diritti

  • Non c’è libertà quando non ci si può difendere

    Il suicidio del signor Alberto Re,  persona di 78 anni che nella vita aveva avuto equilibrio e successi,avvenuto  dopo essere stato aggredito via social dimostra, se ancora ce n’era bisogno, come non soltanto i più giovani possano avere la vita sconvolta, fino ad arrivare ad atti estremi, dalla violenza di chi usa la tastiera solo per fare del male e sopperire così alle proprie frustrazioni ed incompletezze.

    L’abbiamo detto, lo ripetiamo e lo ripeteremo: internet senza regole e senza gli strumenti per decodificare i messaggi diventa, da strumento utile e spesso necessario, il grimaldello per entrare nelle vite degli altri, per fare del male, per contrabbandare falsità come verità, per insegnare la crudeltà.

    Inutile manifestare contro la violenza alle donne, e sarebbe anche ora di manifestare contro la violenza tout court, se non affrontiamo come trovare il modo per impedire che messaggi sbagliati,esempi negativi, pericolosi, immagini violente e sanguinarie, giochi di morte passino continuamente sulla rete avvelenando la vita di troppe persone,specie adolescenti.

    Massimo Gramellini scrive “ci vorrebbe un giubbotto antisocial“, io sommessamente mi chiedo come sia possibile che tutti si sentano vivi solo se sono presenti  sui social esponendosi così, inutilmente, alle parole di rabbia e di odio che ormai imperversano,mettendo in piazza sentimenti, paure, incertezze, comunque visioni della propria intimità che in ogni momento possono diventare un boomerang

    Mi chiedo come non ci si renda conto che la violenza sta montando sempre di più mentre, in nome della libertà, è proprio la libertà ad essere offesa.

    Non può esistere la libertà di fare del male agli altri, non c’è libertà quando non hai possibilità di difesa.

  • In attesa di Giustizia: atto di dolore

    La violenza, irrispettosa di basilari garanzie e presidi normativi, della vicenda giudiziaria di cui si è offerta la cronaca la settimana scorsa, probabilmente ammorba ancora l’animo di chi ha avuto la pazienza di leggere l’articolo: uno dei troppi esempi di tracotanza riferibile a rappresentanti di quell’ordine giudiziario, trasformatosi in potere, che questa rubrica si fa un punto d’onore di andare ad illustrare per smuovere le coscienze raccogliendo e raccontando brandelli di storie di questo Paese, solo apparentemente minori, perché apparentemente isolate e meno conosciute.

    Del resto, questo è il Paese che da culla del diritto nel settore della Giustizia ha perso la faccia, come scrive Raffaelle della Valle nel suo splendido libro sul processo ad Enzo Tortora, e non solo in seguito a quello che si deve considerare un archetipo da non emulare con il suo eclatante catalogo di abusi.

    Questo è il Paese della rivoluzione giudiziaria, quella falsa ed incompleta, avviata dalla Procura di Milano nel 1992, ed è il Paese del “Sistema” svelato da Luca Palamara intervistato da Alessandro Sallusti. Lasciare traccia, più paradigmatica che esaustiva di certi accadimenti (oltre che di una legislazione arraffazzonata), è il compito che si è assegnato questo spazio periodico per impedire che quei “brandelli di storia” finiscano nel dimenticatoio nazionale pur essendo significativi di una realtà che non li vuole come fatti isolati.

    Vero è che si è persino pensato di istituire la giornata della memoria degli errori giudiziari (il 17 giugno, quando nel 1983 venne arrestato Tortora) ma in quest’attesa – che, forse risulterà a sua volta vana – suonano struggenti le parole del Consigliere Antonio Padalino, un magistrato della cui vicenda processuale e soperchierie connesse vi è traccia su queste colonne, al termine del personale calvario culminato con un’assoluzione. E’ un vero e proprio atto di dolore, da affidare alla memoria ed alla riflessione dei lettori, che descrive come ci sia un drammatico prima e dopo nella vita di chi incappa nelle maglie della giustizia.

    “Nonostante le sofferenze subìte sento però anche di dovere delle scuse,  esordisce Padalino.

    “In molte occasioni mi è capitato di sentire persone, magari indagate, dire di essere vittime di ingiustizie, di processi mal fatti, di gogne mediatiche, di persecuzioni.

    In tutte queste occasioni ho sempre pensato che si trattasse di lamentele pretestuose.

    Questo era il mio ragionamento: io lavoro in un certo modo, rispetto le regole, ottengo in modo corretto i miei risultati e non perseguito mai nessuno, quindi sarà certamente così per tutti i miei colleghi.

    Mi sbagliavo profondamente.

    Mi scuso di aver ignorato le vittime innocenti di questo sistema: indagati, imputati, gente comune o eccellente, colpiti dal maglio di una giustizia di parte, autoreferenziale e proiettata verso un delirio di onnipotenza e in grado di distruggere vite, professionalità e calpestare esseri umani, colpevoli solo di essere un facile e magari utile bersaglio, da umiliare e mettere alla berlina su giornali e media compiacenti.

    Non mi sono soffermato a riflettere sulle pericolose strade che il sistema aveva ormai imboccato, come il dominio delle correnti togate: grumi di potere che in questi ultimi anni hanno assunto il controllo assoluto della magistratura.

    Le correnti non risparmiano nessuno, anche all’interno dell’ufficio di appartenenza, dove le carriere del singolo sono spesso condizionate dall’appartenenza a un gruppo.

    Questo dominio incontrastato delle correnti ha portato al tradimento di princìpi che dovevano essere intangibili, al degenerare di un sistema, con devastanti danni per quel popolo italiano in nome del quale si celebra il rito della giustizia”.

