Avvocati

  • In attesa di Giustizia: quarto grado

    Il titolo non inganni: questo non sarà un commento alla trasmissione condotta da Gianluigi Nuzzi su Rete 4, bensì all’esito dell’ultima (forse) intrapresa giudiziaria di Piercamillo Davigo, colui che sosteneva l’inutilità del giudizio di appello, che tutti i mali della giustizia sono prodotti da avvocati senza scrupoli che pur di guadagnarsi una parcella sommergono le Corti di appelli e ricorsi, ragione per cui ridare ossigeno al sistema è possibile solo eliminando le impugnazioni. Ce ne sarebbe anche un altro: eliminare la difesa, ma questo lo ha, probabilmente, lasciato intendere confidandosi in tutta sincerità solo con il suo fido sodale Marco Travaglio. Quest’ultimo, al pensiero, ha avuto un orgasmo suggerendo in seguito alla moglie di raccontargli delle favole in cui gli Albi degli Avvocati bruciano come in una scena di Farenheit 451 eccitandolo in modo da facilitare il pagamento del “debito coniugale”.

    Ma torniamo a Davigo: condannato in primo grado a Brescia per rivelazione di segreti di ufficio ha ricorso in appello smentendo se stesso anche a proposito del dogma che non ci sono innocenti ma solo colpevoli che la fanno franca. Sentenza confermata e successivo ricorso in Cassazione: rigettato anche questo e siamo ai canonici tre gradi di giudizio…non pago, Piercamillo ha chiesto ai suoi avvocati (ne ha due, idealmente superstiti dell’auspicato sterminio) di proporre ricorso straordinario per Cassazione che in pochi sapranno di cosa si tratta: è un istituto relativamente recente, introdotto nel 2017 su sollecitazione della Corte Costituzionale che mette in discussione il principio di intangibilità del giudicato ma solo in casi assolutamente eccezionali se si tratta di far porre rimedio ad un errore materiale o di fatto dei giudici stessi della Cassazione.

    E’ accadimento assai raro che “cane mangi cane” e, nello specifico, che i giudici di una Sezione della Corte dicano che i colleghi di un’altra abbiano preso fischi per fiaschi; i dati dell’annuario statistico del 2024 parlano chiaro: su circa 47.000 procedimenti definiti in sede di Legittimità i ricorsi straordinari costituiscono lo 0,9% e di questi solo 25 sono stati accolti tutti gli altri dichiarati inammissibili o rigettati: tra questi, nell’Anno del Signore 2025, c’è anche quello del Dottor Sottile: poker!

    Finirà qui? Davigo per il momento tace ma non è escluso che decida di andare oltre, dopo essersi ritrovato accanito sostenitore della fallibilità dei giudici e della incompetenza dei P.M.: sono lontani i tempi (gli “anni ’90) quando sosteneva che i giudici sono il meglio della società italiana ed i P.M. il meglio del meglio del meglio…Ora Davigo avrebbe la possibilità di chiedere un quinto grado di giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

    Dell’uomo che intendeva rivoltare l’Italia come un calzino è rimasto solo un ex magistrato che ha concluso la sua carriera commettendo un reato e che si godrà la lauta pensione (dopo aver fatto ricorso al T.A.R. ed al Consiglio di Stato anche contro il pensionamento, collezionando altre due sconfitte) da pregiudicato perché tale è secondo una brutale ma esatta definizione che segna la nemesi della tirannide delle manette, dell’egocentrismo e delle pretese purificatrici della società per via giudiziaria

    Ei fu…

  • Toghe&Teglie: pasta, patate e provola

    Cari lettori de Il Patto Sociale, ben ritrovati! Sono Emilia De Biase della sezione lombardo-campana di Toghe & Teglie e questa settimana sono stata prescelta per proporvi la mia versione di un piatto tradizionale napoletano: past patan e provl (la traduzione la trovate nel titolo); come ben sapete qui si va a sentimento e ad abbondanza di dosi con ingredienti solitamente molto molto semplici e naturali e suggerisco di fare altrettanto.

    Iniziate preparando un buon brodo vegetale facendo bollire per almeno per un’oretta cipolla, carote, sedano e pomodorini in un pentolone d’acqua con poco sale. Nel frattempo mettete sul fuoco il necessario per il soffritto con olio evo in un tegame molto ampio, cipolla, carota e sedano sminuzzati fini e fate andare fino a doratura aggiungendo della pancetta a rosolare.

