Processo

  • L’ex presidente filippino Duterte a processo all’Aja per crimini contro l’umanità

    L’ex presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, è stato arrestato l’11 marzo a Manila, in esecuzione di un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini contro l’umanità commessi nell’ambito della famigerata “guerra alla droga” intrapresa dalla sua amministrazione tra il 2016 e il 2022. L’ex presidente 79enne deve rispondere del “crimine contro l’umanità di omicidio”, secondo quanto riferito dalla Cpi, che fa riferimento alle migliaia di esecuzioni sommarie e stragiudiziali commesse da forze dell’ordine e vigilanti durante la guerra al narcotraffico, secondo le stime delle organizzazioni per i diritti umani. “Nelle prime ore del mattino, l’Interpol di Manila ha ricevuto la copia ufficiale del mandato d’arresto dalla Cpi”, afferma una nota dell’ufficio del presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos Jr.

    “Al momento, (Duterte) si trova sotto la custodia delle autorità”. Nella nota si legge anche che “l’ex presidente e il suo gruppo sono in buone condizioni di salute e vengono sottoposti a controlli medici da parte di personale sanitario governativo”. Duterte è stato arrestato all’aeroporto internazionale di Manila al suo rientro da un breve viaggio a Hong Kong. Parlando domenica a migliaia di lavoratori filippini all’estero durante un evento nella regione speciale cinese, l’ex presidente aveva criticato l’indagine della Cpi, dichiarando tuttavia che avrebbe “accettato” il proprio arresto qualora fosse stato “il suo destino”. Sotto il governo di Duterte, le Filippine avevano revocato la loro adesione alla Cpi proprio in risposta all’avvio delle indagini sulla guerra alla droga. La Corte penale internazionale sostiene però di avere ancora giurisdizione nel Paese.

    L’aereo con a bordo l’ex presidente delle Filippine Rodrigo Duterte è decollato poco dopo le 23, ora locale, dell’11 marzo diretto verso L’Aja, nei Paesi Bassi, ha annunciato in conferenza stampa il presidente Ferdinand Marcos Junior poco dopo la partenza dell’aereo. “Il velivolo è in rotta verso L’Aja. L’ex presidente sarà processato per crimini contro l’umanità in relazione alla sua sanguinosa lotta al narcotraffico”, ha confermato Marcos. La partenza poche ore dopo l’arresto era stata annunciata da sua figlia, la vicepresidente Sara Duterte, in una dichiarazione alla stampa. “Mentre scrivo, mio padre viene portato con la forza all’Aja. Questo non è giustizia, ma oppressione e persecuzione”, ha affermato Duterte, lamentando che l’ex capo dello Stato non abbia potuto difendersi dinanzi alle autorità giudiziarie locali. L’arresto è avvenuto su mandato della Cpi, che ha avviato un’indagine sulle presunte violazioni dei diritti umani commesse nell’ambito della guerra alla droga condotta durante la presidenza Duterte tra il 2016 e il 2022. Secondo le organizzazioni internazionali, migliaia di persone sarebbero state uccise in esecuzioni extragiudiziali nel quadro di questa campagna repressiva.

    “Nelle prime ore del mattino, l’Interpol di Manila ha ricevuto la copia ufficiale del mandato d’arresto dalla Cpi”, ha annunciato oggi una nota dell’ufficio del presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos Junior. “Al momento, (Duterte) si trova sotto la custodia delle autorità”. Nella nota si legge anche che “l’ex presidente e il suo gruppo sono in buone condizioni di salute e vengono sottoposti a controlli medici da parte di personale sanitario governativo”. Duterte è stato arrestato all’aeroporto internazionale di Manila al suo rientro da un breve viaggio a Hong Kong. Parlando domenica a migliaia di lavoratori filippini all’estero durante un evento nella regione speciale cinese, l’ex presidente aveva criticato l’indagine della Cpi, dichiarando tuttavia che avrebbe “accettato” il proprio arresto qualora fosse stato “il suo destino”. Sotto il governo di Duterte, le Filippine avevano revocato la loro adesione alla Cpi proprio in risposta all’avvio delle indagini sulla guerra alla droga. La Corte penale internazionale sostiene però di avere ancora giurisdizione nel Paese.

  • Sentenza della Corte di Cassazione

    Tutti sappiamo, o almeno ne abbiamo sentito parlare, della saggezza di re Salomone. Costui dovendo decidere, tra due donne che ne rivendicavano entrambe la maternità, a chi affidare un bambino, propose di tagliare l’infante a metà affinché tutti fossero soddisfatti. Naturalmente la vera madre dichiarò di preferire rinunciare al figlio piuttosto che causarne la morte. Così per Salomone fu evidente da che parte stesse la verità.

    La logica che l’antico sovrano applicò fu quella che noi oggi definiamo “intelligenza parallela” e cioè, anziché ricercare una soluzione tra leggi, codici e codicilli usò il semplice buonsenso e la vera intelligenza.

