Usa

  • C’è una morale?

    Nei giorni scorsi è stato detto, scritto, dichiarato, in ogni forma, che, grazie all’intervento americano, il nucleare iraniano era stato annientato o almeno reso impossibile da realizzarne per molti anni.

    Ora apprendiamo che l’Iran avrà un ritardo nel suo programma per il nucleare al massimo di due anni!

    Nel frattempo le repressioni, volute dalla guida suprema Ali Khamenei e dalle sue guardie, sono aumentate a dismisura e, cifra ufficiale e perciò da ritenere in realtà decisamente più alta, sono già stati incarcerati e accusati di connivenza col nemico più di mille persone con il solito aumento di condanne a morte precedute da sevizie di ogni tipo.

    Trump e Netanyahu penseranno di aver ottenuto un ottimo risultato, noi pensiamo che una volta di più si sia fatto un grande spettacolo senza tenere conto delle conseguenze che, come sempre, pagano le persone normali mentre i potenti pensano ai loro affari.

    Rimaniamo dell’avviso che di guerra si deve parlare, se si decide di fare la guerra deve essere fatta come un’operazione chirurgica che risolva il problema e non lo rinvii solo di qualche tempo, se l’Iran non deve, per i noti motivi più che legittimi, poter avere la bomba atomica è evidente che la così detta guerra dei dodici giorni non è stata risolutiva ma ha causato nuove repressioni da parte del regime e finché esisterà questo regime in Iran nessuno sarà mai sicuro.

    Abbiamo detto prima affari, gli affari guidano le scelte di troppi capi di Stato, perché si può forse immaginare che Trump, prima di lanciare le sue bombe non abbia parlato con Putin e che non ci sia nessun collegamento con la conseguente posizione moderata dello zar, alleato dell’Iran, di fronte all’attacco americano e poi la dichiarazione del pentagono di non mandare più armi a Kiev?

    Proprio dopo le bombe americane la Russia ha intensificato gli attacchi all’Ucraina.

    Dopo il no del pentagono ora nuovamente Trump fa intendere che potrebbe ripensarci, è già la seconda volta in poco tempo che gli Stati Uniti mollano l’Ucraina e poi dopo nuovi massacri ci ripensa, nel frattempo sono morte un altro po’ di civili per accontentare la sete di sangue di Putin.

    Intanto a Gaza tutto procede come sempre, morti su morti mentre da mesi si blatera inutilmente di tregua e ostaggi da liberare.

    C’è una morale in tutto questo? Sì, che il mondo, in questo momento soprattutto, è governato da persone che non hanno nessuna morale e, cosa che forse è ancora peggio, da troppi leader incapaci di visione del futuro e tesi solo al loro personale ed immediato tornaconto in termini di potere ed affari ed accecati dal loro narcisismo.

  • Ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità

    È difficile sapere cosa sia la verità, ma a volte è molto facile riconoscere una falsità.

    Albert Einstein

    L’evangelista Matteo era convinto che l’ipocrisia è un vizio. Nel suo Vangelo, ammoniva in modo perentorio: “Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello” (Matteo 7/5).  Ma l’ipocrisia non è il solo vizio, il solo male del genere umano. I concetti del bene e del male sono trattati già dall’antichità. Per Socrate, il noto filosofo della Grecia antica, “Il male è ignoranza, mentre il bene è conoscenza, cultura, sapienza”. Anche per Platone, un altro rinomato filosofo della Grecia antica, il bene rappresentava l’idea suprema, invece il male era legato all’ignoranza. I sani principi morali, i valori fondamentali, definiti in base alle tante esperienze vissute e spesso anche sofferte del genere umano nel corso dei secoli, rappresentano le fondamenta delle diverse culture e lo sviluppo delle società.

    La lotta tra il bene ed il male non è un tema trattato solo dai filosofi e dai rappresentati delle diverse religioni. La lotta tra il bene ed il male è reale, è presente nella vita quotidiana. Da secoli ormai sono stati definiti e classificati gli atteggiamenti e le azioni dell’essere umano che portano al male. Da secoli quegli atteggiamenti ed azioni sono stati inseriti anche nei codici giuridici, compreso quello penale. E come tali sono stati trattati e giudicati. Ma non sono solo i sistemi giudiziari a svolgere questo compito. In base ai principi morali ormai stabiliti, nonché ai valori fondamentali e ai diritti del genere umano, anche l’opinione pubblica valuta quello che fanno, tra gli altri, anche le persone che hanno delle responsabilità sia a livello locale che a quello internazionale.

    E proprio la responsabilità delle autorità dei singoli Paesi si valuta quando decidono di cominciare dei conflitti armati. Conflitti che, da anni, sono presenti in varie parti del mondo e che hanno causato e tutt’ora stanno causando perdite di innocenti vite umane e tante sofferenze. Purtroppo, dal 13 giungo scorso, un nuovo preoccupante e molto pericoloso conflitto è cominciato nel Medio Oriente, dopo gli attacchi missilistici di Israele contro l’Iran e l’immediata risposta dello stesso Iran. Un conflitto nel quale sono stati direttamente coinvolti, dalle primissime ore di domenica scorsa, 22 giugno, anche gli Stati Uniti d’America, bombardando tre importanti siti nucleari in Iran. L’operazione è stata denominata “Midnight Hammer” (Martello di mezzanotte; n.d.a.). Si è trattato di un pesante bombardamento, nonostante il presidente statunitense avesse dichiarato, alcuni giorni fa, che la decisione su un coinvolgimento degli Stati Uniti doveva essere presa non prima di due settimane. Tempo durante il quale si doveva negoziare con l’Iran.

