Usa

  • Groenlandia al voto. Stavolta più di Copenhagen preoccupa Washington

    L’11 marzo gli abitanti della Groenlandia sono stati chiamati alle urne per eleggere il governo locale, in quello che potrebbe essere un voto cruciale per il futuro dell’isola, la più grande al mondo. Negli ultimi tempi, la Groenlandia si è infatti trovata oggetto di attenzioni inusuali per un territorio così isolato e marginale nella politica internazionale. L’isola, che gode di una semi-autonomia dalla Danimarca, è stata infatti definita dal presidente statunitense Donald Trump come “indispensabile per la sicurezza nazionale e internazionale”, in virtù della sua posizione strategica, tra l’Oceano Atlantico e il Circolo polare artico, e per via delle ingenti ricchezze del suo sottosuolo. Per queste ragioni, il titolare della Casa Bianca ha promesso di fare il possibile affinché la Groenlandia passi sotto il controllo statunitense, nonostante ciò voglia dire scontrarsi con una nazione alleata all’interno della Nato, la Danimarca. I toni usati da Trump negli ultimi mesi non sembrano tenere in particolare conto nemmeno la volontà della popolazione locale dell’isola, che da decenni vive un complesso dilemma tra la volontà di una maggiore autonomia politica da Copenaghen, se non una totale indipendenza, e la realtà di non avere strumenti economici alla portata per assicurare la sostenibilità di tale progetto.

    I groenlandesi sono infatti dipendenti dal sostegno finanziario che il governo danese fornisce loro ogni anno (oltre 500 milioni di euro), necessario a coprire i limiti di un’economia basata prevalentemente sulla pesca e sul turismo. La grande ricchezza della Groenlandia, costituita dalle risorse naturali e minerarie, rappresenta un capitolo a parte: il timore di vedere il proprio territorio profondamente alterato dall’attività estrattiva ha fatto prevalere tra gli elettori un sentimento di diffidenza verso quelle iniziative economiche che potrebbero senz’altro assicurare grandi rendite e quindi favorire il processo di indipendenza. Tale approccio “conservatore”, motivato da considerazioni ecologiste e politiche, ha consegnato la vittoria al partito Inuit Ataqatigiit nelle ultime elezioni locali nel 2021. All’epoca lo sfruttamento minerario era stato al centro del dibattito tra le varie formazioni groenlandesi, in particolare per quanto concerneva il giacimento di terre rare di Kvanefjeld. A distanza di quattro anni, la posta in ballo non è più limitata alle scelte economiche ma coinvolge anche il futuro della Groenlandia e la sovranità del territorio, a fronte delle ambizioni rivendicate da Trump. Allo stato attuale l’isola gode di una grande autonomia dalla Danimarca, eccetto per gli affari esteri, la difesa e la politica monetaria, che spettano a Copenaghen – nel cui Parlamento sono comunque assicurati dei seggi ai rappresentanti groenlandesi. Sebbene i sondaggi confermino la predominanza del sentimento indipendentista tra i cittadini, non c’è uniformità di giudizio sulle tempistiche dell’effettivo distacco dalla Danimarca e il potenziale impatto di tale decisione sulle finanze pubbliche e sugli standard di vita.

    Le proposte dei principali partiti groenlandesi rispecchiano questa dinamica. Il già citato Inuit Ataqatigiit, formazione socialista e ambientalista attualmente al governo con il suo leader Mute Bourup Egede, si dice formalmente indipendentista ma non ha presentato piani concreti per questo obiettivo, sottolineando le difficili condizioni economiche in cui la Groenlandia potrebbe trovarsi una volta ottenuta una piena sovranità. Linea similare è quella del partner di maggioranza, il partito di impostazione socialdemocratica Siumut, che sostiene una secessione graduale dalla Danimarca e che in passato ha lanciato l’idea di un referendum da tenersi a breve termine, salvo poi ritirare tale iniziativa. Naleraq, la principale forza di opposizione, ritiene invece che una rapida transizione verso l’indipendenza sia possibile e che gli abitanti della Groenlandia ne trarrebbero beneficio economicamente grazie a un rilancio dell’industria della pesca e in generale delle esportazioni. Un tema su cui Naleraq ha insistito in campagna elettorale è anche quello relativo a un accordo di difesa con gli Stati Uniti, che già operano alcune basi sull’isola. Contrari all’indipendenza sono invece gli esponenti di Atassut, partito conservatore che promuove invece il proseguimento del rapporto con la corona danese nel contesto del Commonwealth con Copenaghen.

    I desideri di Trump non sembrano dunque sposarsi con quelli delle formazioni politiche groenlandesi, in particolare per quel che riguarda il controllo dei giacimenti minerari e in generale delle risorse naturali del territorio artico. Recenti sondaggi condotti in Groenlandia per testate locali e danesi hanno evidenziato come solo il 6% dei cittadini sia favorevole a un passaggio sotto la sovranità Usa, a fronte dell’85% di contrari a qualsiasi prospettiva del genere. Gli elettori chiamati domani a rinnovare i 31 seggi dell’Inatsisartut, il Parlamento di Nuuk, dovranno dunque decidere in che direzione condurre la Groenlandia, in un complicato equilibrio tra istanze di indipendenza e un gioco politico di dimensioni transatlantiche.

  • Opportunismo camaleontico ed altro

    L’opportunista segue con tenacia la direzione del vento:

    anche quando fiuta odore di merda.