    A questo punto inserite nel soffritto le patate pelate e tagliate a cubetti poco prima (almeno due patate per ciascun commensale) e fatele insaporire. Aggiungete anche dei pomodorini tagliati in tre parti, molto basilico, pepe e sempre un solo pizzico di sale.

    Quando le patate raggiungono un po’ di morbidezza ma non ancora la completa cottura è ora di calare la pasta direttamente nel tegame. Io, per questa ricetta, prediligo la pasta “ammiscata” (mista) e fatela cuocere aggiungendo poco alla volta mestolate del brodo vegetale precedentemente preparato e passato attraverso un colino: la pasta verrà in tal modo “cotta ‘n cimma” cioè, come dite voi, risottata e ovviamente va rigirata continuamente perché non si attacchi al fondo: ci vorrà tanta pazienza!

    Le patate finiranno di cuocere insieme alla pasta e tutto quell’amido creerà un’ottima base cremosa. Fate attenzione a non eccedere con le diluizioni di brodo altrimenti verrà fuori un inquacchio: bisogna mantenere equilibrio tra pasta patate e brodo e quando la pasta sarà al dente aggiungete basilico senza risparmio, un altro po’ di pepe, parmigiano a volontà e togliete dal fuoco per integrare con tanta provola (personalmente preferisco quella affumicata) tagliata a cubetti. Mescolate sempre cercando di non far appallottolare il tutto aiutandovi secondo necessità con un altro po’ di brodo.

    Ora coprite il tegame con un coperchio e lasciate riposare qualche minuto (sempre a fuoco spento) per far meglio amalgamare tutti gli ingredienti.

    La pasta patate e provola può esser mangiata così subito, calda, ma anche fredda e anche il giorno dopo, ripassata in forno facendola ricoprire da una appetitosa crosticina.

    Avrete capito perché ho ripetuto più volte “poco sale”? Perché quando la provola si discioglie nella pasta e patate rilascia spesso molta salinità e si rischia che “per un acino di sale s’ perd ‘a menest”.  Altro trucco? Tenere sempre a disposizione tanto brodo vegetale. E poi un ultimo consiglio: utilizzate solo pasta di ottima qualità e di buona tenuta perché non scuocia e non formi un mappazzone.

    Buona cucina a tutti!

  • In attesa di Giustizia: nella patria del diritto è talvolta buio fitto

    Per tre giorni, ad inizio mese, c’è stata astensione dalle udienze degli avvocati penalisti:  una categoria che lo fa per proteggere le garanzie e gli interessi degli altri e mai i propri e – quindi –  rinunciando a guadagni per protestare, per esempio, contro la soppressione dell’istituto della prescrizione voluta da quel raffinato giurista di Alfonso Bonafede ed acclamata dai Davigo d’Italia che rendeva i cittadini imputati per sempre, contro l’inasprimento assurdo delle pene per certi reati, contro l’idea di carcere come unica risposta per garantire la sicurezza che ha avuto come unico risultato l’aumento del numero degli ergastoli inflitti ma non è diminuito quello degli omicidi.

    Avvocati che, se non rispettano un termine processuale, nella maggior parte dei casi non c’è rimedio, la responsabilità è loro e pagano… se, invece, un giudice fissa in 90 giorni il termine per il deposito di una sentenza e la deposita dopo sei mesi, pazienza.

    Avvocati che, se per qualche motivo depositano una querela dopo tre mesi e un giorno dal fatto, la responsabilità è loro e pagano… se il P.M. – che dovrebbe concludere le indagini entro sei mesi – si fa vivo dopo tre anni e nel frattempo l’indagato non ne sa nulla, pazienza.

    Avvocati che, se per ragioni imprevedibili, arrivano in ritardo in udienza, il giudice chiama il processo, nomina un difensore immediatamente reperibile che non conosce gli atti e lo fa discutere, la responsabilità è dell’avvocato e paga. Se il P.M. tarda, lo aspettiamo. Se il giudice tarda, lo aspettiamo. Pazienza, due volte.

    Avvocati che, se sono malati possono chiedere un rinvio per legittimo impedimento, ma il giudice può decidere che non sono abbastanza malati e allora il processo si fa lo stesso, con o senza il difensore di fiducia e lo stesso giudice può anche decidere che per l’avvocato partecipare al funerale del proprio padre non sia una ragione valida di rinvio e che non lo sia neppure assistere un figlio in tenera età che deve subire un intervento chirurgico, perché poteva andarci l’altro genitore. E sì, è successo davvero ma la pazienza si va esaurendo.