    Ovviamente si tratta di un conflitto che ad ora coinvolge direttamente Israele, l’Iran e gli Stati Uniti d’America. Ma si tratta di un conflitto che, vista l’importanza, potrebbe oltrepassare i confini regionali, coinvolgendo, direttamente o indirettamente, anche altri Paesi. Sono state immediate le reazioni iraniane. Il presidente della Repubblica Islamica dell’Iran ha dichiarato perentorio che “L’Iran risponderà con durezza, fermezza e in modo tale da far pentire chi lo ha aggredito!”. Tramite la televisione di Stato, le autorità iraniane hanno dichiarato che “Ogni cittadino americano, o militare nella regione, è ora un legittimo obiettivo”. Mentre i rappresentanti dei Guardiani della Rivoluzione iraniana, una struttura militare costituita nel 1979, noti anche come i pasdaran, hanno dichiarato, dopo gli attacchi statunitensi di domenica scorsa, che “Adesso è iniziata la guerra!”. Subito dopo i bombardamenti dei tre siti nucleari in Iran da parte dell’aviazione degli Stati Uniti, ha reagito anche il movimento yemenita Ansar Allah (I partigiani di Dio; n.d.a.), comunemente noto come “Houthi”, minacciando gravi ripercussioni per gli Stati Uniti.

    Dopo l’attacco aereo sui tre siti nucleari in Iran, ha reagito anche il presidente statunitense. Con il suo solito modo di vantarsi, ormai sfoggiato molto spesso, da quando ha cominciato il suo secondo mandato nel gennaio scorso, il presidente statunitense, riferendosi proprio agli attacchi aerei, ha dichiarato che “….nessun altro esercito al mondo avrebbe potuto fare”. Aggiungendo che si trattava di uno “spettacolare successo militare” e che “adesso è l’ora della pace”. Ma ha anche dichiarato, minacciando l’Iran, che il Futuro dell’Iran è “pace o tragedia”, aggiungendo che “qualsiasi ritorsione dell’Iran contro gli Stati Uniti sarà contrastata con una forza molto superiore a quella di questa sera”. Ma anche questo fa parte dello stile del presidente statunitense. E chissà perché, dopo quegli attacchi aerei, si sta parlando anche della consegna del premio Nobel per la Pace al presidente degli Stati Uniti d’America, per la sua decisione presa!

    Ma sempre dopo gli attacchi aerei statunitensi sui tre siti nucleari in Iran, il segretario di Stato statunitense ha parlato di nuovo, durante il pomeriggio di domenica scorsa, di una ripresa dei negoziati. Lui ha affermato che “Gli Stati Uniti permetterebbero all’Iran di gestire centrali nucleari, ma non di arricchire il proprio combustibile”. In più il segretario di Stato, riferendosi alle massime autorità iraniane, ha dichiarato: “Siamo pronti a parlare con loro domani”. Ma come il suo diretto superiore ha, allo stesso tempo, minacciato le massime autorità iraniane dichiarando che “…Non siamo interessati a conflitti prolungati in Medio Oriente. Ma c’è una domanda su come si raggiunge la pace. E noi crediamo che il modo per raggiungere la pace sia attraverso la forza.”.

    Dopo gli attacchi aerei statunitensi sui tre siti nucleari in Iran domenica scorsa, hanno reagito anche il primo ministro israeliano, i massimi rappresentanti europei, nonché i presidenti della Russia, della Cina, della Turchia e di altri Paesi arabi. Il primo ministro israeliano è stato il solo ad aver ringraziato il presidente degli Stati Uniti d’America per la sua decisione di attaccare l’Iran. Una decisione che, come risulta, è stata presa senza consultare il Congresso. Ma questa è una questione interna degli Stati Uniti. Il primo ministro israeliano ha considerato la decisione statunitense una “decisione coraggiosa che cambierà la storia”. In seguito, nel pomeriggio di domenica scorsa, lui è andato al Muro del Pianto a Gerusalemme. Un luogo sacro per gli ebrei dove pregano. Anche il primo ministro israeliano ha pregato per il “successo della guerra contro l’Iran e per Trump”. Da fonti mediatiche si è saputo che nel testo della preghiera era scritto: “…Possa il presidente degli Stati Uniti essere elevato per essersi assunto la responsabilità di espellere il male e l’oscurità dal mondo”. E per il primo ministro israelita, il male risiede in Iran.

    Dopo gli attacchi statunitensi la Russia, la Cina e il Pakistan hanno chiesto l’approvazione di una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per rendere possibile “un cessate il fuoco immediato e incondizionato” tra Iran, Israele e Stati Uniti. La Russia e la Cina avevano espresso, nel frattempo, la loro condanna per gli attacchi aerei statunitensi, mentre i massimi rappresentanti dei Paesi europei hanno chiesto all’Iran di ricominciare i negoziati e di non intraprendere ulteriori azioni che possano destabilizzare la regione. Nel frattempo però il conflitto continua.

    Chi scrive queste righe giudica che ognuno dovrebbe assumersi le proprie responsabilità sia per la situazione in Medio Oriente, sia per le preoccupanti conseguenze ad essa legate, comprese le crisi economiche e finanziarie, che potrebbero verificarsi in seguito. Ma chi scrive queste righe pensa che sarà molto difficile che questo possa accadere. Perché alcuni dei “grandi del mondo” predicano bene ma razzolano male. Per alcuni di loro non valgono i principi, ma i grandi interessi geostrategici e finanziari, compresa anche la vendita delle armi. Ma nel frattempo la lotta tra il bene ed il male continua e non solo nel Medio Oriente. Aveva ragione Albert Einstein, quando affermava che è difficile sapere cosa sia la verità, ma a volte è molto facile riconoscere una falsità.

