diritti

  • La sicurezza, i dati sensibili, Musk

    La sicurezza di una nazione, prima ancora che dalle Forze Armate, è garantita dai sistemi di intelligence e dalla esclusiva proprietà dei siti strategici e dei dati sensibili.

    Preoccupano seriamente le ipotesi di affidare a sistemi privati, di chiunque siano, la gestione dei nostri dati sensibili che, già nel passato, spesso, non sono stati gestiti direttamente da strutture pubbliche ma private con i problemi, molto preoccupanti, che sono sorti negli ultimi tempi per l’uso ed abuso di questi dati.

    L’ingerenza di interessi di singoli personaggi o di altri Stati nella vita democratica di una nazione non è un’ipotesi avveniristica ma è quello che è già più volte accaduto con conseguenze molto gravi.

    Per impossessarsi dei gangli vitali di un paese, potendo così condizionare scelte, alleanze, decisioni politiche o geopolitiche, non è necessario dare corso ad una invasione armata, è più che sufficiente conoscere, entrare in possesso, dei dati sensibili.

    L’Europa, per sua incapacità, dipende, dal punto di vista della finanza e dell’economia, da quanto è deciso al di là dell’Atlantico, non essendo stata in grado di mettere a punto un suo autonomo sistema di valutazione.

    L’ipotesi, che sempre più insistentemente circola, di un accordo tra lo stato italiano e Musk, che ha già dichiarato come questo accordo gli aprirebbe la strada per uguali contratti negli altri Stati dell’Unione, preoccupa per molti motivi:

    1) consegneremmo i nostri dati sensibili, e cioè un immenso potere con ricadute a breve e lungo termine, ad un uomo che rappresenta, per prima cosa, solo i suoi interessi perseguiti senza scrupoli o paletti, come dimostra il fatto che in poco tempo è riuscito a diventare l’uomo più ricco del mondo;

    2) consegneremmo i nostri dati sensibili ad una persona che oggi, come tutor del presidente Trump, supporta una visione degli Stati Uniti come paese egemone che potrebbe anche occupare, con la forza, altri paesi o parte di questi;

    3) Musk vive ed agisce secondo la sua personale ideologia, la conquista, a qualunque prezzo, di quello che vuole ottenere o sperimentare, non esistono per lui confini di ordine etico, morale o democratico.

    Come può un governo, che ha votato la maternità surrogata come delitto universale, immaginare, anche lontanamente, di affidare l’Italia e gli italiani ad un uomo che con la maternità surrogata ha avuto dei figli e gli ha chiamati con delle sigle senza dargli un vero nome? Non è anche questa una ulteriore dimostrazione del cinismo che guida le sue decisioni?

    È possibile che di fronte al potere, al miraggio di una tecnologia sempre più oltre, al desiderio di sentirsi amici ed apprezzati da chi, da uomo più ricco si sta trasformando nell’uomo più potente del mondo, chi ci governa sia accecato, incapace di comprendere i pericoli immediati ed a lungo termine, vanificando le speranze che tanti avevano avuto, speranze di libertà, indipendenza, democrazia vera?

    Possono gli italiani accettare di vedere ceduti i dati sensibili personali e della loro nazione, possono gli europei accettare di essere conquistati e dipendenti non solo da un altro Stato ma da un uomo che potrebbe in breve diventare il proprietario di quanto è più segreto e vitale per l’esistenza democratica di ciascuno e di tutti?

  • Importanti insegnamenti

    Ci sono principi che non ammettono compromessi e per la

    cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

    Mohandas Gandhi

    La primavera del 1789 segnò anche l’inizio di quella che ormai è nota a tutti come la Rivoluzione francese. La maggior parte della popolazione, quella che veniva riconosciuta come ‘il terzo stato’, ma anche i nobili, non potevano e non volevano sottomettersi a quello che allora veniva chiamato l’Ancien régime, il regime monarchico assoluto. Consapevole di una tale situazione Luigi XVI cercò di convocare gli Stati generali, ossia le tre principali classi sociali che rappresentavano la società francese. Si trattava della classe del clero, della nobiltà e del ‘terzo stato’. Il giorno stabilito dal Re per quella convocazione era il 5 maggio 1789. I rappresentanti del ‘terzo stato’, del popolo, sono stati riuniti separatamente, definendo delle richieste da presentare al Re, mentre il 17 giugno 1789 hanno proclamato l’Assemblea nazionale. Ai rappresentati del ‘terzo stato’ si unirono molti altri rappresentanti del clero e dei nobili. E tutti insieme il 9 luglio 1789 hanno istituito l’Assemblea generale costituente. Solo cinque giorni dopo, in seguito ad una massiccia ribellione, il 14 luglio 1789 fu presa la Bastiglia, la fortezza prigione, nel pieno centro di Parigi, che rappresentava uno dei simboli del dispotismo della monarchia assoluta. La Rivoluzione francese era cominciata.

