Avvocati

  • In attesa di Giustizia: diritti al futuro

    Nelle prossime settimane, in tutta Italia, si terranno le elezioni per il rinnovo dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati: a Milano, dunque in uno dei Fori di maggiore dimensione con oltre ventunomila iscritti, si candidano, tra gli altri, sedici avvocati (equamente divisi tra donne e uomini) che condividono un programma di lavoro ed intervento fortemente orientato a valorizzare la categoria anche sostenendo in maniera significativa l’accesso ed il progresso nella professione dei giovani, che ne rappresentano il futuro, in un settore professionale sempre più competitivo.

    Non a caso, questi candidati si sono riuniti in una “lista elettorale” cui hanno dato il nome di “Diritti al Futuro” ed il futuro dell’Avvocatura è anche quello della Giustizia per la irrinunciabile funzione di difesa dei diritti dei cittadini, di contributo alla interpretazione delle norme giuridiche e di stimolo per il legislatore.

    Buona fortuna, perché questo futuro – non meno che per altre ragioni – si propone a tinte fosche nella misura in cui si registra la tendenza a sostituire la, sia pur fallace, giustizia degli uomini con quella delle macchine.

    Proprio così: non bastasse la difficile applicazione pratica della già confusa (per usare garbati eufemismi) “Riforma Cartabia”, l’efficentamento del sistema viene proposto come affidabile – già a breve – a quelli che possiamo, simpaticamente, definire dei cretini meccanici.

    Tanto perché si sappia, non stiamo parlando di vaghe idee ed iniziative suggerite da qualche fantasiosa fiction bensì, per fare un esempio, del programma Prodigit messo a punto dal Ministero dell’Economia e dall’Organo di autogoverno della Giustizia Tributaria che dovrebbe essere operativo entro quest’anno: si tratta di un software destinato ad avvocati e commercialisti il cui funzionamento è assegnato ad un algoritmo di intelligenza (??) artificiale capace di prevedere l’esito di un ricorso alle Commissioni Tributarie.

    Ma che bello, penserete voi, così si potrà divinare il futuro di una lite giudiziaria  evitando di perdere tempo e denaro in quelle perse in partenza: tuttavia, mi fiderei maggiormente di una cartomante tzigana che dello strumento informatico messo a punto da una delle parti in causa (ci mette mano anche l’Agenzia delle Entrate) utilizzando oltre un milione di sentenze la cui modalità di selezione è non proprio trasparente e ricorda quella della raccolta, in altri settori, del Massimario della Cassazione con cui, sostanzialmente, si prefabbricano le decisioni future della Corte. Insomma, basterà scegliersi le sentenze a sé più favorevoli, così come verosimilmente avverrà nella imminente fase operativa cui partecipano novanta giudici tributari e dieci giovani studiosi (avvocati e commercialisti? Anche no, grazie), ed ecco che il miracolo della giustizia predittiva potrà facilmente risolversi in una partita truccata cui parteciperanno – appunto – dei cretini meccanici le cui risposte sono condizionate dal data entry.

    Non so voi, ma io non mi siederei al tavolo con qualcuno fortemente sospettato di barare.

    A questo punto, per essere assistiti tanto varrebbe dare l’incarico ad uno straordinario difensore: l’androide/avvocato messo a punto negli USA da tal Joshua Browder e cioè un simpatico robot esperto in scappatoie che – così viene pubblicizzato – permettono di farla franca con l’obiettivo di rendere la professione legale gratuita (ma il replicante bisognerà pur pagarlo o è in regalo?). Sembra che la prima arringa di questo ammasso di microprocessori, plastica e metallo sia prevista per il mese di febbraio, nel frattempo un ottima alternativa è Alexa con il progetto “La legge per tutti”: una sorta di Avvocato nel cassetto 2.0.

    Chissà, gli avvocati di Diritto al Futuro ce la metteranno tutta per evitare che, per i giovani Colleghi non meno che per i cittadini, il futuro sia questo. La preoccupazione, peraltro, resta, compresa quella che alla realizzazione dei programmi di intelligenza artificiale partecipino Giuseppi Conte e Fofò Bonafede.