    La questione sembra porsi come esempio anche nella recente sentenza della Corte di Cassazione che ha deciso che lo stato paghi un indennizzo ai migranti trattenuti per otto giorni su di una nave soccorso prima che questa ottenesse il permesso di attraccare ad un porto italiano.  Non vorrei qui, né potrei discutere nel merito strettamente giuridico della cosa, anche perché non sono a conoscenza dei dettagli della sentenza. Ciò che mi permetto, invece, di affermare è che, giuridicamente giusta o sbagliata quella sentenza, è ben difficile farla collimare con il buon senso e, a mio giudizio, con il senso ultimo della giustizia.

    Qualcuno ha recentemente ipotizzato che grazie ai progressi dell’intelligenza artificiale anche la funzione dei giudici potrebbe diventare superflua: poiché tutte le leggi sono già scritte sembrerebbe sufficiente affidare il compito di emettere sentenze ad un computer che sicuramente (?) non sbaglierebbe.

    In realtà, un computer può pure essere dotato di una inarrivabile intelligenza logica ma mai, poiché non gli sarebbe possibile, potrebbe utilizzare anche il buon senso.

    Nel caso del processo in questione credo che proprio il buon senso e una intelligenza non aritmetica ci consiglierebbe di considerare anche questi fattori:

    1 – gli emigranti in questione non erano, a stretto rigore, dei naufraghi e le loro vite non erano più in pericolo. Infatti, la nave soccorritrice aveva già provveduto a salvarli e rifocillarli. Nel momento in cui si trovavano su quella nave essi erano solamente delle persone qualunque che cercavano di entrare, senza averne ottenuto preventivamente il permesso, in un Paese straniero che non li aveva richiesti né desiderava la loro presenza.

    2 – Il vero e proprio naufragio avvenne nelle acque libiche e tutte le persone in pericolo furono salvate da un rimorchiatore, il Vos Thalassa. Ricevuto quest’ultimo l’ordine delle autorità libiche di sbarcare in un loro porto nacque una ribellione violenta a bordo, cosa che costrinse il comandante a richiedere l’aiuto della nave italiana Diciotti. Quest’ultima dovette attraversare la zona di mare di competenza maltese e chiese l’autorizzazione allo sbarco in un loro porto, sicuramente “sicuro”. Tuttavia, le autorità dell’isola rifiutarono di lasciare attraccare la nave che si indirizzò così verso l’Italia. Il ministro Salvini autorizzò lo sbarco solo a condizione che i violenti fossero sottoposti a un processo ma la sua richiesta fu rifiutata.  I minori, e altre cinque persone considerate a rischio per la loro salute furono allora autorizzate a sbarcare e il comandante della nave fu invitato dalle autorità italiane competenti ad indirizzarsi verso altra destinazione sicura. Durante i sei giorni che, disubbidendo all’invito, il comandante rimase fermo in porto, la nave avrebbe potuto raggiungere qualunque altro porto del Mediterraneo, magari più volenteroso di accoglierli.

    3 – L’allora Ministro degli Interni venne subito iscritto nel registro degli indagati per il reato di sequestro aggravato di persona insieme a Matteo Piantedosi, all’epoca suo capo di Gabinetto. Il fascicolo venne poi trasferito al Tribunale dei ministri, che però ne chiese l’archiviazione. Il tribunale ordinario tuttavia non accolse la richiesta trasmettendo l’incartamento al Senato per chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro. A febbraio 2019, la giunta per le autorizzazioni – con i voti della maggioranza Lega-M5S – respinse la richiesta bloccando di fatto l’iter giudiziario. Oggi, invece, la decisione della Cassazione di accogliere il ricorso di 41 migranti e concedere il risarcimento danni (stimato da 42.000 a 72.000 euro a persona). Se è pur vero che la magistratura resta indipendente dagli altri poteri istituzionali, è altrettanto vero che scelte strettamente politiche non dovrebbero essere sindacate dai magistrati, salvo che dalla Corte Costituzionale.

    3 – il fenomeno dei flussi migratori verso l’Europa è indubbiamente un fenomeno epocale ma è chiaro a tutti che immigrazioni incontrollate e abusive sono foriere di forti disagi, se non peggio, per le popolazioni autoctone. È quindi facilmente intuibile il perché la maggioranza dei popoli europei cerchi di scoraggiarle. La scelta del governo italiano di impedire o almeno ritardare l’attracco di una nave con migranti clandestini a bordo fu una scelta politica con finalità deterrente. Tra l’altro, una scelta condivisa dalla stragrande maggioranza dei cittadini che, a suo tempo, avevano scelto i politici autori di quelle scelte.

