Doveva essere la centrale atomica più potente d’Italia, ma a tutt’oggi la centrale di Caorso resta una cattedrale nel deserto, un rottame di cui ci si deve ancora disfare. Inservibile per produrre energia dal momento in cui l’atomo è stato bandito in Italia, deve essere ancora dismessa, con tutti gli accorgimenti necessari vista la tipologia di impianto e il problema delle radiazioni.
La struttura contiene tremila tonnellate di ferro e settemila di macchinari, valvole, tubature, bulloni, motori ampiamente made in Italy (a realizzare l’impianto hanno collaborato Ansaldo, Breda, Fochi, Enel e Cnen) e tenerla ferma e è costato quasi 300 milioni al giorno. C’è gente che ci ha lavorato, o meglio è stata stipendiata fino alla pensione, senza mai vedere la centrale in funzione. Oggi Viviana Cruciani guida la squadra di Sogin (azienda specializzata nello smantellamento di impianti simili) che deve smontare pezzo per pezzo l’impianto e poi tagliare, svitare, decontaminare, riciclare, mettere in sicurezza tutto quanto.
La dismissione degli impianti atomici italiani per i quai era stata creata appositamente la Sogin doveva doveva essere in realtà completata per il 2019, ma scadenze e costi sono stati ridefiniti più volte e la chiusura del ciclo è stata posticipata prima al 2025, poi al 2032; ora si parla già di 2036. L’impegno finanziario per smantellare l’intero parco nazionale, da Caorso a Latina, da Garigliano a Trino Vercellese, è passato da 5,7 miliardi a 7,5 miliardi. Per quanto riguarda specificamente Caorso ci sono voluti sette anni per costruirla, quattro per aggiustarla e renderla più sicura, cinque per vederla funzionare. E venti per tenerla ferma. I cost preventivati all’epoca ammontavano a 140 miliardi di vecchie lire e salirono a 740. Ora ci vogliono 460 milioni di euro per smantellarla.
Lo smantellamento produrrà 322 mila tonnellate di materiali, tra metallo e calcestruzzo. Come 3 portaerei, 40 torri Eiffel o l’intero l’Empire State Building. «Di queste tonnellate almeno 300 mila composte da metalli e calcestruzzo saranno inviate a recupero», dice Cruciani.
Il futuro, una volta compiuta la dismissione, è una sorta di via Gluck a contrario: lì dove c’era il cemento ci dovrebbe essere il verde. Sogin, la societa pubblica responsabile della dismissione degli impianti nucleari in Italia e della gestione dei rifiuti radioattivi, si è impegnata nella riqualificazione e nel riequilibrio ambientale dell’area. Gian Luca Artizzu, amministratore delegato di Sogin, dice che «la nuova vita dei siti nucleari va resa disponibile in ottica di economia circolare». Primo obiettivo è la minimizzazione dei rifiuti radioattivi. Impresa che deve fare i conti con un’incognita che pesa sulla politica: dove mettere le scorie. In Italia non c’è il sito per lo stoccaggio. Non c’è mai stato. Quelle di Caorso riprocessate e ridotte sono in attesa del deposito nazionale. La carta delle aree idonee di Sogin ha indicato 51 località. Il ministero dell’Ambiente deve valutarne l’impatto sul territorio. Per anni si era parlato di Scanzano Ionico. Oggi è fuorigioco. Si palleggiano altre aree in provincia di Torino, Alessandria e Viterbo.