    Dino Basili; da “I violini di Chagall”

    La saggezza umana, maturata ed arricchita nei secoli, ci arriva anche tramite le favole. Ogni popolo ha le sue. Ma ci sono altre, molto note e significative, che, tramandate dall’antichità, oltrepassano i confini delle nazioni. Una delle favole scritte da Esopo, elaborata in seguito da Fedro e poi rielaborata di nuovo da Jean de La Fontaine, è anche la favola “La grenouille et le bœuf” (La rana e il bue; n.d.a.). La rana, “grande non più d’un ovo di gallina”, invidiosa qual è, vuol somigliare al bue “bello e grasso e grosso”. E comincia a gonfiarsi “a più non posso per non esser del bove più piccina”. E chiedeva sempre se era “ben grossa” come il bue. Le amiche però le dicevano che non lo era ancora. Ed invidiosa, la rana “si gonfia e gonfia e gonfia” ed infine “scoppia come una vescica”. La terza strofa della favola scritta da Jean de La Fontaine non esiste nelle due precedenti. Si tratta perciò di un’adattamento alle realtà politiche e sociali del ‘600. Bisogna però sottolineare che Jean de La Fontaine apprezza la franchezza, il coraggio e la lealtà del popolo, mentre ripudia ed ironizza la falsità, l’ipocrisia, la vanità ed il narcisismo dell’alta società. “Borghesi, ch’è più il fumo che l’arrosto,/ signori ambiziosi e senza testa,/ o gente a cui ripugna stare a posto,/ quante sono le rane come questa!”. Il significato ed il simbolismo di questa favola sono molto attuali.

    Anche adesso ci sono dei “signori ambiziosi e senza testa”, come scriveva Jean de la Fontaine. Con il loro comportamento spesso irresponsabile, con il loro narcisismo, ma, allo stesso tempo, anche con la loro arroganza, alcuni “grandi del mondo”, mentre pretendono le loro scelte di “convenienza strategica, economica e geopolitica”, stanno attirando e preoccupando l’opinione pubblica, sia a livello locale che internazionale. Nel frattempo, a livello locale, c’è qualche piccolo dittatore sui generis che cerca di apparire “grande e grosso”, come la rana della favola. E cerca di attirare l’attenzione pubblica, finché e fin dove può, “gonfiandosi” in senso figurato. Ma dovrebbe essere attento, perché non si sa mai l’atteggiamento dei “grandi” e, in seguito, potrebbe “scoppiar come una vescica”. Come la rana della favola.

    Attualmente c’è qualche autocrate in difficoltà che cerca di adattarsi ai continui sviluppi, spesso anche imprevisti a livello internazionale ed attirare l’attenzione e l’amicizia dei “grandi”. Tipico e molto significativo è il caso del primo ministro albanese. Lui, nel marzo del 2016, quando negli Stati Uniti d’America era già cominciata la campagna per le elezioni presidenziali dell’8 novembre 2016, ha fatto pubblicamente delle dichiarazioni clamorose e molto offensive contro il candidato che vinse poi le elezioni. Lo stesso che attualmente è il presidente degli Stati Uniti d’America. Era il 26 marzo 2016 quando, durante un’intervista, il primo ministro albanese dichiarava convinto che “è vergognoso per gli Stati Uniti d’America eleggere un presidente come Donald Trump!…Se Trump sarà presidente, questa sarà una disgrazia per gli Stati Uniti!”. In seguito, il 14 aprile 2016, un giornalista della CNN, il quale, riferendosi alla sopracitata dichiarazione, si rivolgeva al primo ministro albanese, dicendogli che “l’etica diplomatica richiede che i dirigenti internazionali non commentino le elezioni negli altri Paesi”. Il primo ministro gli ha risposto, dichiarando che “la pace nei Balcani potrebbe essere messa in pericolo dalle idee e dai comportamenti di Trump!”.

    Sempre riferendosi all’allora candidatura di Trump, durante un’intervista alla “Foreign Policy”, il primo ministro albanese aveva dichiarato che “Trump sta discreditando gli Stati Uniti agli occhi di ognuno che considera gli Stati Uniti come la città raggiante nella collina”. Mentre, in un’altra intervista rilasciata alla “Voice of America”, lui, da noto narcisista qual è, ha dichiarato: “Io credo che coloro che in Albania si schierano con Trump prima che con me, nonostante le differenze che abbiamo, meritano pietà” (Sic!). Tornato dagli Stati Uniti, il primo ministro albanese ha dichiarato ad una televisione in Kosovo che “se accadrà che Trump sarà eletto il primo (cioè presidente; n.d.a.) degli Stati Uniti, questa potrebbe essere una disgrazia per il Paese”. Ed in seguito aveva aggiunto convinto che “si deteriorerebbero le relazioni diplomatiche tra l’Albania e gli Stati Uniti. Perciò non sia dato dal Signore che gli americani scegliessero Trump come presidente”.

    In seguito alle sopracitate dichiarazioni del primo ministro albanese nella primavera del 2016, ha reagito, tramite “Fox News”, anche uno dei collaboratori di Trump. Lui ha affermato che “Questa settimana è stato a Washington l’amico di George Soros (il primo ministro albanese; n.d.a.)… Quest’uomo, parlando di Donald Trump, ha detto che lui rappresenta un pericolo per la civiltà!”. E poi ha aggiunto: “Noi dobbiamo dire a questi politici europei di non ficcare il naso nella nostra politica interna”.

