali, il costante affidarsi a slogan, battute, la scomparsa dei dirigenti di partito dai media televisivi e della carta stampata, che intervistano solo i leader, non fa crescere una classe dirigente, non fa conoscere ai cittadini i loro rappresentati e crea una situazione di indifferenza ed una mancanza di fiducia che si tramuta nell’astensionismo.

    Una società sempre più tecnologica sta lasciando indietro milioni di persone, anche tra i giovani che, spesso, usano questi strumenti più per isolarsi che per comunicare realmente, per questo c’è l’urgente necessità di tornare ad un confronto diretto perché se si può guardare una persona, un politico, negli occhi si può sperare che ti consideri come essere umano non come suddito da pilotare.

    Se invece le forze politiche sono tutte d’accordo, e questo sospetto non è peregrino, nel non ritenere l’astensionismo un problema per la democrazia e lo vedono invece come un’opportunità per loro perché meno gente vota meno c’è confronto ed i leader hanno più facilità nell’imporre le loro scelte ed i loro candidati è allora evidente che o i cittadini saranno in grado di trovare nuove forme per contare o si andrà sempre più verso una deriva oligarchica.

  • Chi semina vento raccoglie tempesta

    Il distacco degli elettori dalla partecipazione al voto non è indifferenza verso l’Europa ma allontanamento dalla politica partitica dalla quale non si sentono rappresentati.

    Al di là dei successi di chi ha ottenuto un miglioramento dei propri risultati, che vanno conteggiati su un minor numero di votanti, la diminuzione sempre più consistente della partecipazione è un pessimo segnale per la democrazia.

    Abbiamo avuto una campagna elettorale nella quale si è parlato di tutto meno che dei problemi che l’Europa deve risolvere e delle sfide che tutti insieme dobbiamo affrontare, all’interno dell’Unione e nel mercato mondiale, quello politico e quello economico.

    Nonostante siano state elezioni preferenziali che, attraverso la scelta dei cittadini, dovrebbero portare al Parlamento europeo deputati capaci e incentrati sui temi europei, i movimenti politici hanno candidato leader di partito, che in Europa non andranno, o figure, in genere, più legate ad interessi di categoria o di schieramento partitico che tesi ad una visione di ampio respiro con la necessaria conoscenza geopolitica.

    La campagna elettorale è trascorsa rimpallandosi polemiche e immaginando le più diverse alleanze future.

    I partiti hanno da tempo eliminato i luoghi di incontro pensando che qualche aperitivo ed i social avrebbero potuto sostituire volantini, programmi, comizi, dibattiti, sezioni, ed in televisione hanno mandato solo i big che in Europa non sarebbero andati così l’elettore si è sentito sempre più lontano, di elezione in elezione, sempre più indifferente e disamorato.

    L’astensionismo delle precedenti competizioni elettorali non è servito a nulla perché per i partiti, per tutti, la democrazia non è partecipazione: meno elettori votano e più possono sperare di fare eleggere chi vogliono.

    Molti diranno di avere vinto, altri giustificheranno quanto non hanno conquistato dicendo che non sono stati capiti, tutti continueranno come prima e gli elettori continueranno a non votare e la democrazia sarà sempre più a rischio, non è un problema di destra o sinistra ma un problema di valori e di politica, quella politica che c’è sempre meno.

    La maggioranza degli italiani non ha votato ed ora cosa cambierà? Chi ammetterà che bisogna cambiare, chi continuerà come prima?

    Ritornare a parlare ed a confrontarsi con le persone, senza proclami e promesse, sarebbe un inizio nuovo ma nessuno ha l’umiltà di ammettere di avere sbagliato nonostante i buoni risultati personali.

Pulsante per tornare all'inizio