  • Toghe&Teglie: il pollo alla maniera di Bartolo

    Buongiorno ai lettori di questa succulenta rubrica: sono Bartolo Iacono, avvochef della sezione di Scicli del Gruppo Toghe & Teglie. In questo inizio d’anno tocca a me proporre un piatto che non è mio originale ma al quale ho apportato qualche variante: si tratta di un gustoso polletto.

    Per prima cosa, ovviamente, procuratevi il pollo, un mezzo etto di pancetta, una cipolla, uno spicchio d’aglio, qualche bacca di ginepro, un rametto di rosmarino, qualche foglia di alloro, un paio di salvia, un bicchierino di gin, sale, olio, burro e pepe q.b. (visto che bravo? Ho messo anche un accenno di dosaggio) e del brodo di pollo o di verdure.

    Pulite il pollo e “fiammeggiatelo”, lavatelo per togliere i residui bruciati e poi dividetelo in pezzi.

    In un coccio mettete una noce di burro e un paio di cucchiai di olio evo e fatela sciogliere a fuoco moderato aggiungendo la pancetta tritata insieme alla cipolla e l’aglio sbucciato.

    Nel frattempo infarinate il pollo ed unitelo subito al soffritto rosolandolo e facendolo girare spesso per cinque/sei minuti. A questo punto salate, pepate e spruzzate il gin integrando il tutto con gli odori, bacche di ginepro comprese.

    Ora coprite la casseruola, abbassate la fiamma al minimo e fate cuocere per un’oretta versando  gradualmente il brodo e circa senza dimenticarsi di mescolare di tanto in tanto.

    Misurate attentamente il brodo perché i pezzi di pollo dovranno risultare dorati ed asciutti: ragion per cui aggiungetene poco per volta secondo le necessità.

    Quando il punto di cottura sarà ormai prossimo, fuoco alle polveri alzando l’erogazione del gas per una fiammata finale  e sarete pronti per andare a tavola.

    Come si vede dalla foto è suggerito un contorno di verdure ma non necessariamente i cavolini di Bruxelles: possono essere perfette anche delle patate al forno oppure degli spinaci saltati al burro. Per dissetarvi non dimenticate che ci sono dei rossi dell’Etna di media struttura come il Pistus che non temono confronti…

    Da Scicli per oggi  è tutto, alla prossima!

  • Toghe&Teglie: zuppa di pesce stocco

    Buon 2023 a tutti voi, sono Maurizio Condipodero della sezione reggina di Toghe & Teglie: questa settimana voglio proporvi un piatto leggero leggero – almeno nella accezione calabrese del termine – che, sempre alle mie latitudini, mettiamo in tavola per “sgrassare” dopo i fasti alimentari da Natale in poi.

    Una gustosa zuppetta di pesce stocco, altresì detto baccalà, per cucinare la quale dovrete innanzitutto procurarvi delle patate, mondarle e tagliarle a fette di uno spessore massimo di un paio di centimetri l’una.

    Quante ne servono? (iniziamo con la storia dei dosaggi…uffa!) Quante occorrono a metterne in cottura uno strato steso in un tegame – e non chiedetemi il diametro del tegame, per favore – mettendole in cottura  con abbondante acqua poco salata.

    Ad una decina di minuti circa dal termine della cottura, aggiungete capperi dissalati, olive in salamoia denocciolate, cipollotti tagliati a fettine, origano, peperoncino (non poetava mancare) q.b. e dello stoccafisso precedentemente ammollato e tagliato a pezzi.

    Tempi di cottura? E dai, basta con questi dettagli! Quando il pesce si sarà “arricciato” il piatto sarà pronto.