  • Arriva Trump Mobile, rivolto a utenti telefonici conservatori

    La Trump Organization, la compagnia che fa capo dalla famiglia del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, ha annunciato il 16 giugno il lancio di un nuovo operatore telefonico denominato Trump Mobile, con l’obiettivo di attirare i consumatori conservatori con un servizio di telefonia alternativo ai principali operatori statunitensi. Lo si legge sul sito web della stessa società. La famiglia Trump, storicamente attiva nel settore immobiliare, negli hotel di lusso e nei resort golfistici, ha diversificato negli ultimi anni i propri interessi verso media digitali e criptovalute.

    Secondo quanto comunicato, Trump Mobile disporrà di call center situati interamente negli Stati Uniti e di telefoni prodotti nel Paese, con l’obiettivo di valorizzare la produzione e la manodopera nazionale. L’iniziativa si inserisce nella strategia della famiglia del presidente per consolidare una base economica e identitaria alternativa alle grandi aziende tecnologiche e di telecomunicazioni.

    La Trump Organization, principale veicolo societario delle attività imprenditoriali del presidente statunitense, ha fatto sapere che la gestione della nuova iniziativa, come per le altre attività del gruppo, sarà affidata ai figli, a replicare l’assetto già adottato durante il primo mandato presidenziale.

    Nel comunicato, Trump Mobile viene descritta come una compagnia “di nuova generazione”, lanciata simbolicamente nel decimo anniversario dell’ingresso in politica di Donald Trump. La società offrirà servizi su rete 5G in collaborazione con i tre principali operatori statunitensi e presenterà un piano di punta, The 47 Plan, proposto a 47,45 dollari al mese. Il pacchetto include chiamate, sms e traffico dati illimitati, protezione completa del dispositivo, assistenza stradale 24/7, servizi di telemedicina, chiamate internazionali gratuite verso oltre 100 Paesi, comprese numerose destinazioni dove sono presenti basi militari statunitensi. “Sono incredibilmente entusiasta di entrare in questo nuovo spazio digitale. Gli statunitensi che lavorano duramente meritano un servizio wireless accessibile, che rifletta i loro valori e garantisca qualità affidabile”, ha dichiarato Eric Trump, terzo figlio di Donald e vicepresidente esecutivo della Trump Organization. “Siamo particolarmente orgogliosi di offrire chiamate a lunga distanza gratuite per i membri delle forze armate e le loro famiglie: chi è in servizio all’estero deve poter restare in contatto con i propri cari”. “Siamo pronti a cambiare le regole del gioco”, ha affermato il primogenito Donald Trump Junior, anch’egli vicepresidente esecutivo.

    “Stiamo costruendo un movimento che mette gli Stati Uniti al primo posto, offrendo i più alti standard di qualità e servizio. La nostra azienda ha sede negli Stati Uniti, perché sappiamo che è ciò che i nostri clienti vogliono e meritano”. Inoltre, Trump Mobile ha annunciato per agosto il lancio del proprio smartphone di punta, il T1 Phone: un dispositivo dorato, progettato e prodotto interamente negli Stati Uniti. L’azienda ha infine chiarito che Trump Mobile, i suoi prodotti e servizi non sono progettati, sviluppati o venduti direttamente dalla Trump Organization, ma operano su licenza concessa a T1 Mobile LLC, che utilizza il marchio “Trump” nell’ambito di un accordo limitato e revocabile.

  • Politica lungimirante o masochismo?

    Riceviamo e pubblichiamo un articolo dell’On. Dario Rivolta con alcune considerazioni finali di Cristiana Muscardini 

    Nella politica internazionale i rapporti amichevoli tra leader giocano sempre un qualche ruolo positivo ma, al momento del dunque, ciò che rimane è soltanto l’interesse del Paese che si rappresenta. Di là dalle dichiarazioni di prammatica, di là dai sentimenti espressi, siano essi sinceri o di pura cortesia o perfino bugiardi, di là dalle conferenze stampa congiunte o dagli editoriali di giornalisti compiacenti o nemici, tutte le potenze mondiali metteranno al primo posto i loro interessi e, se necessario, sacrificheranno gli interessi dei loro alleati. D’altra parte non molto tempo fa ci fu un cancelliere tedesco che disse: “I trattati sono solo dei pezzi di carta (chiffons de papier)”. Questa realtà non va mai dimenticata se si vogliono esprimere giudizi sugli avvenimenti mondiali e quando un politico deve prendere decisioni. Il comportamento di Trump verso gli altri leader mondiali non sfugge a questo schema: le sue azioni e ciò che fa rientrano in quello che lui crede essere l’interesse degli Stati Uniti e solo il loro. È quindi inutile criticarlo e sarebbe molto meglio prenderne atto e reagire usando le sue stesse armi. Inoltre, non è affatto detto che riesca a ottenere i risultati cui aspira e, anzi, potrebbe addirittura raggiungere il risultato opposto danneggiando irrimediabilmente il benessere dei suoi concittadini. Chi, purtroppo, ha già nuociuto agli interessi dei propri governati sono i capi di Stato europei che hanno deciso di assecondare le strategie statunitensi contro la Russia sacrificando i nostri stessi interessi per assecondare quelli americani, con la speranza che il servilismo politico potesse essere ripagato.  Al contrario, basterebbe conoscere un po’ di storia politica per vedere che, da sempre e in modo ancora più evidente dopo la caduta dell’Unione Sovietica, la politica dei nostri alleati storici ha mirato ad impedire che potesse realizzarsi un vero riavvicinamento economico tra Mosca e l’Europa. Dal punto di vista di Washington tale intesa avrebbe consentito agli europei di avere un maggiore accesso alle materie prime russe, di approfittare di un grande mercato in via di sviluppo e di non sentire più l’esigenza della “protezione” americana contro quello che fu un sicuro nemico per tutta la guerra fredda. Inoltre, i grandi gruppi finanziari ed economici d’oltreoceano puntavano ad impadronirsi delle ricchezze offerte dall’immenso territorio della Federazione Russa, magari approfittando di una eventuale disgregazione di quello Stato in tante piccole e politicamente insignificanti repubbliche. In altre parole, occorreva garantire la supremazia americana nel mondo e l’avvicinamento dell’Europa alla Russia rappresentava per gli USA il pericolo che si costituisse un nuovo potente concorrente politico ed economico sulla scena mondiale. Dopo la semi-anarchia politica dell’era Eltsin i vertici europei si dimostrarono incapaci di cogliere le grandi novità geopolitiche che si aprivano con l’ascesa alla presidenza di Putin (solo Berlusconi lo capì) e rimasero inconsapevoli vittime e complici di tre fattori che ci hanno portato alle circostanze odierne: l’eredità non ragionata di una alleanza un tempo utile ma ora sempre meno necessaria, il desiderio di vendetta di alcuni Paesi già nel Patto di Varsavia e le loro patologie storicamente comprensibili (vedi Polonia e Baltici), la onnipresente e pervasiva lobby politica e spionistica americana.

