diritti

  • La Commissione pubblica nuovi orientamenti per fare maggiore chiarezza sui diritti dei passeggeri aerei

    La Commissione europea ha pubblicato orientamenti interpretativi aggiornati sui diritti dei passeggeri aerei. Tali orientamenti mirano ad accrescere il rispetto e a promuovere un’applicazione coerente della normativa da parte delle autorità nazionali. Dal 2016 la Commissione fornisce orientamenti per rispondere alle preoccupazioni comuni sollevate dagli organismi nazionali di controllo, dai passeggeri e dalle relative associazioni e dai rappresentanti del settore. L’aggiornamento tiene conto tra l’altro delle sentenze pronunciate dalla Corte di giustizia dal 2016 a oggi, chiarendo alcune disposizioni. Sono stati inoltre pubblicati orientamenti riveduti sui diritti dei passeggeri con disabilità e a mobilità ridotta durante i viaggi aerei.

    Sebbene i diritti dei passeggeri siano definiti a livello dell’UE, la loro applicazione spetta ai fornitori di servizi di trasporto e la loro attuazione è responsabilità degli organismi nazionali. Le discrepanze tra le prassi nazionali possono generare confusione nei passeggeri, in particolare per quanto riguarda i viaggi transfrontalieri. Trovare un’assistenza adeguata può essere difficile.

    Una nuova indagine Eurobarometro rivela che molti europei si sentono ancora male informati sui diritti dei passeggeri anche se, rispetto a cinque anni fa, la loro consapevolezza è aumentata.

  • Mediatore per conto proprio

    Le amicizie fatte per opportunismo saranno gradite finché saranno utili.

    Lucio Anneo Seneca

    Il Consiglio dell’Unione europea, riconosciuto anche come il Consiglio dei ministri europei, è una delle più importanti istituzioni dell’Unione Europea. Insieme con il Parlamento europeo sono le due istituzioni che rappresentano il potere legislativo dell’Unione. Il 7 febbraio 1992 nei Paesi Bassi è stato approvato e firmato dai rappresentanti dei Paesi membri il Trattato dell’Unione europea. Il Trattato entrò poi in vigore il 1o novembre 1993. L’articolo 16 di quel Trattato stabilisce che il Consiglio dell’Unione europea sia composto da un rappresentante a livello ministeriale per ogni Stato membro, responsabile della materia che deve essere trattata. Sono dieci le strutture (note come Consigli), che trattano tutte le questioni di cui deve decidere il Consiglio. Tranne il Consiglio Affari esteri che viene presieduto dall’Alto rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza dell’Unione europea, tutti gli altri Consigli, spesso riferiti anche come riunioni, sono presieduti dal ministro competente del Paese membro che esercita, in quel periodo, la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea.

    La presidenza viene esercitata a turno, ogni sei mesi, dagli Stati membri dell’Unione. I vari rappresentanti dello Stato che detiene la presidenza durante quel semestre presiedono le riunioni a tutti i livelli. Il Trattato di Lisbona, approvato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha stabilito, tra l’altro, che gli Stati membri previsti per presiedere il Consiglio dell’Unione europea debbano collaborare a gruppi di tre, noti anche come i “trio”. L’attuale trio è composto dalla Spagna, dal Belgio e dall’Ungheria.

    Dal 1o luglio scorso e fino al 31 dicembre 2024 la presidenza del Consiglio dell’Unione europea è passata all’Ungheria. Ed appena ha assunto la presidenza il primo ministro ungherese ha cominciato una serie di viaggi ed incontri, presentandosi come mediatore di pace. Il 2 luglio scorso è stato in visita ufficiale a Kiev. Una visita a sorpresa quella del primo ministro ungherese. Una visita, mentre in varie parti dell’Ucraina l’esercito invasore russo sferrava attacchi violenti contro la popolazione inerme, mietendo vittime innocenti. Il 2 luglio scorso il primo ministro ungherese ha incontrato il presidente ucraino. In seguito al loro incontro, il capo dell’ufficio presidenziale dell’Ucraina ha dichiarato che si era parlato e discusso del “futuro dell’Europa, della sicurezza, del diritto internazionale e della formula della pace”. Durante la comune conferenza stampa, il primo ministro ungherese ha chiesto al presidente ucraino “di prendere in considerazione se un cessate il fuoco rapido possa accelerare i negoziati di pace”. Mentre il presidente ucraino ha sottolineato: “Apprezziamo che la visita avvenga subito dopo l’inizio della presidenza ungherese dell’Unione europea”. Ma lui sostiene precise condizioni per arrivare alla pace, ben diverse da quelle russe.

