diritti

  • In Italia 200mila lavoratori sottopagati nel settore agricolo

    L’ultimo Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, giunto alla sua settima edizione e presentato a fine 2023, ha censito tra gli 8mila e i 10mila lavoratori irregolari nell’agricoltura in Piemonte, oltre 6mila in Trentino, più di 10mila in Basilicata, circa 12mila in Calabria, per un totale in tutto il Paese di 200mila unità. Il settore agricolo italiano vale 73,5 miliardi di euro e su un totale di 3.529 controlli condotti l’anno scorso dall’Ispettorato nazionale del lavoro sono emerse 2.090 irregolarità, (59,2% dei casi esaminati). Nel complesso del settore agroalimentare italiano, reati e illeciti amministrativi risultano in aumento del 9,1%.

    Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Placido Rizzotto, è di circa 6.000 euro la retribuzione mediana lorda annuale dei dipendenti agricoli in Italia, e di 7.500 euro quella media. Il VII Rapporto Agromafie e caporalato dedica particolare attenzione all’emergenza del lavoro povero nel settore e al collegamento fra precarietà e lavoro nero, fornendo uno spaccato dei numerosi problemi che affliggono il settore primario. Lo sfruttamento della forza lavoro non riguarda solo il Meridione del Paese, ma anche le regioni del Centro e del Nord, e si incrocia spesso con attività condotte dalla criminalità organizzata.

    Nel piacentino tre lavoratori sfruttati nei campi della Bassa e della Val d’Arda hanno ottenuto il permesso di soggiorno grazie all’applicazione del nuovo articolo 18-ter, che tutela le vittime di grave sfruttamento lavorativo (altri due hanno già fissato l’appuntamento in questura) in seguito a un’operazione dei carabinieri a Cortemaggiore, che ha portato all’arresto di due cittadini indiani a cui è stato contestato di aver reclutato e sfruttato manodopera straniera, costretta a lavorare fino a 13 ore al giorno per 5 euro l’ora. L’indagine era partita nell’estate del 2024, quando i carabinieri della stazione di Cortemaggiore notarono i movimenti quotidiani di numerosi furgoni che, alle prime luci dell’alba, si spostavano nelle campagne della Bassa piacentina trasportando numerosi cittadini stranieri i quali, come poi accertato, venivano scaricati su terreni agricoli dove prestavano la loro opera di braccianti sino alla sera, per poi essere prelevati con gli stessi furgoni. L’attività investigativa, unita agli accessi ispettivi svolti congiuntamente dai militari della Compagnia di Fiorenzuola e del Nucleo ispettorato del lavoro (Nil), ha permesso di documentare le condizioni di sfruttamento a cui erano assoggettati i lavoratori.

  • Global executions at highest level since 2015, report says

    The number of state executions around the world has reached its highest level in ten years, a new report by Amnesty International has said.

    More than 1,500 recorded executions took place in 2024 with Iran, Iraq and Saudi Arabia accounting for a combined 1,380 and the United States for 25, the charity found.

    Despite this rise, the report also found that the total number of countries carrying out the death penalty stood at 15 – the lowest number on record for the second consecutive year.

    Amnesty International’s Secretary General Agnes Callamard said the “tide is turning” on capital punishment, adding that “it is only a matter of time until the world is free from the shadow of the gallows”.

    While these figures are the highest they have been since 2015 – when at least 1,634 people were subject to the death penalty – the true overall figure is likely to be higher.

    Amnesty International says the figure does not include those killed in China, which it believes carries out thousands of executions each year. North Korea and Vietnam are also not included.

    Data on the use of the death penalty is classified as a state secret both in China and Vietnam, meaning that the charity has been unable to access statistics.

    Other obstacles, such as restrictive state practices or the ongoing crises in Gaza and Syria, meant that little or no information was available for those areas.

    The report, entitled Death Sentences and Executions 2024, cited that Iran, Iraq and Saudi Arabia were responsible for the overall rise in known executions.

    Iraq almost quadrupled its executions from at least 16 to at least 63, while Saudi Arabia doubled its yearly total from 172 to at least 345.

    Executions in Iran rose from at least 853 in 2023 to at least 972 in 2024.

    The report also said that the two main reasons for the spike in the use of capital punishment was down to “countries weaponising the death penalty against protesters” and for “drug-related crimes”.

    The charity found that more than 40% of executions in 2024 were carried out for drug-related offences, which it said was unlawful under human rights law.

    In 2024, Zimbabwe signed into law a bill that abolished the death penalty for ordinary crimes and, since September 2024, the world has seen two cases where death row inmates in Japan and the US have been acquitted and granted clemency respectively.

    The charity also said more than two thirds of all UN member states voted in favour of a moratorium on the use of the death penalty last year.

  • L’amministratore delegato di una società produttrice di gelati “espulso per attivismo politico”

    Si può fare politica, e litigare, anche con un gelato. Accade negli stati Uniti dove Ben & Jerry’s, casa produttrice di gelati acquisita nel 2000 da Unliver, ha affermato che il suo amministratore delegato, David Stever, è stato rimosso proprio da Unilever a causa dell’attivismo politico di Ben & Jerry’s. La casa madre aveva chiesto ai produttori di gelato di smettere di criticare pubblicamente il presidente Donald Trump.

