Economia

  • Gli effetti, anche fiscali, della crescita turistica

    L’economia turistica purtroppo viene ancora oggi indicata come il “petrolio italiano” ed ottiene una maggiore attenzione e sostegno politico rispetto al settore industriale ed ai propri servizi collegati, gli unici in grado di esprimere un effetto moltiplicatore del valore aggiunto.

    Tuttavia, questa strategia conferma una errata interpretazione non solo della situazione del turismo in Italia e del suo trend ma soprattutto degli effetti economici negativi in quanto espressione di una semplice speculazione.

    Da decenni, la politica governativa e parlamentare ha sempre dimostrato di considerare il turismo come un centrale volano economico e si è sempre affermato come il processo di internazionalizzazione delle strutture alberghiere attraverso l’acquisizione di alberghi storici operati da Fondi privati esteri rappresentasse un plus per il Paese, a dimostrazione della sua appetibilità.

    Da Cortina d’Ampezzo, in pieno delirio olimpico per quanto riguarda la speculazione edilizia, a Venezia, passando per Roma e Firenze, sono decine gli alberghi passati in mano di fondi privati esteri, i quali ora  li stanno ristrutturando in previsione di un turismo “elitario”, quindi molto spesso rivolti ad una clientela estera.

    Al di là dell’impatto che arrecano sulla struttura sociale nelle località, queste operazioni di speculazione edilizia, tali da  meritare una ampia trattazione a parte, questa cieca accondiscendenza dell’intero sistema politico e delle associazioni di categoria risulta figlia di un pressapochismo economico, ma anche probabilmente di una disonesta complicità che ora non tarda a manifestare i propri effetti deleteri proprio a livello economico e fiscale.

    La cifra indicata come perdita per il sistema fiscale causata proprio dalla “natura fiscale” di questi investimenti di fondi privati esteri (*) ammonta a due (2) miliardi di euro, e risulta a quasi il 50% del valore degli sconti fiscali sulle accise dei carburanti introdotti dal governo Draghi.

    In altre parole, questa strategia speculativa non solo priva il patrimonio italiano di molti simboli della hotellerie storiche,ma in più presenta un costo aggiuntivo a carico dei cittadini italiani i quali si vedono annullati determinati incentivi fiscali o al contrario aumentata la pressione fiscale.

    Ecco, quindi, come una scellerata politica economica, in questo caso in ambito turistico, possa rivelarsi persino in un fattore di aumento della pressione fiscale a causa dell’impatto negativo per le entrate fiscali,

    i cui costi aggiuntivi andranno interamente addebitati alla fiscalità generale a carico dei cittadini e delle imprese italiane.

    La strategia turistica italiana fornisce un supporto all’economia nazionale ma si rivela, se considerata all’interno di un’ottica più generale, proprio a causa della sua approssimativa gestione, un terribile boomerang economico e fiscale oltre che sociale.

    In  ultima istanza questa esprime una facile complicità tra l’universo politico e l’interesse di una elite finanziaria decisamente speculativa attiva nel settore alberghiero. Risulta quindi inevitabile come ai sempre più sottostimati costi sociali a carico delle comunità locali, come lo spopolamento,  la chiusura delle attività commerciali ed artigianali storiche, si aggiungano ora quelli fiscali  a carico dell’intera comunità.

    (*) https://www.affaritaliani.it/roma/il-turismo-in-mani-straniere-e-il-fisco-ci-rimette-2-mld-ogni-anno-l-industria-che-non-c-e-929623.html

  • Parte la produzione di Fiat Panda in Serbia

    La società Fca Serbia ha inaugurato la nuova linea di produzione di prova del modello elettrico della Fiat Grande Panda nello stabilimento Stellantis di Kragujevac. Alla cerimonia erano presenti il presidente serbo, Aleksandar Vucic e Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, insieme alle più alte cariche statali serbe tra cui il ministro delle Finanze Sinisa Mali, il ministro dei Trasporti Goran Vesic e l’ambasciatore d’Italia a Belgrado, Luca Gori. Ci sono voluti due anni per adattare lo stabilimento di Kragujevac, in cui prima si produceva la Fiat 500L, dalla produzione automobilistica convenzionale a quella elettrica, dopo che l’anno scorso il ministero dell’Economia serbo e la stessa società hanno firmato un accordo per la produzione di auto elettriche negli stabilimenti di Kragujevac.