    A piacere, e ci sta molto bene, si può aggiungere della pasta e la scelta è tra bavette e pastina ma non quella che servono nelle corsie degli ospedali: risoni, padrenostro  – esiste questo formato, credetemi – o spaghetti spezzettati (unica ipotesi ammessa di spezzettamento degli spaghetti, salvo che ai fornelli non ci sia uno chef, per esempio, gallese o austriaco)

    Infine, togliete lo stocco dalla pentola e deliscatelo per bene prima di ricomporre la zuppa e … buon appetito.

    Un caro saluto, a presto!

  • Toghe&Teglie: la lovellutata di ceci

    Buon Anno a tutti i lettori: sono Ornella Lovello del Gruppo Toghe & Teglie ed è un piacere particolare condividere proprio in questo periodo ed in questa rubrica una ricetta a cui i miei amici e Colleghi hanno dato un nome che richiama il mio.

    Vedrete, è facile e “di bella presenza”: i vostri commensali inizieranno a mangiarsi con gli occhi questa vellutata leggera ma saporita e ricca di proteine.

    Incominciate mettendo a bagno i ceci (ma, se avete poco tempo, vanno bene anche quelli già precotti in barattoli) e metteteli a bollire fino a cottura quasi ultimate e poi fateli insaporire a fuoco moderato in un tegame di coccio dove si è già fatta rosolare una cipolla tritata finemente.

    Dopo cinque minuti aggiungete del brodo vegetale – tanto meglio se fresco e fatto in casa: non ci vuole molto –  e lasciare cuocere fino a parziale riduzione del liquido. A piacere si può aggiungere un rametto di rosmarino durante la cottura.

    Spegnete il fuoco, togliete il rosmarino, se lo avete messo, frullate il tutto generando una crema omogenea e mettetela da parte riponendola nel suo contenitore iniziale mantenendola a temperatura.

    Nel frattempo fate saltare in padella con olio evo, aglio, sale e pepe q.b. dei gambi di funghi porcini tagliati a tocchetti mentre in altro padellino dovrete far “crispare”  del prosciutto crudo tagliato a julienne.

    La parte finale è un po’ convulsa ma non complicata e richiede solo alcuni minuti durante i quali vi destreggerete tra tegamini e il coccio in cui la vellutata starà riposando a fuoco minimo.

    In ultimo farete delle cialde di parmigiano mettendo cucchiaiate di parmigiano in un terzo ed ultimo padellino facendo andare con fuoco moderato sino a doratura.

    Impiattate assemblando tutte le singole preparazioni come da foto (in più ci sono dei crostini integrali presi dal fornaio…)e buon appetito.

    Dite che non ho messo le quantità esatte? Beh, lo sapete come va in questa rubrica: siamo spannometrici e lo sarete a vostra volta perchè con l’occhio e qualche assaggio misurato in cucina non si sbaglia.

    Felice 2023 a tutti voi!

  • Toghe&Teglie: tartare di ricciola e avocado

    Buon Natale da Manuel Sarno a tutti i lettori di questa rubrica! Anche questa settimana tocca a me farvi una proposta che – nel rispetto di un menu a base di pesce (almeno per la vigilia) – consiste in una facile e gustosa tartare.

    Esteticamente piacevole anche da vedersi (io sono un disastro ad impiattare, ma c’è il trucco e verrà svelato alla fine) questa tartare di ricciola è perfetta da proporre sia come piatto principale che come antipasto.

    Procuratevi, dunque, della ricciola già sfilettata – se questa non è una delle vostre abilità – e tagliate i filetti a tocchetti: per le porzioni regolatevi in base alle dimensioni e se per caso non si intenda arricchire il piatto con delle code di gamberi.

    Tagliate a tocchetti anche dell’avocado, qualche pomodorino e, se avete scelto questa opzione, anche le code di gamberi dopo ave tolto il carapace e averle pulite dall’intestino.

    In una ciotola, preparate la base per la successiva marinatura, procedimento rapido e facile anche questo: olio evo (in alternativa si può provare anche la salsa di soia), succo di limone o di lime, scorza d’arancia grattugiata, un pizzico di sale Maldon, pepe rosa in grani. Mescolate bene questi ingredienti.