    Ben & Jerry’s è nota per aver preso una posizione pubblica su questioni sociali sin dalla sua fondazione nel 1978 da Ben Cohen e Jerry Greenfield. Ha spesso sostenuto campagne su temi come i diritti LGBTQ+ e il cambiamento climatico.

    Il produttore di gelati è stato acquistato da Unilever nel 2000 tramite un accordo di fusione che ha creato un consiglio indipendente incaricato di proteggere i valori e la missione del marchio di gelati. Ma Unilever e Ben & Jerry’s sono in disaccordo da un po’. Il loro rapporto si è inasprito nel 2021 quando Ben & Jerry’s ha annunciato che avrebbe interrotto le vendite in Cisgiordania. La disputa si è intensificata nell’ultimo anno quando Ben & Jerry’s ha sostenuto un cessate il fuoco a Gaza. A novembre la società di gelati ha intentato una causa affermando che Unilever aveva cercato di impedirle di esprimere sostegno ai rifugiati palestinesi e circa un mese fa, in un altro atto giudiziario, Ben & Jerry’s ha affermato che Unilever aveva cercato di impedirle di criticare pubblicamente Donald Trump.

    La documentazione depositata in tribunale da Ben and Jerry’s afferma che la decisione di estromettere Stever, nella società di gelati sin dal 1088, è stata presa senza alcuna consultazione, come richiesto dall’accordo di fusione tra le due società.

  • Ci siamo sbagliati?

    E se fosse quello espresso, in varie forme, da Trump il sentimento più profondo degli Stati Uniti? Non sono forse stati sterminati gli indiani? Ed i pochi sopravvissuti non vivono certo in condizioni ideali, derubati delle ricchezze delle loro terre, visti come una minoranza da sopportare, loro che erano i nativi americani.

    E nelle sterminate terre da conquistare all’agricoltura ed all’allevamento non è spesso accaduto che gli allevatori facessero guerra ai contadini e ci fossero violenze di ogni genere?

    La violenza, fisica e verbale, non è una novità e anche ogni progresso porta in se violenze, ingiustizie, prevaricazioni, nonostante tutti i passi avanti della scienza la legge del più forte prevale ancora.

    C’era però un tempo, o almeno così era sembrato a noi, che dall’America venivano messaggi positivi, nei film il cattivo soccombeva al buono, la giustizia trionfava, ciascuno poteva coltivare speranze sotto la Statua della Libertà.

    Ci siamo sbagliati? Forse sì perché è impossibile che un uomo, con tutte le caratteristiche di Trump, abbia potuto tornare nella Stanza Ovale, nonostante i processi e gli scandali, senza il consenso della gente e se è stato votato vuol dire che rappresenta almeno una buona parte dello spirito americano.

    Prima della campagna elettorale in molti ci eravamo chiesti come era possibile che una grande nazione come gli Stati Uniti avesse candidate per la presidenza solo due figure come Trump e Biden, l’uno che con le sue urla e atteggiamenti da bullo, l’altro ormai visibilmente troppo anziano e provato nella salute.

    È sbagliato il sistema elettorale? A nostro avviso sì, quando per esercitare il diritto al voto bisogna iscriversi alle liste elettorali è già un passaggio che lede la democrazia diretta.

    Ricordo come, durante la prima presidenza Trump, amici irlandesi, abituati per anni ad andare negli Stati Uniti ad incontrare parenti e a fermarsi per un certo tempo, ci avevano detto di non riconoscere più l’America, non si poteva commentare nulla, si sentiva che le persone avevano paura ad esprimersi liberamente, decisero di rinunciare ad andare in un mondo dove si stava perdendo il senso della spontaneità, della stessa libertà.

    Guardando le esibizioni di Musk e di Trump, i cappellini, i saltelli, le motoseghe, prende un profondo senso di repulsione e di scoramento, tutto è ormai uno spettacolo, un alzare l’asticella della provocazione, uno sminuire gli altri, un volersi accreditare con i peggiori del mondo, un tessere ricatti.

    Un po’ di responsabilità l’Europa l’ha certamente, nelle colonie inglesi e francesi furono mandate, in gran parte, persone che l’Europa non voleva in patria e oggi forse Trump cerca una rivincita?

    Nel nuovo ordine mondiale che Trump, Musk, Putin e Xi-Jinping stanno programmando spetta a noi europei decidere cosa vogliamo fare, restare vassalli o tornare ad essere il fulcro della democrazia e questa scelta passa anche dal futuro dell’Ucraina e dalla speranza che la maggior parte degli abitanti degli Stati Uniti non la pensino come Trump.

  • Altre rivelazioni clamorose che accusano un autocrate corrotto

    Chi commette una piccola colpa cade sotto i rigori della legge,

    ma i grandi colpevoli hanno l’onore del trionfo.