    Il contratto prevedeva un investimento di 190 milioni di euro per il riammodernamento delle linee di produzione, l’investimento da parte della Serbia ammontava a 48 milioni. Le linee di produzione, quindi, sono ora automatizzate e robotizzate e lo stabilimento dà lavoro oggi a circa mille persone. Il nuovo modello di Grande Panda sarà realizzato nelle due versioni, elettrica e ibrida, e da Kragujevac l’auto arriverà prima in Europa, poi in Medio Oriente e in Africa. Con l’inizio della produzione in serie, previsto per ottobre, il Paese balcanico diventerà il primo dei Balcani ad avere una produzione completa di veicoli elettrici, a partire dalle batterie. Il passo di oggi infatti segue la firma della settimana scorsa tra i rappresentanti dell’Unione europea e del governo di Belgrado sul Memorandum d’intesa per il partenariato strategico nel campo delle materie prime sostenibili, della catena del valore delle batterie e dei veicoli elettrici.

    La sigla del documento, oltre a ridare slancio al progetto di estrazione del litio, elemento fondamentale per la transizione verde e digitale e di cui il Paese dispone di grandi quantità, prevede l’avvio anche della produzione interna di batterie elettriche. Il presidente serbo ha sottolineato nella conferenza stampa di inaugurazione di prevedere nel 2025 “una crescita del Pil dello 0,5 per cento” solo grazie allo stabilimento di Kragujevac, chiedendo ai cittadini di avere un occhio di riguardo verso la Grande Panda, al momento dell’acquisto di una nuova vettura. “Dobbiamo prenderci cura di questa macchina”, ha detto Vucic, invitando ad acquistare un prodotto “locale” poiché, ha sottolineato, “aiuta il progresso della nostra industria”.

    “Aiutiamo le persone a trovare lavoro. Duemila cittadini di Kragujevac lavoreranno qui, 7 mila persone dipenderanno da questa fabbrica”, ha sottolineato il presidente serbo, ricordando i difficili colloqui di due anni fa tra i rappresentanti del governo e i sindacati dei lavoratori, e gli scioperi, quando lo stabilimento in cui prima si produceva la Fiat 500L ha chiuso e a una parte degli operai è stato chiesto di formarsi all’estero. “Ce l’abbiamo fatta tutti insieme, dopo difficili colloqui e scioperi nella fabbrica di Kragujevac”, ha ricordato il capo dello Stato. “Abbiamo attraversato un periodo difficile nella fabbrica di Kragujevac, ma eravamo uno accanto all’altro. Stellantis ha mantenuto ciò che aveva promesso”, ha ricordato a tal proposito Tavares, il quale ha affermato che è dovere di Stellatis scrivere “un altro capitolo degli affari della Fiat in Serbia”.

  • Dall’evasione fiscale al sistema bancario

    All’interno di un sistema democratico ogni forma di pagamento dovrebbe rappresentare la manifestazione di una libera scelta del cittadino rispetto al pagamento per un qualsiasi acquisto e proprio per questo dovrebbe risultare legittima in ogni sua forma di espressione.

    La continua pressione, invece, nella sola direzione a favore dei pagamenti attraverso la moneta elettronica, soprattutto da parte di quelle forze politiche ed istituzionali italiane ed europee, e che si considerano liberali o addirittura progressiste, quindi più vicine alle incombenze del cittadino comune, suscita dubbi e probabilmente esprime anche una certa complicità con il sistema bancario.

    Andrebbe ricordato come con l’utilizzo dei pagamenti elettronici (una forma assolutamente comoda anche per chi scrive) si pagano ogni giorno tra i 150 ed i 180 milioni in commissioni.

    In un mese, quindi, questa somma diventa di 4,5 miliardi di euro e in un anno di trasforma in oltre 54 miliardi di risorse sottratte al processo di creazione di  valore aggiunto e trasformate in una  semplice commissione pagata al sistema bancario.

    L’evasione fiscale in Italia ammonta nel 2021 a 81 miliardi di euro di imponibile (compresa però anche quella contributiva) e nel 2023 sono state recuperate, secondo l’Agenzia delle Entrate, oltre 24 miliardi di imposte evase, proprio grazie, cosi si afferma, al maggiore utilizzo delle carte di debito e di credito e quindi alla tracciabilità dei pagamenti.

    Dalla semplice considerazione nel confronto tra i numeri  emerge come l’utilizzo della moneta elettronica rappresenta più  lo strumento “perfetto” finalizzato alla trasformazione di una ipotetica evasione fiscale in utili a favore del sistema bancario, in quanto per recuperare 24 miliardi di imponibile il costo complessivo risulta di circa 54 miliardi, con un saldo a tutto favore del sistema bancario.

    In altre parole per un euro recuperato di evasione fiscale il sistema bancario ne incassa due (2).

    Per questo semplice motivo, allora, il recupero anche dell’intero ammontare dell’evasione fiscale non potrà mai tradursi in una riduzione della pressione fiscale (“paghiamo tutti per pagare di meno”) ma diventa già da oggi semplicemente un ulteriore arricchimento ingiustificato del sistema bancario in quanto già ora le commissioni rappresentano il 57% degli utili degli istituti.