    Ma adesso, che Trump è diventato il presidente degli Stati Uniti d’America, il primo ministro albanese, da opportunista camaleontico e senza vergogna alcuna, ha cambiato completamente le sue dichiarazioni nei confronti di Trump. Anche perché quest’ultimo ha pubblicamente rinnovato la sua determinazione per considerare George Soros, il “protettore” del primo ministro albanese, come un suo nemico da combattere a tutti i costi. Ma anche perché lui, il primo ministro albanese, è direttamente coinvolto in alcuni scandali ancora sotto inchiesta negli Stati Uniti. Ragion per cui il 9 febbraio scorso, riferendosi alla dichiarazione di Trump fatta il 20 gennaio scorso, e cioè che “Dio mi ha salvato per far sì che l’America possa ritornare grande…”, il primo ministro albanese, da Madrid, dove si trovava per un’attività internazionale, ha fatto una molto “sincera e sentita” dichiarazione. “…Dio ha salvato Donald Trump per risvegliare l’Europa. E se così è, Trump è una benedizione per l’Europa”. E da allora ad oggi, il primo ministro albanese, da innato e voltagabbana senza scrupoli qual è, spera di attirare l’attenzione dell’aministrazione statunitense a suo favore. E per riuscirci, concede progetti edilizi miliardari al genero del presidente statunitense. Il nostro lettore è stato informato, a tempo debito, di questi progetti (Poteri ed interessi occulti nei Balcani ed altrove; 25 marzo 2024). Questo radicale e camaleontico cambiamento nelle dichiarazioni del primo ministro albanese non poteva passare inosservato. Ma lui ha “giustificato” tutto dichiarando che “…nel 2016 non avevo tutti i capelli bianchi. Ero giovane e lui (Donald Trump; n.d.a.) non era il presidente, era un candidato. Ho potuto vederlo in azione da vicino e, sicuramente, ho cambiato opinione.” (Sic!).

    Nonostante le stature e l’importanza geopolitica a livello internazionale, bisogna evidenziare però una certa somiglianza nel modo in cui sia il primo ministro albanese che il presidente statunitense cambiano le loro dichiarazioni. Il primo ministro albanese nei confronti del presidente degli Stati Uniti d’America e quest’ultimo nei confronti del presidente dell’Ucraina. Il 19 febbraio scorso Trump considerava Zelensky “un dittatore”. Mentre solo una settimana dopo, alla domanda di un giornalista “Chiamerebbe ancora Zelensky un dittatore?”, Trump ha risposto: “L’ho chiamato un dittatore? Non ci credo. Prossima domanda”. E quanto sta accadendo in queste ultime settimane tra Trump e Zelensky è ormai di dominio pubblico. Ed è molto preoccupante.

    Chi scrive queste righe pensa che, nonostante tutto, si tratta sempre di opportunismo camaleontico sia da parte dei “grandi del mondo” che dei piccoli dittatori locali. Aveva ragione Dino Basili: l’opportunista segue con tenacia la direzione del vento, anche quando fiuta odore di merda.

  • I segnali del tempo che cambia

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo del Prof. Francesco Pontelli

    Sono ormai evidenti i primi segnali del cambiamento della stagione caratterizzato dal fiorire dei primi fiori primaverili quanto dallo scioglimento delle prime nevi anche ad alte quote.

    Contemporaneamente nello scenario bellico internazionale la Russia ormai ha compreso come un nuovo accordo di pace sia inevitabile, anche in considerazione del peso delle sanzioni promesse dagli Stati Uniti nel caso non si aderisse ad una trattativa con il nemico ucraino. Prova ne sia il fatto che proprio negli ultimi giorni Putin stia aumentando il proprio sforzo bellico per arrivare al tavolo negoziale in una posizione di maggiore forza.

    Contemporaneamente l’Ucraina cerca di riallacciare i rapporti con gli Stati Uniti e si dichiara maggiormente disponibile ad un nuovo negoziato anche a causa del timore di un possibile spegnimento dell’occhio satellitare che l’impedirebbe di vedere gli attacchi russi rendendola più vulnerabile agli attacchi di Mosca.

    Viceversa l’Europa sta declinando sempre verso lo status di terra marginale, cioè rappresenta il classico scenario di guerra secondaria come poteva essere negli anni settanta il Vietnam.

    Questo inesorabile declino rappresenta uno degli effetti della strategia della istituzione europea la quale, in prossimità di un possibile accordo, non trova una posizione politica e diplomatica che le consenta di entrare all’interno di un negoziato complesso dopo tre anni di una strategia che non ha mai compreso l’alternativa diplomatica alla soluzione del conflitto russo ucraino. Una trattativa i cui esiti si manifesteranno inevitabilmente proprio all’interno del continente europeo, ed invece di trovare una propria collocazione non trova niente di meglio se non emettere nuovo debito per l’aumento delle spese militari e probabilmente la creazione di un esercito comune.

    Il medioevo politico ed intellettuale espresso nell’intera Europa e dalla propria classe politica ed intellettuale non ha precedenti nella storia del genere umano in quanto si conferma la assoluta incapacità di avvertire i cambiamenti del tempo politico i quali virano verso una nuova opportunità di tregua se non addirittura di pace.

    Solo chi non sappia neppure leggere si può dimostrare non in grado di comprendere questi segnali della evoluzione di questo periodo, il quale finalmente si rivela in forte cambiamento.