    Avvocati che, se il giudice è in maternità da tre mesi ma nessuno ha avvisato – basta una mail – che ci sarebbe stato un rinvio, si sono spostati magari da Cagliari a Monza per fare il loro dovere e pazienza ancora una volta. E’ successo anche questo e anche di peggio.

    Avvocati che, se dimenticano di citare un testimone, la responsabilità è loro e pagano…se la Procura sbaglia cinque volte una notifica all’imputato o il tribunale non fa tradurre l’imputato in udienza, si rinvia e pazienza.

    E, ovviamente, se il reato si prescrive è colpa dell’avvocato che maliziosamente usa astuti cavilli per farla fare franca al suo assistito.

    Avvocati che se commettono un errore nella gestione del processo, la responsabilità è loro e pagano. Se un giudice tiene in carcere per anni un poveraccio che poi risulta innocente, pazienza e… pagate voi.
    Ed, a proposito di proteste, quest’anno abbiano anche assistito alla pantomima dello sciopero dell’A.N.M.: hanno scioperato, senza perdere un centesimo, contro una riforma durante il suo iter parlamentare, quindi contro un Potere dello Stato, per difendere privilegi di casta e rendite di posizione e per dimostrare che loro sono al di sopra di tutto, persino del potere legislativo a cui hanno dichiarato guerra solo perché non si allinea ai loro desiderata.

    Hanno detto, però, che era per difendere l’indipendenza della magistratura, la Costituzione e i cittadini, e invece hanno fatto solo i propri interessi, come sempre, e come sempre faranno a meno che qualcuno non gli faccia capire che loro non sono la legge ma sono al servizio della legge e la legge la fa il Parlamento che rappresenta i cittadini.

    Lo fanno e lo faranno gli avvocati, anche loro posseggono la Costituzione, l’hanno letta e studiata comprensiva degli articoli sul diritto di difesa, la presunzione di innocenza ed il giusto processo…Molti magistrati sembra di no: pazienza: così si spiega perché nella cosiddetta Patria del diritto è talvolta buio fitto.

  • Toghe&Teglie: pasta crema di zucchine, merluzzo marinato e fiori di zucchine

    Buongiorno a tutti i lettori, sono Giuseppe Barreca, della Sezione Mantovana del Gruppo Toghe & Teglie, noto come l’Accademico del Baccalà e non a caso oggi sono a proporvi una ricetta a base di merluzzo nero.

    Procuratevi 500 gr di merluzzo nero (va bene anche quello bianco, l’importante che sia pescato di ottima qualità) che metterete a marinare per circa due ore in salsa di soia (non quella del supermercato ma acquistata in un negozio specializzato in prodotti orientali), olio d’oliva, pepe e poco sale; nel frattempo preparate un leggero brodo vegetale (abbastanza per cuocervi dopo la pasta e per aggiustare la crema di zucchine). Sempre durante la marinatura pulite le zucchine (se trovate quelle romane, meglio) e i loro fiori.

    Le prime, dopo averle tagliate a pezzetti, fatele andare in padella con olio, sale e una pecca d’aglio, rosolando per bene. Arrivate a cottura, trasferitele nel boccale del minipimer e lavoratele con lo stesso sino a farle diventare una crema liscia (usate prima la lama per sminuzzare e poi quella per le creme) non troppo densa, aiutandovi con l’aggiunta di brodo vegetale fatto con gli scarti delle zucchine q.b. e aggiustando in fine con una spolverata di pepe bianco e un pizzico di aglio in polvere, ma proprio un pizzico al solo fine di far emergere tutto il sapore delle zucchine e, perché no, un goccio d’olio d’oliva a crudo.

    Tenete la salsa da parte e procedete a lessare per trenta secondi i fiori di zucchina nel brodo vegetale, scolate e metteteli ad asciugare disponendoli aperti su un vassoio ricoperto di carta assorbente. Una volta asciutti, conditeli leggermente con olio, sale e pepe bianco.

    Intanto saranno passate le due ore: levate il pesce dalla marinatura, riducetelo a tocchetti di circa due centimetri e fatelo saltare in un capiente wok con un po’ d’olio per 2 minuti (praticamente devono prendere solo colore e restare belli sodi al momento).