    E non paga mai nessuno, anzi, paga lo Stato quando viene riconosciuto – non sempre – che un imputato è stato vittima di una ingiusta carcerazione preventiva: non pagano giudicanti frettolosi ed approssimativi, non pagano pubblici ministeri che assumono le vesti di angeli vendicatori, non pagano i confidenti delle redazioni che fanno filtrare, con una vasta gamma di intenzioni tutt’altro che nobili, atti che dovrebbero essere coperti dal segreto investigativo o, quantomeno, da un opportuno riserbo.

    Permane emblematica l’immagine di Enzo Tortora in manette tra due Carabinieri negli istanti subito successivi al suo arresto, sbattuta in prima pagina, trasmessa a reti unificate, come se fosse credibile che per una pura casualità, alle prime luci dell’alba, fotoreporter ed inviati della carta stampata e telegiornali si fossero convenuti senza una plausibile ragione, proprio alle porte dell’albergo romano ove il presentatore alloggiava e proprio quella volta che doveva essere messo ai ceppi. Un’operazione scientificamente mirata a far diventare gli inquirenti personaggi noti all’opinione pubblica (se mai le accuse fossero risultate provate) pronti ad incarcerare e far processare persino l’uomo il cui programma inchiodava ogni volta davanti al piccolo schermo quasi trenta milioni di italiani. Cavalieri senza macchia e senza paura dai quali sentirsi tutelati perché non guardano in faccia a nessuno…e nessuno ha avuto il benchè minimo rallentamento di carriera sebbene il loro contributo si sia risolto – appunto – nel far perdere la faccia non solo alla magistratura ma all’Italia intera.

    Grazie, allora, al Consigliere Padalino per il suo atto di dolore, per le sue parole intrise di umanità e sincera comprensione: vox clamans in desertu, quasi un mantra da inserire tra le materie di studio per il concorso in magistratura e memorizzare nella consapevolezza, purtroppo, che quell’insegnamento potrà essere vanificato dai tanti, troppi, cattivi maestri.

  • 25 novembre, quando Giulia diviene il simbolo di tutte le donne che hanno subito violenza

    Silenzio per Giulia

    Rumore per Giulia

    Azioni per Giulia

    Azioni, non più soltanto parole, più o meno pie intenzioni, strumentalizzazioni e confusioni tra posizioni ideologiche e partitiche, tra violenze diverse.

    Azioni per riportarci tutti ad una presa di coscienza, ad un impegno che deve essere personale per poter diventare collettivo.

    Nelle nostre famiglie,nei percorsi educativi e formativi, nella comunicazione mediale,nell’attività lavorativa, nell’azione politica, nello sport e nelle varie forme artistiche, nella costruzione di rapporti con gli altri bandire la violenza contro le donne, e contro i bambini, diventi, per ciascuno, l’impegno quotidiano, solo così la società cambierà.

    La strada è lunga ma ora, forse, in molti hanno cominciato il cammino

  • L’UE proroga la durata del piano d’azione sulla parità di genere

    Nel 2021-2022, durante i primi anni di attuazione del nuovo piano d’azione dell’UE sulla parità di genere (GAP III), l’Unione europea ha impegnato 22,4 miliardi di € per contribuire a costruire un mondo più equo sotto il profilo della parità di genere.

    Secondo quanto risulta dalla relazione intermedia comune della Commissione europea e del Servizio europeo per l’azione esterna sull’attuazione del piano d’azione dell’UE sulla parità di genere (GAP III) appena pubblicata, nel periodo 2021-2022, durante i primi anni di attuazione del GAP III, l’Unione europea ha impegnato 22,4 miliardi di € per contribuire alla costruzione di un mondo più equo sotto il profilo della parità di genere. L’UE ha sostenuto i paesi partner e la società civile nel miglioramento della parità di genere, con risultati trasformativi, tra cui un’aumentata protezione delle donne e delle ragazze dalla violenza di genere, una più nutrita partecipazione alla vita pubblica e politica, un maggiore accesso all’istruzione, alla sanità e alla protezione sociale e all’emancipazione economica nell’ambito dell’approccio Team Europa.

    Al fine di consolidare questi risultati, l’UE proroga la durata del piano d’azione sulla parità di genere dal 2025 al 2027 per conseguire l’obiettivo di un mondo equo sotto il profilo della parità di genere.

    In molte parti del mondo, i diritti delle donne e delle ragazze sono stati minacciati, ridotti o completamente eliminati, e ciò ha rappresentato un considerevole passo indietro rispetto ai significativi progressi ottenuti nel corso di decenni. Fin dalla sua adozione nel novembre 2020, il piano d’azione sulla parità di genere III ha pertanto messo i diritti umani e l’emancipazione, in particolare per le donne e le ragazze, in cima all’agenda di azioni esterne dell’UE, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile e con altri impegni internazionali.

    Nel 2022 la parità di genere è stata all’ordine del giorno dei dialoghi politici, sulla sicurezza e/o sui diritti umani tra l’UE e circa 100 paesi partner. Con 33 di questi paesi i dialoghi si sono concentrati esclusivamente sulla parità di genere. Inoltre, le delegazioni dell’UE hanno elaborato 131 piani di attuazione a livello nazionale che adattano il piano d’azione sulla parità di genere al contesto locale, rafforzando l’approccio Team Europa dell’UE e dei suoi Stati membri.