    Lucio Anneo Seneca, Lettere a Lucilio, 62/65

    Che in Albania da anni ormai sia stata restaurata una nuova dittatura sui generis non rappresenta più una novità. Almeno per tutte le persone che conoscono la vera, vissuta e spesso anche sofferta realtà albanese. Che in Albania, da anni ormai, sia stato consapevolmente calpestato il principio di Montesquieu sulla separazione dei poteri si può facilmente verificare. Che in Albania da anni ormai esistono solo sulla carta i tre poteri indipendenti tra di loro non lo ammettono solo i diretti interessati, coloro che volutamente hanno generato una simile e pericolosa situazione e anche la schiera dei soliti approfittatori e leccapiedi. Che in Albania il potere esecutivo controlli con mano di ferro i due altri, e cioè il potere legislativo e quello giudiziario, si sa, è un dato di fatto. Ed il controllo di quest’ultimo è stato istituzionalizzato dal 21 luglio 2016, con l’approvazione in parlamento della “riforma” del sistema della giustizia. Una “riforma” quella che è stata ideata, programmata, assistita in tutte le fasi della sua stesura, fino all’approvazione finale, soprattutto da un raggruppamento occulto di oltreoceano, capeggiato da uno speculatore di borsa. Proprio colui che ha ideato ed il 16 settembre 1992 ha anche attuatto quello che ormai viene riconosciuto come il mercoledì nero (Black Wednesday; n.d.a.) della Borsa di Londra. E proprio le organizzazioni che fanno capo a questa persona, dopo l’approvazione della “riforma” del sistema della giustizia in Albania, si sono vantate della loro “validissima assistenza”. Ma non sono state solo loro. Purtroppo la “riforma” del sistema della giustizia in Albania è stata assistita e finanziata anche dalle strutture della Commissione europea. E anche loro si sono dichiarati “orgogliosi”.

    Montesquieu, nella sua opera De l’Esprit des lois (Spirito delle leggi; n.d.a.) pubblicata nel 1748, tra l’altro sottolineava: “Chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti”. Una sua convinzione che si adatta a tutti i dittatori, gli autocrati e i loro simili. Compreso anche l’ormai noto autocrate albanese, il primo ministro che è al potere da dodici anni e controlla tutto e tutti. Montesquieu aveva però anche la soluzione per non permettere una simile realtà. Lui ne era convinto e affermava: “Perché non si possa abusare del potere occorre che […] il potere arresti il potere”. Ma in Albania la vera, vissuta e spesso sofferta realtà, fatti accaduti e che continuano quotidianamente ad accadere, fatti noti e denunciati alla mano, testimoniano proprio il contrario. E cioè che non solo il potere non può arrestare l’altro potere, ma che un solo potere, quello esecutivo, controlla gli altri due poteri. Compreso anche quello che ormai viene riconosciuto come il quarto potere, il potere mediatico. Un potere non esistente come tale quando Montesquieu scriveva la sua opera De l’Esprit des lois.

    Il nostro lettore da quasi dieci anni ormai è stato informato, con la dovuta e richiesta oggettività della realtà albanese. Di quella realtà che, purtroppo, non viene conosciuta all’estero perché è stato investito molto e in varie forme, per camuffarla. Il nostro lettore da anni ormai è stato informato che in Albania si sta consolidando una nuova e pericolosa dittatura sui generis. Una dittatura che cerca di camuffarsi dietro una facciata di pluripartitismo e di falso liberalismo. Il nostro lettore è stato informato, fatti alla mano, che si tratta di un’alleanza tra il potere politico, rappresentato istituzionalmente da dodici anni ormai, dallo stesso individuo, il primo ministro, la criminalità organizzata, locale ed internazionale, compresa quella italiana ed alcuni raggruppamenti occulti, il più attivo dei quali è quello capeggiato dell’ideatore del mercoledì nero nella Borsa di Londra. Un raggruppamento quello che ha individuato, scelto e sostenuto, da molti anni ormai, l’attuale primo ministro albanese. Ma non solo lui. Ovviamente per realizzare ed ottenere quello che hanno programmato di avere nella regione balcanica. E per permettere la realizzazione delle loro strategie garantiscono anche il funzionamento di determinate attività lobbistiche, dietro i necessari e lauti finanziamenti. Attività lobbistiche quelle che spesso arrivano a convincere, purtroppo, non pochi alti funzionari delle istituzioni internazionali, comprese quelle dell’Unione europea.

    In Albania però alcuni media, riescono ancora a resistere alle varie forme di pressione da parte del regime del primo ministro. E proprio uno di questi, un’emittente televisiva, ha trasmesso lunedì, in prima serata, una lunga intervista dell’ex vice primo ministro (2021-2022) e stretto collaboratore dell’attuale primo ministro albanese. Un’intervista fatta in Svizzera, dove da quasi due anni si trova l’ex vice primo ministro, dopo essere riuscito a fuggire e scappare all’arresto richiesto nei suoi confronti dalla Struttura speciale contro la Corruzione e la Criminalità organizzata. Si tratta però di una struttura che, innumerevoli fatti pubblicamente noti alla mano, risulta ubbidire agli ordini impartiti dai massimi livelli governativi, soprattutto dallo stesso primo ministro. Anche di questo il nostro lettore è stato informato a più riprese. Chissà perché il primo ministro ha deciso di arrestare il suo stretto collaboratore per molti anni? Le cattive lingue ne hanno parlato tanto. Hanno detto che il primo ministro, trovandosi in grosse difficoltà, è disposto a consegnare alla giustizia anche i suoi più stretti collaboratori. E così lui cerca di far sembrare che il sistema “riformato” della giustizia funziona e che perciò se lui, il primo ministro, non viene indagato significa che è innocente. Questo e tanto altro dicevano allora le cattive lingue.