    Dopo la visita a Kiev, il primo ministro ungherese che, dal 1o luglio scorso, è anche il presidente del Consiglio dell’Unione europea, ha fatto un’altra “visita a sorpresa”. Il 5 luglio è arrivato a Mosca, dove ha incontrato il presidente russo. Proprio lui che ha voluto, ideato ed attuato la crudele aggressione in Ucraina. Il motivo dichiarato della visita era di discutere della pace tra la Russia e l’Ucraina. Bisogna sottolineare però che il primo ministro ungherese ha una sua opinione ed un suo rapporto con il presidente russo. Una opinione ed un rapporto diverso da quello degli altri Paesi membri dell’Unione europea e delle istituzioni della stessa Unione. Il presidente ungherese, allo stesso tempo presidente del Consiglio dell’Unione europea fino al 31 dicembre 2024, ha dichiarato che la sua visita a Mosca era “una missione di pace”. Una visita fortemente voluta dal primo ministro ungherese e preparata in soli due giorni, come ha dichiarato il portavoce del presidente russo. Ma la visita non è stata coordinata neanche con il presidente ucraino, con il quale il mediatore ungherese si era incontrato proprio tre giorni prima. Lo hanno affermato fonti ufficiali ucraine. Durante la conferenza stampa congiunta il presidente russo ha dichiarato che “…aveva rifiutato il cessato il fuoco in Ucraina” proposto dal primo ministro ungherese, aggiungendo che “la Russia vuole una piena e definitiva conclusione del conflitto”. Mentre il primo ministro ungherese ha affermato che “…bisogna fare molti passi per avvicinare la fine della guerra”, ma ha considerato “un passo importante” l’incontro con il presidente russo. Aggiungendo: “continuerò a lavorare in questa direzione; per l’Europa la pace è la cosa più importante”.

    Dalle immediate reazioni di molti rappresentanti delle istituzioni europee si è capito chiaramente però che la visita a Mosca del primo ministro ungherese doveva essere considerata solo nell’ambito dei rapporti bilaterali tra i due Paesi. Il portavoce della Commissione europea ha dichiarato che la Commissione non era stata “…assolutamente informata della visita, che non è stata coordinata con noi né con nessun altro”. Mentre l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari esteri e la Politica di Sicurezza ha dichiarato che la visita del primo ministro ungherese a Mosca “…si svolge esclusivamente nel quadro delle relazioni bilaterali tra Ungheria e Russia”. Aggiungendo, altresì, che il presidente ungherese “…non ha ricevuto alcun mandato dal Consiglio dell’Unione europea e non rappresenta l’Unione in alcuna forma”. Contrari a quella visita sono stati anche diversi alti rappresentanti di vari Paesi membri dell’Unione europea. Come il primo ministro della Svezia, il quale ha affermato che il suo omologo ungherese “…è solo, non parla a nome dell’Unione europea e non parla a nome di tutti gli altri capi di Stato e di governo [dei Paesi membri]”.

    In seguito alle due sopracitate visite, il primo ministro ungherese, l’8 luglio scorso, è andato in Cina ed ha incontrato il presidente cinese. Per il primo ministro ungherese quella sua terza era una “missione di pace 3.0”. E si riferiva alla pace tra la Russia ed Ucraina. Ma anche questa visita è stata considerata dai rappresentanti delle istituzioni dell’Unione europea come una sua iniziativa personale. Evidenziando e criticando anche l’uso improprio del logo della presidenza dell’Unione europea, da parte del primo ministro ungherese, in tutte le sue comunicazioni.