    L’Assemblea generale costituente il 4 agosto 1789 approvò delle leggi che sopprimevano alcuni diritti della nobiltà francese e liberavano i contadini da determinati vincoli e obblighi nei confronti dei feudatari. Mentre tre settimane dopo, il 26 agosto, l’Assemblea approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini (Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Con quella Dichiarazione veniva finalmente abolita la monarchia assoluta in Francia. Un testo quello che insieme con la Carta dei diritti (Bill of Rights), approvata il 15 dicembre 1791 dal primo congresso degli appena costituiti Stati Uniti d’America, sono stati alla base di un altro documento: la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata a Parigi durante la terza sezione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

    Il 1793 è stato un altro anno pieno di avvenimenti importanti in Francia che hanno segnato anche la storia del Paese. Era l’anno dell’approvazione della Costituzione del 1793 che in seguito è stata ignorata con un decreto entrato in vigore il 10  ottobre 1793. Un decreto con il quale si sanciva che il governo doveva essere “rivoluzionario fino alla pace”. Un decreto firmato da Maximilien de Robespierre, che era il presidente della Convenzione nazionale. Cominciò così quello che è noto come il Regime del Terrore (Régime de la Terreur; n.d.a.). Quello che nel 1789 cominciò come un movimento rivoluzionario che doveva rispettare la libertà, l’uguaglianza e la fraternità (Liberté, Égalité, Fraternité; n.d.a.), in seguito degenerò in un nuovo regime.

    Quanto accadeva durante il periodo del Terrore in Francia è stato maestosamente presentato dal noto scrittore francese Victor Hugo, che viene riconosciuto anche come il padre del romanticismo francese. E, guarda caso, lo ha fatto con il suo ultimo romanzo, intitolato “Novantatré” e pubblicato nel 1874. L’autore del romanzo tratta proprio quanto accadeva allora in Francia e soprattutto nella regione della Vandea. Una regione in cui i monarchici si scontravano con i tre battaglioni repubblicani lì mandati da Parigi. L’autore affermava: “In tutta questa parte della Vandea la repubblica ebbe il sopravvento, questo lasciò molti dubbi. Ma quale repubblica? Nel trionfo emergente erano presenti due forme di repubblica; la repubblica del terrore e la repubblica della clemenza, l’una che vuole vincere con il rigore e l’altra con la dolcezza. Quale prevarrebbe?” (Terza parte; Libro II/VII). In più l’autore del romanzo ci ricorda che ai repubblicani è stato ordinato: “Nessun perdono; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro I/I). Mentre ai monarchici è stato chiesto “Insorgetevi; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro III/II). L’autore ci ricorda, altresì, che “…93 è la guerra dell’Europa contro la Francia e della Francia contro Parigi”. Invece la rivoluzione “…è la vittoria della Francia contro l’Europa e di Parigi contro la Francia. Da lì l’immensità di questo terribile minuto. 93, più grande di tutto il resto del secolo” (Seconda parte; Libro I/II).

    Sono diversi i personaggi del romanzo “Novantatré” di Victor Hugo. Ma tra i tanti personaggi del romanzo tre sono quelli che attirano di più l’attenzione del lettore. Tutti e tre sono legati tra di loro, nonostante siano rappresentanti di ideologie, di credenze e di raggruppamenti antagonisti. E tutti e tre si distinguono per la loro forte moralità, per la loro determinazione, per la loro forza di carattere e per la loro disponibilità a sacrificare la propria vita in difesa dei principi. Di quei principi che tutti e tre ne sono convinti sostenitori.

    Il più giovane di loro è Gauvain, il comandate dei volontari repubblicani arrivati in Vandea per combattere e reprimere i contadini ribellati contro la Convenzione. Nato in una famiglia aristocratica e rimasto da molto piccolo orfano del padre, era l’unico pronipote del marchese di Lantenac, il comandante della ribellione di Vandea. Lantenac era, invece, un convinto sostenitore della monarchia. Mentre il terzo personaggio era Cimourdain. Proprio colui che era stato il maestro del piccolo Gauvain. E tra loro due c’era stato sempre un legame profondo, anche se avevano delle convinzioni diverse. Cimordain era stato prima un prete, ma dopo aveva avuto una piccola eredità che lo ha reso libero dal dogma. Nel ’93 lui era l’alto rappresentante dei repubblicani in Vandea. E lì incontrò di nuovo il suo benamato Gauvain e gli salvo, per la seconda volta, la vita.