    Ebbene l’ex vice primo ministro dalla Svizzera dove si trova e dove ormai gode dello stato di avente asilo politico, ha rilasciato la sua terza intervista alla stessa emittente televisiva non controllata dal primo ministro. L’intervista, durata per circa tre ore, è stata trasmessa lunedì scorso, in prima serata. Il nostro lettore è stato informato a tempo debito delle altre due precedenti interviste (1o febbraio 2024 e 29 luglio 2024) e delle forti accuse fatte dall’ex vice primo ministro albanese (2021 – 2022), soprattutto nei confronti dell’attuale primo ministro (Governo che funziona come un gruppo criminale ben strutturato, 17 luglio 2023; Inganna per non ammettere che è il maggior responsabile, 24 luglio 2023; Rivelazioni riguardanti ruberie milionarie ed abuso del potere; 6 febbraio 2024; Altre clamorose testimonianze di corruzione ed abuso di potere, 8 aprile 2024; Una gola profonda che accusa e rivela gravi verità, 7 agosto 2024 ecc…).

    Durante la lunga intervista di lunedì scorso, l’ex vice primo ministro ha fatto altre rivelazioni clamorose che accusano direttamente e senza equivoci l’attuale primo ministro albanese ed alcuni suoi molto stretti famigliari e collaboratori. Lui ha dichiarato che è pronto e sempre disponibile a testimoniare davanti ai tribunali, ma non in Albania. Sì perché, come ha affermato, in Albania lui rischia la vita. Ma anche perché in Albania il sistema “riformato” della giustizia è controllato ed ubbidisce agli ordini del primo ministro. Durante tutta la sua lunga sopracitata intervista, l’ex vice primo ministro chiamava sempre il primo ministro albanese ‘il capo dell’organizzazione criminale’ e ha spiegato anche il perché. Così come ha spesso evidenziato, fatti alla mano, la totale e vergognosa ubbidienza del sistema “riformato” della giustizia alla volontà del primo ministro.

    Chi scrive queste righe informerà il nostro lettore delle specifiche accuse fatte durante l’intervista sopracitata, in attesa di altre rivelazioni, analisi e, se mai, anche di una reazione da parte del diretto accusato, il primo ministro. Ma purtroppo in Albania succede quello che affermava Seneca circa ventuno secoli fa. E cioè che chi commette una piccola colpa cade sotto i rigori della legge, ma i grandi colpevoli hanno l’onore del trionfo.

  • La sicurezza, i dati sensibili, Musk

    La sicurezza di una nazione, prima ancora che dalle Forze Armate, è garantita dai sistemi di intelligence e dalla esclusiva proprietà dei siti strategici e dei dati sensibili.

    Preoccupano seriamente le ipotesi di affidare a sistemi privati, di chiunque siano, la gestione dei nostri dati sensibili che, già nel passato, spesso, non sono stati gestiti direttamente da strutture pubbliche ma private con i problemi, molto preoccupanti, che sono sorti negli ultimi tempi per l’uso ed abuso di questi dati.

    L’ingerenza di interessi di singoli personaggi o di altri Stati nella vita democratica di una nazione non è un’ipotesi avveniristica ma è quello che è già più volte accaduto con conseguenze molto gravi.

    Per impossessarsi dei gangli vitali di un paese, potendo così condizionare scelte, alleanze, decisioni politiche o geopolitiche, non è necessario dare corso ad una invasione armata, è più che sufficiente conoscere, entrare in possesso, dei dati sensibili.

    L’Europa, per sua incapacità, dipende, dal punto di vista della finanza e dell’economia, da quanto è deciso al di là dell’Atlantico, non essendo stata in grado di mettere a punto un suo autonomo sistema di valutazione.

    L’ipotesi, che sempre più insistentemente circola, di un accordo tra lo stato italiano e Musk, che ha già dichiarato come questo accordo gli aprirebbe la strada per uguali contratti negli altri Stati dell’Unione, preoccupa per molti motivi:

    1) consegneremmo i nostri dati sensibili, e cioè un immenso potere con ricadute a breve e lungo termine, ad un uomo che rappresenta, per prima cosa, solo i suoi interessi perseguiti senza scrupoli o paletti, come dimostra il fatto che in poco tempo è riuscito a diventare l’uomo più ricco del mondo;

    2) consegneremmo i nostri dati sensibili ad una persona che oggi, come tutor del presidente Trump, supporta una visione degli Stati Uniti come paese egemone che potrebbe anche occupare, con la forza, altri paesi o parte di questi;

    3) Musk vive ed agisce secondo la sua personale ideologia, la conquista, a qualunque prezzo, di quello che vuole ottenere o sperimentare, non esistono per lui confini di ordine etico, morale o democratico.