  • Trump dopo aver tolto all’Ucraina l’aiuto dell’intelligence ha sulla coscienza i morti

    Ora all’Europa ed ai cittadini di tutto il mondo dovrebbe essere chiaro, dopo quanto accaduto in questi giorni, che  i morti ucraini ed i feriti delle ultime ore sono da imputarsi a Trump che ha tolto all’Ucraina quell’ombrello di intelligence che l’aiutava a prevenire e intercettare gli attacchi assassini di Putin.

    Trump può ascrivere ai primi giorni del suo nuovo mandato una serie di assassini programmati.

    L’Ucraina è diventata la cavia del nuovo assetto globale che i tre dittatori, Trump, Putin e Xi Jinping vogliono realizzare.

    Se Putin ha riportato indietro la storia di cinquanta anni, spingendo popoli pacifici, per timore della propria incolumità, a pensare di tornare indietro dai trattati che mettevano al bando le mine anti uomo e le bombe a grappolo, cosa dobbiamo dire di Trump,  presidente di quella che si vantava di essere la più grande democrazia al mondo, che scientemente condanna a morte inermi civili ucraini per raggiungere il suo obiettivo affaristico?

    Guardiamo i fatti come sono, ciascuno può avere l’ardire di fornire la sua verità ma la realtà è inconfutabile anche se la politica spesso ha la memoria troppo corta, e troppi sporchi interessi da difendere, per ricordarsene.

    L’Ucraina è stata attaccata tre anni fa, l’intento di Putin era di ucciderne  il presidente e di dare vita ad un governo fantoccio per annettersi di fatto tutto il paese con una dirigenza politica a lui asservita.

    Gli ucraini hanno coraggiosamente reagito, il presidente Zelensky non è scappato ed è rimasto alla guida del suo popolo.

    Ci sono state stragi di ogni tipo da parte dell’esercito russo, della Wagner e del bieco ceceno, rasi al suolo villaggi, rapiti centinaia di bambini, colpiti ospedali, palazzi civili, centrali energetiche per rendere sempre  più impossibili le condizioni dei civili.

    Il diritto internazionale è andato, come si suol dire, a farsi fottere perché nessuno aveva la capacità di imporlo mentre la Russia, aggressore di uno stato sovrano, continuava e continua imperterrita ad avere il potere di veto alle Nazioni Unite.

    Gli alleati dell’Ucraina hanno dato tangibilmente la loro solidarietà ma troppo spesso le armi e gli aiuti promessi sono arrivati in ritardo, troppo in ritardo per la resistenza sul campo.

    Putin ha dato l’avvio a nuovi reclutamenti, salvando i figli degli oligarchi e prendendo le nuove reclute dalle regioni più povere e lontane dalla capitale, ha aperto le carceri a malfattori e assassini arruolandoli, ha usato milizie private come la Wagner, fino a che ha fatto assassinare anche il suo capo per controllarle meglio e impossessarsi delle ricchezze accumulate da Prigozin, ha stretto alleanza con uno degli uomini più folli e sanguinari, Kim Jong-un, facendo arrivare al fronte i soldati della Corea del Nord.

    Ora Putin chiede a Zelensky di essere disponibile alla pace ed il presidente ucraino dice di sì ma che vuole garanzie per il futuro, infatti le garanzie che erano state date quando l’Ucraina, alla fine della guerra fredda, aveva ceduto il suo arsenale militare nucleare non sono servite a nulla.

    La risposta di Trump è stata di togliere gli armamenti già promessi e l’aiuto dell’intelligence con il quale l’Ucraina riusciva a debellare una parte degli attacchi russi che massacrano i civili.

    Cosa dobbiamo dire di più? Avere Trump come alleato è un pericolo, è inaffidabile probabilmente per i suoi problemi caratteriali, dice e smentisce anche se stesso.

    Cosa dire di fronte a personaggi come Orban e Salvini felici di essere vassalli di qualcuno più forte, e che scambiano la giustizia con un loro possibile tornaconto? Purtroppo non sono i soli ma quelli come loro sono soltanto un piccolo incidente della cronaca.

    Il tempo però stringe, l’Europa sta cominciando a svegliarsi ma è troppo lenta, non c’è più tempo per i nazionalismi ottusi, la patria si difende insieme alle altre patrie dando vita ad un’Europa che ci rappresenti tutti sul piano politico, militare e culturale e bisogna fare presto e bene.

  • La serpe in seno

    Gli Stati Uniti dopo aver tolto all’Ucraina l’invio delle armi già concordare da mesi e tolto l’ombrello della loro intelligence che era basilare per la difesa e per l’offensiva Ucraina, ora avrebbero tolto, secondo giornali americani, anche l’intelligence che copriva gli insediamenti civili.

    Trump aveva detto giorni fa, che voleva fermare la guerra per impedire nuove continue morti, poi ora ha tolto la difesa degli Stati Uniti anche alle postazioni civili, case, ospedali, centrali energetiche, di fatto vuole impedire nuove morti russe e vedere morire più ucraini possibile così che il popolo ucraino, già stremato, sia costretto ad una resa senza condizioni.

    A conti fatti sembra che la minaccia più letale all’Occidente stia venendo proprio dal presidente americano, infatti Putin si sapeva che era un nemico, sapevamo tutti il suo spregiudicato modo di intendere la guerra, morti, civili, rapimenti di bambini, stragi di interi paesi, di Trump pensavamo che fosse un amico e abbiamo scoperto la serpe in seno.

    Speriamo che nel suo frenetico agitarsi invece di pungere gli altri punga se stesso.

  • Ci siamo sbagliati?