    A livello mondiale, l’UE e i suoi Stati membri hanno collaborato a risoluzioni delle Nazioni Unite per combattere la violenza contro le donne, contribuito alla Commissione delle Nazioni unite sulla condizione femminile, incentivato la partecipazione politica e civile di donne e ragazze, potenziato il sostegno alle organizzazioni per i diritti delle donne e promosso le prospettive di genere nei processi decisionali in materia di clima e di digitale. Nel contesto degli allarmanti cambiamenti per quanto riguarda la sicurezza e i conflitti e della concorrenza per il potere a livello geopolitico, l’attuazione dell’agenda su donne, pace e sicurezza e l’impegno a integrare la prospettiva di genere nel rispondere efficacemente a tali minacce alla sicurezza sono sempre più importanti.

  • Un autocrate irresponsabile ed altri che ne approfittano

    L’abuso è il contrassegno del possesso e del potere.

    Paul Valéry, da “Quaderni”

    La scorsa settimana l’autore di queste righe informava il nostro lettore sull’accordo, tra l’Italia e l’Albania, sui migranti. Un accordo firmato a Roma, nel pomeriggio del 6 novembre scorso, dai due primi ministri dei rispettivi Paesi. I due, negli ultimi mesi, hanno affermato pubblicamente la loro “amicizia”, nonostante, politicamente parlando, appartengano a due schieramenti politici ed ideologici molto diversi. La Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia appartiene ad un partito di destra ed è anche la Presidente del Partito europeo dei Conservatori e dei Riformisti. Invece, sulla carta, il primo ministro albanese è il dirigente del partito socialista albanese, costituito nel giugno 1991, dopo il crollo della dittatura comunista. Un partito discendente diretto del partito comunista albanese! La Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia, oltre ad essere stata dirigente di alcuni movimenti giovanili di centro destra e di destra, è anche una dei tre promotori del partito “Fratelli d’Italia”, costituito nel 2012 e del quale lei è presidente dal marzo 2014. Un partito nato più di un anno prima della scissione del raggruppamento politico “Popolo della Libertà”, nel quale svolgevano le loro attività politiche i tre fondatori del partito “Fratelli d’Italia”. Ragion per cui la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ha fatto sua l’ideologia del conservatorismo, dell’identità e della cultura nazionale.

    Mentre il suo “amico”, il primo ministro albanese, nonostante diriga dal 2005 il partito socialista albanese, che è anche membro del gruppo dei socialdemocratici e progressisti del Parlamento europeo, ha dimostrato di non avere fatta sua, a fatti e non a parole, l’ideologia dei socialisti europei. Fatti accaduti alla mano, il primo ministro albanese risulta non avere però fatta sua l’ideologia della sinistra europea. Lui non ha una sua ideologia politica. Lui, quando gli serve si presenta come un socialista convinto. Ma, se ne ha bisogno, “coccola’ i comunisti nostalgici. E lo ha fatto non di rado. Come ha anche presentato delle “iniziative” centriste e anche oltre. Il primo ministro albanese aveva dichiarato, per motivi di propaganda elettorale, già circa quindici anni fa, di non essere né di sinistra e né di destra, bensì di essere “oltre la sinistra e la destra”. Una scelta con la quale voleva apparire come sostenitore delle tesi ideologiche del movimento noto come la “Terza via”. Un movimento che aveva fatto suo lo schieramento tra il neoliberalismo e la socialdemocrazia. E non a caso, dal 2013, e cioè da quando ha avuto il suo primo mandato alla guida del governo albanese, lui ha scelto come suo “amico e consigliere speciale” proprio l’ex premier britannico, uno tra i più noti sostenitori del movimento della “Terza via”. E non a caso, anche da prima, lui è stato tra i “beniamini” ed ha avuto sempre il supporto di un noto multimiliardario e speculatore di borsa di oltreoceano. Il primo ministro albanese è stato ispirato in quanto ha fatto, ma soprattutto in quello che sta facendo ultimamente, anche dal dittatore comunista albanese, scegliendolo come uno dei suoi “dirigenti spirituali”! Ma, fatti accaduti e documentati alla mano, il primo ministro albanese non ha altra ideologia che quella degli “interessi”, soprattutto quelli materiali. E lui fa di tutto per raggiungere i suoi interessi. Da sempre è, altresì, preda del suo narcisismo e/o del suo egotismo. Il primo ministro albanese può allearsi con tutti coloro che gli somigliano, dando così ragione alla saggezza secolare dell’essere umano, concentrata nel noto detto latino similes cum similibus congregantur (I simili si accompagnano con i propri simili; n.d.a.). Il primo ministro gestisce un clan occulto che non ha niente a che fare con un partito politico. Lui non dirige il partito socialista albanese e perciò, men che meno, rappresenta l’ideologia dei socialisti europei. Lui usa e beneficia politicamente di quello che ormai si chiama il partito socialista albanese. Lui sì, sempre fatti accaduti, documentati, testimoniati e denunciati alla mano, da anni ormai collabora strettamente con la criminalità organizzata e con determinati raggruppamenti occulti internazionali. Insieme a loro, il primo ministro albanese, gestisce la nuova dittatura sui generis restaurata da alcuni anni in Albania. Una dittatura in continuo consolidamento, di cui in nostro lettore è stato informato spesso e con la dovuta e richiesta oggettività.