    Ora buttate la pasta – mezze maniche o altra pasta grossa similare che più vi piace: magari la calamarata? –  nel brodo vegetale sino a due minuti dal termine di cottura al dente e poi tuffatela nel wok insieme al pesce (che tenderà a sbriciolarsi ma non preoccupatevi, va bene così) e, poi, portatela al giusto punto di cottura aggiungendo la salsa di zucchine a vostro piacimento.

    Pronta!
    Impiattate sistemandovi sopra i fiori di zucchina.

    Buon divertimento, magari accompagnando il piatto con un buon vino rosè: io ci ho abbinato uno Champagne Edouard Brun Premier Cru.

  • Toghe&Teglie: toast di zucchine

    Bentornati al lavoro dopo un lungo periodo di festività, cari lettori: sono Tania Mannino della sezione lombarda di Toghe & Teglie e come tutti, recentemente, mi sono un po’ “lasciata andare” tra pranzi in famiglia ed eccessi vacanzieri…è, allora, giunto il tempo di rimettersi in forma senza rinunciare a qualcosa di appetitoso come il toast di zucchine che vi propongo che – volendo – possono essere sostituite con identica preparazione con delle patate mentre non vanno bene le melanzane che rilasciano troppa acqua.

    Facilissimo: procuratevi delle zucchine di discrete dimensioni, lavatele, pulitele e affettatele a rondelle abbastanza sottili e stendetele affiancate in modo da formare dei rettangoli su una teglia ampia ricoperta di carta da forno e cosparsa con uno strato sottile di parmigiano grattugiato.

    Terminata questa operazione, dopo averla unta leggermente con dell’olio spray, cospargete anche la parte superiore dei rettangoli di zucchine con un velo parmigiano grattugiato, volendo mescolato con un poco di farina di riso. Ora infornate a 180° fino a che non vedrete formarsi la crosticina superiore, nel caso, terminate la preparazione con una velocissima “passata” di grill badando di non far bruciare la parte superiore delle zucchine e abbrustolire troppo il formaggio che – oltre a dare sapore – contribuisce alla relativa “stabilità” delle sfoglie.

    Il risultato vi consente l’utilizzo come semplice contorno oppure – e questo è il consiglio – ricavarne dei saporiti toast sovrapponendone due imbottite come preferite: bacon croccante, prosciutto cotto, (il crudo non è ideale non meno del salame o della bresaola) oppure tacchino da soli o abbinati con del formaggio. L’“esemplare” che si può vedere in foto è stato realizzato con tacchino e cream cheese e, anche se non si vedono, pomodori datterini tagliati sottilissimi: gustoso, saziante e sufficientemente “light”, perfetto per un pranzo leggero che si può anche mettere nella “schiscetta” e gustare freddo.

    Da evitare come il Covid 19 “Briatorate” con Pata Negra, caviale iraniano o salmone selvaggio dell’Alaska.

    Buona rèmise en forme!

  • Toghe&Teglie: risotto cacio, pepe e gamberi

    Salve, golosoni! A distanza di quindici giorni sono ancora tra voi: Massimo Schirò, del Gruppo Toghe & Teglie, e lo faccio con una ricetta decisamente più “patinata” di quella precedente della zuppa Gallurese: è una rielaborazione della cacio, pepe e tartare di gamberi di Heinz Beck.

    Pensando già all’impiattamento – anche l’occhio vuole la sua parte – immaginate il risotto come una tela bianca sulla quale spiccano i colori, i profumi ed i sapori dei gamberi e del lime.

    Passando agli ingredienti necessari, come sempre è fondamentale la qualità delle materie prime:

    riso carnaroli, magari Riserva San Massimo (60/70 grammi a persona perché stiamo facendo “quelli fini” ma, poi, con il bis come la mettete?), gamberi rossi freschissimi, diciamo una mezza dozzina a testa, vino per sfumare con divieto assoluto di impiego di Tavernello e analoghi liquami, un paio di croste di pecorino romano (mondate della crosta nera) per il brodo più una di grammi per porzione, due lime interi (succo e buccia), pepe bianco e aceto di vino bianco e aceto balsamico invecchiato.

    Preparazione preliminare:

    Iniziate dal brodo di pecorino mettendo a freddo in una pentola d’acqua le croste del pecorino romano, portate ad ebollizione, spegnete il fuoco e tenete in caldo.