    L’autore del romanzo ha descritto molte scene dove si sono incrociati diversi personaggi del romanzo. Egli ha maestosamente messo in evidenza anche le diversità e quello che univa i suoi personaggi. E nell’ultima parte del romanzo il lettore conosce anche le ultime azioni dei tre personaggi principali. Lantenac, per salvare tre orfani bambini che si stavano bruciando nella Torre della Tourgue, proprietà della sua famiglia, è ritornato ed ha affrontato il fuoco. Proprio lui che poco prima era riuscito miracolosamente a liberarsi proprio dall’assedio dei repubblicani, comandati dal Gauvain. Lantenac è riuscito a portare in salvo i bambini, ma è stato catturato dai repubblicani. Gauvain, invece, presente durante l’arresto di Lantenac, ha avuto in seguito delle ore difficili, durante le quali le sue idee e i suoi principi si confrontavano. Alla fine però Gauvain entrò nella cella dove avevano chiuso Lantenac, mise addosso a lui il suo lungo mantello di comandate, gli coprì la testa con il grande cappuccio del mantello e lo spinse fuori, dandoli la libertà. E quando i soldati, l’indomani andarono a prendere Lantenac per giudicarlo e condannarlo alla ghigliottina invece hanno portato davanti alla corte, capeggiata da Cimordain, proprio il comandate Gauvain. La corte decise di ghigliottinare Gauvain. E mentre la lama della ghigliottina tagliava la testa del suo amato Gauvain, si senti un colpo di pistola. Cimopurdain si era suicidato.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, ha molto imparato dai romanzi di Victor Hugo e anche dal “Novantatré”. Egli auspica che gli importanti insegnamenti del romanzo possano servire anche a coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali a livello internazionale, in Europa, negli Stati Uniti d’America ed altrove. Ma purtroppo, fatti accaduti alla mano, molti di loro parlano di principi e poi, con le proprie azioni, decisioni ed alleanze, calpestano proprio quei principi. Fino al punto che diventano incredibili. Mentre come ci insegna Mahatma Gandhi ci sono principi che non ammettono compromessi e per la cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

  • Il velo e la sigaretta

    Sui nostri media si parla e si scrive spesso della ribellione di alcune donne iraniane nei confronti dell’obbligo di portare un velo che nasconda i capelli. Quando ne riferiscono, tutti i nostri giornalisti (cui si aggiungono alcuni politici) criticano con vigore le repressioni violente attuate dal Regime contro la volontà di quelle figlie o mogli di scegliere liberamente come abbigliarsi. Purtroppo, va da sé che le capacità intellettive di noi giornalisti (e della maggior parte dei politici) non siano particolarmente brillanti e confesso di non stupirmi se anche in questo caso non si sia capita la vera sostanza del problema e cioè il semplice desiderio di chi ha la responsabilità di governare di evitare che la società diventi una palude immorale. Cercherò allora di spiegarlo.

    Tutti concorderanno che gli omniscienti Ayatollah di Teheran e dintorni sappiano interpretare il Corano in modo corretto e se hanno deciso che il dettame che impone alle donne di non “sedurre” artatamente gli uomini imponga loro di coprirsi il capo ciò deriva certamente dagli studi approfonditi sull’argomento che hanno approfonditamente sviluppato. Qualcuno tuttavia continuerà a domandare: perché le reprimono, le picchiano, le imprigionano e non le lasciano libere di vestirsi come vogliono?

    Le risposte sono due. La prima: lo fanno per impedire loro di peccare e, quindi, per il loro bene. Scoprirsi il capo, oltreché un atto inutile e magari foriero di danneggiare la salute, è agire contro la volontà del profeta e di chi lo ha ispirato. È naturale che chi è stato chiamato a governare su tutti i cittadini faccia di tutto per garantire loro, se non proprio l’attuale, almeno un futuro benevolo per dopo la morte. La seconda: la religione è sempre stata in ogni parte del mondo il modo migliore per ottenere una società ordinata, coesa e soprattutto “morale”. Consentire pubblicamente a delle invasate anticonformiste di infrangere le regole che mantengono “puro” l’ambiente in cui vivere significherebbe aprire all’anarchia e fare un danno gravissimo a tutti gli altri cittadini rispettosi delle regole e amanti del proprio benessere spirituale. Cosa conta, dunque, una misera libertà individuale davanti al pregevole compito di chi comanda di occuparsi del bene individuale e collettivo?

    La giunta Sala di Milano non è, lo presumiamo, orientata religiosamente ma, almeno alla pari dei benemeriti Ayatollah, si preoccupa del benessere fisico e spirituale dei propri cittadini. Nessuno invochi lo “Stato etico” o la violazione di qualche libertà quando il Sindaco ha preso la decisione di impedire a qualche incallito tabagista di fumare all’aperto in qualunque posto pubblico. Si tratta di una misura doverosa al fine di tutelare gli individui e tutta la comunità. Così come in Iran lo si fa per garantire la moralità pubblica, a Milano ci si preoccupa della salute dei singoli fumatori e delle conseguenze di ciò che viene chiamato “fumo passivo”. Già la città è quotidianamente inquinata dagli scarichi dei riscaldamenti e delle auto, perché aggiungervi anche il fumo di sigaretta? Come ha ben spiegato una assessora di quella altruistica giunta si tratta anche di evitare l’ascesa in cielo di sostanze inquinanti che sicuramente contribuiscono in maniera determinante al cambiamento climatico. È la scienza che ce lo dice, visto che qualcuno ha perfino calcolato (lo afferma sempre l’assessora) che il fumo di tabacco contribuisce almeno al 7% dell’aria inquinata che circola a Milano (È vero, qualche miscredente dubita di chi e come abbia fatto questi calcoli ma io sono certo che un’assessora non menta mai). Chi vuole continuare a delinquere lo faccia dunque in casa, ma con le finestre chiuse per non ammorbare l’aria esterna. Tutti sappiamo che, se non aiutato nelle proprie scelte, il milanese è per natura immaturo e masochista e, per quanto compito ingrato, è un dovere di chi comanda indirizzarlo sulla retta via. Non lo si fa anche coi bambini?