    La scorsa settimana Cristiana Muscardini, trattando l’incontro del primo ministro ungherese con il presidente russo, scriveva per il nostro lettore: “…dobbiamo fare chiarezza e portare allo scoperto chi fino ad ora, in ognuno degli Stati europei, ha solidarizzato, in modo più o meno palese, con Mosca perché la sicurezza delle nostre democrazie è messa a rischio e non si può più traccheggiare”. E faceva riferimento ai rapporti d’amicizia tra loro due. Poi chiudeva l’articolo scrivendo: “Piaccia o non piaccia ad alcuni governi, l’Europa deve darsi una politica estera ed una difesa comune, anche a fronte delle insicurezze americane, per questo, come è già stato fatto per la moneta unica si abbia il coraggio di partire con un gruppo di Stati, gli altri verranno poi, rimanere ancora immobili ed indecisi sarebbe un errore tragico dalle conseguenze irrimediabili” (Dopo la visita di Orban Putin bombarda gli ospedali dei bambini; 9 luglio 2024).

    Chi scrive queste righe pensa che con le sue tre visite in una settimana, il primo ministro ungherese si stia comportando come un mediatore per conto proprio. Senza nessun mandato dalle istituzioni dell’Unione europea, compreso il Consiglio dell’Unione europea che lui stesso presiede dal 1o luglio scorso. Ragion per cui chi scrive queste righe considera quelle visite come delle opportunità che possano diventare utili per colui che le programma e le attua. Ma bisogna ricordare sempre che le amicizie fatte per opportunismo saranno gradite finché saranno utili. Lo diceva Seneca e la storia lo conferma.

  • Democrazia come concetto e come vissuta realtà quotidiana

    Soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia.

    Leo Longanesi

    Come molte altre parole di uso quotidiano anche la parola democrazia fa parte del vocabolario della lingua greca antica. Si tratta di una parola composta che, tradotta letteralmente, significa potere del popolo. Il popolo dovrebbe esercitare la sua sovranità direttamente o indirettamente, tramite diverse forme di consultazioni di massa, per stabilire la forma dell’organizzazione dello Stato. Si tratta di una parola però che, nel corso dei secoli, ha espresso concetti diversi. Riferendosi a documenti della Grecia antica, gli studiosi hanno evidenziato che il significato della parola era tutt’altro che positivo. Platone ed Aristotele, due noti filosofi della Grecia antica, davano al concetto della democrazia un significato negativo. Per Platone dovrebbero essere i filosofi e non il popolo ad avere il potere e governare. Mentre per Aristotele la democrazia non era la forma dovuta dell’organizzazione dello Stato, perché si poteva trasformare in una tirannide. In seguito, durante il periodo dell’illuminismo europeo, il concetto della democrazia è stato trattato da molti noti filosofi come John Locke, Jean-Jacques Rousseau e Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, comunemente noto come Montesquieu. Era il 1863 quando Abraham Linkoln definì la democrazia come “il governo del popolo, da parte del popolo, per il popolo”. Una definizione quella che, nel 1958, è stata introdotta anche nella Costituzione francese.

    Montesquieu, trattando il concetto della democrazia, ha ripreso dall’antichità un altro concetto, quello della separazione dei poteri. In seguito ad un lungo lavoro, durato per ben quattordici anni, lui pubblicò nel 1748 un insieme di trentuno libri, raccolti in due volumi ed intitolato De l’esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.). Un’opera che rappresenta un trattato del pensiero politico e giudiziario del Settecento che è attuale anche adesso. Un trattato in cui Montesquieu evidenziava e definiva i tre poteri che dovevano essere divisi ed indipendenti; il potere legislativo, il potere esecutivo ed il potere giudiziario. Ovviamente Montesquieu si riferiva all’organizzazione dello Stato dell’epoca in cui viveva. Per lui il potere legislativo “…verrà affidato e al corpo dei nobili e al corpo che sarà scelto per rappresentare il popolo”. Invece il potere esecutivo “…deve essere nelle mani d’un monarca, perché questa parte del governo, che ha bisogno quasi sempre d’una azione istantanea, è amministrata meglio da uno che da parecchi”. Mentre il potere giudiziario doveva essere “la bouche de la lois” (la bocca della legge; n.d.a.).