    Ebbene, nonostante la Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ed il suo “amico”, il primo ministro albanese sono ben distanti, come schieramento politico, loro però da alcuni mesi ormai si intendono a vicenda. Ma anche passano alcuni giorni di gioiose ed “utili” vacanze estive insieme. Il nostro lettore è stato informato del fatto che la Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia, insieme con la sua famiglia, è stata ospite del primo ministro albanese in riva al mare Ionio dal 14 al 17 agosto scorso. Hanno passato insieme anche il Ferragosto. L’autore di queste righe scriveva che “….All’inizio della scorsa settimana la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ha interrotto le sue vacanze in Puglia per andare in “visita privata” in Albania, ospite del suo “amico” il primo ministro albanese. Insieme con la sua famiglia hanno lasciato la masseria di Ceglie Messapica, in provincia di Brindisi, alla vigilia di Ferragosto, per andare ospiti dal nuovo “amico” albanese”. E poi egli aggiungeva : “…guarda caso, proprio nello stesso periodo, ospiti del primo ministro albanese erano anche l’ex primo ministro dell Regno Unito, Tony Blair, con sua moglie. Non si sa però se è stato un caso che due attuali primi ministri ed un ex primo ministro si trovassero nello stesso periodo e nello stesso posto, nella residenza governativa in riva alle coste ioniche dell’Albania”. Il nostro lettore è stato informato anche delle lusinghe dell’anfitrione nei confronti della sua illustre ospite. “Proprio il 12 agosto scorso, due giorni prima dell’arrivo della sua omologa italiana, la “tigre”, la sua “sorella Giorgia”, il primo ministro albanese ha dichiarato ad un media italiano che “nella scena internazionale Giorgia ha sorpreso tutti e alla grande, direi, perché si aspettavano un mostro fascista che avrebbe marciato sull’Europa e si sono trovati davanti una donna con una abilità mostruosa nel comunicare da grande europeista, senza sbagliarne una”. Il primo ministro albanese ha poi aggiunto, da buon leccapiedi qual è, che “Giorgia è incredibile. Possiamo dire che è nata un’amicizia. Ma soprattutto, che lei è una politica concreta, altro che pericolo fascista”. L’autore di queste righe informava, altresì, il nostro lettore che “…non è mancata neanche la risposta della sua illustre ospite che, dopo il ritorno in Italia, ha scritto: “Grazie per avermi ospitata nella vostra terra e per la calorosa accoglienza ricevuta Edi. Ti aspetto in Italia!” (Una visita dall’‘amico’ autocrate che doveva essere evitata; 23 agosto 2023).

    Da quanto hanno poi dichiarato in seguito, la scorsa settimana, sia la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia che il primo ministro albanese, durante quei giorni di vacanze comuni, è stato concordato anche l’accordo sui migranti. Proprio quell’accordo che è stato firmato tra i due il 6 novembre scorso a Roma. L’autore di queste righe scriveva la scorsa settimana per il nostro lettore che: “…Secondo quell’accordo l’Italia potrà beneficiare dei territori in Albania per organizzare e gestire due campi dove arriveranno circa 36.000 profughi all’anno per almeno cinque anni! Profughi di quelli che l’Italia non vuole e/o può tenere. Si tratta di quei profughi che le massime autorità italiane, soprattutto il primo ministro, non sono state in grado di distribuire negli altri Paesi membri dell’Unione europea. Profughi che l’Italia non ha potuto, nonostante un accordo firmato recentemente con la Tunisia, fermare per arrivare sulle coste italiane”. Chissà perché? Ed in seguito aggiungeva che fortunatamente la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia “…ha un “caro amico” in Albania, il primo ministro albanese. Lui ha firmato subito il sopracitato accordo. Lui, un irresponsabile autocrate ha accettato la proposta. Mentre l’omologa italiana ha potuto, almeno sulla carta, curare gli interessi del suo Paese” (Un autocrate irresponsabile e altri che seguono i propri interessi; 14 novembre 2023).

    L’accordo firmato il 6 novembre scorso dalla Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ed il suo omologo albanese è stato reso pubblico in seguito. Ci sono state subito delle forti reazioni, sia in Italia che in Albania. In più è risultato che di quell’accordo le istituzioni dell’Unione europea, di cui l’Italia è uno dei sei primi membri fondatori, sono state informate soltanto poche ore prima della sottoscrizione. Mentre in Albania nessuno, tranne qualche stretto collaboratore del primo ministro, era stato informato. Ovviamente il primo ministro albanese aveva violato la Costituzione della Repubblica d’Albania, con la sua totale mancanza di trasparenza e le mancate consultazioni istituzionali, prima che venisse firmato l’accordo come sancisce la Costituzione. Perché si tratta di un accordo che prevede anche la messa a disposizione dei territori albanesi all’Italia. Ma questo modo di agire del primo ministro albanese, da anni ormai, è diventato una “cosa normale”!

    L’accordo tra l’Italia e l’Albania sui migranti, sintetizzato in un Protocollo d’intesa di quattordici articoli, è valido per cinque anni, rinnovabili di altri cinque, se necessario. In base all’accordo, nel territorio albanese verranno allestiti due campi dove saranno sistemati i profughi. È stato previsto e sancito che il diritto di difesa verrà assicurato da avvocati, organizzazioni internazionali e strutture specializzate dell’Unione europea che avranno libero accesso nei campi e che potranno prestare la necessaria consulenza ed assistenza ai migranti che possano aver bisogno di chiedere protezione internazionale, nei limiti della legislazione italiana, europea ed albanese. L’accordo sancisce anche che i due campi verranno gestiti dall’Italia, in base alle leggi e le normative italiane ed europee. Mentre nel caso di controversie sarà valida solo la legislazione italiana in vigore. In quell’accordo si sanciscono anche altre prerogative particolari. Per la presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia, il sopracitato accordo sui migranti può diventare …un modello di collaborazione tra Paesi Ue e Paesi extra-Ue sul fronte della gestione dei flussi migratori”. Lei ha affermato, l’indomani della firma dell’accordo, che si tratta di un’intesa “…che rafforza il partenariato strategico tra Italia e Albania e si pone sostanzialmente tre obiettivi: contrastare il traffico di esseri umani, prevenire i flussi migratori irregolari e accogliere in Europa solo chi ha davvero diritto alla protezione internazionale”. Il primo ministro albanese, invece, ha considerato l’accordo come un atto dovuto, dopo quello che l’Italia ha fatto per i profughi albanesi nel 1991. Proprio lui che solo due anni fa, ed esattamente il 18 novembre 2021, dichiarava convinto e perentorio che “L’Albania non sarà mai un Paese dove paesi molto ricchi possano creare campi per i loro rifugiati. Mai!”.