    D’altra parte, Sala e i suoi non fanno che adeguarsi a una politica sempre più diffusa in tutta Europa. Se il suddito  cittadino non ha la maturità e l’intelligenza di fare da solo ciò che è vero e giusto, è compito di chi governa di spiegargli e, se necessario, imporgli di fare ciò che deve. E non basta! Se un singolo è talmente stupido da rimanere vittima di propaganda di chi l’Occidente ha deciso di definire come nemico (per esempio la Russia), è bene censurare tutti i media di quest’ultimo e annunciare la verità chiamando fake news tutto ciò che non collima con essa.  Comunque, la società sana non perde nulla di importante eliminando le voci diverse da quella che è, e non può che essere, la Verità! Mi auguro, sempre per il bene comune e per sottolineare la nostra appartenenza al benemerito Occidente, che chi ha il dovere di comandare ci liberi definitivamente da quella sotto-cultura affatto europea che arriva da Mosca da fin troppo tempo attraverso i vari Tchaikovsky, Rimskij-Korsakov, Gogol, Dostoevskij, Puskin e via dicendo.

    Già che si è all’opera, credo sia condivisibile anche la giusta eliminazione (mi raccomando: non fisica – almeno per ora) di tutti i negatori delle cause antropiche del cambiamento climatico. Se poco più di cento pazzi professori universitari (e qualche premio Nobel) scrivono che il cambiamento climatico non è causato dall’attività umana è giusto, per il bene collettivo e in nome della Vera scienza, emarginarli e mai menzionarli, affinché si chiuda così la loro immeritata carriera.

    Certamente ci sarà sempre qualche irriducibile anti-sociale che si lamenterà, ma con tali malvagi peccatori insensibili ai sacrifici di chi vuole solo tutelarli, basta continuare con il già applicato metodo della rana bollita: aumentare la temperatura (vedi repressione) poco per volta senza che nemmeno se ne possano accorgere.

    Approviamo, dunque, l’esempio degli Ayatollah e ben vengano i benefattori, gli altruisti, i dolci dittatori. Se noi non siamo abbastanza intelligenti per gestirci da soli ci obblighino loro a prenderci cura di noi stessi. Noi sappiamo che non lo fanno per ubriacatura da comando bensì per il bene nostro e di tutta l’umanità.

  • From freedom fighter to Namibia’s first female president

    Nicknamed NNN, Netumbo Nandi-Ndaitwah has made history by being elected as Namibia’s first female president.

    The 72-year-old won more than 57% of the vote, with her closest rival, Panduleni Itula, getting 26%, according to the electoral commission.

    It is just the latest episode in a life packed with striking events – Nandi-Ndaitwah has fought against occupying powers, fled into exile and established herself as one of the most prominent women in Namibian politics.

    However, Itula has rejected her victory. He said the election was “deeply flawed”, following logistical problems and a three-day extension to polling in some parts of the country.

    His Independent Patriots for Change (IPC) party said it would challenge the result in court.

    Nandi-Ndaitwah has been a loyal member of the governing party, Swapo, since she was a teenager and pledges to lead Namibia’s economic transformation.

    Nandi-Ndaitwah was born in 1952, in the northern village of Onamutai. She was the ninth of 13 children and her father was an Anglican clergyman.

    At the time, Namibia was known as South West Africa and its people were under occupation from South Africa.

    Nandi-Ndaitwah joined Swapo, then a liberation movement resisting South Africa’s white-minority rule, when she was only 14.

    A passionate activist, Nandi-Ndaitwah became a leader of Swapo’s Youth League.

    The role set her up for a successful political career, but at the time Nandi-Ndaitwah was simply interested in freeing South West Africa.

    “Politics came in just because of the circumstances. I should have become maybe a scientist,” she said in an interview this year.

    While still a high school student, Nandi-Ndaitwah was arrested and detained during a crackdown on Swapo activists.

    As a result of this persecution, she decided she could not stay in the country and joined several other Swapo members in exile.

    She continued to organise with the movement while in Zambia and Tanzania, before moving to the UK to undertake an International Relations degree.

    Then in 1988 – 14 years after Nandi-Ndaitwah fled her country – South Africa finally agreed to Namibian independence.

    Nandi-Ndaitwah returned home and subsequently joined the post-independence, Swapo-run government.

    In the years since, she has held a variety of posts, including ministerial roles in foreign affairs, tourism, child welfare and information.