    Il risultato ottenuto da questa politica è che oggi ci troviamo con un costo dell’energia quadruplicato, una crisi economica che avanza, soldi gettati nella voragine ucraina e la assurda prospettiva di doverci assorbire i costi enormi di un dopoguerra in quel Paese (magari addirittura assorbendolo nell’Unione) mentre i profitti saranno principalmente destinati proprio agli USA. Nonostante questo scenario, i soloni di Bruxelles e della NATO avrebbero deciso di dirottare i fondi necessari per affrontare la crisi economica e garantire lo stato sociale verso un enorme investimento a favore delle industrie belliche che, per ovvietà pratica (vedi compatibilità NATO), non potranno che principalmente essere americane.

    Come tutto ciò non bastasse, con Trump Washington ha gettato la maschera e sta pensando di organizzare una nuova Yalta dove noi non saremo nemmeno invitati al tavolo. Al nostro posto si sederanno dapprima la Russia e poi, probabilmente, anche la Cina. In barba ai trattati alle consuetudini e alla globalizzazione voluta proprio dagli americani, Trump pretende anche che noi si continui a “servirli” ma senza più nemmeno la contropartita di poter noi godere di qualche surplus commerciale.

    Purtroppo, non sono più vivi i Talleyrand, i Metternich, i Bismarck, i De Gaulle, i Brandt e sembra che più nessuno a Bruxelles e nelle nostre capitali abbia la capacità e il coraggio di guardare di là del proprio naso e pensare in termini strategici. È ben chiaro a chi scrive che in politica (e soprattutto in politica internazionale) occorre evitare i colpi di testa e ogni mossa deve essere intrapresa con cautela (ma Trump non lo sa?) e che ogni possibile nuova strategia vada sondata e resa palese solo dopo averne accertata la fattibilità e le sue conseguenze. Tuttavia, poiché proprio gli americani vogliono scaricare sulle nostre spalle solo i costi e toglierci anche i profitti che incassavamo fino ad ora, sarebbe bene che chi di dovere cominci a pensare alle alternative praticabili guardando al medio e lungo termine.

    Innanzitutto togliamoci dai piedi le stupide idiozie propagandistiche che i media e i nostri politici attuali continuano a ripeterci. Dapprima han cercato di spiegarci che con le sanzioni cominciate nel 2008, incrementate nel 2014, aumentate ancora nel 2022 e continuate ad estendersi fino ad oggi, la Russia sarebbe stata messa in ginocchio e ci avrebbe supplicato di perdonarla. Evidentemente si sono sbagliati, visto che l’economia russa non è mai stata buona e viva come oggi. In seguito ci hanno detto che aveva finito le armi ma, inspiegabilmente, missili e droni contro l’Ucraina non fanno che moltiplicarsi. Ora giornalisti servili e pseudo-analisti vogliono convincerci che a Mosca si preparino per invadere il resto d’Europa dopo aver sconfitta l’Ucraina. Chi lo sostiene non si rende nemmeno conto dell’assurdità di tali affermazioni oppure è in netta malafede. Tutti vediamo le difficoltà sul campo che i russi hanno incontrato dopo tre anni di guerra contro un Paese di 35 milioni di abitanti e con un PIL di 190 miliardi di dollari circa (2024). Ebbene, l’Unione Europea e la Gran Bretagna insieme vantano una popolazione di più di 500 milioni e un PIL di più di 24 trilioni di dollari (per inciso, i russi sono circa 130 milioni e il loro PIL è stimato attorno ai 2 trilioni di dollari), senza contare che è tuttora in vigore l’art. 5 dell’Accordo Transatlantico. Crediamo davvero che i russi siano dei pazzi irresponsabili? O non sono piuttosto dei bugiardi in malafede quelli che vogliono convincerci che esista per l’Europa un “pericolo russo”?

    Detto ciò e affermando senza ombra di dubbio che tale “pericolo” sia solo pura propaganda per giustificare (nel migliore dei casi) l’aumento delle spese verso le industrie belliche, cominciamo a pensare davvero a quali siano i nostri veri interessi e partiamo dalla costatazione che la Russia non ha alcun motivo nel XXI secolo di considerarci rivali strategici.