    Ora siete pronti per inserire i filetti sminuzzati, e le code di gamberi se ci sono, nella base per la marinatura: mescolate nuovamente, ricoprite con un panno e lasciate, appunto, a marinare per un’ora, al massimo un paio: eccedere nei tempi non farà insaporire la tartare ma – anzi – finirà con il coprire il sapore ed il profumo del pesce.

    Separatamente condite, ma solo poco prima di andare a tavola, pomodorini ed avocado, vanno benissimo sale, olio e aceto di vino bianco: il tutto in quantità moderate per non rischiare di eccedere in sapidità tenuto conto della base per la marinatura.

    Ed ecco il banale trucco per l’impiattamento: dopo aver mescolato tutti gli ingredienti è sufficiente posizionare un coppapasta su ogni piatto e versarvi la tartare: l’effetto finale sarà quello della foto.

    Ancora auguri, arrivederci con il nuovo anno e con altre golosità dal Gruppo Toghe & Teglie.

  • In attesa di Giustizia: inimicizia con Dio

    E’ Natale e siamo – o  dovremmo essere – tutti più buoni. Invece no: il Ministro della Giustizia, con la illustrazione della sua agenda per la riforma della giustizia ha portato Travaglio ben oltre lo sbocco di bile, alle soglie del colpo apoplettico.

    Allineato perfettamente ai maitre à pensèr  pentastellati, delle cui fonti di intelletto si abbevera, ha chiarito in un editoriale la sua contraria opinione con la classica formula che prevede l’odio e l’insulto mescolati al nulla: “non vogliamo credere ad un amico avvocato, secondo il quale il P.M. Carlo Nordio era simpaticamente noto negli ambienti giudiziari veneziani come el Mona. Ma sappiamo che è molto spiritoso. Infatti le sue riforme fanno scompisciare dal ridere”.

    Il riferimento era non solo al tema della separazione delle carriere ma anche a quello delle intercettazioni telefoniche sul quale il Guardasigilli ha già iniziato a muoversi lamentandone l’eccessivo impiego ed, in particolare, la diffusione arbitraria e pilotata (spesso di stralci decontestualizzati e perciò insidiosamente equivoci).

    Parlando di imbecilli (che è la traduzione dal veneto di “mona” o, almeno, una delle due) Il Direttore de Il Fatto Quotidiano sembra dimenticare che tra i suoi “editori” vi sono personalità dello standing di Toninelli e Bonafede e suggeritori di impiego dei banchi a rotelle, delle primule e dei monopattini per contrastare la diffusione del covid: un esemplare di ognuno dei quali andrebbe esposto in tutti i musei a perenne memento di quanto sia rischioso affidare il potere ad una combriccola di politici improvvisati e cervelli disabitati scelti su una piattaforma online.

    Per fortuna, ad elevare il tono del dibattito ci ha pensato uno dei suoi più autorevoli sodali:  Piercamillo Davigo.

    L’ex P.M. di Mani Pulite – in maniera meno volgare ma comprensibile ha dato dell’ignorante a Carlo Nordio che farebbe uso di parole errate vaghe e strumentali – ospite di una ospitale rete televisiva ha esordito ricordando che la National Security Agency fa molte più intercettazioni delle nostre Procure e per di più non necessita nemmeno di autorizzazione dell’autorità giudiziaria.

    Esempio non del tutto calzante ma andiamo oltre: ha in seguito sostenuto che il segreto investigativo tutela le indagini ma non la reputazione degli intercettati. Bene ma non benissimo perché se è vera la prima affermazione la seconda non può costituirne un corollario: in due parole, seppure un’intercettazione sia lecita perché autorizzata nel rispetto dei presupposti di legge non è conseguente il farne impiego con possibile pregiudizio della onorabilità anche di persone estranee all’indagine ovvero coinvolte ma non indagate né tantomeno ancora condannate. A tacer del fatto che ciò costituisce un reato, per quanto quasi mai genetico di avvio di accertamenti giudiziari e ancor meno di sanzioni.