    Nessuno intende giustificare l’evasione fiscale ma risulta evidente come la moneta elettronica rappresenti lo scettro del potere del sistema bancario che esercita sulle masse di consumatori. In cambio, lo stesso sistema acquista i titoli del debito pubblico che assicurano la libertà di crescita nella spesa pubblica alla classe governativa e politica.

    La diarchia (*) trova la propria massima espressione nello storytelling della lotta all’evasione fiscale.

    (*) novembre 2018 https://www.ilpattosociale.it/attualita/la-vera-diarchia/

  • Gli Houti fanno crollare del 23% i proventi che l’Egitto trae dal canale di Suez

    I ricavi del Canale di Suez sono diminuiti di circa un quarto (23 per cento) nell’anno fiscale 2023/2024 rispetto a quello precedente, a seguito della situazione critica che sta vivendo l’area del Mar Rosso. Secondo il presidente dell’Autorità del Canale di Suez, Osama Rabie, dal primo luglio 2023 al 30 giugno 2024 sono transitate 20.148 navi per una stazza netta totale di un miliardo di tonnellate, generando ricavi pari a 7,2 miliardi di dollari. Il precedente anno fiscale (2022/2023) aveva invece visto il transito di 25.911 navi per 1,5 miliardi di tonnellate nette e ricavi di 9,4 miliardi di dollari. Durante un incontro con il comandante del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), Michael Kurilla, Rabie ha spiegato che le tensioni nel Mar Rosso hanno spinto molti armatori e operatori “a scegliere percorsi alternativi”, influenzando quindi negativamente il transito delle navi nel Canale di Suez, che “riveste un ruolo fondamentale per la stabilità e la sostenibilità delle catene di approvvigionamento globali”.

    In un discorso televisivo il 18 luglio, citato dall’agenzia di stampa yemenita “Saba”, Abdul Malik al Houthi, leader del gruppo filo-iraniano yemenita, ha dichiarato che da novembre scorso sono in totale 170 le navi prese di mira nel Mar Rosso, nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden. I miliziani Houthi hanno utilizzato 25 missili balistici e da crociera, droni aerei e un drone marino nelle operazioni dell’ultima settimana. “Se Dio vorrà, intensificheremo progressivamente e aumenteremo l’impatto delle nostre operazioni nell’Oceano Indiano e nel Mediterraneo”, ha affermato Al Houthi. Il leader ha anche lanciato un nuovo avvertimento all’Arabia Saudita, affermando che Riad sta mettendo a rischio il suo futuro allineandosi troppo strettamente con gli Stati Uniti e Israele. “Se il regime saudita è pronto a sacrificare il suo futuro e a vanificare i suoi piani economici per amore di Israele e degli Usa, allora non ha senso la Visione 2030 (programma strategico promosso da Riad per ridurre la propria dipendenza dal petrolio e diversificare l’economia del Paese), o i piani di sviluppo dell’aeroporto di Riad per farlo diventare uno dei più grandi al mondo”, ha sottolineato Al Houthi.

    Dalla metà di novembre scorso, gli Houthi hanno sferrato una serie di attacchi contro le navi commerciali e militari in transito nel Mar Rosso, nel Mar Arabico e nel Golfo di Aden, a loro dire dirette o collegate in qualche modo a Israele. Gli Houthi hanno lanciato queste operazioni “in solidarietà con il popolo di Gaza” e hanno ripetutamente dichiarato che gli attacchi non finiranno fino a quando lo Stato ebraico non cesserà le operazioni militari contro la Striscia. I continui attacchi del gruppo yemenita hanno spinto il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, a lanciare a dicembre scorso l’operazione multinazionale “Prosperity Guardian” finalizzata a proteggere la navigazione nel Mar Rosso. Inoltre, le forze statunitensi e britanniche hanno condotto significativi attacchi contro le postazioni degli Houthi in Yemen, con l’obiettivo di ridurre la capacità dei miliziani di attaccare le navi commerciali

    Il Canale di Suez è la via d’acqua di maggior importanza strategico-commerciale internazionale perché permette la navigazione dall’Europa all’Asia (e viceversa) senza la necessità di circumnavigare l’Africa lungo la rotta del capo di Buona Speranza. Rabie ha affermato che l’Autorità del Canale di Suez continua a sostenere i propri clienti, adottando misure per mitigare l’impatto dell’attuale situazione “attraverso comunicazioni dirette e l’introduzione di nuovi servizi di navigazione”. “Nonostante le sfide, la strategia di sviluppo del Canale procede rapidamente per migliorarne capacità ed efficienza, mantenendo la competitività e rafforzando il ruolo di leadership nelle rotte marittime globali”, ha detto Rabie durante la visita del comandante del Centcom, aggiungendo che “non esiste un’alternativa realistica al Canale di Suez”.