    Come può un governo, che ha votato la maternità surrogata come delitto universale, immaginare, anche lontanamente, di affidare l’Italia e gli italiani ad un uomo che con la maternità surrogata ha avuto dei figli e gli ha chiamati con delle sigle senza dargli un vero nome? Non è anche questa una ulteriore dimostrazione del cinismo che guida le sue decisioni?

    È possibile che di fronte al potere, al miraggio di una tecnologia sempre più oltre, al desiderio di sentirsi amici ed apprezzati da chi, da uomo più ricco si sta trasformando nell’uomo più potente del mondo, chi ci governa sia accecato, incapace di comprendere i pericoli immediati ed a lungo termine, vanificando le speranze che tanti avevano avuto, speranze di libertà, indipendenza, democrazia vera?

    Possono gli italiani accettare di vedere ceduti i dati sensibili personali e della loro nazione, possono gli europei accettare di essere conquistati e dipendenti non solo da un altro Stato ma da un uomo che potrebbe in breve diventare il proprietario di quanto è più segreto e vitale per l’esistenza democratica di ciascuno e di tutti?

  • Importanti insegnamenti

    Ci sono principi che non ammettono compromessi e per la

    cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

    Mohandas Gandhi

    La primavera del 1789 segnò anche l’inizio di quella che ormai è nota a tutti come la Rivoluzione francese. La maggior parte della popolazione, quella che veniva riconosciuta come ‘il terzo stato’, ma anche i nobili, non potevano e non volevano sottomettersi a quello che allora veniva chiamato l’Ancien régime, il regime monarchico assoluto. Consapevole di una tale situazione Luigi XVI cercò di convocare gli Stati generali, ossia le tre principali classi sociali che rappresentavano la società francese. Si trattava della classe del clero, della nobiltà e del ‘terzo stato’. Il giorno stabilito dal Re per quella convocazione era il 5 maggio 1789. I rappresentanti del ‘terzo stato’, del popolo, sono stati riuniti separatamente, definendo delle richieste da presentare al Re, mentre il 17 giugno 1789 hanno proclamato l’Assemblea nazionale. Ai rappresentati del ‘terzo stato’ si unirono molti altri rappresentanti del clero e dei nobili. E tutti insieme il 9 luglio 1789 hanno istituito l’Assemblea generale costituente. Solo cinque giorni dopo, in seguito ad una massiccia ribellione, il 14 luglio 1789 fu presa la Bastiglia, la fortezza prigione, nel pieno centro di Parigi, che rappresentava uno dei simboli del dispotismo della monarchia assoluta. La Rivoluzione francese era cominciata.

    L’Assemblea generale costituente il 4 agosto 1789 approvò delle leggi che sopprimevano alcuni diritti della nobiltà francese e liberavano i contadini da determinati vincoli e obblighi nei confronti dei feudatari. Mentre tre settimane dopo, il 26 agosto, l’Assemblea approvò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e dei cittadini (Déclaration des droits de l’homme et du citoyen; n.d.a.). Con quella Dichiarazione veniva finalmente abolita la monarchia assoluta in Francia. Un testo quello che insieme con la Carta dei diritti (Bill of Rights), approvata il 15 dicembre 1791 dal primo congresso degli appena costituiti Stati Uniti d’America, sono stati alla base di un altro documento: la Dichiarazione universale dei diritti umani, approvata a Parigi durante la terza sezione dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948.

    Il 1793 è stato un altro anno pieno di avvenimenti importanti in Francia che hanno segnato anche la storia del Paese. Era l’anno dell’approvazione della Costituzione del 1793 che in seguito è stata ignorata con un decreto entrato in vigore il 10  ottobre 1793. Un decreto con il quale si sanciva che il governo doveva essere “rivoluzionario fino alla pace”. Un decreto firmato da Maximilien de Robespierre, che era il presidente della Convenzione nazionale. Cominciò così quello che è noto come il Regime del Terrore (Régime de la Terreur; n.d.a.). Quello che nel 1789 cominciò come un movimento rivoluzionario che doveva rispettare la libertà, l’uguaglianza e la fraternità (Liberté, Égalité, Fraternité; n.d.a.), in seguito degenerò in un nuovo regime.

    Quanto accadeva durante il periodo del Terrore in Francia è stato maestosamente presentato dal noto scrittore francese Victor Hugo, che viene riconosciuto anche come il padre del romanticismo francese. E, guarda caso, lo ha fatto con il suo ultimo romanzo, intitolato “Novantatré” e pubblicato nel 1874. L’autore del romanzo tratta proprio quanto accadeva allora in Francia e soprattutto nella regione della Vandea. Una regione in cui i monarchici si scontravano con i tre battaglioni repubblicani lì mandati da Parigi. L’autore affermava: “In tutta questa parte della Vandea la repubblica ebbe il sopravvento, questo lasciò molti dubbi. Ma quale repubblica? Nel trionfo emergente erano presenti due forme di repubblica; la repubblica del terrore e la repubblica della clemenza, l’una che vuole vincere con il rigore e l’altra con la dolcezza. Quale prevarrebbe?” (Terza parte; Libro II/VII). In più l’autore del romanzo ci ricorda che ai repubblicani è stato ordinato: “Nessun perdono; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro I/I). Mentre ai monarchici è stato chiesto “Insorgetevi; nessuna pietà!” (Prima parte; Libro III/II). L’autore ci ricorda, altresì, che “…93 è la guerra dell’Europa contro la Francia e della Francia contro Parigi”. Invece la rivoluzione “…è la vittoria della Francia contro l’Europa e di Parigi contro la Francia. Da lì l’immensità di questo terribile minuto. 93, più grande di tutto il resto del secolo” (Seconda parte; Libro I/II).