    Leggendo però il testo del Protocollo d’intesa, risulterebbe che ci sono diverse serie violazioni delle leggi in vigore nei due rispettivi Paesi firmatari, delle normative dell’Unione europea, nonché delle convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e dei migranti. Si tratta di violazioni che vengono evidenziate da molti noti specialisti di giurisprudenza, sia in Italia che in Albania. Violazioni che sono state evidenziate, altresì, da specialisti di giurisprudenza di altri Paesi e da alcuni rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea. Anche la decisione della scorsa settimana, presa dalla Corte Suprema del Regno Unito contro la decisione del governo britannico sul trasferimento dei profughi in Ruanda, ne è un’altra conferma di simili violazioni.

    Chi scrive queste righe è convinto che il comportamento del primo ministro albanese e le decisioni da lui prese senza la minima obbligatoria trasparenza, sono tipiche di un autocrate irresponsabile. Mentre altri ne approfittano per risolvere le loro problematiche, dopo aver fallito in precedenza con diversi Paesi, compresi alcuni dell’Unione europea. Aveva ragione Paul Valéry, l’abuso è il contrassegno del possesso e del potere. Ed il primo ministro albanese ne ha usurpato tanto di potere.

  • Preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale

    Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro.

    Henry de Montherlant

    In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una totale, allarmante e pericolosa ubbidienza delle istituzioni statali e governative agli ordini che arrivano dal primo ministro e/o da chi per lui. In queste ultime settimane in Albania si sta verificando una preoccupante, consapevole e palese violazione della Costituzione della Repubblica d’Albania e delle leggi in vigore. In queste ultime settimane in Albania si stanno prendendo delle illecite decisioni, testimoniando una vile e spregevole ubbidienza a colui che comanda tutto e tutti, delle decisioni deliberate proprio dalle istituzioni del sistema “riformato” della giustizi, dal parlamento ed altre. Decisioni che confermano il preoccupante e continuo consolidamento del regime dittatoriale in Albania. Il nostro lettore ormai da anni è stato informato con la dovuta e richiesta oggettività e sempre fatti accaduti, documentati e denunciati alla mano, di quello che sta accadendo in Albania e che riguarda la restaurazione ed il consolidamento della nuova dittatura sui generis. Una dittatura che sempre, fatti accaduti e che stanno accadendo alla mano, risulta essere l’espressione diretta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato direttamente dal primo ministro, la criminalità organizzata locale ed internazionale e determinati raggruppamenti occulti internazionali.

    L’autore di queste righe da anni ormai ripete continuamente, riferendosi alla vera, vissuta e sofferta realtà albanese, che si tratta di una dittatura camuffata dietro una parvenza di pseudo democrazia e di pluripartitismo. Si tratta di una dittatura che, in realtà, ha come obiettivo strategico il controllo diretto, da parte di una sola persona o di un gruppo ristretto di persone legate da interessi comuni tra di loro, dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico. E cioè del potere legislativo, del potere esecutivo e quello giudiziario. Ma siccome in uno Stato democratico l’opposizione politica rappresenta un’altra istituzione molto importante, prevista, sancita e tutelata dalla Costituzione, allora il regime dittatoriale fa di tutto per controllare anche l’opposizione. O, almeno, una parte dell’opposizione, in modo da avere sempre i numeri necessari in parlamento per approvare tutto quello che è la “volontà” di colui che gestisce il sistema dittatoriale. Soprattutto quando si tratta di far approvare delle leggi clientelistiche, leggi ad personam, imposte anche dagli interessi degli “alleati” del primo ministro albanese, oligarchi e/o criminalità organizzata locale ed internazionale compresa. Anzi, soprattutto leggi imposte da loro e per loro. Ovviamente cercando di imbrogliare con delle parvenze fasulle. E se non ci riescono, allora si decide l’annientamento dell’opposizione politica. Proprio come stanno cercando di fare, soprattutto durante queste ultime settimane. Perché adesso il primo ministro non usufruisce più dei servizi di un’opposizione da lui controllata. Si perché negli anni passati il primo ministro aveva trovato nella persona che aveva usurpato la dirigenza del partito democratico, il maggior partito dell’opposizione, proprio colui che era diventato, nolens volens, una “ubbidiente stampella” ad essere usato quando era necessario. Il nostro lettore è stato informato di quel diretto e dannoso rapporto tra i due, partendo dal 2017 ed in seguito (Habemus pactio, 22 maggio 2017; Il doppio gioco di due usurpatori di potere, 14 giugno 2021; Meglio perderli che trovarli, 13 settembre 2021; La metamorfosi di un vigliacco messo alle strette, 29 novembre 2021; Il vizio esce con l’ultimo respiro, 13 dicembre 2021; Vergognosa, arrogante e sprezzante ipocrisia dittatoriale in azione, 6 giugno 2022; La ribellione contro le dittature è un sacrosanto diritto e dovere, 12 luglio 2022 ecc…). Ma siccome da più di due anni ormai la “ubbidiente stampella” del primo ministro albanese non riesce più a garantire per lui i necessari voti al parlamento, quest’ultimo sta usando altri “metodi” per annientare, o per lo meno dividere l’opposizione. Metodi che si basano su minacciosi ricatti, fatti a quei deputati dell’opposizione che hanno degli “scheletri nell’armadio”. Oppure metodi che si basano su dei benefici di vario tipo, per quei deputati e/o dirigenti dell’opposizione che si rendono utili per la realizzazione di quello che serve al primo ministro. E se tutto ciò non basta, allora si usano dei “metodi duri”. Metodi in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore in Albania. E poco importa per il primo ministro che sia così. Basta che riesca ad avere quello che a lui serve. Ma anche a tutti coloro che lui rappresenta, criminalità organizzata e certi raggruppamenti occulti compresi. Anzi, loro per primi. Perciò proprio adesso sono stati scelti i “metodi duri”. E soprattutto adesso, quando il primo ministro ha molti, moltissimi grattacapi che lo tormentano continuamente. Proprio adesso, quando lui si trova impantanato in una melma che lo inghiottisce in una sempre più grave situazione generata da innumerevoli scandali milionari.