    Ora la tartare di gamberi: pulite i gamberi, togliendo il budello, tagliateli fini e metteteli in infusione con il succo di due lime (senza buttare le bucce) ed un cucchiaio d’olio.

    Dopo mezz’ora scolate dal succo e, aiutandovi con un coppapasta, fate dei dischi di gambero.

    Veniamo alla preparazione del risotto.

    In una casseruola dai bordi alti (da 24 o da 26) fate tostare il riso a secco fino a quando non riuscirete a toccarlo senza scottarvi e sentirete il profumo del cereale: a questo punto sfumate con il vino bianco e portate a cottura (15/17 minuti a seconda dei gusti) utilizzando il brodo di pecorino con cui ricoprire il riso gradualmente, mano a mano che asciuga.

    A metà cottura regolate di sale ricordando che mantecherete con del pecorino che aggiunge sapidità.

    A cottura ultimata spegnete il fuoco e mantecate con due cucchiai di aceto di vino bianco e il pecorino.

    Impiattate su piatto piano e spolverate con una grattata di pepe.

    Non è finita: ora ponete su ogni porzione di riso il disco di gamberi, grattugiate un po’ buccia di lime e guarnite con l’aceto balsamico.

    Servite a tavola e aspettate fiduciosi gli applausi.

    A presto!

  • Toghe&Teglie: i cuddureddi

    Buona Pasqua, ormai trascorsa ma gli auguri non guastano mai, da Rossella Perricone della sezione agrigentina di Toghe & Teglie e dai “cuddureddi” tipici dolci pasquali che evocano rituali pieni di simboli la cui preparazione voglio illustrarvi: ideale in ogni tempo e, sicuramente per la Pasqua 2026…così avrete tempo per esercitarvi.

    Io, di certo, non sono una pasticcera ma preparando i cuddureddi ho cercato nel mio piccolo di creare il “ciclo della vita” e la “rinascita”; il primo è un cerchio di pasta frolla con alla base un uovo, il secondo rappresenta la rinascita, proprio con l’uovo al centro, perché quando si rinasce si è araba fenice, si nasce sempre da se stessi. E’ una ricetta dai sentori e colori mistici, infatti come colore per l’uovo ho scelto il verde, la speranza…e poi mille colori ancora a creare infinite sfumature, la vita…in uno stile piuttosto “barocco”, come soltanto la mia terra sa essere.

    Passiamo agli ingredienti e per primi vi indico quelli della pasta frolla:
    500 grammi di farina doppio zero o zero, 180 grammi di zucchero semolato,
    100 grammi di strutto e 50 grammi di burro per evitare che sia troppo dietetica,
    2-3 cucchiai latte intero, 2 uova intere, rosso e albume,
    3 grammi di sale fino, 9 grammi di lievito per dolci (mezza bustina)
    la scorza grattugiata di un limone biologico e/o una arancia da coltivazione biologica.
    Amalgamate tutto bene creando un panetto da mettere in frigo, avvolto da pellicola, per un’ora. Dopodiché mettete sei uova a bollire in due diversi tegami: in uno aggiungete nell’acqua un cucchiaio di curcuma e nell’altro della paprica dolce per colorarli un po’.

    Ora spianate la pasta frolla con un matterello creando a mano delle forme tipo cestini, al cui centro di ognuno va messo un uovo. Create delle piccole trecce e mettetele sopra come si vede nella foto e sbattete due tuorli aggiungendo del colorante alimentare: io scelgo sempre giallo e blu, potete mischiare verrà un colore verde ottanio e spennellate tutta la pasta frolla.
    Con il solo colorante alimentare spennellate le uova: in sostituzione potrete preparare con albume e zucchero a velo della glassa chiamata ghiaccia reale, fate voi, io preferisco i colori.
    Infine aggiungete dello zucchero colorato (in dialetto si chiama diavolina) e mettete in forno statico a 180 gradi per 15 minuti.

    Alla presentazione, spolverate ancora con zucchero a velo e vanno consumati al massimo entro tre giorni.

    Auguri a tutti per tutti i giorni!

  • In attesa di Giustizia: todos caballeros

    E’  iniziato un “ponte” da fare impallidire quello onirico tra Scilla e Cariddi e per restare in argomento di feste questa settimana la rubrica si occuperà di una non ufficializzata ma assai partecipata in silenzio da alcune migliaia di cittadini, tutti appartenenti all’Ordine Giudiziario: correva l’anno 1966 ed il 25 luglio il Parlamento, prossimo a sua volta ad andare in ferie, approvò la cosiddetta “Legge Breganze”, dal nome del deputato che ne fu proponente, Umberto Breganze, un avvocato e deputato democristiano.