    Gli esempi di vittime della propalazione indebita di conversazioni captate con effetti devastanti sono innumerevoli; Nordio in un suo intervento recente in Commissione Giustizia della Camera ne ha ricordati due significativi: quello del Consigliere del Presidente della Repubblica, Loris D’Ambrosio e della Ministra Guidi che tutti ricorderanno. Secondo Davigo la loro tutela risiederebbe nella possibilità di proporre querela per diffamazione: non è neppure così per la verità e sarebbe in ogni caso come evocare la classica chiusura della stalla dopo che i buoi sono scappati.

    Siano il lettori di questa rubrica a trarre le conclusioni: una potrebbe essere che se Travaglio e Davigo hanno oltrepassato il confine della crisi di nervi, forse, con le ipotesi di riforma siamo sulla buona strada; l’altra è che l’attuale Ministro della Giustizia sia colpevole di inimicizia con Dio se si è messo dialetticamente e concettualmente in conflitto con una delle divinità pagane di Mani Pulite, nume protettore di Marco Travaglio e della redazione del suo quotidiano.

  • Toghe&Teglie: pizza di scarola

    Buona settimana a tutti, sono Andrea Schietti – il “Gambero Rozzo” del Gruppo Toghe & Teglie – specializzato in piatti a base di pesce, sebbene le mie origini siano tutt’altro che marinare, e di alcune mie preparazioni apparse in questa rubrica spero che  vi sarete già impratichiti restandone soddisfatti; questa volta intendo proporvi una specialità campana, in continuità con la Nerano di Claudia Stefanelli pubblicata la settimana scorsa: la pizza di scarola, una delizia cui mi sono dedicato durante giorni di forzata permanenza a casa causa Omicron 2.

    Ovviamente, avendo tempo, avrei potuto preparare a mano l’impasto – che è quello per il pane o la pizza –  ma, avendo in dispensa quello già pronto mi sono risparmiato la fatica: l’importante, in entrambi i casi (la realizzazione domestica non è complicata, soprattutto se si dispone di una impastatrice), la corretta lievitazione per evitare che avvenga in seguito nello stomaco con le immaginabili e sgradevoli conseguenze.

    Risolto il problema della base, occorre dedicarsi al ripieno (dosaggio sempre spannometrico, come da tradizione di questa rubrica): suggerisco, io almeno ho fatto così, della scarola liscia tagliata a pezzi di ridotte dimensioni fatta poi soffriggere in padella con olio evo, aglio e acciughe schiacciate che andranno a sciogliersi amalgamandosi alla verdura.

    Aggiungete, subito dopo che le acciughe si saranno disfatte,  pinoli tostati, uvette, capperi, olive nere denocciolate e fate cuocere non più di un quarto d’ora a fuoco moderato.

    Quasi finito: spegnete il fuoco e trasferite il ripieno su una base di pasta che avrete stirato dandole la classica forma tonda, ricoprite con un altro disco di pasta (volendo si può leggermente insapidire spolverando qualche grano di sale grosso) e infornate per mezz’ora a 220 gradi.

    Pronti per andare a tavola? La pizza di scarola è un altro piatto assai versatile: può accompagnare un aperitivo, costituire un primo, un contorno o essere anche un piatto unico. E se optate per la formula brunch va bene anche a colazione…e non lasciatevi tentare da bizzarre variazioni con il pata negra o altri ingredienti che non c’entrano nulla.

    Ah, dimenticavo: intanto che preparate la vostra pizza alla scarola, mettete in frigo una bottiglia di Falanghina, un Falerno o una Lacryma Christi e vedrete che, ben freddo, un vinello così è l’accompagnamento perfetto.

    Alla prossima!

  • Toghe&Teglie: la Nerano

    Buone Feste – sì, ormai ci siamo – a voi lettori: sono Claudia Stefanelli, avvocata casertana del Gruppo Toghe & Teglie prescelta questa settimana per proporvi la “mia” versione degli spaghetti alla Nerano. Si tratta di un piatto tradizionale della Costiera la cui ricetta originale – oggetto di leggendarie ed immaginifiche ipotesi – continua ad essere gelosamente custodita nelle cucine del ristorante “Maria Grazia”, dove è nata, a Marina del Cantone che è, appunto, la spiaggia di Nerano. In qualche modo, però, ci si riesce ad avvicinare: almeno come risultato finale sia dal punto di vista ottico che del gusto.