    Ad oggi, l’uso di rotte alternative comporta tempi di viaggio più lunghi del 30-40 per cento, costi operativi superiori (il prezzo di spedizione dei container ha superato i 4.700 dollari a giugno) e impatti ambientali negativi con elevate emissioni di carbonio, oltre a congestionamenti portuali e ritardi nella consegna delle merci. Rabie ha sottolineato che il sistema di sicurezza marittima del Canale è “efficace”, in quanto “garantisce un supporto completo alle navi in transito tramite servizi di pilotaggio, salvataggio, manutenzione e altri servizi di navigazione, con il sostegno delle Forze armate egiziane”. Kurilla, da parte sua, ha espresso apprezzamento per gli sforzi dell’Autorità del Canale di Suez nella gestione della crisi e nell’affrontare le sfide alla sicurezza nella regione.

    Secondo Srm, Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, il traffico marittimo dell’Italia che transita per Suez è significativo: per il Canale passa ogni anno circa il 40 per cento dell’import/export marittimo generato dalle imprese italiane, 130 miliardi di euro. Ne deriva una particolare vulnerabilità del sistema produttivo alle interruzioni o ai rallentamenti di Suez. Secondo le elaborazioni Srm su dati Assoporti, tuttavia, la portualità italiana, in particolare quella con una forte vocazione al traffico container, sta affrontando la crisi con ottimi risultati. La performance complessiva sui container movimentati nei porti di Genova e Savona, Civitavecchia, Gioia Tauro, Bari, Ravenna, Trieste è aumentata del 10 per cento nei primi quattro mesi del 2024.

    Spicca il dato del principale porto di transhipment, ovvero Gioia Tauro, con un +26 per cento. La conseguenza più importante riguarda la necessità di dover riprogrammare arrivi, partenze e disponibilità di banchine a causa dei ritardi delle navi. Un altro importante effetto, specifico per l’Europa, riguarda la decarbonizzazione del settore marittimo: rotte più lunghe costringeranno le navi a maggiori emissioni di CO2 e quindi ad avere maggiori oneri connessi alla nuova normativa Ets (Emission Trading System). Aumentando il costo del viaggio (es. equipaggio e maggiore quantità di carburante) e restando le navi più tempo in mare, il prezzo di spedizione dei container è cresciuto e a giugno ha superato i 4.700 dollari, secondo il Drewry World Container Index.

  • Trasporto marittimo cresciuto del 2,2% nel 2023

    Il trasporto marittimo sta mostrando una “notevole resilienza” nonostante le difficoltà del momento storico acuite dalla crisi del Mar Rosso che ha avuto notevoli ricadute sul commercio marittimo. Nel 2023 il commercio via mare globale “è aumentato del 2,2 per cento raggiungendo 12,3 miliardi di tonnellate” e le previsioni per l’immediato futuro sono “positive”. Il commercio via mare, si prevede, “crescerà del 2,4 per cento al 2024 e del 2,6 per cento al 2025”. Nelle sede delle Gallerie Italia in via Toledo a Napoli, l’undicesimo Rapporto Annuale “Italian Maritime Economy”, elaborato da Srm (Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo) e intitolato quest’anno “Le nuove sfide dei porti dell’area euro-mediterranea.

    La crisi nel Mar Rosso e le trasformazioni imposte dai modelli green”, analizza l’impatto delle crisi sul commercio marittimo, tra criticità e possibilità. E le possibilità maggiori sembrano destinate ad essere colte dal Mediterraneo e in particolar modo dal Sud Italia. Si parte da un dato fermato nel rapporto: “Nel 2023 i porti italiani hanno tenuto. Alcuni settori sono cresciuti”, ha evidenziato Deandreis. Tra questi Ro-Ro, eccellenza italiana, che nel decennio ha fatto registrare “una crescita del 56 per cento”. “I containers invece hanno avuto dei cali”, ha proseguito Deandreis. “I porti del Sud – ha detto il presidente di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro – svolgono una importante funzione al servizio di tutta l’economia nazionale, assicurandone l’interscambio con il resto del mondo.

    I porti del Mezzogiorno – ha aggiunto – consentono inoltre all’Italia di essere ponte tra Nordafrica ed Europa nei flussi energetici, che in futuro arriveranno in misura crescente da fonti rinnovabili. E’ infatti dal Nord Africa che l’Europa potrà importare energia di origine solare ed eolica e con cui dovrà sviluppare una cooperazione fruttuosa, anche manifatturiera, su tutta la filiera delle rinnovabili – ha spiegato -. Sempre al Sud sono stanziati oltre 2,8 miliardi di investimenti riferiti ai porti, tra Pnrr e altri fondi, pari al 33 per cento del totale italiano, una iniziativa senza precedenti. Dalle analisi di Srm, il Mezzogiorno e tutte le sue potenzialità emergono chiaramente come area strategica per l’Italia”.

