In attesa di Giustizia: metamorfosi e nemesi
La magistratura associata preannuncia scioperi, sollevazioni di piazza e barricate contro il disegno di legge di origine governativa sulla separazione delle carriere dimenticando il dettaglio – non banale – che quel disegno di legge è stato controfirmato per autorizzarne la presentazione nelle Aule Parlamentari da Sergio Mattarella che, oltre che garante della Costituzione, è anche il Presidente del C.S.M.
E’ una scenario che, in altri tempi, avrebbe visto Piercamillo Davigo schierato in prima fila in questo agone, possibilmente nei talk show che gli garantiscono assenza di contraddittori e non gli impongono limiti alla ben nota incontinenza verbale, nonchè sparando a palle incatenate contro la riforma ed il Ministro della Giustizia dalle colonne del Fatto Quotidiano.
Invece tace, perlomeno più del solito: l’alfiere della eliminazione del secondo grado di giudizio – probabilmente suggerito in tal senso dai suoi eccellenti difensori – è stato impegnato nel seguire la stesura del corposo ricorso per Cassazione contro la sentenza della Corte d’Appello di Brescia che, confermando la condanna in primo grado per rivelazione di informazioni su indagini in corso coperte dal segreto istruttorio, ha messo il carico da novanta sulla sentenza del Tribunale che il nostro aveva educatamente commentato affermando al cospetto dell’inclita utenza di intellettuali che si abbevera al podcast di Fedez che “a Brescia non sempre le cose le capiscono”.
La motivazione è stata durissima e, tra i tanti passaggi, è dato leggere che: “Piercamillo Davigo si è determinato ad una sovraesposizione personale del tutto singolare non necessitata e che, per quanto ponderata, si è risolta in una serie di irrituali ed illecite confidenze che hanno poi sortito una fuga di notizie senza eguali precedenti”, “violazioni tutt’altro che formali” “Un’opera diffamatoria contro Sebastiano Ardita”. Quest’ultimo era un componente del C.S.M. ed ex sodale proprio di Davigo nella costituzione della corrente nuova della magistratura che gli faceva capo: ma si sa, i regolamenti di conti tra magistrati sono molto cruenti in quella che – ora sappiamo – è un’allarmante frequenza.
Insomma, siamo al cospetto di una metamorfosi che lo stesso Davigo dovrebbe definire una “Berlusconizzazione”: per salvarsi, prima attacca i giudici poi impugna tutte le loro decisioni e, senza entrare in dettagli complicati per i lettori (anche un po’ superflui), è pronto a smentire se stesso ricorrendo ad argomenti difensivi ad assetto variabile.
Ad una metamorfosi fa il paio la nemesi: infatti, la giurisprudenza sulla quale si fonda la sua condanna è frutto della costante elaborazione di principi risalenti in buona misura proprio a quella Seconda Sezione della Corte di Cassazione che Davigo ha presieduto per anni.
Rispettiamo il principio di non colpevolezza ma, in Cassazione, troverà a contrastare le sue ragioni una dottrina che da qualche anno suscita perplessità nei nemici di un tempo, gli avvocati: la forza del giudicato (inteso come interpretazione di principi diritto stabilizzatasi che preclude, salvo casi eccezionali, ripensamenti), un concetto “all’americana” estraneo alla nostra tradizione, ed i limiti alla valutazione nel terzo grado di giudizio della cosiddetta doppia conforme…cioè a dire che se un Tribunale ha deciso in un modo e poi una Corte d’Appello ne ha confermato la sentenza, anche qualora abbiano argomentato e messe per iscritto delle grossolane bestialità va bene così e la Cassazione, salvo rarissimi casi, dichiara inammissibile il ricorso.
Metamorfosi e nemesi: manca solo che affermi che non ci sono innocenti ma solo colpevoli che l’hanno fatta franca, tranne uno e sarebbe, tutt’al più, l’eccezione che conferma la regola. Sic transit gloria mundi.