    Nandi-Ndaitwah became known as an advocate for women’s rights. In one of her key achievements, she pushed the Combating of Domestic Violence Act through the National Assembly in 2002.

    According to Namibian media, Nandi-Ndaitwah criticised her male colleagues for trying to ridicule the draft law, sternly reminding them that the Swapo constitution condemns sexism.

    She continued to rise despite Namibia’s traditional and male-dominated political culture, and in February this year she became vice-president.

    She suceeded Nangolo Mbumba, who stepped up after the death of then-President Hage Geingob.

    In her personal life, Nandi-Ndaitwah is married to Epaphras Denga Ndaitwah, the former chief of Namibia’s defence forces. The couple has three sons.

    Throughout her career, Nandi-Ndaitwah has displayed a hands-on, pragmatic style of leadership.

    She once declared in a speech: “I am an implementer, not a storyteller.”

  • A 35 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia, nell’Unione europea persiste lo Jugendamt tedesco

    Nel trentacinquesimo anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia Borrell ha giustamente ricordato le sofferenze alle quali i bambini sono ogni giorno sottoposti a causa delle molte guerre o delle tragiche situazioni economiche e climatiche di molti paesi.

    Bambini uccisi, feriti, rimasti soli, bambini rapiti dalla Russia di Putin o massacrati nella guerra in Medio Oriente, bambini denutriti, costretti a lavorare invece di studiare o giocare, bambini che non hanno possibilità di cure o usati come schiavi.

    Bambini violentati ed abusati quando non diventano addirittura serbatoio di organi da espiantare, bambini avviati alla prostituzione.

    Tra tutti drammi che Borrell ha giustamente ricordato non ha però citato quella che, ancor oggi, resta una vergogna della civilissima Europa e cioè la presenza nell’Unione di una organizzazione tedesca, lo Jugendamt, nata durante il nazismo, che continua a separare i figli delle coppie binazionali imponendo che debbano vivere in Germania e non avere più contatti, in caso di separazione tra i genitori, con quello non tedesco.

    Decine e decine di casi che hanno visto la strenue battaglia di tanti padri e madri, prima di tutti Marinella Colombo, che vogliamo ogni giorno ricordare come esempio di coraggio, separati a forza dai loro figli che non possono più incontrare.

    Bambini che perdono metà della loro identità, della loro famiglia, che in gran parte rimarranno segnati da queste criminali privazioni.

    L’Europa ha le frontiere aperte per le persone e per le merci ma le frontiere tedesche sono chiuse per tutti quei bambini che lo Jugendamt ha di fatto sequestrato.

    Intanto l’Unione tace, nonostante le molte interrogazioni che, almeno dal 2009, sono state presentate e nonostante le commissioni d’inchiesta che sono finite in nulla anche perché le traduzioni erano state falsate, dorme l’Europa e dorme l’Italia, i bambini restano sequestrati dalla Germania ed i loro genitori non tedeschi continuano a pagare ed a soffrire.

  • Dichiarazione della Vicepresidente Jourová e dei Commissari Schmit e Dalli in occasione della Giornata europea della parità retributiva

    “In occasione della Giornata europea della parità retributiva 2024 ribadiamo il nostro impegno a costruire un’Europa in cui le donne e le ragazze possano prosperare e in cui il loro contributo al mercato del lavoro sia pienamente valorizzato.

    Nell’Unione europea le donne continuano a guadagnare meno degli uomini, con un divario retributivo medio di genere che per il terzo anno consecutivo si attesta nell’UE a circa il 13%. Ciò significa che, per ogni euro percepito da un uomo, la retribuzione di una donna è pari 0,87 €. Tale divario retributivo di genere si traduce in una differenza di circa un mese e mezzo di salario all’anno. Considerando questa perdita di reddito, la Giornata europea per la parità retributiva, che cade il 15 novembre, vuole indicare simbolicamente l’inizio del periodo in cui le donne nell’Unione europea cominceranno a “lavorare gratuitamente” fino al termine dell’anno. Si tratta di un evento simbolico finalizzato a migliorare la sensibilizzazione sul divario retributivo di genere”.

  • World’s longest detained journalist wins rights prize

    A journalist detained in Eritrean prison without trial for 23 years has won a Swedish human rights prize for his commitment to freedom of expression.

    Dawit Isaak, who holds dual Eritrean-Swedish citizenship, was given the Edelstam Prize “for his… exceptional courage”, the foundation behind the award said in a statement.

    Dawit was one of the founders of Setit, Eritrea’s first independent newspaper.

    He was detained in 2001 after his paper published letters demanding democratic reforms.

    Dawit was among a group of about two dozen individuals, including senior cabinet ministers, members of parliament and independent journalists, arrested in a government purge.

    Over the years, the Eritrean government has provided no information on his whereabouts or health, and many who were jailed alongside him are presumed dead.

    The Edelstam Prize, awarded for exceptional courage in defending human rights, will be presented on 19 November in Stockholm.