    E se fosse quello espresso, in varie forme, da Trump il sentimento più profondo degli Stati Uniti? Non sono forse stati sterminati gli indiani? Ed i pochi sopravvissuti non vivono certo in condizioni ideali, derubati delle ricchezze delle loro terre, visti come una minoranza da sopportare, loro che erano i nativi americani.

    E nelle sterminate terre da conquistare all’agricoltura ed all’allevamento non è spesso accaduto che gli allevatori facessero guerra ai contadini e ci fossero violenze di ogni genere?

    La violenza, fisica e verbale, non è una novità e anche ogni progresso porta in se violenze, ingiustizie, prevaricazioni, nonostante tutti i passi avanti della scienza la legge del più forte prevale ancora.

    C’era però un tempo, o almeno così era sembrato a noi, che dall’America venivano messaggi positivi, nei film il cattivo soccombeva al buono, la giustizia trionfava, ciascuno poteva coltivare speranze sotto la Statua della Libertà.

    Ci siamo sbagliati? Forse sì perché è impossibile che un uomo, con tutte le caratteristiche di Trump, abbia potuto tornare nella Stanza Ovale, nonostante i processi e gli scandali, senza il consenso della gente e se è stato votato vuol dire che rappresenta almeno una buona parte dello spirito americano.

    Prima della campagna elettorale in molti ci eravamo chiesti come era possibile che una grande nazione come gli Stati Uniti avesse candidate per la presidenza solo due figure come Trump e Biden, l’uno che con le sue urla e atteggiamenti da bullo, l’altro ormai visibilmente troppo anziano e provato nella salute.

    È sbagliato il sistema elettorale? A nostro avviso sì, quando per esercitare il diritto al voto bisogna iscriversi alle liste elettorali è già un passaggio che lede la democrazia diretta.

    Ricordo come, durante la prima presidenza Trump, amici irlandesi, abituati per anni ad andare negli Stati Uniti ad incontrare parenti e a fermarsi per un certo tempo, ci avevano detto di non riconoscere più l’America, non si poteva commentare nulla, si sentiva che le persone avevano paura ad esprimersi liberamente, decisero di rinunciare ad andare in un mondo dove si stava perdendo il senso della spontaneità, della stessa libertà.

    Guardando le esibizioni di Musk e di Trump, i cappellini, i saltelli, le motoseghe, prende un profondo senso di repulsione e di scoramento, tutto è ormai uno spettacolo, un alzare l’asticella della provocazione, uno sminuire gli altri, un volersi accreditare con i peggiori del mondo, un tessere ricatti.

    Un po’ di responsabilità l’Europa l’ha certamente, nelle colonie inglesi e francesi furono mandate, in gran parte, persone che l’Europa non voleva in patria e oggi forse Trump cerca una rivincita?

    Nel nuovo ordine mondiale che Trump, Musk, Putin e Xi-Jinping stanno programmando spetta a noi europei decidere cosa vogliamo fare, restare vassalli o tornare ad essere il fulcro della democrazia e questa scelta passa anche dal futuro dell’Ucraina e dalla speranza che la maggior parte degli abitanti degli Stati Uniti non la pensino come Trump.

  • How pausing US intelligence impacts Ukraine’s military operation

    The precise significance of US intelligence to Ukraine’s war effort has, for obvious reasons, never been spelled out in detail.

    But most analysts agree that it performs two important functions: helping Ukraine to plan offensive operations against Russian forces, and giving Kyiv vital advance warning of threats posed by incoming Russian drones and missiles.

    Satellite information and signal intercepts give Ukrainian forces on the frontline a sense of where Russian forces are, their movements and likely intentions.

    Without US intelligence, Ukraine will not be able to make such effective use of long-range Western weaponry, like the US-made Himars launchers or Stormshadow missiles supplied by Britain and France.

    Aside from military applications, the steady flow of real-time information provided by Washington has also given Ukraine’s military, critical national infrastructure and civilian population valuable advance information on incoming threats.

    Ukraine’s air raid sirens and mobile phone alerts are all informed, to a greater or lesser extent, by the early warning data provided by US satellites, which can detect aircraft and missile launches deep inside Russian territory.

    Any prolonged interruption in the supply of US intelligence could have a catastrophic impact on Ukraine’s ability to defend itself, particularly as the Trump administration has already decided to suspend vital military assistance.

    A few months ago, Ukraine was hoping that the supply of additional air defences -especially the US-made Patriot missile defence system – would enable it to extend protection to a greater number of potential targets, including cities and power stations across the country.

    But now Ukraine’s supply of Patriot missiles is running out. The latest European pledges to provide short- and medium-range systems will help to counter some threats, but not against Russia’s most dangerous hypersonic ballistic missiles.

    It’s clear that the US is using the withholding of military assistance and intelligence as another – blunt – diplomatic lever.

    The US national security adviser, Mike Waltz, said military assistance to Ukraine could resume if Ukraine agrees to participate in US-led diplomatic efforts.

    “I think if we can nail down these negotiations and move towards these negotiations… then the president will take a hard look at lifting this pause,” he told Fox News.

    The director of the CIA, John Ratcliffe, told Fox Business the pause “will go away”.

    But it’s clear what the White House wants from Ukraine’s President Volodymyr Zelensky in return.