    Al contrario, sin che le è stato possibile, ha sempre cercato di avere rapporti ottimali con tutti noi. Il suo rivale strategico reale è quello che attualmente è il suo alleato indispensabile: la Cina. È con la Cina che ha da sempre una rivalità oggettiva nel centro-Asia, è con lei che ha da secoli problemi di confine, è con la cultura cinese che ha molti meno rapporti che con quella del resto d’Europa. Se dipendesse solo da Mosca, indipendentemente dalla propaganda di questo periodo di conflitto e da ciò che pochi sparuti intellettuali slavofili hanno scritto ogni tanto, i rapporti con le capitali europee sarebbero economici, culturali e anche politici. E lo stesso, reciprocamente, vale per noi: ci farebbe comodo una immensa riserva di materie prime a buon prezzo, un mercato che ha ampi margini di fronte a sé e necessita di capitali freschi e di know how. Inoltre sarebbe per noi un modo per tornare ad essere protagonisti su una dimensione mondiale, cosa che abbiamo perduto da tempo. E l’Ucraina? Se i nostri politici avessero avuto più sale in zucca e meno servilismo nel seguire interessi altrui e se gli oligarchi e i politici corrotti di quel Paese fossero stati un po’ meno delinquenziali un’Ucraina neutrale e indipendente avrebbe potuto prosperare proprio come ponte economico tra la Russia, cui era economicamente legata, e l’Europa.

    Forse è fin troppo tardi ma, se l’Europa oggi aprisse a oneste, e necessariamente riservate, negoziazioni dirette con Mosca nuovi scenari si potrebbero aprire e, se la strada si rivelasse percorribile, in tanti avremmo da guadagnarci. Purtroppo con l’Europa che ci troviamo e gli pseudo-leader oggi disponibili a Bruxelles è praticamente impossibile immaginare che le cose cambino da come si sono messe. È solo partendo con iniziative individuali da parte di qualche governo nazionale che si dovrebbero esplorare le nuove strade. D’altra parte se Trump lo sta facendo, perché noi non dovremmo sentirci autorizzati a farlo? Non si creda che chi scrive stia peccando di ingenuità: nessuno si nasconde che quando si gioca su più tavoli e si hanno più interlocutori contemporaneamente chiunque potrebbe fare il doppio gioco e usare gli uni contro gli altri per il proprio beneficio. Non è ciò che si fa negli affari ed esattamente quello che sta facendo Trump? Occorre, comunque, essere lungimiranti e realisti e considerare tutte le convenienze, anche a costo di pensare l’impensabile: a Mosca conviene di più avere rapporti ottimali con Pechino o con l’Europa? Per noi è davvero assurdo immaginare di avere qualche autonomia o dobbiamo sempre servire interessi americani? E anche volendo salvaguardare il nostro rapporto con gli USA, è un bene nemmeno fingere di metterlo in discussione e accettare solo ordini da oltreoceano oppure alzare la cresta potrebbe farci rispettare un poco di più? Come reagirebbe Washington se noi unilateralmente annunciassimo di voler disdire il nostro rapporto con la NATO e aprissimo a Mosca? Se temesse che noi si faccia sul serio, continuerebbe a minacciarci con la stessa supponenza? E già che ci siamo, invece di leccargli gli stivali (o peggio ancora, come Trump disse che avremmo fatto) e visto che la Cina affaccia sul Pacifico e non sul Mediterraneo perché non fargli sapere che noi vorremmo cominciare a negoziare con Pechino e senza pre-condizioni?

    Si badi bene: non si possono negligere i grandi interessi economici e finanziari che ci legano agli Stati Uniti né il fatto che l’Europa attuale è un ridicolo coacervo politico senza volontà. Tuttavia, poiché il mondo non è più quello né della guerra fredda né quello unipolare del dopo URSS, politici intelligenti dovrebbero cominciare a vagliare tutte le alternative nell’interesse dei nostri paesi. Di sicuro non, come fanno Macron, Starmer e la Germania di Merz, che minacciano di continuare da soli la guerra con l’Ucraina al solo scopo di poter avere uno sgabellino al possibile tavolo delle trattative di pace.

    Utopie? Fantasie irrealizzabili?  Forse. Ma se da noi ci fossero stati diplomatici e politici con una visione strategica non ci avrebbero trascinati verso una situazione come quella odierna che potrebbe diventare molto pericolosa per la pace mondiale e non soltanto per il nostro benessere economico.

    L’amico on. Dario Rivolta ha sempre la capacità di affrontare gli scenari internazionali con una visione ampia. Sulle sue considerazioni, comunque interessanti, varrebbe la pena di aprire un dibattito ampio, intanto vogliamo ricordare, per chiarezza verso i nostri lettori, che per mettersi ad un tavolo, per delle trattative serie e non utopiche, dovremmo avere politici in grado di farlo, capaci di visioni, consapevoli delle realtà geopolitiche e anche delle opportunità e minacce derivanti dalle nuove tecnologie. Non ci sono solo Trump, Putin l’Europa, il presidente cinese, i paesi arabi, l’India etc etc, ma anche Musk con i suoi satelliti che ci controllano e controllano lo spazio, insieme a quelle di alcune super potenze, per non parlare dell’intelligenza artificiale che sembra ormai molto più avanti di quella umana. 

    Inoltre a quel tavolo, che tutti vorremmo fosse realizzato, dovremmo puntualizzare che se Mosca vuole tornare ad essere interlocutore dell’Europa per prima cosa dovrebbe liberare i territori occupati, liberare i bambini rapiti, accettare l’indipendenza dell’Ucraina ed i politici che gli ucraini si scelgono, ovvia premessa, però, a qualunque trattativa è comunque un cessate il fuoco che Putin non vuole.