    Sono diversi i personaggi del romanzo “Novantatré” di Victor Hugo. Ma tra i tanti personaggi del romanzo tre sono quelli che attirano di più l’attenzione del lettore. Tutti e tre sono legati tra di loro, nonostante siano rappresentanti di ideologie, di credenze e di raggruppamenti antagonisti. E tutti e tre si distinguono per la loro forte moralità, per la loro determinazione, per la loro forza di carattere e per la loro disponibilità a sacrificare la propria vita in difesa dei principi. Di quei principi che tutti e tre ne sono convinti sostenitori.

    Il più giovane di loro è Gauvain, il comandate dei volontari repubblicani arrivati in Vandea per combattere e reprimere i contadini ribellati contro la Convenzione. Nato in una famiglia aristocratica e rimasto da molto piccolo orfano del padre, era l’unico pronipote del marchese di Lantenac, il comandante della ribellione di Vandea. Lantenac era, invece, un convinto sostenitore della monarchia. Mentre il terzo personaggio era Cimourdain. Proprio colui che era stato il maestro del piccolo Gauvain. E tra loro due c’era stato sempre un legame profondo, anche se avevano delle convinzioni diverse. Cimordain era stato prima un prete, ma dopo aveva avuto una piccola eredità che lo ha reso libero dal dogma. Nel ’93 lui era l’alto rappresentante dei repubblicani in Vandea. E lì incontrò di nuovo il suo benamato Gauvain e gli salvo, per la seconda volta, la vita.

    L’autore del romanzo ha descritto molte scene dove si sono incrociati diversi personaggi del romanzo. Egli ha maestosamente messo in evidenza anche le diversità e quello che univa i suoi personaggi. E nell’ultima parte del romanzo il lettore conosce anche le ultime azioni dei tre personaggi principali. Lantenac, per salvare tre orfani bambini che si stavano bruciando nella Torre della Tourgue, proprietà della sua famiglia, è ritornato ed ha affrontato il fuoco. Proprio lui che poco prima era riuscito miracolosamente a liberarsi proprio dall’assedio dei repubblicani, comandati dal Gauvain. Lantenac è riuscito a portare in salvo i bambini, ma è stato catturato dai repubblicani. Gauvain, invece, presente durante l’arresto di Lantenac, ha avuto in seguito delle ore difficili, durante le quali le sue idee e i suoi principi si confrontavano. Alla fine però Gauvain entrò nella cella dove avevano chiuso Lantenac, mise addosso a lui il suo lungo mantello di comandate, gli coprì la testa con il grande cappuccio del mantello e lo spinse fuori, dandoli la libertà. E quando i soldati, l’indomani andarono a prendere Lantenac per giudicarlo e condannarlo alla ghigliottina invece hanno portato davanti alla corte, capeggiata da Cimordain, proprio il comandate Gauvain. La corte decise di ghigliottinare Gauvain. E mentre la lama della ghigliottina tagliava la testa del suo amato Gauvain, si senti un colpo di pistola. Cimopurdain si era suicidato.

    Chi scrive queste righe, nel suo piccolo, ha molto imparato dai romanzi di Victor Hugo e anche dal “Novantatré”. Egli auspica che gli importanti insegnamenti del romanzo possano servire anche a coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali a livello internazionale, in Europa, negli Stati Uniti d’America ed altrove. Ma purtroppo, fatti accaduti alla mano, molti di loro parlano di principi e poi, con le proprie azioni, decisioni ed alleanze, calpestano proprio quei principi. Fino al punto che diventano incredibili. Mentre come ci insegna Mahatma Gandhi ci sono principi che non ammettono compromessi e per la cui pratica occorre essere pronti a sacrificare anche la vita.

  • Il velo e la sigaretta

    Sui nostri media si parla e si scrive spesso della ribellione di alcune donne iraniane nei confronti dell’obbligo di portare un velo che nasconda i capelli. Quando ne riferiscono, tutti i nostri giornalisti (cui si aggiungono alcuni politici) criticano con vigore le repressioni violente attuate dal Regime contro la volontà di quelle figlie o mogli di scegliere liberamente come abbigliarsi. Purtroppo, va da sé che le capacità intellettive di noi giornalisti (e della maggior parte dei politici) non siano particolarmente brillanti e confesso di non stupirmi se anche in questo caso non si sia capita la vera sostanza del problema e cioè il semplice desiderio di chi ha la responsabilità di governare di evitare che la società diventi una palude immorale. Cercherò allora di spiegarlo.

    Tutti concorderanno che gli omniscienti Ayatollah di Teheran e dintorni sappiano interpretare il Corano in modo corretto e se hanno deciso che il dettame che impone alle donne di non “sedurre” artatamente gli uomini imponga loro di coprirsi il capo ciò deriva certamente dagli studi approfonditi sull’argomento che hanno approfonditamente sviluppato. Qualcuno tuttavia continuerà a domandare: perché le reprimono, le picchiano, le imprigionano e non le lasciano libere di vestirsi come vogliono?