  • La Cina prova a sfruttare l’allontanamento degli Usa dall’Europa

    Mentre i nuovi Stati Uniti di Donald Trump sono in rotta di collisione con i tradizionali alleati, la Cina cerca d’inserirsi con un serrato corteggiamento nei confronti degli europei. Dal ritorno alla Casa bianca del miliardario, con le minacce di dazi sia contro Pechino sia contro l’Europa, persino più pesanti per gli alleati, gli aerei diretti dalla Repubblica popolare alle capitali del Vecchio Continente sono piuttosto affollati di funzionari cinesi.

    Donald Trump ha lanciato un negoziato diretto con la Russia per chiudere la guerra in Ucraina, senza inizialmente coinvolgere Kiev e gli alleati europei, puntando anzi il dito contro di loro. Inoltre ha annunciato dazi fino al 25% contro i paesi europei e al 20% totali contro la Cina. Con una retorica che, paradossalmente, appare più feroce verso i tradizionali amici che verso il dichiarato concorrente globale.

    Questa politica ha scosso notevolmente i partner europei, mentre l’apparente luna di miele di Trump con il presidente russo Vladimir Putin preoccupa la Cina, la quale si è molto avvicinata a Mosca dopo l’invasione russa dell’Ucraina, non condannata da Pechino.

    Mosca, nelle ultime settimane, ha tenuto a riequilibrare, attivando varie comunicazioni con Pechino, compresa una telefonata tra Putin e il presidente cinese Xi Jinping. Il numero uno del Consiglio di sicurezza russa Sergey Shoigu è volato a Pechino nei giorni scorsi per incontrare Xi e rassicurarlo sulla saldezza dell’amicizia russo-cinese.

    Tuttavia, dal punto di vista di Pechino, la possibilità che si riapra una relazione con l’Unione europea è da cogliere sia per creare un equilibrio e tentare di mettere un cuneo nell’alleanza Usa-Europa, come Trump vorrebbe fare in quella Russia-Cina, sia per garantirsi un mercato per le merci cinesi che sarà sempre più difficile vendere negli Usa, se Trump insisterà sulla guerra commerciale.

    Per quanto riguarda l’Europa, la strategia del “de-risking”, che finora è stata applicata nei confronti della Cina, sembra oggi essere più necessaria nei confronti egli Stati uniti, ha detto un diplomatico europeo al South China Morning Post (SCMP).

    A febbraio in diverse capitali europee si sono visti alti diplomatici cinesi, a partire dal ministro degli Esteri Wang Yi, che ha partecipato alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, oltre che visitare Londra e Dublino.

    “Nel corso degli anni, alcuni hanno detto che la Cina sta cercando di cambiare l’ordine e che vuole avviare un nuovo sistema”, ha dichiarato Wang alla Conferenza. “Adesso non se ne parla più molto, perché c’è un paese che si sta ritirando da trattati e organizzazioni internazionali e, credo, in Europa si possono sentire brividi quasi ogni giorno”, ha aggiunto, facendo riferimento agli Stati uniti e sottolineando che, invece, la Cina “cresce all’interno dell’ordine esistente”.

    A margine di quell’evento, Wang ha detto all’Alta rappresentante della politica estera Ue Kaja Kallas che Pechino sostiene che Europa e Ucraina debbano avere un posto a tavola nei negoziati di pace. Una posizione, questa, ribadita in ogni occasione dai funzionari del ministero degli Esteri cinese. Altre visite sono state effettuate da due infuenti vice di Wang Yi, cioè la direttrice dell’informazione del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying e il viceministro esecutivo agli Esteri Ma Zhaoxu, entrambi diplomatici di lungo corso. Il messaggio che hanno trasmesso – secondo SCMP – è che la Cina è un partner più affidabile e costante rispetto all’imprevidibilità dell’America di Trump. Pechino, nel suo corteggiamento, sembrerebbe disposta anche a fare alcune concessioni. Mentre in passato proponeva una revoca contestuale delle sanzioni reciproche – cioè quelle attivate dall’Ue per le presunte violazioni dei diritti umani contro gli uiguri del Xinjiang e quelle imposte da Pechino in rappresaglia – ora propongono di revocare quattro o cinque sanzioni per ognuna tolta dalla lista europea. Un altro aspetto è quello della questione ucraina. Dall’invasione russa, l’Europa ha puntato il dito contro Pechino per la mancata condanna di Mosca e per i rapporti stretti con la Russia. Ma ora sono cambiate diverse cose e la decisione degli Stati uniti di votare contro la risoluzione europea alll’Onu sull’Ucraina, assieme alla Russia, alla Bielorussia, alla Corea del Nord, all’Ungheria e Israele, marca una differenza: la Cina si è astenuta, non ha votato “no”. Siamo inoltre nel 50mo anniversario dell’apertura delle relazioni tra Europa e Cina, quindi l’occasione potrebbe essere quella giusta. Il prossimo mese, il commissario europeo al Commercio Maros Sefcovic, che in questo momento storico ha un ruolo particolarmente delicato, sarà in Cina, dove potrebbe presentare una lista di richieste, alle quali Pechino potrebbe a sua volta non opporre un rifiuto totale. In ballo ci sono questioni come la sovrapproduzione industriale cinese, il sostegno di Pechino alle sue imprese e le possibilità di accesso al mercato da parte delle imprese europee. Inoltre, diverse capitali europee sperano di attrarre investimenti cinesi Il corteggiamento cinese sta comunque avendo orecchie recettive in Europa. “L’Europa deve prendere le proprie decisioni in modo autonomo. E dobbiamo decidere quando la Cina può essere un partner e quando è un concorrente”, ha dichiarato recetentemente il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares al Financial Times. Un segnale potrebbe arrivare da eventuali contatti di vertice. L’ultimo summit Ue-Cina è stato nel 2023 a Pechino, ma al momento non c’è nulla di certo per un possibile vertice in Europa. Il presidente Xi Jinping non ha in programma viaggi in Europa – tranne Mosca a maggio – per tutto l’anno. Comunque sarebbero in corso sondaggi, mentre a dire del SCMP il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa dovrebbe recarsi a Pechino a luglio. Si sta ragionando sull’ipotesi che si unisca anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ma la questione è delicata, perché la numero uno dell’esecutivo europeo è stata finora uno dei “falchi” anti-cinesi in ambito Ue.