  • Gli Usa mollano la Siria: terranno una sola base militare. Bruxelles prepara aiuti per 175 milioni di euro

    Gli Stati Uniti stanno riducendo la loro presenza militare in Siria, chiudendo la maggior parte delle proprie basi nel Paese. “Da otto basi ne rimarrà una”, ha dichiarato l’inviato speciale degli Stati Uniti per la Siria e ambasciatore in Turchia, Tom Barrack, intervistato dall’emittente turca “Ntv”. Questa decisione si pone sulla scia della linea assunta dall’amministrazione Usa di Donald Trump nei confronti del nuovo governo siriano, guidato dal presidente ad interim Ahmed al Sharaa, in seguito alla destituzione di Bashar al Assad. “Il presidente Trump e il presidente (turco Recep Tayyip) Erdogan hanno fatto una cosa incredibile. Hanno detto che avrebbero dato una possibilità a questo nuovo regime. Nessuno l’aveva previsto”, ha aggiunto il diplomatico statunitense. Barrack ha poi illustrato la posizione di Washington riguardo alle Forze democratiche siriane (Fds, coalizione di milizie a maggioranza curda sostenute dagli Stati Uniti), spiegando l’importanza della loro integrazione all’interno del nuovo governo siriano.

    Rispondendo a una domanda riguardo alla tensione tra Israele e Turchia nel territorio siriano, Barrack ha usato parole di distensione. “Il dialogo tra Turchia e Israele coincide con quello tra le Unità di protezione popolare (Ypg) e la Turchia”, ha detto il diplomatico. Le Ypg sono una milizia presente nelle regioni a maggioranza curda nel nord della Siria, e durante la guerra civile la formazione è diventata una delle componenti delle forze armate dell’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est (nota anche come Rojava). La Turchia “è un elemento chiave che convincerà il resto della regione (mediorientale) che Israele non vuole accaparrarsi territori e non sta cercando di occupare la Siria. La Turchia, in ogni caso, non ha messo gli occhi sul territorio siriano”, ha aggiunto l’inviato speciale. L’ambasciatore ha poi lanciato una stoccata ai Paesi dell’Unione europea: “Credo che una delle cose che fa arrabbiare la Turchia sia l’Ue. È assolutamente ridicolo che il suo prezioso alleato per la difesa non venga accolto nell’Ue”, ha dichiarato Barrack.

    Intanto, a seguito della revoca delle sanzioni economiche europee contro la Siria, la Commissione europea ha proposto 175 milioni di euro per la ripresa sociale ed economica del Paese. Lo ha reso noto l’esecutivo europeo. Il finanziamento sosterrà “le istituzioni pubbliche siriane con l’aiuto di esperti provenienti dalla Siria e da altri Paesi, compresa la diaspora siriana, azioni dal basso e guidate dalle comunità nei settori dell’energia, dell’istruzione, della sanità, dei mezzi di sussistenza e dell’agricoltura”, “rivitalizzerà le economie rurali e urbane sostenendo i mezzi di sussistenza e la creazione di posti di lavoro nelle comunità di tutto il Paese aumenterà l’accesso ai finanziamenti per le popolazioni più vulnerabili, promuoverà la giustizia di transizione, la responsabilità e i diritti umani, compresi i mezzi per combattere l’impunità, in particolare nel sostegno ai diritti umani e alla gestione del fascicolo sulle persone scomparse”, si legge nella nota. La commissaria europea per il Mediterraneo, Dubravka Suica, si trova attualmente in Siria, “dove sta riaffermando il fermo impegno dell’Unione europea a sostenere un processo di transizione pacifico, inclusivo e guidato dal Paese stesso”, viene evidenziato.

  • Sanzioni Usa contro quattro giudici della Corte penale internazionale

    Il segretario di Stato Usa, Marco Rubio, ha annunciato sanzioni contro quattro giudici della Corte penale internazionale (Cpi), accusati di aver avviato azioni contro cittadini statunitensi e israeliani senza averne gli strumenti legali. I quattro giudici – l’ugandese Solomy Balungi Bossa, la peruviana Luz del Carmen Ibanez Carranza, la beninese Reine Adelaide Sophie Alapini Gansou, la slovena Beti Hohler – sono “direttamente coinvolti” negli sforzi della Corte per “arrestare, fermare, perseguire cittadini degli Stati Uniti o Israele, senza il consenso” dei due Paesi, non aderenti allo Statuto di Roma, si legge in una nota. La Corte penale internazionale, prosegue il segretario di Stato “è politicizzata e rivendica falsamente discrezionalità illimitata nell’indagare, accusare e perseguire cittadini degli Stati Uniti e dei nostri alleati”. Washington adotterà tutte le azioni “necessarie per proteggere la nostra sovranità, quella di Israele e di qualsiasi altro alleato degli Stati Uniti dalle azioni illegittime della Corte penale internazionale”. Rubio ha infine rivolto un invito ai Paesi che sostengono la Cpi, “molti dei quali hanno ottenuto la loro libertà al prezzo di grandi sacrifici degli statunitensi”, a contrastare “questo vergognoso attacco” a Usa e Israele.