    Stringendo l’obiettivo sui porti della Campania, i numeri dicono che “complessivamente il porto di Napoli – ha spiegato Deandreis – sta tenendo, mettendo insieme anche Salerno. I primi mesi dell’anno hanno avuto un segnale molto positivo per le grandi sfide che sono poi anche quelle del PNRR, che destina risorse importanti, miliardi per l’implementazione delle infrastrutture nei porti. E’ evidente che quando si parla di successo del PNR si parla anche di vedere il miglioramento di quell’indice della competitività dei porti italiani. Quindi noi quando ci auguriamo che il Pnrr venga implementato, il nostro Paese lo realizzi nei tempi stretti previsti, non lo facciamo solo in termini generali, ma anche perché questo significa misurare l’impatto positivo”. E, tuttavia, per far sì che il Mediterraneo diventi l’area di maggiore interesse sul fronte dei porti c’è bisogno di interventi legislativi mirati. Lo ha sottolineato Paolo Scudieri, presidente di Srm (Centro studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo), nel suo intervento: “Il Mediterraneo cresce nel numero di scambi del tre per cento, mentre il resto del mondo si attesta sul 2,5 per cento, ma i porti del Nord Europa e dell’Africa sono molto attrattivi perché e molto veloci nelle operazioni degli scambi e dunque degli sdoganamento degli scambi”. Ecco perché, ha aggiunto Scudieri, la sfida è “reagire utilizzando le stesse leve: sburocratizzazione, propensione agli investimenti e abolire quei vincoli e quei laccioli che ci vincolano ai maggiori dragaggi per ospitare navi di tonnellaggio maggiore, che ci stoppano lavori infrastrutturali dei retroporti che invece sono determinante”.

    “Dobbiamo essere veementi e determinati a rappresentare le necessità di un qualcosa che è ancora conveniente, ancora attratti che non può vivere sugli allori ma deve necessariamente evolversi, leggendo numeri e dati che con competenza Srm sa fornire per una giusta traiettoria”, ha detto Scudieri.

    C’è molto da fare e ci sono molte “sfide strategiche” che, come sottolineato da Gros-Pietro, “logistica e portualità devono affrontare”, come quella “della transizione energetica, che significa trovare strade innovative per decarbonizzare tutta la filiera del mare”. “L’utilizzo di carburanti alternativi – si legge nel rapporto – ha continuato a progredire, con il 6,5 per cento della flotta in navigazione in grado di utilizzare nuovi propellenti meno inquinanti. Percentuale che raggiungerà il 25 per cento al 2030. Il 50,3 per cento di tutti gli ordini a luglio 2024 è relativo a navi che utilizzano combustibili alternativi (nel 2017 questa quota era solo del 10,7 per cento)”.

    Deandreis ha avvertito sulla necessità di adeguare i porti per far si’ che questa sfida dei carburanti alternativi sia vinta: “I porti devono essere attrezzati, quindi c’è ad esempio il tema del bunkeraggio – ha sottolineato il direttore generale Srm nell’analizzare il rapporto -. I porti oggi non sono più luoghi dove partono e arrivano merci, sono hub energetici potenti. I porti devono essere funzionali a produrre energia rinnovabile”. Ha fatto eco sul punto Emanuele Grimaldi, ceo di Grimaldi group e presidente Ics (International chamber of shipping): “Gli aspetti più importanti di cui parliamo nelle associazioni di categoria sono quelli della decarbonizzazione che ci sta a cuore, non è qualcosa che possiamo fare noi da soli. Noi armatori dobbiamo avere dei porti che possano essere totalmente decarbonizzati”.

    Nel suo intervento Grimaldi ha anche perorato la causa dei marittimi: “Non hanno alcuna considerazione, durante il Covid non hanno avuto alcuna ospedalizzazione, non hanno potuto parlare con le loro famiglie perché spesso le navi non erano connesse. Bisogna intervenire per migliorare le condizioni di vita dei marittimi a bordo delle navi e per portare la connettività a bordo”. Ma di lavoro da compiere ce n’è molto. “Il Mediterraneo nonostante le crisi resta sempre al centro del commercio marittimo mondiale e l’Italia è ben posizionata, però restiamo ancora al 19esimo posto nel Logistic Performance Index – ha avvertito Deandreis -. Significa che abbiamo grandi paesi competitors commerciali davanti e questo ci dà veramente l’indicazione sul fatto che il Paese deve fare uno sforzo in più in termini di investimento nelle infrastrutture”.