  • L’Europa ha due problemi da risolvere

    L’Europa ha due problemi da risolvere: la pace giusta e in sicurezza dell’Ucraina e il diritto – dovere di garantire l’Indipendenza e la democrazia agli europei.

    L’incontro di Londra è stato utile da un lato perché, a fronte della postura americana pro Putin, ha registrato e comunicato una reazione quanto mai necessaria, affinché Gran Bretagna ed Europa assumessero le loro responsabilità per garantire l’Ucraina, ma dall’altro lato non ha affrontato affatto il conseguente tema di come garantire l’indipendenza, la democrazia e lo stile di vita degli europei.

    Infatti si è preferito insistere su un tema che non dipende più dagli europei, e cioè il mantenimento dei rapporti di alleanza tra l’Europa e gli USA.

    Una incredibile perdita di tempo sul principio che “le alleanze non si devono rompere” che “non c’è futuro senza la partecipazione degli USA”, che occorre “mantenere l’Unità dell’Occidente”, come se le soluzioni fossero nelle mani degli Europei.

    Sembra lo stesso criterio dei pacifisti che invocavano iniziative diplomatiche ai Paesi occidentali per fare cessare la guerra e non le chiedevano mai a chi la guerra l’aveva iniziata, che non a caso era lo stesso Putin che si rifiutava di farla cessare.

    Se una guerra non finisce, o una alleanza di 80 anni viene di fatto messa in discussione, è perché c’è chi evidentemente ha nuovi obiettivi, che, per l’attuale governo americano, sono l’inedita alleanza tra USA e Federazione Russa, in funzione anti Cina.

    Ciò comporta la fine della guerra con concessioni unilaterali all’aggressore, perché il conflitto deve cessare con vantaggio per Putin, che pur non essendolo, diventa il vincitore, senza pagare i danni dei disastri di tre anni di bombardamenti, che saranno generosamente caricati agli Stati Europei, che però non devono partecipare alla conferenza di pace, ma solo pagare i costi della ricostruzione, ed il tutto per favorire la nuova alleanza tra Russia e USA, che difficilmente potrà funzionare.

    Fin qui il dramma ucraino e in parte europeo. Ma c’è di più!

    Perché gli USA vogliono mettere mano sulle “terre rare” ucraine, ma si rifiutano di garantire la sicurezza dell’Ucraina post guerra? Perché se lo facessero, con certezza assoluta, la Russia non potrebbe attaccare di nuovo, per la terza volta l’Ucraina, e questo non piacerebbe a Putin. Non facendolo, la Russia potrebbe anche non attaccare, ma se lo volesse fare, non avrebbe alcun problema e quindi, in ogni caso, condizionerà il futuro dell’Ucraina.

    Stessa cosa, se ci si pensa bene, per gli Stati Europei, con i quali gli USA potrebbero a loro convenienza ricordarsi della Nato, o anche no, oppure con alcuni si e con altri no.

    E non fa bene agli europei vivere in questa realtà priva di certezze, e con un vicino di casa in evidente posizione di forza, fissato a ricostruire l’impero dello Zar.

    Se questo è il nuovo quadro, come è possibile che i leader degli stati europei possano continuare a insistere con ipotesi inesistenti di ricuciture a sostegno del mantenimento di rapporti di fatto cancellati dalle nuove strategie USA? “Essendo nata l’Europa per fottere gli USA”, come amabilmente ha dichiarato il Presidente Trump, non c’è nessuno che lo possa convincere a modificare le sue strategie, che semmai saranno piuttosto sconfessate da Putin. Per questo ascoltare il Presidente Macron parlare di “Autonomia strategica” per l’Europa è come sentire Putin parlare di “Operazione Militare Speciale” e cioè l’uso di un linguaggio paludato per non esprimere in chiaro le vere priorità.

    Non c’è alcuna speranza di armare seriamente l’Europa senza dare luogo alla veloce realizzazione della Federazione degli Stati d’Europa con chi ci sta, per avere Governo ed esercito unici, e consentire all’Europa il diritto di diventare superpotenza.

    Ed ha ragione il Premier Polacco Donald Tusk, quando sostiene che 500 milioni di europei (Ucraina compresa), stanno chiedendo con insistenza a 300 milioni di americani di difenderli da 140 milioni di Russi.

    Ed invece l’Europa non è così mal messa e costretta a pietire aiuti, perché è pur sempre il mercato più grande e ricco del mondo, ha persone e risorse di altissima qualità e prestigio, storia, cultura e senso pieno e vero della democrazia (e per questo aborrisce l’assenza dei controlli e delle regole sui social, che invece per la democrazia americana dell’attuale governo costituiscono violazione dei diritti alla libertà di parola, come se le menzogne possano essere diritti e non reati di manipolazione della verità).