    La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato di ulteriori testimonianze che confermano il diretto controllo, da parte del primo ministro, anche del potere giudiziario, oltre che al potere esecutivo e legislativo. In più il nostro lettore è stato informato anche del rapporto ufficiale per il 2023 che riguarda il sistema della giustizia in Albania. Un rapporto presentato dall’organizzazione World Justice Project (Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.), che è stata fondata nel 2006 negli Stati Uniti d’America con la partecipazione ed il sostegno attivo di ben ventuno partner strategici internazionali. L’obiettivo dell’organizzazione è quello di garantire il rafforzamento dello Stato di diritto a livello mondiale. Ebbene, secondo quel rapporto, che analizza i sistemi di giustizia in ben 142 Paesi diversi, l’Albania si trova alla 91a posizione, regredendo di quattro posizioni rispetto al 2022. Mentre, riferendosi al 2017, l’Albania era regredita di ben 23 posti! Non solo, ma nel rapporto si presentano molti dati, che riguardano otto diversi aspetti dello studio, messo in atto da un apposito strumento dell’organizzazione, noto come The World Justice Project Rule of Law Index (Indice dello Stato di diritto del Progetto mondiale della giustizia; n.d.a.). Secondo quei dati, il sistema “riformato” della giustizia in Albania era vistosamente regredito in confronto ad un anno fa. E tenendo presente gli otto diversi aspetti dello studio, i risultati della parte afferente l’Albania dimostrano inconfutabilmente ed in modo convincente che il sistema “riformato” della giustizia, rappresentando uno dei tre poteri sui quali si fonda uno Stato democratico, è tutt’altro che indipendente! La scorsa settimana il nostro lettore è stato informato non solo di questo, ma anche della preoccupante realtà nel Paese. L’autore di queste righe sottolineava che “la vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa da quella che cerca inutilmente di nascondere il primo ministro albanese e la sua potente e ben organizzata propaganda. La vera, vissuta e spesso sofferta realtà albanese è ben diversa anche da quella che, non di rado, presentano con ipocrisia certi alti rappresentanti delle istituzioni internazionali, soprattutto quelle dell’Unione europea. Ma anche da alcuni alti rappresentanti istituzionali di singoli Stati membri dell’Unione” (Anche il sistema della giustizia a servizio del regime; 31 ottobre 2023).

    Il regime dittatoriale che si sta consolidando in Albania, sta usando ormai il sistema “riformato” della giustizia per colpire direttamente i suoi avversari politici. Ed in particolare l’attuale dirigente del partito democratico albanese, il maggior partito dell’opposizione. Per il primo ministro e per i suoi “alleati”, il dirigente dell’opposizione, che è stato presidente della Repubblica (1992-1997) e primo ministro (2005-2013), rappresenta non solo un avversario politico, ma bensì un nemico da combattere con tutti i metodi. E se non ci si riesce, allora anche con dei “metodi duri”. Ed è proprio quello che il regime sta facendo in queste due ultime settimane, non importa se quanto stanno facendo è in palese violazione della Costituzione e delle leggi in vigore. Due settimane fa il nostro lettore è stato informato di una decisione, del tutto anticostituzionale, che si riferiva proprio al dirigente dell’opposizione. Una decisione resa nota il 21 ottobre scorso. Era un sabato sera. L’autore di queste righe scriveva, tra l’altro: “Sabato scorso la decisione di una giudice della Corte Speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata ha attirato tutta l’attenzione politica, mediatica e pubblica. Una decisione, in seguito ad una richiesta fatta dai procuratori della Struttura Speciale contro la Corruzione e la Criminalità Organizzata, con la quale si comunicava al dirigente del maggior partito dell’opposizione e della stessa opposizione l’ordine di apparizione e si confiscava il suo passaporto”. Aggiungendo anche che era “Una decisione in piena e palese violazione dell’articolo 73 della Costituzione della Repubblica dell’Albania e di quanto prevede il Regolamento del Parlamento, visto che il dirigente dell’opposizione è anche un deputato” (Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione; 23 ottobre 2023). Si,perché l’articolo 73, comma 2 della Costituzione sancisce che “Il deputato non può essere arrestato, oppure a lui non si può togliere la libertà in qualsiasi forma e nemmeno si può fare, nei suoi confronti, un controllo personale o della sua abitazione, senza [una preventiva] autorizzazione del Parlamento”.