  • Quel milione e 900mila spettatori ad eventi musicali che contribuisce all’aumento del Pil

    Presentato a Roma, al ministero della Cultura, il Rapporto annuale attività musicali in Italia e all’estero, curato da Aiam (Associazione Italiana Attività Musicali). Sono intervenuti il sottosegretario Gianmarco Mazzi, Roberto Marti, presidente Commissione Cultura Senato, Federico Mollicone, presidente Commissione Cultura Camera, Antonio Parente, direttore generale Spettacolo del MiC, numerosi esponenti del mondo della cultura e delle istituzioni.

    “Con il Fondo Nazionale dello spettacolo dal vivo, nel 2023, abbiamo supportato 800 operatori musicali. Tra questi, 188 realtà private aderenti all’Aiam sono state finanziate con oltre 20 milioni di euro. Numeri che testimoniano l’importanza attribuita alla musica come motore di cultura e di coesione sociale”, ha sottolineato il sottosegretario Mazzi.

    I 206 soci dell’Associazione Italiana Attività Musicali, alla luce dei risultati ottenuti nel corso del 2023, chiedono al Governo di aumentare la capienza del Fondo Nazionale Spettacolo dal Vivo e fare in modo che raggiunga gradualmente l’1% del Pil. “La cultura che produciamo è benzina per il Paese, capace di incrementare per ben tre volte l’investimento fatto dallo Stato su di noi”, ha spiegato Francescantonio Pollice, presidente di Aiam, Numeri alla mano, infatti, a fronte di un contributo Fnsv di 20.540.583,81 euro le istituzioni Aiam hanno una spesa di costo del lavoro di 64.192.578,19 euro. L’insieme dei soci Aiam versa allo Stato, per lavoro dipendente o assimilato, una somma pari al 76,23% dell’importo assegnato.

    Le sponsorizzazioni e i contributi privati sono pari al 22,68%, seguiti dalle erogazioni delle fondazioni bancarie e dell’Art Bonus. Del tutto residuale, infine, l’apporto di risorse Ue con 217mila euro di cui il 71,82% dei fondi vanno in Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte, il 22,08% in Sicilia e il 6,10% in Campania.

    Dal rapporto scaturiscono però anche delle criticità. Le attività musicali non sono diffuse su tutto il territorio nazionale, e non per una disomogeneità nella distribuzione dei fondi ma per la mancanza, in numerose regioni e città, di teatri, orchestre, società di concerti e attività di formazione e promozione (soprattutto al Sud e nelle isole). Persiste inoltre anche la sproporzione fra l’investimento statale in formazione e quello nella produzione, con il conseguente abbandono del settore da parte di tanti giovani musicisti che studiano e si formano, ma che, non trovando una occupazione, alla fine cambiano professione.

  • Da novembre 2021 a luglio 2024

    In piena era Draghi più volte il ministro Brunetta affermò che l’Italia si trovava all’interno di una fase di sviluppo simile a quello del boom economico degli anni sessanta. Viceversa, l’aumento nominale del PIL era semplicemente legato all’esplosione dell’inflazione (1), del debito pubblico (2) e della spesa pubblica specialmente legata ai bonus edilizio (3), tre fattori disastrosi che avevano drogato l’indice di crescita del PIL.

    Successivamente gli effetti a lungo termine della pandemia, abbinata all’inizio della guerra Russo Ucraina, non hanno fatto altro che accentuare gli effetti disastrosi dei tre indicatori economici citati precedentemente.

    Quello era, però, il governo degli ottimati, il quale ha mantenuto l’impostazione e le disastrose strategie dei bonus di quello precedente, seguito da un altro governo altrettanto incapace di invertire questo trend, e soprattutto di avviare una politica in grado di porre al centro dello sviluppo il sistema industriale.

    Andrebbe sottolineato come le crisi economiche vengano innescate molto spesso da eventi decisamente incontrollabili, come il covid o la guerra russo ucraina. Tuttavia gli effetti risultano quanto mai disastrosi in rapporto alla vulnerabilità di un sistema politico economico nazionale.

    In altri termini, quando la crescita economica di un paese risulta finanziata esclusivamente dalla spesa pubblica, e per di più con obiettivi strategici assolutamente discutibili, come il settore edilizio erroneamente considerato un settore trainante dell’economia, allora la vulnerabilità dell’intero sistema diventa massima.

    Certamente le nostre Pmi, che fanno parte di filiere estere delle eccellenze, pagano anche contemporaneamente la crisi internazionale, e tedesca in particolare, del settore Automotive. In questa situazione poi si inserisce anche la scelta di Stellantis, la quale ha ridotto la produzione all’interno degli stabilimenti italiani del -25% rafforzando il deleterio processo di deindustrializzazione.