    Purtroppo al momento non è una potenza militare, perché era più comodo restare sotto l’ombrello USA, ma questo non significa, anche grazie all’alleanza con la Gran Bretagna, che non si possa realizzare ed anche in tempi brevi. Ma soprattutto occorre capire che non c’è nessun’altra soluzione, in un mondo stravolto da tre superpotenze aggressive, vogliose unicamente di espansione, e che non vogliono che nasca una Federazione Europea, perché solo lasciando divisi gli stati europei, potranno godere della migliore preda al mondo, ricca e disarmata.

    Per questo continuare l’ideologia della difesa della sovranità dei singoli stati è un suicidio, anche perché la Federazione degli stati d’Europa è cosa molto diversa dell’Unione Europea, oggetto di critiche feroci da parte dei sovranisti, perché la Federazione rende uguali tutti i cittadini europei con la cittadinanza e il diritto di voto.

    E allora si operi con coraggio e da subito, con chi ci sta, alla costituzione della Federazione Europea con un numero ridotto di poteri federali, ma essenziali alla funzionalità di una istituzione fondamentale per difendere l’indipendenza, la libertà, l’identità dei popoli europei e il loro stile di vita dalle aggressioni dei lupi che vogliono sottomettere il Pianeta. Prima l’Europa e gli Europei.

  • Cosa intende fare l’Europa?

    Non c’è molto da elucubrare, gli americani sono sempre stati dalla parte degli americani, anche la loro partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale aveva risvolti di spartizione delle sfere di influenza, ciò non toglie che in quella occasione il loro intervento abbia impedito che l’Europa diventasse schiava di Hitler, un intervento per altro tardivo rispetto al genocidio degli ebrei che era in gran parte già conosciuto oltre Atlantico.

    Gli americani, negli ultimi decenni, sono noti per affrontare guerre che non vincono, perdendo uomini e mezzi e ingarbugliando ancora di più la situazione internazionale e dei singoli paesi, dal Vietnam all’Iraq, dalla Libia all’Afghanistan la loro presenza e poi la loro partenza, senza neppure concordarsi con gli alleati, ha lasciato situazioni caotiche e autentiche tragedie umane.

    Ora assistiamo  ad un ricatto, per le terre rare, e ad un tradimento, per la nuova liaison con Putin, verso l’Ucraina e gli alleati europei perché Trump non cerca la pace, una pace giusta anche se frutto di un compromesso, ma cerca di stabilire direttamente con lo zar le zone di reciproca influenza e ha fretta perché vuole tentare di allontanarlo dall'”amico” cinese.

    Probabilmente anche col presidente cinese un domani ci potranno essere accordi infatti se, secondo Trump, passa, attraverso l’ok a Putin, la nuova regola per la quale il diritto internazionale non conta ed uno stato ne può invadere un altro, annettendosi parte dei suoi territori, la Cina non troverà che blandi ostacoli ad invadere, come da tempo minaccia Taiwan…

    Sicuramente le dichiarazioni di Trump contro il presidente ucraino e l’attacco proditorio, che gli ha fatto Vance nello Studio Ovale, non sono frutto di un improvvido schizzo d’ira ma di uno scientifico progetto per sminuire Zelensky, fargli perdere la calma, mostrarlo al mondo, ma sopratutto a Putin, come un uomo in totale difficoltà e privo del supporto del più grande stato ‘democratico’ del mondo, democratico ovviamente tra virgolette.

    E cosa ancora più grave Trump voleva mostrare agli ucraini come il loro presidente non contasse niente.

    In tutta questa vergognosa ed indegna commedia, attraverso la quale abbiamo visto come la nuova amministrazione americana stia per diventare un pericolo per gli equilibri e le regole internazionali, la domanda resta quella di ieri e dell’altro ieri e cioè cosa intende fare l’Europa?

    Non è più un problema di destra o sinistra, di conservatori o di progressisti, è un problema di sopravvivenza nella libertà e nella democrazia sancite e difese da regole condivise, e se le regole sono violate con la forza solo con la forza si possono difendere, quando la diplomazia non è stata e non è in grado di intervenire.

    Trump non minaccia soltanto di lasciare alla mercé di Putin l’Ucraina ed altri paesi come la Georgia e la Moldavia ma ha messo a serio rischio Romania, Polonia, Repubbliche baltiche, Finlandia, Danimarca etc per arrivare al resto d’Europa.

    L’America agli americani, gli americani prima di tutto ha detto il presidente che si considera salvato da Dio e allora noi cominciamo a pensare a noi stessi, ad unire i popoli europei al di là di quei  governi che non capiscono o che si sono già venduti all’orso russo o al nababbo americano e all’intelligenza artificiale di Musk.

    Usiamo la nostra intelligenza naturale e impariamo a difenderci, a difendere i nostri valori, a difendere chi è aggredito, a dare vita ad un modello di sviluppo sostenibile, senza eccessi ambientalisti, senza negazionismi interessati. L’ambiente e lo sviluppo devono poter convivere, le aggressioni vanno rigettate, i soldi per la difesa e gli armamenti sono necessari come quelli per il servizio sanitario.

    E alla fine, per non andare troppo per le lunghe, ognuno avrà le sue colpe ed i suoi difetti, ma meglio un presidente che da giovane faceva l’attore e che è rimasto a rischiare con il suo popolo, di uno zar che manda alla guerra i poveri ed i detenuti salvando gli oligarchi o di un presidente che colleziona processi come puttaniere ed evasore.

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