    Il concetto della democrazia, intesa come democrazia liberale, si è evoluto e ha assunto un significato positivo. La forma dell’organizzazione dello Stato liberale prende vita in Inghilterra nel ‘600. Due sono i documenti su cui si basa: la Magna Carta libertatum (Grande Carta delle libertà, 1215; n.d.a.) e il Bill of Rights (Carta dei diritti, 1689; n.d.a.). Con la democrazia liberale si intende una forma di governo che si basa sul coordinamento e la connivenza del principio liberale dei diritti individuali dell’essere umano con il principio democratico della sovranità del popolo. La storia ci insegna però che il diritto di voto non era riconosciuto da sempre alle donne ed ad alcune altre comunità. Un diritto acquisito ormai e non sempre facilmente. In uno Stato democratico la Costituzione rappresenta il limite oltre il quale il governo non può esercitare la sua autorità. Ma rappresenta anche la garanzia del funzionamento dello Stato di diritto. E cioè di quella forma del funzionamento dello Stato che garantisce il rispetto dei diritti e delle libertà dell’essere umano.

    Era il 1907 quando Giuseppe Toniolo, un economista e sociologo italiano ed uno dei protagonisti del movimento cattolico, proclamato Beato nel 2012, diede avvio a quella che ormai è nota come la Settimana Sociale dei cattolici. La scorsa settimana, dal 3 al 7 luglio, è stata celebrata la 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia. Sono state organizzate diverse attività con il tema “Al cuore della democrazia. Partecipare tra storia e futuro”.  Mercoledì scorso, 3 luglio, a Trieste per dare inizio alla Settimana Sociale era presente anche il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. Durante il suo intervento egli ha trattato il tema della democrazia, sottolineando che “Una democrazia ‘della maggioranza’ sarebbe, per definizione, una insanabile contraddizione, per la confusione tra strumenti di governo e tutela della effettiva condizione di diritti e di libertà”. Sempre riferendosi alla democrazia il Presidente ha affermato: “Le dittature del Novecento l’hanno identificata come un nemico da battere. Gli uomini liberi ne hanno fatto una bandiera. Insieme una conquista e una speranza che, a volte, si cerca, in modo spregiudicato, di mortificare ponendone il nome a sostegno di tesi di parte. Non vi è dibattito in cui non venga invocata a conforto della posizione propria. Un tessuto che gli avversari della democrazia pretenderebbero logoro”. Il Presidente ha altresì detto che “…Non è democrazia senza la tutela dei diritti fondamentali di libertà, che rappresentano quel che dà senso allo Stato di diritto e alla democrazia stessa”.

    La 50a Settimana Sociale dei Cattolici in Italia si è conclusa, sempre a Trieste, con la presenza di Papa Francesco. Durante il suo intervento il Santo Padre ha trattato ampiamente il concetto della democrazia. Per lui “…La parola stessa ‘democrazia’ non coincide semplicemente con il voto del popolo; nel frattempo a me preoccupa il numero ridotto della gente che è andata a votare. Cosa significa quello? Non è il voto del popolo solamente, ma esige che si creino le condizioni perché tutti si possano esprimere e possano partecipare. E la partecipazione non si improvvisa: si impara da ragazzi, da giovani, e va ‘allenata’, anche al senso critico rispetto alle tentazioni ideologiche e populistiche”. Papa Francesco, tra l’altro, ha ribadito che “…Ci spetta il compito di non manipolare la parola democrazia, né di deformarla con titoli vuoti di contenuto, capaci di giustificare qualsiasi azione. La democrazia non è una scatola vuota, ma è legata ai valori della persona, della fraternità e anche dell’ecologia integrale”.