    Le risposte sono due. La prima: lo fanno per impedire loro di peccare e, quindi, per il loro bene. Scoprirsi il capo, oltreché un atto inutile e magari foriero di danneggiare la salute, è agire contro la volontà del profeta e di chi lo ha ispirato. È naturale che chi è stato chiamato a governare su tutti i cittadini faccia di tutto per garantire loro, se non proprio l’attuale, almeno un futuro benevolo per dopo la morte. La seconda: la religione è sempre stata in ogni parte del mondo il modo migliore per ottenere una società ordinata, coesa e soprattutto “morale”. Consentire pubblicamente a delle invasate anticonformiste di infrangere le regole che mantengono “puro” l’ambiente in cui vivere significherebbe aprire all’anarchia e fare un danno gravissimo a tutti gli altri cittadini rispettosi delle regole e amanti del proprio benessere spirituale. Cosa conta, dunque, una misera libertà individuale davanti al pregevole compito di chi comanda di occuparsi del bene individuale e collettivo?

    La giunta Sala di Milano non è, lo presumiamo, orientata religiosamente ma, almeno alla pari dei benemeriti Ayatollah, si preoccupa del benessere fisico e spirituale dei propri cittadini. Nessuno invochi lo “Stato etico” o la violazione di qualche libertà quando il Sindaco ha preso la decisione di impedire a qualche incallito tabagista di fumare all’aperto in qualunque posto pubblico. Si tratta di una misura doverosa al fine di tutelare gli individui e tutta la comunità. Così come in Iran lo si fa per garantire la moralità pubblica, a Milano ci si preoccupa della salute dei singoli fumatori e delle conseguenze di ciò che viene chiamato “fumo passivo”. Già la città è quotidianamente inquinata dagli scarichi dei riscaldamenti e delle auto, perché aggiungervi anche il fumo di sigaretta? Come ha ben spiegato una assessora di quella altruistica giunta si tratta anche di evitare l’ascesa in cielo di sostanze inquinanti che sicuramente contribuiscono in maniera determinante al cambiamento climatico. È la scienza che ce lo dice, visto che qualcuno ha perfino calcolato (lo afferma sempre l’assessora) che il fumo di tabacco contribuisce almeno al 7% dell’aria inquinata che circola a Milano (È vero, qualche miscredente dubita di chi e come abbia fatto questi calcoli ma io sono certo che un’assessora non menta mai). Chi vuole continuare a delinquere lo faccia dunque in casa, ma con le finestre chiuse per non ammorbare l’aria esterna. Tutti sappiamo che, se non aiutato nelle proprie scelte, il milanese è per natura immaturo e masochista e, per quanto compito ingrato, è un dovere di chi comanda indirizzarlo sulla retta via. Non lo si fa anche coi bambini?

    D’altra parte, Sala e i suoi non fanno che adeguarsi a una politica sempre più diffusa in tutta Europa. Se il suddito  cittadino non ha la maturità e l’intelligenza di fare da solo ciò che è vero e giusto, è compito di chi governa di spiegargli e, se necessario, imporgli di fare ciò che deve. E non basta! Se un singolo è talmente stupido da rimanere vittima di propaganda di chi l’Occidente ha deciso di definire come nemico (per esempio la Russia), è bene censurare tutti i media di quest’ultimo e annunciare la verità chiamando fake news tutto ciò che non collima con essa.  Comunque, la società sana non perde nulla di importante eliminando le voci diverse da quella che è, e non può che essere, la Verità! Mi auguro, sempre per il bene comune e per sottolineare la nostra appartenenza al benemerito Occidente, che chi ha il dovere di comandare ci liberi definitivamente da quella sotto-cultura affatto europea che arriva da Mosca da fin troppo tempo attraverso i vari Tchaikovsky, Rimskij-Korsakov, Gogol, Dostoevskij, Puskin e via dicendo.

    Già che si è all’opera, credo sia condivisibile anche la giusta eliminazione (mi raccomando: non fisica – almeno per ora) di tutti i negatori delle cause antropiche del cambiamento climatico. Se poco più di cento pazzi professori universitari (e qualche premio Nobel) scrivono che il cambiamento climatico non è causato dall’attività umana è giusto, per il bene collettivo e in nome della Vera scienza, emarginarli e mai menzionarli, affinché si chiuda così la loro immeritata carriera.

    Certamente ci sarà sempre qualche irriducibile anti-sociale che si lamenterà, ma con tali malvagi peccatori insensibili ai sacrifici di chi vuole solo tutelarli, basta continuare con il già applicato metodo della rana bollita: aumentare la temperatura (vedi repressione) poco per volta senza che nemmeno se ne possano accorgere.

    Approviamo, dunque, l’esempio degli Ayatollah e ben vengano i benefattori, gli altruisti, i dolci dittatori. Se noi non siamo abbastanza intelligenti per gestirci da soli ci obblighino loro a prenderci cura di noi stessi. Noi sappiamo che non lo fanno per ubriacatura da comando bensì per il bene nostro e di tutta l’umanità.