    Questa riforma si poneva nel solco di un principio già affermato nel 1963: le promozioni dei magistrati non avvenivano più sulla base dei posti disponibili (ad esempio: si libera un posto di giudice di Corte d’Appello e, quindi, un singolo viene promosso a quel posto), ma si promuovevano tutti i candidati idonei a prescindere dalla disponibilità dei posti. Si accedeva, quindi, a rango ed incarichi superiori che, però, non esistevano.

    La novità della Legge Breganze consiste nel fatto che le progressioni di carriera non debbano più nemmeno avvenire per concorso ma che la promozione al grado di Magistrato d’Appello avvenga in forma automatica, per mera anzianità. Non paghi, nel 1973 i magistrati chiedono ed ottengono che lo scorrimento automatico avvenga, sempre senza concorso per sola anzianità, fino a magistrato di Cassazione.

    Fu così che il numero di magistrati con il grado di Consigliere di Cassazione crebbe in maniera esponenziale. Passano poco più di dieci anni ed il 6 agosto 1984, mentre ancora una volta gli italiani si godono le meritate vacanze, l’infaticabile legislatore va oltre ed approva la norma sul “galleggiamento”: cioè a dire che a parità di qualifica deve esserci parità di stipendio. Tutti i magistrati, pertanto, percepiscono uno stipendio pari al più alto pagato ad un singolo magistrato che abbia quella determinata qualifica: se in uno specifico livello entra oggi un magistrato che, per vari motivi, percepisce uno stipendio più alto tutti gli altri, automaticamente, “galleggiano” ed hanno diritto a prendere quella identica retribuzione…così nessuno rischia di annegare e la Patria è salva, almeno per otto anni, come vedremo.

    Fra i pochi ad opporsi a queste continue regalie balneari vi fu Giuseppe Gargani, insieme a Cossiga ed altri, compreso il repubblicano Oronzo Reale che era presidente della Commissione Giustizia della Camera, ma fu tutto inutile e l’opposizione mal tollerata, tant’è che Gargani venne chiamato da Flaminio Piccoli il quale gli disse più o meno: “Lascia stare ti portano su una via sbagliata. Questa legge è fondamentale per il nostro Paese”. Gargani tentò ugualmente di prospettare le inique conseguenze tipo che tutti i magistrati, pur rimanendo – magari – Pretori di Capracotta, avrebbero avuto il rango di Cassazionisti e percepito il medesimo stipendio. Era insomma la famigerata progressione automatica delle carriere. Piccoli, come racconta lo stesso Gargani nel libro “Le mani sulla storia” non volle sentire ragioni affermando bruscamente: “Senti, se non passa questa legge ci arrestano tutti”. Se chiedete a qualche magistrato vi dirà che questo generoso trattamento economico è volto ad attuare il precetto costituzionale di indipendenza per evitare che siano soggetti a rivendicazioni da parte di altri Poteri…”

    Gargani non pensò a questo e rimase interdetto: intuì che ci fosse qualcosa sotto di inconfessabile ed ancor oggi non sappiamo cosa fosse perché a richiesta di chiarire il suo pensiero e quali timori lo animassero Flaminio Piccoli rispose: “Capirai, capirai…”.

    Non tutto è intellegibile ancor oggi però è un fatto che meno di due lustri dopo divampò “Mani Pulite”. Forse i favori fatti alla Magistratura anche dagli avvocati che sedevano in Parlamento non sono stati abbastanza.

  • Toghe&Teglie: la zuppa gallurese

    Buona settimana ai lettori gastronomi de Il Patto Sociale, sono Massimo Schirò il “Serial Griller” del Gruppo Toghe & Teglie; con la mia frequentazione abituale dell’isola durante l’estate mi sono impratichito di alcuni piatti tipi sardi tra i quali la zuppa gallurese che vi propongo in una delle sue varianti – quella che conosco io – perché si può dire che ogni paese ha una sua ricetta e ogni anziana signora la declina in modo diverso.

    Ecco gli ingredienti: pane raffermo, formaggio grattugiato (grana o misto grana/pecorino),
    brodo di tre carni, spezie varie a scelta e gusto – qualcuno mette anche la cannella –
    prezzemolo tritato ed un poco di pan grattato.