    Per la Corte penale internazionale “le sanzioni emesse dagli Stati Uniti nei confronti dei quattro giudici, sono un chiaro tentativo di attentare all’indipendenza del tribunale”. “Queste misure sono un chiaro tentativo di minare l’indipendenza di un’istituzione giudiziaria internazionale che opera grazie al mandato di 125 Stati membri da tutto il pianeta. La Cpi fornisce giustizia e speranza a milioni di vittime di atrocità inimmaginabili, nel rigoroso rispetto dello Statuto di Roma, e mantiene i più alti standard di protezione dei diritti degli indagati e delle vittime”, si legge nella nota. Attaccare chi lavora per “accertare le responsabilità” non “aiuta i civili ostaggio dei conflitti”, ma “incoraggia solo coloro che credono di poter agire impunemente”. Le misure, comunicate dal segretario di Stato Marco Rubio, “non sono dirette solo a persone designate, ma anche a tutti coloro che sostengono la Corte, compresi i cittadini e le entità corporative degli Stati Parte. Sono contro vittime innocenti in tutte le situazioni dinanzi alla Corte, nonché lo stato di diritto, la pace, la sicurezza e la prevenzione dei crimini più gravi che sconvolgono la coscienza dell’umanità”.

  • Chinese nationals accused of smuggling ‘dangerous biological pathogen’ into US

    Two Chinese nationals have been accused of smuggling a fungus into the US that officials describe as a “dangerous biological pathogen”.

    Yunqing Jian, 33, and Zunyong Liu, 34, have been charged with conspiracy, smuggling goods, false statements, and visa fraud, the US Attorney’s Office for the Eastern District of Michigan announced on Tuesday.

    The complaint alleges Mr Liu tried to smuggle the fungus through Detroit airport so he could study it at a University of Michigan laboratory where his girlfriend, Ms Jian, worked.

    The fungus called Fusarium graminearum can cause a disease in wheat, barley, maize and rice that can wipe out crops and lead to vomiting and liver damage if it gets into food.

    The fungus is described in scientific literature as a “potential agroterrorism weapon”, according to the US Attorney’s Office, adding it is responsible for “billions of dollars in economic losses worldwide each year.”

    Officials further allege Ms Jian received funding from the Chinese government for her research on the pathogen in China. They also claim she is a member of the Chinese Communist Party.

    United States Attorney Jerome F Gorgon Jr described the allegations as of the “gravest national security concerns”.

    “These two aliens have been charged with smuggling a fungus that has been described as a ‘potential agroterrorism weapon’ into in the [sic] heartland of America, where they apparently intended to use a University of Michigan laboratory to further their scheme.”

    The investigation was a joint effort between the FBI and US Customs and Border Protection.

    Ms Jian is due to appear in court in Detroit, Michigan on Tuesday.

    The University of Michigan said in a statement to the BBC that it “has received no funding from the Chinese government in relation to research conducted by the accused individuals”.

    University officials are cooperating with law enforcement on the investigation and they “strongly condemn any actions that seek to cause harm, threaten national security or undermine the university’s critical public mission”, according to the statement.

    Spokesman for the Chinese embassy in Washington DC Liu Pengyu told the BBC that he is not familiar with this specific case, but emphasized that Beijing “has always required overseas Chinese citizens to abide by local laws and regulations and will also resolutely safeguard their legitimate rights and interests”.

    The charges come amid strained relations between the US and China, and just days after the Trump administration vowed to “aggressively” revoke the visas of Chinese nationals studying in the US.

    Beijing also said Washington “severely violated” a trade truce reached in Geneva last month, when both countries lowered tariffs on goods imported from each other.

    Earlier this week, a Chinese student at the University of Michigan was charged for illegally voting in the 2024 election.

  • Washington pensa di ingaggiare gli immigrati abusivi per un reality tv

    Il dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti sta valutando la produzione di un programma televisivo in cui migranti si sfiderebbero per ottenere la cittadinanza statunitense. Lo riferisce il quotidiano “Wall Street Journal”, secondo cui la portavoce del dipartimento, Tricia McLaughlin, ha confermato di aver discusso l’idea con un produttore di reality show. McLaughlin ha invece smentito precedenti indiscrezioni del quotidiano britannico “Daily Mail” secondo cui la segretaria alla Sicurezza interna, Kristi Noem, starebbe sostenendo attivamente il progetto.

    “La segretaria Noem non ha appoggiato né tantomeno esaminato la proposta di alcun programma (televisivo), né sceneggiato né reality”, ha detto McLaughlin. Ciononostante, la funzionaria ha riferito che la valutazione della proposta da parte del dipartimento è effettivamente in corso, e si trova “nelle primissime fasi del processo di selezione”. Secondo quanto riferito dal “Daily Mail”, la proposta di un programma televisivo incentrato sulla competizione per la cittadinanza proviene da Rob Worsoff, un produttore e sceneggiatore che ha lavorato al reality show di caccia Duck Dynasty. Sempre secondo il quotidiano britannico, McLaughlin avrebbe definito il programma “una buona idea”.

    Interpellata dal “Wall Street Journal”, la portavoce ha detto che quella di un programma televisivo incentrato sulla competizione per la cittadinanza Usa è un’idea in merito alla quale non è stata ancora assunta alcuna decisione. “Ogni proposta viene sottoposta a un accurato processo di valutazione prima di essere respinta o approvata”, ha aggiunto. Secondo la portavoce, il dipartimento riceve ogni anno centinaia di proposte per potenziali programmi televisivi, che spaziano da documentari sulle operazioni di sicurezza alla frontiera a trasmissioni su indagini per crimini finanziari.

    Il mandato di Noem alla guida del dipartimento è stato contrassegnato da una forte enfasi sulla visibilità mediatica, talvolta a scapito delle operazioni, secondo quanto riportato da fonti citate in precedenza dal “Wall Street Journal”. Il dipartimento ha stanziato ad esempio oltre 200 milioni di dollari per una campagna pubblicitaria in cui Noem sollecita personalmente gli immigrati presenti illegalmente nel Paese ad andarsene. Nei mesi scorsi, la segretaria è comparsa in numerosi video durante operazioni di arresto o visite a carceri di massima sicurezza, incluso un penitenziario a El Salvador.