  • From freedom fighter to Namibia’s first female president

    Nicknamed NNN, Netumbo Nandi-Ndaitwah has made history by being elected as Namibia’s first female president.

    The 72-year-old won more than 57% of the vote, with her closest rival, Panduleni Itula, getting 26%, according to the electoral commission.

    It is just the latest episode in a life packed with striking events – Nandi-Ndaitwah has fought against occupying powers, fled into exile and established herself as one of the most prominent women in Namibian politics.

    However, Itula has rejected her victory. He said the election was “deeply flawed”, following logistical problems and a three-day extension to polling in some parts of the country.

    His Independent Patriots for Change (IPC) party said it would challenge the result in court.

    Nandi-Ndaitwah has been a loyal member of the governing party, Swapo, since she was a teenager and pledges to lead Namibia’s economic transformation.

    Nandi-Ndaitwah was born in 1952, in the northern village of Onamutai. She was the ninth of 13 children and her father was an Anglican clergyman.

    At the time, Namibia was known as South West Africa and its people were under occupation from South Africa.

    Nandi-Ndaitwah joined Swapo, then a liberation movement resisting South Africa’s white-minority rule, when she was only 14.

    A passionate activist, Nandi-Ndaitwah became a leader of Swapo’s Youth League.

    The role set her up for a successful political career, but at the time Nandi-Ndaitwah was simply interested in freeing South West Africa.

    “Politics came in just because of the circumstances. I should have become maybe a scientist,” she said in an interview this year.

    While still a high school student, Nandi-Ndaitwah was arrested and detained during a crackdown on Swapo activists.

    As a result of this persecution, she decided she could not stay in the country and joined several other Swapo members in exile.

    She continued to organise with the movement while in Zambia and Tanzania, before moving to the UK to undertake an International Relations degree.

    Then in 1988 – 14 years after Nandi-Ndaitwah fled her country – South Africa finally agreed to Namibian independence.

    Nandi-Ndaitwah returned home and subsequently joined the post-independence, Swapo-run government.

    In the years since, she has held a variety of posts, including ministerial roles in foreign affairs, tourism, child welfare and information.

    Nandi-Ndaitwah became known as an advocate for women’s rights. In one of her key achievements, she pushed the Combating of Domestic Violence Act through the National Assembly in 2002.

    According to Namibian media, Nandi-Ndaitwah criticised her male colleagues for trying to ridicule the draft law, sternly reminding them that the Swapo constitution condemns sexism.

    She continued to rise despite Namibia’s traditional and male-dominated political culture, and in February this year she became vice-president.

    She suceeded Nangolo Mbumba, who stepped up after the death of then-President Hage Geingob.

    In her personal life, Nandi-Ndaitwah is married to Epaphras Denga Ndaitwah, the former chief of Namibia’s defence forces. The couple has three sons.

    Throughout her career, Nandi-Ndaitwah has displayed a hands-on, pragmatic style of leadership.

    She once declared in a speech: “I am an implementer, not a storyteller.”

  • A 35 anni dalla Convenzione ONU sui diritti dell’Infanzia, nell’Unione europea persiste lo Jugendamt tedesco

    Nel trentacinquesimo anniversario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’Infanzia Borrell ha giustamente ricordato le sofferenze alle quali i bambini sono ogni giorno sottoposti a causa delle molte guerre o delle tragiche situazioni economiche e climatiche di molti paesi.

    Bambini uccisi, feriti, rimasti soli, bambini rapiti dalla Russia di Putin o massacrati nella guerra in Medio Oriente, bambini denutriti, costretti a lavorare invece di studiare o giocare, bambini che non hanno possibilità di cure o usati come schiavi.

    Bambini violentati ed abusati quando non diventano addirittura serbatoio di organi da espiantare, bambini avviati alla prostituzione.

    Tra tutti drammi che Borrell ha giustamente ricordato non ha però citato quella che, ancor oggi, resta una vergogna della civilissima Europa e cioè la presenza nell’Unione di una organizzazione tedesca, lo Jugendamt, nata durante il nazismo, che continua a separare i figli delle coppie binazionali imponendo che debbano vivere in Germania e non avere più contatti, in caso di separazione tra i genitori, con quello non tedesco.

    Decine e decine di casi che hanno visto la strenue battaglia di tanti padri e madri, prima di tutti Marinella Colombo, che vogliamo ogni giorno ricordare come esempio di coraggio, separati a forza dai loro figli che non possono più incontrare.

    Bambini che perdono metà della loro identità, della loro famiglia, che in gran parte rimarranno segnati da queste criminali privazioni.

    L’Europa ha le frontiere aperte per le persone e per le merci ma le frontiere tedesche sono chiuse per tutti quei bambini che lo Jugendamt ha di fatto sequestrato.

    Intanto l’Unione tace, nonostante le molte interrogazioni che, almeno dal 2009, sono state presentate e nonostante le commissioni d’inchiesta che sono finite in nulla anche perché le traduzioni erano state falsate, dorme l’Europa e dorme l’Italia, i bambini restano sequestrati dalla Germania ed i loro genitori non tedeschi continuano a pagare ed a soffrire.

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