    Proprio in questa rubrica, mesi addietro, è stata pubblicata una squisita ed innovativa variazione della Nerano a firma dei miei straordinari amici e colleghi Massimo Schirò e Marco de Scisciolo che vi suggerisco di andare a ricercare; quella che andrò ad illustrarvi è più aderente alla classica…o, almeno, spero.

    Per prima cosa procuratevi il provolone del Monaco perché è l’ingrediente principe: si trova anche al nord, tranquilli, sebbene non dappertutto e più difficilmente nei supermercati. Meglio orientarsi verso qualche gastronomia ben fornita di prodotti caseari.

    Poi passiamo al secondo componente essenziale: le zucchine, andando ad occhio, come al solito, per tre/quattro porzioni friggetene un paio (dipende anche dalla dimensione) tagliate a rondelle sottili e intanto grattugiate 100/150 grammi di provolone del Monaco cui va aggiunto un cucchiaio di parmigiano stagionato 24 mesi.

    Calate in abbondante acqua la pasta (perfetti degli spaghettoni: suggerisco quelli dell’Antico Pastificio Gaetano Inserra – lui è uno di noi, un avvocato del Gruppo – di Gragnano e li potete ordinare via internet o telefonicamente), e nel frattempo eliminate, asciugandole, l’eccesso di olio dalle zucchine riponendole in una capiente ciotola di coccio.

    A tre quarti di cottura scolate la pasta conservando un po’ di acqua di cottura che aggiungerete alle zucchine insieme agli spaghettoni che, così, continueranno a cuocere delicatamente e, verso il finale, mantecate con il mix di provolone, il parmigiano ed una spruzzata di pepe profumato.

    A scelta si può guarnire il piatto con del basilico fresco.

    Auguri a tutti e…buon appetito!

  • Toghe&Teglie: gli arancini di alici

    Nella vita c’è sempre una prima volta e per me lo è questa sulle colonne de Il Patto Sociale, in questa rubrica! Buongiorno a tutti i miei (nuovi) lettori da Francesco Spampinato, catanese del Gruppo Toghe  & Teglie, oggi pronto ad affrontare gli strali dei puristi con questa preparazione che degli arancini ha – praticamente – solo il nome e la forma.

    Per una buona riuscita, le alici devono essere perfettamente spinate: un lavoraccio che potete anche evitarvi lasciandolo fare alla pescheria.

    Fatto l’acquisto principale, potete procedere preparando un semplice impasto di patate bollite con della  buccia di limone grattugiata fine, sale e pepe q.b. ed un po’ di cipolla caramellata.

    Ora non sgomentatevi per via della cipolla caramellata che è facilissima da preparare (e l’avrete preparata prima, ovviamente): tagliatela ad anelli e fatele andare in padella scoperta a fuoco lento con una tazzina d’acqua, zucchero di canna, sale e – se piace – un goccio di aceto balsamico; fondamentale è la cottura dolce che evita che la cipolla bruci, mentre deve glassare. Il tempo necessario è variabile, dovrete andare un po’ ad occhio e assaggio:  il minimo sono una ventina di minuti durante i quali sarà necessario mescolare spesso con un cucchiaio di legno, rabboccando con un cucchiaio d’acqua se necessario ed aggiungendo in finale l’aceto balsamico.

    Avendo tutto pronto, lavorate ogni alice con la mano concava come per fare gli arancini che poi andrete a comporre con tutti gli ingredienti unendole all’impasto di patate: le alici per ogni forma sono tre e nel  ripieno ci sta molto bene un tocchetto di edamer.