  • Macron lancia l’opa sui cervelli in fuga da Trump

    Una “forte irritazione” trapela dal ministero dell’Università e della Ricerca per quanto riguarda la ‘Conferenza internazionale su Scienza e ricerca’, il cui primo titolo era “Choose Europe, Choose France”, organizzata dal presidente francese Emmanuel Macron. Al fianco della presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, Macron ha annunciato lo stanziamento di cento milioni di euro per attrarre ricercatori stranieri Oltralpe, in primo luogo americani dopo i tagli annunciati dall’amministrazione Trump per la ricerca scientifica. Intervenendo alla conferenza internazionale, Macron ha detto che ”di fronte alle minacce” serve che ”l’Europa debba diventare un rifugio” per i ricercatori.

    La ministra Bernini: “Gli altri annunciano, l’Italia lo ha già fatto”. “Gli altri annunciano, l’Italia lo ha già fatto”, il commento della ministra Anna Maria Bernini, che era stata invitata alla conferenza, cui ha partecipato, però, l’ambasciatrice italiana a Parigi Emanuela D’Alessandro: “L’ambasciatrice – spiegano fonti diplomatiche – in coordinamento con il Ministero dell’Università e della Ricerca, guidato da Anna Maria Bernini, esprimerà la posizione dell’Italia, che considera la libertà della ricerca un principio irrinunciabile e fondamento imprescindibile di ogni avanzamento scientifico e culturale”.

    “Sul tema specifico della Conferenza – proseguono le fonti – verrà evidenziato che il nostro Paese è già attivamente impegnato nel favorire non solo il rientro dei talenti italiani, attualmente coinvolti in progetti di ricerca all’estero, ma anche nell’aumentare l’attrattività del Paese nei confronti di ricercatori stranieri. Oltre ai generosi incentivi fiscali in vigore da tempo per chi sceglie di tornare o trasferirsi in Italia e l’implementazione di un sistema di infrastrutture di ricerca all’avanguardia, è stato recentemente aperto un bando da 50 milioni di euro, destinato a ricercatori attualmente all’estero che hanno ottenuto uno Starting Grant o un Consolidator Grant dell’Erc”. Già lo scorso 15 aprile infatti, il Mur aveva annunciato e aperto questo bando, indirizzato ai ricercatori interessati a tornare, o a trasferirsi, nel nostro Paese.

    “Come richiesto dalla commissaria europea Zaharieva, l’Italia sta fornendo alla Commissione europea l’insieme delle misure nazionali adottate per attrarre scienziati e ricercatori da ogni parte del mondo, una misura utile per un eventuale coordinamento e armonizzazione delle iniziative a livello europeo. Proprio in quest’ottica – concludono – l’Italia considera il Consiglio Competitività e Ricerca, in programma il 23 maggio a Bruxelles, l’occasione ideale e il formato istituzionale più appropriato per un confronto efficace tra Stati membri e per definire insieme, e non solo in ottica prevalentemente nazionale, politiche comuni concrete, sostenibili e lungimiranti”.

  • In attesa dei dazi cresce il cibo italiano in Usa

    Nei primi due mesi del 2025 le esportazioni di cibo Made in Italy verso gli Usa sono cresciute in valore dell’11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. E’ quanto emerge da una analisi Coldiretti su dati Istat diffusa all’inaugurazione di Tuttofood, la kermesse a dedicata all’agroalimentare aperta alla Fiera di Milano Rho. I dati, come riporta Il Punto Coldiretti, indicano che ad inizio anno si è registrata una crescita degli acquisti da parte degli importatori statunitensi, con l’obiettivo di “fare scorta” di prodotti italiani in attesa di capire la mosse di Trump sui dazi, annunciati già in campagna elettorale e dopo il suo insediamento, poi fissati successivamente al 20%, prima di essere dimezzati e sospesi per 90 giorni.

    Dal monitoraggio Coldiretti sui prodotti simbolo del Made in Italy a tavola, emergono comunque situazioni differenti da filiera e filiera. Per il vino, prima voce delle esportazioni agroalimentari tricolori negli States, arrivano segnali discordanti, tra chi sta registrando una ripresa delle vendite e chi, invece, rileva un calo almeno a livello di volumi. L’unico fattore ad accomunare tutte le cantine – precisa Coldiretti – è un senso di incertezza, considerata anche l’estrema mutevolezza degli annunci da parte del presidente americano Donald Trump. Per i formaggi, altro simbolo dell’italian food, il Consorzio del Grana Padano segnala un aumento ad inizio anno dell’11% delle forme spedite negli Usa, quasi il doppio rispetto al risultato generale. Per le conserve di pomodoro la situazione rimane, invece, incerta, anche in considerazione dell’annunciato calo a doppia cifra della produzione della California e delle attese rispetto a quella cinese.

    Restano anche le preoccupazioni sul possibile effetto dei dazi sul fenomeno dell’italian sounding. Per l’occasione è stata allestita una mostra sui prodotti simbolo del Made in Italy in America, messi a confronto con le loro imitazioni che dall’imposizione dei dazi e dal possibile calo di vendite degli “originali” potrebbero trovare una ulteriore spinta. Non bisogna, infatti, dimenticare che già oggi gli Usa si piazzano in testa alla classifica dei maggiori taroccatori con una produzione di cibo italiano tarocco che ha superato i 40 miliardi in valore e che vede come prodotto di punta i formaggi.

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