    Preparazione:

    iniziate preparando un brodo tradizionale con manzo, pollo e vitello anche se i “duri e puri” ci mettono la pecora. Filtrate e mettere da parte;

    spezzettate il pane secco a cubetti da circa un centimetro ed in una teglia
    da lasagna realizzate degli strati di pane e formaggio grattugiato, il tutto fino a riempirla completamente. Ora inizia il passaggio che può far definire questo piatto una zuppa: bagnate il pane con il brodo, un mestolo alla volta e delicatamente aggiungendone un secondo quando il primo si sarà assorbito: è un po’ come bagnare il babà… ci vuole calma.
    Quando il pane sarà ben inzuppato spolverate l’ultimo strato con prezzemolo tritato, un bel po’ di formaggio grattugiato ed una presa di pan grattato in modo che, in cottura formi una crosticina.

    A questo punto la teglia va messa in forno ventilato a 180 gradi per 40 minuti ed
    all’ultimo accendete per qualche istante il grill se la parte superiore, ad occhio, non fosse sufficientemente gratinata.

    Lasciate raffreddare e mangiatela tiepida. Il giorno dopo è anche più buona.

    Cari saluti a tutti e…buona Pasqua!

  • In attesa di Giustizia: femminismo punitivo

    Ad metalla, ad bestias!  L’ergastolo non basta: si è scatenata la querelle mediatica con un attacco frontale alla motivazione della sentenza di condanna di Filippo Turetta per l’omicidio della fidanzata, alimentata da indignati in servizio permanente effettivo che fomentano furori di piazza fuori luogo semplificando il senso di una decisione, attaccando giudicanti ed avvocati (per non farsi mancare mai nulla) nella più totale ignoranza del diritto.

    Lo scandalo, denunciato con informazione spazzatura, non è altro che l’applicazione di giurisprudenza stabilizzata e costante della Cassazione in tema di aggravante della crudeltà nel reato di omicidio. Cerchiamo di fare chiarezza partendo dal presupposto che ogni omicidio è espressione di una forma di crudeltà ma la “crudeltà” che era stata in origine contestata a Turetta è qualcosa di differente, è una circostanza aggravante del reato…e qui non guasterebbe anche una dignitosa conoscenza del latino – ma sarebbe pretendere troppo –  per meglio comprendere il significato di “circostanza”: qualcosa che sta intorno e che in diritto penale caratterizza una particolarità, negativa o positiva (sì: esistono anche le circostanze attenuanti per chi non lo sapesse) dell’azione nel commettere un reato. Dunque nel caso Turetta come in altri, qualcosa in più rispetto alla mera azione omicidiaria della quale deve essere valutata la modalità complessiva e l’intenzionalità soggettiva di infliggere un tormento aggiuntivo al dolore già generato dalla inflizione dei colpi.

    Questo qualcosa in più (quid pluris, per gli addetti ai lavori…) non sta, dunque, necessariamente nel mezzo usato o nel numero di ferite inferte per uccidere ma nella provocazione voluta di una sofferenza: si pensi, per esempio, all’incaprettamento tipico di esecuzioni mafiose o qualsiasi lesione letale che però, volutamente, cagioni la morte solo a seguito di una lenta e tormentata agonia.

    Femminismo punitivo, è questo che si vuole: inutile e fuori dalle regole? E’ comprensibile l’orrore provocato da taluni fatti di sangue non lo è lo stimolo a voler allontanare da noi un soggetto deviante dipingendolo a tutti i costi come un mostro che non solo uccide ma lo fa con crudeltà; certamente così  è più facile perché è anche un facile modo per autoassolverci in quanto si tratta di un ragazzo come tanti, ahimè cresciuto in una società che non ha saputo educarlo a gestire le proprie emozioni e ad accettare un rifiuto, un ragazzo che sicuramente non ha mai tenuto un coltello in mano e che in quel contesto ha agito in modo confuso e violento. Ma la crudeltà è un’altra cosa.

    Il terreno del dibattito è delicatissimo e scivoloso, in parte costruito e sorretto dalle emozioni ma prima di insultare e strepitare occorrerebbero almeno una decina di anni di studi giuridici, possibilmente non conseguendo il titolo abilitativo su Facebook o Chat CPT che consentono unicamente di iscriversi all’Albo degli Imbecilli, istruiti si fa per dire, da docenti poco meno che analfabeti: quelli che parlano di “reato penale”, per intenderci.

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