    Non c’è il riso, non c’è il ragù, allora non sono arancini? Finitela con le polemiche, chiamate come volete questa delizia (perché tale è): crocchette di alici può andar meglio? Contenti voi…ma soprattutto i vostri ospiti, che stupirete, contenti tutti.

    Alla prossima, buon appetito!

  • In attesa di Giustizia: la certezza della pena ai tempi del diritto illiberale

    Qualcosa si muove sul piano delle riforme della Giustizia, almeno così pare, sebbene il fallimento annunciato degli elaborati della Commissione Cartabia conosca per il momento solo un poco utile rinvio a fine anno e le prime iniziative del Governo appaiano meno che convincenti, costringendo la Corte Costituzionale ad evitare di decidere sull’ergastolo ostativo rinviando alla Cassazione il compito di interpretare “gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni di legittimità sollevate”; nel frattempo sono già iniziate le audizioni dei tecnici per rimediare – in sede di conversione – allo sconclusionato decreto di contrasto ai rave parties.

    Il Ministro Nordio, tuttavia, tenendo fede ad una promessa frutto di una sua antica (e condivisibile) convinzione, incontrerà tra pochi giorni i rappresentanti dei Sindaci per dare avvio ai lavori di modifica dell’abuso di ufficio: un reato che negli anni è stato modificato almeno quattro volte senza mai pervenire ad una formulazione che non consista in vaghe fumisterie da cui origina quella che è stata definita “burocrazia difensiva” e cioè a dire un immobilismo operativo degli enti locali volto ad evitare facili incriminazioni, sebbene assai raramente seguite da condanne ma accompagnate da blocco di lavori pubblici e dispersione di fondi. Sarebbe un piccolo passo ma foriero di effetti positivi.

    Ed è proprio il timore di Sindaci ed Assessori di essere prima indagati e poi sottoposti, prima di una condanna, al maglio della “Severino” che paralizza anche l’impiego di risorse del PNRR destinati ad importanti opere sul territorio; come se non bastasse il TAR della Puglia che ha fermato i lavori locali per l’alta velocità – finanziati con denari europei – accogliendo un ricorso di associazioni ambientaliste che invocano la salvaguardia di alcuni mandorli e carrubi presenti sul tracciato. Degni del massimo rispetto, però…

    Quello che manca nel nostro sistema e l’abuso d’ufficio è un esempio eclatante – prima ancora degli operatori in numero adeguato che lo facciano funzionare – sono la certezza del diritto e della pena venuti meno negli anni per la marginalità culturale del legislatore e la debolezza della politica quali concause della destituzione dello Stato di diritto cannibalizzato da una magistratura intesa a dilatare e mantenere la propria acquisita posizione di potere sul presupposto di una supposta superiorità morale che – come si è visto ed accertato oltre ogni ragionevole dubbio – non c’è.

    Ben venga, allora, per dare inizio ad una stagione di autentiche riforme quella dell’abuso di ufficio che avrebbe anche il merito di proporsi come una normativa bandiera finalizzata a porre un primo argine al tempo del terrore giudiziario, fondato sulla brutalità proterva della cultura del sospetto.

    Certezza del diritto, dunque: principio giuridico cardine in base al quale una norma deve essere formulata in modo chiaro ed essere soggetta ad una interpretazione univoca, un obiettivo cui il legislatore deve tendere in fase di produzione delle leggi e certezza della pena da intendersi non come certezza del carcere quanto prossimità della sua espiazione il più vicino possibile al delitto commesso ed attribuito: solo così sarà giusta ed utile.

    Come si nota, risalendo al pensiero illuminista alle teorizzazioni di Beccaria e Cattaneo, tali concetti risultano assai diversi e lontani dalle opzioni di politica sanzionatoria illustrate, da ultimo nel c.d. Contratto del “Governo del Cambiamento”: un  autentico manifesto del diritto illiberale che poteva essere partorito solo da cervelli disabitati come quelli dell’azzimato damerino di Volturara Appula e del buffo Muppet travestito da Guardasigilli

    Ora ad un cambiamento vero bisogna credere, anzi, più che crederci  bisogna pretenderlo.

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