    Non bastasse, si devono considerare gli effetti della errata politica europea imputabile alla Commissione Europea precedente la quale, invece di garantire la sopravvivenza di un sistema economico ed industriale europeo in forte difficoltà per i notevoli contraccolpi generati dalla pandemia e dalla successiva guerra, in un furore ideologico ha abbracciato in modo infantile la transizione energetica ed ecologica, deleteri per i terribili effetti economici e per l’occupazione.

    Ora, nel luglio 2024, il settore metalmeccanico registra una flessione della produzione industriale del -25%, contemporaneamente il settore calzaturiero della Riviera del Brenta segna per il 2023 un -25%, sempre di produzione industriale il complesso nazionale registra un -9,7% di export e -10,1 di fatturato nel primo trimestre 2024.

    Il settore immobiliare si allinea al trend negativo con una flessione del -8,7%, mentre la conceria altro plus del Made in Italy presenta un segno negativo, che va dal -20% al -50%.

    Lo stesso il trend turistico, vanto del Presidente della Regione Veneto e del governo in carica, ha tassi di crescita inferiori a quelli di Francia e Spagna (**), quindi ci si illude che l’economia turistica cresca al netto dei concorrenti quando invece regredisce.

    Di fronte ad una situazione del genere sarebbe opportuno cominciare a parlare non solo di dinamiche internazionali ma soprattutto di politica industriale e cioè di filiera integrata, intesa come l’unica generatrice di valore aggiunto indipendente dalla spesa pubblica.

    Anche se il contesto internazionale risulta complesso, ricominciare dall’economia in grado di generare valore aggiunto potrebbe essere un buon punto di partenza.

    (*) https://www.ilrestodelcarlino.it/pesaro/cronaca/produzione-industriale-in-allarme-nella-meccanica-un-calo-del-25-e-a-settembre-ottobre-peggiorera-530bf34a

    (**) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-turismo-questo-sconosciuto/

  • Terre rare ma non troppo: la Mongolia è lo scrigno della Cina

    La regione autonoma della Mongolia interna, che fa parte della Cina e non dello stato della Mongolia con capitale Ulan Bator, ha un valore strategico per la Cina: ricca di risorse naturali, ospita il più grande giacimento di terre rare della Cina, primo paese al mondo per riserve di tale risorsa che è essenziale per la fabbricazione di diversi tipi di microchip.

    L’area mineraria di Bayan Obo (ovest della regione) è considerata la “capitale delle terre rare”. Si stima che qui ve ne siano 100 milioni di tonnellate, cioè l’83% di quelle della Cina, che a sua volta possiede il 38% delle riserve mondiali. Si tratta soprattutto di quelle “leggere”, impiegate nello sviluppo di turbine eoliche, auricolari, microfoni, schermi lcd e al plasma, magneti, veicoli ibridi, videocamere, batterie ricaricabili, smartphone e missili guidati.

    Oggi la Mongolia Interna è abitata dagli han (17,6 milioni), dai mongoli (circa 4 milioni) e da altre etnie minoritarie. Il boom dell’estrazione mineraria e in particolare delle terre rare ha alimentato la crescita esponenziale della regione nei primi anni Duemila. Questo ha determinato tuttavia l’aggravarsi dell’inquinamento ambientale e l’accelerazione del processo di urbanizzazione. Pechino cerca di alimentare la crescita della regione coinvolgendola nel progetto “Una cintura, una via” (o Belt and Road Initiative) e allo stesso tempo, sta cercando di porre limiti all’estrazione, per non danneggiare eccessivamente l’ambiente.

    Pechino ha peraltro forti interessi economici anche con la cosiddetta Mongolia esterna, quella che il mondo conosce come lo Stato della Mongolia con capitale Ulan Bator, legati anzitutto al carbone, vero tesoro nazionale di quel Paese. Negli ultimi anni si sono registrate varie proteste nella capitale Ulan Bator perché funzionari pubblici sono sospetti di corruzione pro-Cina e di aver di fatto svenduto a Pechino quello che è il vero tesoro nazionale, il carbone appunto, per un valore di miliardi di dollari.

  • Addio fisicità, il sesso si fa tramite video su Only Fans

    Mettere a profitto il proprio corpo è una delle prime attività imprenditoriali che l’uomo abbia sviluppato e ora la tecnologia consente di farlo anche senza sudare. Only Fans consente di divulgare contenuti espliciti e attraverso la fidelizzazione (indotta dalla formula degli abbonamenti mensili) assicura entrate ragionevolmente certe.