    Dawit’s daughter, Betlehem Isaak, will accept the prize on his behalf as he remains imprisoned in Eritrea.

    His work with the Setit included criticism of the government and calls for democratic reform and free expression, actions that led to his arrest in a crackdown on dissent.

    The Edelstam Foundation has called for Dawit’s release, urging the Eritrean authorities to disclose his location and allow him legal representation.

    “Dawit Isaak is the longest detained journalist in the world. We are very concerned about his health and his whereabouts are unknown, he is not charged with a crime, and he has been denied access to his family, consular assistance, and the right to legal counsel – effectively, it is an enforced disappearance,” said Caroline Edelstam, the chair of the Edelstam Prize jury.

    His “indefatigable courage stands as a testament to the principle of freedom of expression.”

    The Edelstam Foundation also urged the international community to pressure Eritrea for Dawit’s release and to advocate for human rights reforms.

    The Edelstam Prize honours individuals who show exceptional bravery in defending human rights, in memory of Swedish diplomat Harald Edelstam.

    Eritrea is the only African country without privately owned media, having shut down its private press in 2001 under the pretext of “national security”.

    Dawit, who fled to Sweden in 1987 during Eritrea’s war for independence, returned after the country gained independence in 1993 after becoming a Swedish citizen.

    There have been no elections in Eritrea since its independence, and President Isaias Afwerki has held power for nearly 31 years.

  • Vivere con un animale da compagnia comporta impegni e doveri ma porta anche tante soddisfazioni

    Mentre molti dati ci confermano che viviamo in una società nella quale il disagio sociale è palese e il senso di solitudine aumenta, anche per l’incapacità di comunicare, di rapportarsi con gli altri, causata dall’eccessivo uso dei sistemi informatici che portano ad isolarsi, conforta la notizia che è sempre più forte l’attaccamento degli italiani verso gli animali da compagnia.

    Gli animali da compagnia aiutano a ridurre lo stress, ti costringono a relazionarti, a capire i bisogni di un altro essere senziente e il suo modo di comunicare, ti portano a fare più esercizio fisico, anche ad incontrare altre persone. E’ provato da specifici studi che accarezzare il proprio cane o gatto porta ad un abbassamento del ritmo cardiaco, ad una maggior rilassatezza e tranquillità.

    Nel 2022 un inchiesta del Censis sul valore sociale dei medici veterinari ha evidenziato come spesso sono proprio i single a sentite la necessità di diventare compagni di un cane o di un gatto.

    L’Italia è il secondo Paese europeo per possesso di animali da compagnia, al primo posto l’Ungheria, con quasi 14 milioni di cani dotati di microchip e dieci milioni trecentomila gatti ufficialmente nelle nostre case.

    La Lombardia e il Veneto sono le regioni con il maggior numero di cani regolarmente chippati, la chippatura è basilare per recuperare cani smarriti ma in Italia, nonostante le molte, anche recenti, promesse non c’è ancora un’anagrafe nazionale perciò al momento se un cane lombardo si smarrisce in Emilia chi lo trova dovrà rivolgersi ad un veterinario della Lombardia per conoscere l’indirizzo del proprietario del cane smarrito.

    Secondo Eurispes un terzo degli italiani vive con un animale domestico e se ne cura al meglio anche dal punto di vista dell’alimentazione e delle cure veterinarie.

    Purtroppo, è ancora troppo presente il problema di cani e gatti abbandonati nei rifugi perché si è diventati stanchi o impossibilitati al loro accudimenti e il problema del randagismo, specie nel sud e nelle isole, dovuto anche all’abitudine in campagna di lasciare i cani liberi e non sterilizzati con l’ovvia conseguenza di gravidanze indesiderate e poi dell’abbandono dei cuccioli.

    Vivere con un animale da compagnia comporta degli impegni e dei doveri ma porta anche tante soddisfazioni, tanti irripetibili momenti di dolcezza ed amore, tanto beneficio psicofisico e anche maggior capacità di capire altri umani, inoltre se si salva un animale da un rifugio basterà guardare i suoi occhi per capire tante verità anche del nostro cuore.

  • North Korea says it will cut off all roads to the South

    North Korea will sever road and railway access to South Korea from Wednesday in a bid to “completely separate” the two countries.

    Its military said the North would “permanently shut off and block the southern border” and fortify areas on its side.

    The Korean People’s Army (KPA) described the move as “a self-defensive measure for inhibiting war”, claiming it was in response to war exercises in South Korea and the frequent presence of American nuclear assets in the region.

    It marks an escalation of hostility at a time when tensions between the Koreas are at their highest point in years.

    “The acute military situation prevailing on the Korean peninsula requires the armed forces of the DPRK [Democratic People’s Republic of Korea] to take a more resolute and stronger measure in order to more creditably defend the national security,” the KPA said in a report published by state media outlet KCNA.

    The declaration is a largely symbolic step by Pyongyang. Roads and railways leading from North Korea to the South are rarely used, and have been incrementally dismantled by North Korean authorities over the past year.