    Nel suo piccolo l’autore di queste righe si è riferito spesso alla democrazia, sia come concetto, sia come vissuta realtà quotidiana. Egli ha trattato per il nostro lettore anche le diverse deformazioni fatte alla democrazia (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019; Bisogna reagire, 17 maggio 2021; Predicano i principi della democrazia ma poi, 28 giugno 2021; Interessi, indifferenza, irresponsabilità, ipocrisia e gravi conseguenze, 15 novembre 2021; Inconfutabili testimonianze di una dittatura in azione, 23 ottobre 2023 ecc..). Più  di cinque anni fa l’autore di queste righe scriveva: “…Stabilocrazia e democratura sono due neologismi coniati ultimamente e usati, quasi sempre, in una connotazione non positiva […]. La prima è un incrocio tra le parole stabilità e democrazia. Mentre la seconda tra le parole democrazia e dittatura. […]. Fatti alla mano però, quasi sempre la scelta della stabilità, giustificata da “ragioni geopolitiche”, per un paese/una regione ha compromesso i principi basilari della democrazia. Almeno analizzando quanto è realmente accaduto in diversi Paesi e in diverse parti del mondo. Quando un Paese si trova in uno stato di democratura, l’instaurazione anche di una stabilocrazia, per motivi di mutuale convenienza diventa più facile” (Stabilocrazia e democratura, 25 febbraio 2019).

    Chi scrive queste righe, seguendo quanto ha detto Papa Francesco domenica scorsa a Trieste, ha trovato molto significativa la sua affermazione che “La crisi della democrazia è come un cuore ferito”. Egli condivide pienamente anche le sagge parole di Leo Longanesi. Si, soltanto sotto una dittatura ci si riesce a credere nella democrazia. In quella democrazia però che garantisce il rispetto dei diritti individuali dell’essere umano e la reale sovranità dei cittadini.

  • In attesa di Giustizia: insufficienza piena

    Rendere visita ai carcerati è una delle opere di carità e come tutte le leggi ed i precetti contiene dei precetti sottintesi il primo dei quali – sulla premessa maggiore, tipica del cattolicesimo, che deve praticarsi il perdono – è la umanizzazione della condizione detentiva non privandola, tra le altre cose, dalla possibilità di coltivare gli affetti.

    Parlando del fenomeno dei suicidi in carcere, di cui questa rubrica si è già occupata (e che non riguarda solo i detenuti ma anche gli agenti della polizia penitenziaria), la condizione in cui complessivamente versano i nostri istituti non sembra aver trovato una possibile soluzione tramite i rimedi proposti dal Governo con il “decreto carceri” che non impatta minimamente – e tantomeno in tempi rapidi – sulla condizione in cui nelle carceri italiane si vive e – soprattutto – si muore.

    La tragica conta annota 53 morti dall’inizio dell’anno e non è certo l’aumento del numero consentito delle telefonate ai famigliari che potrà offrire sollievo ad anime martoriate dalla modalità inumane di esecuzione della pena.

    Meno che mai può risultare utile la nuova procedura volta a riconoscere un beneficio che è già presente nel nostro ordinamento: la liberazione anticipata (45 giorni a semestre) per buona condotta. Procedura, tra l’altro, piuttosto farraginosa e con la quale, francamente, nulla si risolve nell’ottica di fronteggiare il cronico sovraffollamento.

    Risibile, inoltre, rispetto alla carenza di organico, è l’impegno ad assumere 500 unità di agenti del Corpo di Polizia penitenziaria…comunque per l’anno prossimo: ahimè devono farsi sempre i conti con le esauste casse dello Stato, che impediscono sulla possibilità di incrementare l’applicazione delle misure penali di comunità e la creazione di strutture idonee per i condannati per reati meno gravi o, comunque, considerati a bassa pericolosità.

    Dimenticati, una volta di più, gli interventi volti ad assicurare cura e assistenza ai soggetti affetti da fragilità e disagi psichici mentre una maggiore responsabilità nell’adozione di misure cautelari in carceri rimane affidata ad un disegno di legge in fase di esame alla Camera che ne attribuisce il potere ad un GIP non più monosoggettivo ma collegiale ed al pio desiderio che così strutturato risulti effettivo portatore di maggiori garanzie e meditata riflessione sulle richieste di cattura. Al momento, tuttavia, per il funzionamento di questo nuovo organo giudicante non vi sono neppure magistrati in ruolo in numero sufficiente e dovranno essere reclutati con un concorso dedicato: se ne riparlerà, forse, negli anni a venire e sempre che si trovino, anche in questo caso, i soldi per pagare gli stipendi.

    Un recentissimo monito del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha intimato l’Italia ad adottare misure efficaci per far fronte ad un numero di suicidi senza precedenti e ad assicurare luoghi di collocamento alternativi al carcere per i detenuti che soffrono di disturbi psichiatrici: il Governo ha risposto con questo provvedimento che non è neppure un pannicello caldo e merita un’insufficienza piena.