    Ebbene sia “l’ordine d’apparizione” che “il ritiro del passaporto” rappresentano due forme diverse della negazione della libertà per un cittadino, compreso un deputato. Ma lo scandalo, causato dall’uso dei “metodi duri”, non è finito solo con quella decisione anticostituzionale. Denunciando la decisione, sia il diretto interessato che i suoi avvocati, hanno chiesto di rispettare la Costituzione. In più hanno chiesto un processo giudiziario secondo quanto prevedono le leggi in vigore. Lo scandalo continua durante una nuova udienza, nella quale è stato “scelto” dal tribunale un avvocato d’ufficio, visto che gli avvocati del deputato sono stati costretti ad uscire dall’aula. E, guarda caso, quello scelto era pubblicamente un noto sostenitore del primo ministro ed un “avversario” del dirigente dell’opposizione (Sic!). Contestato il fatto, il tribunale ha scelto due altri avvocati d’ufficio che poi non si sono presentati. Finalmente è stata scelta un’ultima avvocato, nostalgica del regime comunista e sostenitrice dell’attuale governo. Il caso prosegue, sempre in piena violazione della Costituzione e del Regolamento del Parlamento. Ma anche in piena e palese contraddizione con altri casi che riguardavano altri deputati del Parlamento. Anche recentemente. Chissà perché?! Si sa però che tutto si sta facendo perché così vuole il primo ministro. E le istituzioni del sistema “riformato” della giustizia non hanno nessuna altra scelta. Devono soltanto ubbidire.

    Come sta ubbidendo anche la presidente dello stesso parlamento. Lei, in seguito all’ordine arrivato “dall’alto”, durante queste due ultime settimane ha negato ai deputati dell’opposizione i loro diritti previsti sia dalla Costituzione che dal Regolamento del Parlamento stesso. Dalla scorsa settimana i deputati dell’opposizione si stanno affrontando, sia in aula che in altri ambienti del parlamento, con una massiccia presenza della Guardia della Repubblica. Mentre ieri, lunedì 6 novembre, l’edificio dove si trovano gli uffici dei gruppi parlamentari e quelli delle commissioni parlamentari era chiuso e circondato da molti membri della Guardia della Repubblica. Perciò nessun deputato poteva entrare e svolgere la propria normale attività. Quanto sta accadendo in questi ultimi giorni in Parlamento rappresenta un altro scandalo anticostituzionale che coinvolge direttamente la presidente ed altri funzionari del parlamento. Ma anche chi ordina loro!

    Chi scrive queste righe considera quanto sta accadendo in Albania in queste ultime settimane una preoccupante ubbidienza delle istituzioni al regime dittatoriale. Egli continuerà a seguire tutti gli sviluppi ed informerà il nostro lettore, sempre con la dovuta oggettività. Intanto lo scrittore francese Henry de Montherlant era convinto che “Non esiste il potere. Esiste l’abuso di potere, nient’altro”. Una convinzione quella che viene confermata anche da quanto sta accadendo in Albania durante questi ultimi anni. E si sa, le dittature abusano sempre del potere usurpato.

  • Asian Games: China censors ‘Tiananmen’ image of athletes hugging

    A photo of two Chinese female athletes that made an inadvertent reference to the Tiananmen Square massacre has been censored on Chinese social media.

    The race numbers for Lin Yuwei and Wu Yanni form “64” – a common allusion to the incident which happened on June 4.

    Discussions of the incident remain taboo in China, with authorities routinely scrubbing any mention of the topic from the internet.

    In 1989, troops shot dead hundreds of pro-democracy protesters in Beijing.

    It remains unclear how many people actually died that day, but human rights groups’ estimates range from several hundred to several thousand killed.

    The athletes had embraced each other after a 100m hurdles race at the Asian Games in which Ms Lin won gold. She was wearing her lane number 6 next to Ms Wu’s lane number 4 in the photo.

    Users had posted their congratulations to Ms Lin on Weibo, one of China’s biggest social media platforms, but posts which included the photo were replaced with grey squares.

    However, the photo does not appear to have been completely scrubbed off the internet, with some Chinese news articles still showing a photo of the two athletes.

    China has won nearly 300 medals so far in the Asian Games, which are currently taking place in the Chinese city of Hangzhou. It is due to go on until 8 October.

    Discussion of the events that took place in Tiananmen Square is highly sensitive in China – with generations of younger Chinese growing up with little to no knowledge about the Tiananmen Square massacre.

    Posts relating to the massacres are regularly removed from the internet, which is tightly controlled by the government.

    Last year, a popular Chinese influencer’s livestream, which took place on the eve of the 33rd anniversary of the massacre, ended abruptly after he showed his audience a vanilla log cake which resembled a tank – a reference to a iconic image of one so-called Tank Man, which shows a civilian with shopping bags standing in front of a queue of tanks, attempting to block them.

  • Pechino prova a zittire gli uiguri all’Onu

    Per prevenire verifiche a parte della comunità internazionale di abusi o violazioni da parte cinese nello Xinjiang verso la minoranza musulmana uiguri, Pechino ha cercato di impedire un forum promosso a margine dell’annuale assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. I diplomatici cinesi hanno inviato una lettera alle missioni internazionali all’Onu che è però stata rispedita al mittente dagli ambasciatori e da gruppi attivisti ai quali veniva rivolto l’invito a disertare il forum. Durante l’incontro Sophie Richardson, direttrice della sezione cinese di Human Rights Watch (Hrw), ha mostrato una copia della lettera pubblicata in esclusiva nei giorni scorsi dal National Review, stigmatizzandone il contenuto: un governo che agisce in questo modo, ha aggiunto, «non ha alcun diritto di far parte del Consiglio Onu per i diritti umani» e conferma che «ha molto da nascondere».