    Pochi però sfondano davvero: si stima che l’1% dei creatori fatturi 100.000 euro al mese e a raggiungere introiti simili sono personaggi famosi, come rapper e attori che condividono foto e video più o meno intimi. Di norma il guadagno medio mensile si aggira intorno a qualche centinaia di euro, su cui la piattaforma trattiene il 20%.

    Guadagnare è ovviamente il motivo principale che spinge a esibirsi, tanto più che il web garantisce distanza e incolumità, ma accanto alla signora sposata e con un lavoro regolare che arrotonda in questo modo c’è anche chi lo fa per mero esibizionismo. Ovviamente ci sono anche minorenni, che si registrano con identità ed età fasulle.

    Nel 2022, a 6 anni dal suo lancio, Only Fans ha generato 5,5 miliardi di pagamenti e ancor più dopo il Covid creator (chi si mostra) e acquirenti (chi guarda) sono in aumento: i primi sono perlopiù donne, soprattutto under 30, i secondi uomini.

    In Italia Only Fans è diffuso anzitutto a Milano, dove si registrano 2.672 creator, poi a Roma e Napoli.

  • Economia industriale: il trend si conferma

    Le flessioni consecutive della produzione industriale arrivano a quota 16. Mai dal dopoguerra ad oggi si è assistito ad una ininterrotta caduta della produzione industriale aprendo scenari problematici.

    Mentre il ministro dell’Economia assicura che la prossima manovra finanziaria non sarà “lacrime e sangue”, nel più assoluto disinteresse governativo ma anche dell’intera opposizione, assistiamo ad un processo di deindustrializzazione senza precedenti in Italia confermato dalla sedicesima flessione della P.I.

    Ovviamente le cause di questa trend negativo possono essere riportate all’assoluta mancanza da decenni di una politica industriale quanto, di conseguenza, a una responsabilità diffusa di ogni compagine governativa.

    Tuttavia, mentre nel maggio 2023 la Francia nazionalizzava EDF con l’obiettivo di assicurare un basso costo delle bollette elettriche alle imprese e alle famiglie, in Italia si è assistito alla sospensione del mercato tutelato e alla continua e ulteriore privatizzazione di Eni Enel Multiutility ed ora, anche se in un diverso settore strategico, di Tim. Gli effetti di questa strategia si sono rivelati devastanti per l’economia italiana nel suo complesso.

    Dal 2023 al 2024 il differenziale pagato in più per l’energia elettrica dalle imprese quanto dalle famiglie italiane è passato, rispetto alla Francia, da un +27% (2023) ad un +71% (2024). Contemporaneamente lo stesso differenziale con la Spagna si è innalzato da un +30% (2023) ad un +68% (2024) e con la Germania si passa da un +23% ad un +29% tra il 2023/24.

    Nel medesimo anno il costo dell’energia elettrica risulta diminuita in Italia del -10%, mentre in Germania si è ridotta del -18%, in Spagna del -59%, infine in Francia del -69%.

    Uno scenario strategico che ovviamente induce gli imprenditori già sul campo a ridurre gli investimenti in attesa di una inversione della recessione internazionale, ma al tempo stesso allontana sempre più gli investimenti esteri nel nostro Paese.

    Mentre sull’onda dei risultati elettorali in Gran Bretagna e in Francia riemergono le proposte per una patrimoniale o per un innalzamento della pressione fiscale, andrebbe ricordato un altro fattore fondamentale in ambito economico Il quale condiziona le stesse scelte strategiche, cioè l’efficienza della spesa pubblica.

    In altre parole, questo parametro indica gli effetti positivi relativi alla vita quotidiana e al benessere dei cittadini in rapporto alla crescita della spesa pubblica.

    In questo contesto, allora, andrebbe ricordato come il nostro Paese risulti tristemente al 123esimo posto per quanto riguarda l’efficienza della spesa pubblica, persino dietro ad Haiti.

    Come inevitabile conseguenza, quindi, e come del resto anche la gestione del PNRR ha ampiamente dimostrato, accrescere la dotazione di risorse pubblica della spesa pubblica non si traduce in un miglioramento dei servizi ai cittadini, e tantomeno aumentano le opportunità di lavoro in quanto dal 2019 ad oggi le retribuzioni sono diminuite in Italia del -6,9%.

    Questa situazione complessa, e come già detto espressione di responsabilità condivise dalle più diverse compagini governative sia politiche che tecniche che si sono alternate alla guida del nostro Paese negli ultimi trent’anni, esprime comunque una regressione culturale senza precedenti.

    In altre parole, tutti i governi si sono dimostrati completamente digiuni di qualsiasi capacità di analisi e sviluppo di una politica industriale o di considerazione dei fondamentali economici e rappresentano il primo problema del nostro Paese, il quale ancora una volta, come da trent’anni a questa parte, si dimostra assolutamente impreparato alla sfida di un mercato globale.

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