    Va detto che neppure un’amnistia, un condono, sarebbero utili se non nel breve periodo come storia e statistica di queste “indulgenze” insegna ma non sarebbero neppure la resa dello Stato di cui ha parlato il Ministro Nordio, uno dal quale era lecito aspettarsi qualcosa di più: la resa dello Stato è nelle vite che gli sono state affidate e non ha saputo (o, peggio, voluto) fare qualcosa per salvare, è nella inadeguatezza delle strutture trattamentali volte alla rieducazione, istruzione, avviamento al lavoro dei detenuti e nelle condizioni di oggettiva inciviltà in cui versano le carceri in Italia al cui confronto quelle turche dell’indimenticabile “Fuga di mezzanotte” sembrano dei Club Mediterranèe.

    E’ ora che la politica abbandoni gli slogan con cui denomina provvedimenti vuoti di significato e scelga di operare ponendo in essere rimedi immediati realmente sottesi all’umanizzazione della pena ed al superamento delle attuali condizioni degli istituti di pena che possono definirsi solo di sostanziale illegalità.

  • Al via le candidature per l’edizione 2025 del premio Access City Award

    Sono aperte le candidature all’Access City Award 2025, la 15° edizione del concorso che premia le città che si sono adoperate per diventare più accessibili alle persone con disabilità. In occasione dei Giochi olimpici e paraolimpici di Parigi 2024, la Commissione dedicherà inoltre una menzione speciale alle “infrastrutture sportive accessibili”.

    Il concorso, organizzato dalla Commissione europea in collaborazione con il Forum europeo sulla disabilità, è aperto alle città dell’UE con più di 50.000 abitanti. I vincitori del 1°, 2° e 3° posto riceveranno rispettivamente premi dal valore di 150 000 euro, 120 000 euro e 80 000 euro.

    Le città vincitrici saranno annunciate in occasione della cerimonia di premiazione della conferenza sulla Giornata europea delle persone con disabilità, in programma il 28 e 29 novembre 2024. Le città possono candidarsi entro il 10 settembre 2024.

  • Lo scontro democratico tra garanzie ed opportunità

    Una democrazia rappresenta la forma di governo all’interno della quale, come nel periodo degli antichi Greci, tutti potevano godere degli stessi diritti e tutti potevano accedere a determinati incarichi pubblici in base alla propria competenza.

    Questa forma di governo basata sul principio di uguaglianza riportata all’era contemporanea offre anche delle opportunità (che rappresentano un concetto radicalmente diverso da quello di garanzia democratica) per chi sappia utilizzare e magari volgere a proprio favore delle “vacatio legis” tali da non definire una base minima di requisiti per la eleggibilità.

    Questa lacuna viene abitualmente interpretata da ogni forza politica come la possibilità di proporre per una carica elettiva candidati il cui unico merito è quello di rappresentare una vicinanza alla stessa compagine politica. Tuttavia, proprio perché in altri campi la legge nazionale risulta invece molto precisa nella definizione dei requisiti minimi di accesso, questa vacatio diventa non più una caratteristica della democrazia ma una semplice quanto banale opportunità speculativa.

    Il principio principe delle uguaglianza, già presente nella democrazia dell’antica Grecia, viene così azzerato quando per accedere ad un qualsiasi concorso del personale di servizio ATA il candidato deve risultare incensurato mentre una persona che abbia già subito quattro condanne e ventinove denunce possa venire tranquillamente candidata ed eletta al Parlamento Europeo.

    In fondo sarebbe bastato adottare il medesimo criterio richiesto per l’accesso ai concorsi pubblici come espressione della semplice garanzia democratica.

    Questa elezione di Ilaria Salis rappresenta in buona sostanza il risultato di uno sfruttamento della “Opportunità” che un sistema democratico assolutamente perfettibile non ha ancora avuto il coraggio di normare adeguatamente.  In altre parole, il voto non può e non deve rappresentare l’unica forma di manifestazione della democrazia.