    Anche Beth Van Schaack, attuale ambasciatrice Usa per la giustizia penale globale, ha definito la lettera della rappresentanza di Pechino (menzionata attraverso l’acronimo Prc del partito comunista) all’Onu «un altro esempio della campagna di repressione transnazionale» sugli uiguri. Agnès Callamard, segretario generale di Amnesty International, conferma che gli uiguri continuano a vedersi negate le libertà di movimento, di religione o di cultura, mentre aumentano i procedimenti giudiziari a loro carico, compreso il «trasferimento di detenuti dai cosiddetti centri di rieducazione o di formazione professionale a carceri penali più formali». Degli oltre 15mila residenti dello Xinjiang di cui si conoscono le sentenze, più del 95% dei condannati (spesso con accuse vaghe, come separatismo o messa in pericolo della sicurezza dello Stato) hanno ricevuto pene da 5 a 20 anni, e in alcuni casi anche il carcere a vita.

  • La convenzione di Istanbul entra in vigore per l’UE

    La convenzione di Istanbul entrerà in vigore il 1º ottobre per l’UE. La convenzione è un quadro giuridico completo volto a proteggere le donne da ogni forma di violenza, al fine di prevenire, perseguire ed eliminare la violenza sulle donne e la violenza domestica, e di attuare politiche globali e coordinate.

    Essendo l’UE nel suo complesso vincolata dalla convenzione, gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie. “La violenza sulle donne è una censura delle società democratiche. Una donna su tre al di sopra dei 15 anni ha subito violenze fisiche o sessuali”, ha dichiarato Vera Jourová, Vicepresidente per i Valori e la trasparenza.”Molte non lo denunciano. Molti aggressori rimangono impuniti. Dobbiamo agire e la Convenzione di Istanbul è la nostra risposta giuridica per rafforzare i diritti delle donne. Continueremo a incoraggiare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie per prevenire la violenza sulle donne e per garantire protezione e sostegno efficaci a tutte le vittime”.

  • Giornata internazionale della democrazia: dichiarazione congiunta dell’Alto rappresentante/Vicepresidente Josep Borrell e della Vicepresidente Šuica

    In occasione della Giornata internazionale della democrazia, che si celebra ogni anno il 15 settembre, l’Unione europea ribadisce il suo fermo impegno a sostenere e difendere la democrazia, basata sui diritti umani universali, all’interno e al di là delle sue frontiere.

    La democrazia ha trasformato e migliorato le società di tutto il mondo. L’erosione della democrazia e dei diritti umani è tuttavia una realtà che non risparmia nessuno.

    La guerra di aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina costituisce anche un attacco alla democrazia e all’ordine basato su regole. L’Unione europea, i suoi Stati membri e le democrazie di tutto il mondo si sono riuniti per sostenere l’Ucraina, riconoscendo che sono in gioco i principi fondamentali delle nostre società.

    Nessuna democrazia è immune alle sfide che ci troviamo ad affrontare oggi. Dobbiamo sempre restare vigili e agire sugli sforzi continui per attaccare lo Stato di diritto, sopprimere le libertà civili, manipolare le elezioni e reprimere la società civile.

    Mano a mano che i regimi autoritari sviluppano e diffondono false narrazioni che si presentano come semplici alternative alle democrazie, non dobbiamo sottovalutare il potenziale nefasto delle attività di manipolazione delle informazioni e di disinformazione.

    L’inclusività è la forza della democrazia. Il rigetto dell’autoritarismo è possibile quando le persone di tutte le generazioni sono in grado di esercitare le loro libertà e i loro diritti per partecipare e impegnarsi nelle rispettive società. Siamo determinati a proteggere le istituzioni democratiche che sono alla base della nostra democrazia. Tale protezione va di pari passo con l’approfondimento del nostro impegno nei confronti dei cittadini per costruire la resilienza democratica.

    Il nostro impegno a favore dell’inclusività è illustrato dalle nostre innovazioni in materia di coinvolgimento dei cittadini all’interno dell’Unione europea attraverso panel di cittadini, sulla scorta del successo della Conferenza sul futuro dell’Europa. Le innovazioni nel nostro ecosistema democratico ci consentono di condividere reciprocamente gli insegnamenti tratti. Inoltre, il nostro operato globale per consentire alle donne, ai giovani e ai bambini di partecipare agli affari pubblici e al processo decisionale è un investimento per il futuro. Ciò è legato all’importanza di trasmettere i valori fondamentali e di dotare i cittadini delle competenze necessarie per impegnarsi nella democrazia e sostenerla.

    L’Unione europea continuerà a dialogare con i paesi di tutto il mondo per unire le forze con coloro che credono nei principi e nei valori democratici in Africa, Asia-Pacifico, Americhe ed Europa. Dobbiamo continuare ad adoperarci per trovare un terreno e interessi comuni con i nostri partner.

    Più che mai, dobbiamo sostenere attivamente i paesi con aperture democratiche e continuare a dotarci di meccanismi di sostegno agili e flessibili, anche attraverso il sistema multilaterale

    Perché insieme costruiamo la democrazia. Insieme difendiamo la democrazia. Insieme difendiamo l’universalità dei diritti umani.

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