    It also comes amid a broader push by Pyongyang to change how it relates to the South, and follows a string of inflammatory incidents that have worsened relations between the two countries.

    Those incidents have ranged from missile tests to hundreds of trash balloons being sent over North Korea’s southern border.

    Notably, North Korean ruler Kim Jong Un announced at the start of 2023 that he was no longer striving towards reunification with the South, raising concerns that war could resume in the Korean peninsula.

    “I think it is necessary to revise some contents of the Constitution of the DPRK,” Kim said at a meeting of North Korea’s Supreme People’s Assembly (SPA) in January.

    “In my view, it is necessary to delete such expressions in the constitution as ‘northern half’ and ‘independence, peaceful reunification and great national unity’,” he added, suggesting that the constitution should be revised “at the next session”.

    That next session was held this week, and concluded on Tuesday. Yet while many onlookers had expected Pyongyang to ratify Kim’s earlier comments and make constitutional amendments to unification and border policies, no such changes were publicised.

    One analyst at the Korea Institute for National Unification think tank suggested that Pyongyang could be waiting for the outcome of the US election before making any concrete decisions.

    Officials could “consider adjusting the extent of constitutional revisions to align with the direction of the new (US) administration”, Hong Min told news agency AFP.

    It is unclear whether North Korea’s decision to cut off all roads and railways linking it to the South was a result of discussions during the SPA session.

  • Minacce ai giornalisti europei che denunciano una grave realtà

    Il codardo minaccia quando è al sicuro.

    Wolfgang Goethe

    “L’Albania è l’esempio principale di un Paese caotico, nelle mani dei gangster”. Si tratta di una frase riportata in un articolo pubblicato il 13 maggio 2019 da Bild, un noto quotidiano tedesco. L’autore dell’articolo, riferendosi alla clamorosa manipolazione dei risultati del voto in un comune nel nord est del Paese, specificava che “…in Albania governa un’alleanza della politica con la criminalità organizzata”. Lui si basava anche su molte intercettazioni telefoniche in possesso alla redazione di Bild, la trascrizione delle quali era stata inserita nell’articolo. Dalle intercettazioni risultava che alcuni rappresentanti di spicco della criminalità organizzata, insieme con ministri, deputati della maggioranza, dirigenti locali dell’amministrazione pubblica ed alti funzionari della polizia di Stato, gestivano il controllo, il condizionamento e la compravendita dei voti durante le ultime elezioni politiche ed in altre gare locali, comprese quelle sopracitate. L’autore dell’articolo evidenziava che “…Adesso sta diventando chiaro per l’altra parte del continente che c’è qualcosa di seriamente sbagliato nel Paese che era totalmente isolato sotto il comunismo dell’epoca della pietra”. Chi scrive queste righe ha analizzato il contenuto dell’articolo pubblicato il 13 maggio 2019 dal noto quotidiano tedesco Bild ed ha informato a tempo debito il nostro lettore (Proteste come unica speranza, 20 maggio 2019; L’importanza dei prossimi giorni per evitare il peggio, 24 giugno 2019; Riflessioni dopo le votazioni moniste, 1 luglio 2019).

    Mediapart è una nota rivista francese indipendente pubblicata online e creata nel 2008 dall’ex redattore capo di Le Monde. Questo media si compone di due sezioni: una è la rivista, nota come Le Journal, dove scrivono giornalisti professionisti, mentre l’altra sezione è Le Club, strutturata come un forum collaborativo a cura della comunità di abbonati. I dirigenti di Mediapart hanno scelto di non accettare nessuna pubblicità e tutte le spese vengono finanziate soltanto dagli abbonamenti dei cittadini. Ed è stata proprio Mediapart che ha denunciato gli abusi fatti da due presidenti della Repubblica francese, Sarcozy e Hollande. Ma anche il caso ormai noto come l’affare Bettencourt. E questi sono soltanto alcuni dei molti altri casi seguiti e resi pubblici dai giornalisti investigativi di Mediapart. Ebbene, il 28 febbraio scorso Mediapart pubblicava un articolo intitolato “Albanie: comment l’autocrate Edi Rama est devenu le meilleur allié des Occidentaux” (Albania; come l’autocrate Edi Rama [il primo ministro] è diventato il miglior alleato degli occidentali; n.d.a.). Un articolo investigativo scritto da tre noti giornalisti del Mediapart, che trattavano ed analizzavano la preoccupante e problematica realtà albanese. Riferendosi al primo ministro albanese, gli autori dell’articolo sottolineavano che lui “…guida l’Albania in un modo sempre più aspro, sapendo [però] come diventare utile per i suoi partner stranieri ed evitare ogni critica riguardo alla caduta verso l’autoritarismo”. In seguito loro ponevano la domanda: “Come mai il regime del primo ministro Edi Rama è diventato il partner privilegiato degli occidentali nella penisola balcanica, mentre le libertà fondamentali continuano a peggiorare in Albania?”. Chi scrive queste righe analizzava ed informava il nostro lettore anche dei contenuti di quest’articolo (Autocrati disponibili a tutto in cambio di favori; 11 marzo 2024).