    Questo, invece, si dovrebbe inserire all’interno di un sistema elettorale nel quale venisse adottato un criterio comune in relazione alla eleggibilità. Come logica conseguenza, quindi, i leader di partito non possono sentirsi esenti da una propria responsabilità quando utilizzano nel sistema una opportunità a proprio semplice beneficio politico, in più spacciandola come espressione di una garanzia democratica.

    La democrazia dovrebbe essere gestita cum grano Salis  da chi pretende di stabilirne i principi democratici ma che per opportunità politiche lascia la definizione di accesso assolutamente libera ed espressione degli interessi delle  formazioni politiche.

    In fondo basterebbe solo un minimo di discernimento in quanto la democrazia non può essere intesa come una giostra alla quale chiunque, solo in quanto scelto da un partito, possa accedere.

    Il livello di una democrazia comincia dalla qualità dei candidati i quali, per il principio di uguaglianza, dovrebbero essere soggetti ai medesimi obblighi di legge sia per un concorso pubblico quanto per la semplice presentazione di una candidatura.

  • Appello al voto per l’Europa

    Domani e domenica si vota per il Parlamento europeo, un voto che ci consente di scegliere con la preferenza chi ci dovrà rappresentare fisicamente e politicamente in Europa.

    Andiamo a votare in libertà e coscienza per una Europa più forte ed unita sui grandi temi, dalla politica estera alla difesa comune, meno burocratica e invasiva verso gli Stati nazionali, un’Europa che sappia affrontare la grande sfida: rimanere un mercato debole di fronte alle pressioni delle grandi potenze o diventare finalmente una realtà politica ed economica capace di difendere i propri legittimi interessi e la democrazia e la libertà dei suoi amici ed alleati

    Votare è un diritto, votare è un dovere.

  • Per realizzare la pace occorrono democrazia e rispetto dei diritti fondamentali

    Ci sono guerre, tentativi di ritrovare la libertà e la vita, che spesso sono dimenticati, così di Birmania non si parla quasi mai mentre il conflitto civile, dal 2021 ad oggi, è sempre più aspro.

    Decine di migliaia di giovani, studenti, professionisti, gente normale, persone comuni sono fuggite dalle città per andare nelle giungla ad unirsi alle milizie che combattono contro l’esercito nazionale baluardo del sanguinoso regime militare.

    I villaggi sono bombardati da elicotteri che sparano ovunque e la brutalità dell’esercito ha raggiunto il limite estremo dopo le manifestazioni seguite al processo burletta al quale è stata sottoposta
    Aung San Suu Kyi, oggi ormai quasi ottantenne.

    Nei primi tempi molti governi avevano protestato ed imposto sanzioni ai generali ma il tempo è passato, altre guerre più vicine hanno distratto l’attenzione, i giovani birmani sono rimasti soli, nella giungla, a sognare la libertà, a difendersi, a vedere uccidere ogni giorno tanti civili, a sopportare ingiustizie e violenze.

    In Birmania non ci sono leggi di guerra o diritti civili da rispettare ma il paese, ricco nel suolo e nel sottosuolo, è di proprietà di una casta militare che considera la società divisa tra pochi, che decidono e comandano, e tutti gli altri che devono obbedire e subire mentre le Nazioni Unite tacciono e sarebbero comunque impotenti per come sono oggi organizzate.

    È giusto parlare di pace, operare sempre per la pace ma non vi è mai pace quando vi sono soprusi, violenze, quando la libertà ed il diritto sono negati, quando si massacra il proprio popolo, si invade un’altra nazione, si compiono stragi ed azioni terroriste.

    Per conquistare la libertà bisogna avere il coraggio di combattere, per realizzare la pace occorrono democrazia e rispetto dei diritti fondamentali.

  • La vita degli esseri umani

    La vita degli esseri umani dipende dalla capacità di saper coniugare le leggi di natura con le modifiche che l’uomo stesso apporta  sia con le scoperte tecnologiche che con le modifiche sociali e culturali che, via via negli anni, si definiscono.

    Credenti, di qualunque fede, o laici sappiamo tutti che l’ecosistema, nel suo complesso, non può essere stravolto, dalla formica al lupo, dall’ape all’uomo per vivere abbiamo necessità di rispettare le regole che la natura ci ha dato anche attribuendo ad ogni nostro organo specifiche funzioni.

    Non possiamo usare il cuore per defecare o il fegato per masticare il cibo, ogni organo deve svolgere uno specifico ruolo non per moralità ma per funzionalità dell’intero organismo così come ogni organismo è, per il suo piccolo, funzionale al complesso equilibrio del pianeta, dello stesso universo per come è conosciuto.

    Questa è la normalità, attenersi alle reciproche funzioni, anche se accade , come in tutti gli apparati complessi, che vi siano situazioni che escono dalla normalità .

    Nella società, umana ed animale, vi possono essere situazioni che portano degli individui a scelte per le quali alcuni organi sono in parte utilizzati per funzioni diverse rispetto a quelle per le quali sono stati predisposti

    Per gli animali si tratta di manifestazioni che simboleggiano, come gli etologi ci possono confermare, volontà di predominanza o confusione di istinti.

    Per gli esseri umani si tratta di scelte dovute a fattori diversi e che lasciamo alla scienza identificare, quando invece non si tratti di moda, opportunismo, paura, insicurezza.

    L’identità sessuale sembra oggi diventato uno dei problemi principali sui quali interrogarsi e spesso l’eccessiva attenzione mediatica ha portato, specie nei più giovani, a nuova pericolosa confusione.

    Una società che non ha saputo coltivare la paritetica collaborazione tra sessi diversi, che, surrettiziamente, ha creato la paura di confrontarsi con il sesso opposto, ha generato, da ultimo, il cosiddetto sesso fluido.

    Siamo assolutamente certi che ad ogni individuo devono essere garantiti dignità, diritti civili, rispetto per le sue scelte personali e sessuali.

    Siamo altrettanto convinti che il proselitismo, ormai palese, che spinge, fin dall’adolescenza, a trovare soluzione alle proprie insicurezze facendo scelte che portano ad un difforme utilizzo dei propri organi, rispetto alla funzionalità originaria, non sia da condannare sul piano morale ma da contrastare dal punto di vista sociale e naturale.

    Potrà anche accadere che nel futuro gli essere umani potranno avere figli senza utilizzare i loro organi sessuali e riproduttivi, ciò non toglie che comunque vi sono organi che servono a funzioni diverse da quelle sessuali tour court e se è possibile anche usarli sessualmente la loro funzione resta di  ben altro tipo.
    Ognuno perciò faccia nella sua vita privata come meglio ritiene e la società tuteli e rispetti ogni individuo ma è anche arrivato il momento di ricordare che quanto va bene per alcuni non può diventare la norma per tutti gli altri stravolgendo le leggi di natura.

  • Silenzi e parole

    Ogni giorno muoiono tante persone per malattia, anche tanti bambini

    Ogni giorno muoiono tante persone per fame, carestie, povertà, anche tanti bambini

    Ogni giorno, in guerre subite o volute, guerre di offesa e troppe guerre di difesa, muoiono tanti civili, anche tanti, troppi bambini.

    Muoiono esseri umani, che non hanno fatto mai male a nessuno, durante le catastrofi naturali o in incidenti voluti o provocati da altri esseri umani, muoiono persone mentre stanno lavorando o mentre tornano a casa e qualcuno le uccide in macchina, muoiono donne per mano di chi pretendeva di amarle, muoiono bambini per poter vendere i loro organi.

    La morte purtroppo fa parte della vita quando si diventa anziani ma tutte queste morti tragiche volute da altri uomini, o tutte le tragedie per le quali sembra non poter esserci risposta se non continuando ad avere il coraggio della fede, perché sono sempre di più gli innocenti che muoiono rispetto a chi innocente non è, sembra che non colpiscano più di tanto rispetto alla morte di una persone potente e conosciuta.

    La morte del presidente iraniano ha avuto più parole e attenzione di tutti i morti in Ucraina o di tutti coloro che sono morti mentre fuggivano disperati dai loro paesi in guerra.

    Comprendiamo ovviamente tutte le ragion di Stato ma per la morte di Raisi possiamo solo dire di avere l’ingenua, incrollabile speranza che chi lo sostituirà sia meno sanguinario e crudele di lui.

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