    Il 21 aprile scorso il programma investigativo Report, trasmesso in prima serata su Rai3, trattava la realtà albanese ed evidenziava gli abusi di potere, riferendosi a fatti accaduti, pubblicamente noti ed ufficialmente denuciati. Il programma trattava l’Accordo firmato il 6 novembre 2023 a Roma tra l’Italia e l’Albania sui migranti. È stato evidenziato anche la stretta collaborazione del potere politico con la criminalità organizzata. Il giornalista riportava nel programma Report del 21 aprile scorso anche le affermazioni di due noti procuratori italiani, da lui intervistati: Nicola Gratteri e Francesco Mandoi. “…La mafia albanese è forte, perché è attiva in uno Stato dova la corruzione e ampiamente diffusa”. Così ha detto Gratteri al giornalista, mentre Mandoi ha affermato che “…la mafia albanese ha i suoi rappresentanti nel governo ed orienta molte scelte dello stesso governo”. Durante il programma Report è stato trattato anche il coinvolgimento attivo del fratello del primo ministro con un’organizzazione che trafficava cocaina. Un fatto quello noto ormai da anni in Albania, nonostante le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia, da anni ormai, non agiscono. Chi scrive queste righe ha informato di tutto ciò il nostro lettore (Clamorosi abusi rivelati da un programma televisivo investigativo, 23 aprile 2024; Altre verità rivelate da un programma televisivo investigativo, 7 maggio 2024; Nuove verità inquietanti da un programma televisivo investigativo, 3 giugno 2024).

    Il 13 settembre scorso un altro media tedesco, Der Spiegel (Lo specchio, n,d,a,), ha pubblicato un lungo e dettagliato articolo investigativo in cui veniva analizzata la grave realtà vissuta e sofferta in Albania. Bisogna sottolineare che Der Spiegel è un media settimanale molto influente a livello internazionale. L’autore dell’articolo, un noto giornalista, trattava, fatti pubblicamente denunciati alla mano, ma anche riferendosi ad interviste fatte da lui o da altri media internazionali, tra cui anche da Rai 3, la drammatica e grave realtà albanese e la galoppante corruzione che coinvolge tutti. Anche i più alti rappresentanti governativi, primo ministro compreso. L’autore dell’articolo affermava, tra l’altro, che il primo ministro albanese “…ha portato tutto il Paese alla criminalità. Adesso l’Albania è adatta ad un caso di studio sulla corruzione”. Chi scrive queste righe ha informato il nostro lettore dei contenuti di quest’articolo (Riflessioni durante la Giornata internazionale della democrazia; 16 settembre 2024).

    Di fronte a simili articoli, ma anche ad altri, pubblicati da diversi noti giornali europei e statunitensi, il primo ministro albanese si trova in vistose difficoltà. Difficoltà che lo costringono a reagire, a modo suo. Prima cerca di “convincere” giornalisti e loro dirigenti con delle “ricompense”. Ma poi, se non acconsentono, comincia subito con le minacce. Lo confermano anche alcuni dei giornalisti e redattori di giornali. Così ha fatto il primo ministro con il giornalista ed il direttore del programma Report di Rai3. Lo aveva fatto prima anche con il giornalista del quotidiano tedesco Bild. E non solo lo aveva minacciato, ma lo aveva anche ufficialmente denunciato. Una denuncia che poi dopo è stata ritirata proprio dal primo ministro. Chissà perché?! Le cattive lingue hanno detto allora che i fatti gli erano tutti contro. Lo ha fatto anche dopo la pubblicazione del sopracitato articolo di Der Spiegel. Il giornalista dell’articolo ha dichiarato che il primo ministro albanese è “…amato dall’Europa, nonostante la corruzione a casa”. E si riferiva ad alcuni alti rappresentanti dell’Unione europea. In seguito lui scriveva che dopo aver letto l’articolo di Der Spiegel “…ha telefonato una notte tardi ed ha tentato di influenzare il nostro articolo”. Mentre un noto giornalista del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, sempre riferendosi alle minacce fatte dal primo ministro albanese al suo collega di Der Spiegel, sciveva: “Questo è un caso tipico di Edi Rama, come lo hanno vissuto molti giornalisti. Lui telefona direttamente ai giornalisti e cerca di affogarli sotto un’onda di minacce. Se lui non può comprarvi, almeno lui desidera offendervi”.

    Chi scrive queste righe trova vergognose e vili le minacce fatte dal primo ministro albanese ai giornalisti che denunciano la grave realtà che lui stesso ha generato e permesso. Ma, nonostante le apparenze, chi lo conosce bene, afferma che lui da bambino è stato un codardo. Ed il codardo minaccia quando è al sicuro. Era convinto Wolfgang Goethe, che di esperienze ne aveva tante!

Pulsante per tornare all'inizio