    4 – Come ha correttamente detto la Presidente del Consiglio Meloni una sentenza come quella recentemente emessa dalla Cassazione costituisce un precedente che potrebbe portare migliaia di altri immigrati clandestini ad avanzare la stessa richiesta di indennizzo causando così un pesante potenziale grave vulnus ai bilanci dello Stato. Non va sottovalutato l’effetto di incoraggiamento che tale sentenza potrebbe costituire per altri milioni di persone che ambirebbero ad entrare in Italia, e quindi in Europa, senza averne alcun titolo o diritto.

    Non sono un giurista e quindi, come già detto, non intendo entrare nel merito legale ma se l’avvenimento riguardante Salomone, mito o realtà che fosse, un insegnamento doveva darci, sembra proprio che i giudici della Corte di Cassazione non ne abbiano tenuto conto.

    Purtroppo, mi nasce uno spiacevole sospetto: che la scelta fatta da quei magistrati rientri nel filone della guerra che il potere giudiziario ha intrapreso contro quello politico per la decisione di quest’ultimo (a mio avviso necessaria) di separare le carriere dei magistrati giudici da quelli inquirenti.

  • In attesa di Giustizia: terre di nessuno

    Nel Parco di Yellowstone, che ricade nel Distretto Giudiziario del Wyoming, si estende una striscia di terra della superficie di circa 130 chilometri quadrati che sconfina nell’Idaho ed in quel territorio, quasi un enclave tipo Campione d’Italia, non ci abita nessuno il che pone un problema giuridico: secondo il VI emendamento della Costituzione Americana ogni imputato ha diritto ad un giusto processo di fronte ad una giuria composta da cittadini dello Stato e del Distretto in cui il crimine è stato commesso…Dunque se in quella lingua di terra venisse commesso un delitto non sarebbe concretamente possibile celebrare un processo per la mancanza di potenziali giurati: d’altronde, essendo un’area disabitata, è improbabile che venga commesso un reato da chicchessia e di qualsiasi natura; nessuno, correttamente, ha mai pensato di istituirvi un Tribunale di Contea vuoto.

    Da noi invece, qualche anno fa, si è fatta una revisione della geografia giudiziaria perché alcuni Tribunali apparivano in sovrannumero rispetto al territorio, molti erano stati edificati distanti pochi chilometri di distanza uno dall’altro per offrire presidi di legalità in un tempo – quello della Unità d’Italia – in cui i mezzi di trasporto non erano quelli attuali e tra tutti primeggiava il Piemonte dove Casa Savoia ne aveva disseminati una quantità notevole (molti dei quali sopravvissuti), compreso un secondo Distretto di Corte d’Appello a Casale Monferrato in aggiunta a Torino. Spending review, redistribuzione delle risorse ed efficientamento del sistema sono risultati raggiunti ben al di sotto delle aspettative con questa riforma risalente al Governo Monti e non senza qualche singolare sviluppo come quello che riguarda la sede distaccata di Ischia del Tribunale di Napoli, inizialmente soppressa e riaccorpata al Capoluogo, poi riaperta con un andirivieni di fascicoli che facilitava smarrimento e prescrizione ed ora in procinto di essere nuovamente chiusa abbandonando un’isola con oltre 50.000 abitanti, che in stagione diventano circa 400.000, e sei Comuni, nelle mani dei soli Giudici di Pace che – tra l’altro – hanno competenza limitata e nessuna per il reato più frequentemente commesso a livello locale: l’abuso edilizio.

    Non più tardi di qualche mese fa il Governo aveva rassicurato l’Ordine degli Avvocati di Napoli prorogando proprio a dicembre il provvedimento di riapertura provvisorio in essere in attesa dell’avvio del necessario iter legislativo volto alla stabilizzazione della sede ma il diavolo ci ha messo la coda, o meglio, il Consiglio Giudiziario (che è una sorta di propaggine locale del C.S.M.) con il voto determinante – guarda un po’ – dei magistrati.

    Motivo: dopo il trasferimento di un giudice l’interpello per trovare chi lo sostituisse non è andato a buon fine, probabilmente a causa del sovrumano sacrificio richiesto a Suo Onore di prendere l’aliscafo alle 6,30 del mattino un paio di volte alla settimana per andare a fare udienza a Ischia…con la conseguenza di costringere tutti gli altri a prenderlo per raggiungere Napoli: poliziotti, carabinieri, testimoni, imputati, parti lese e periti e con ciò allontanando dalla sede di lavoro per molto più tempo del necessario una moltitudine di cittadini, parte dei quali costituiscono un presidio indispensabile della comunità come agenti delle forze dell’ordine, medici, infermieri, vigili del fuoco, ufficiali postali e via enumerando.

    Non è il solo esempio: per limitarsi ad un altro che ha creato disagi notevoli per l’utenza lo si rinviene con la soppressione del Tribunale di Montepulciano che impone complicate trasferte fino a Siena, ma la lista continua.

    A ciò si aggiunga che la sezione distaccata del Tribunale di Napoli a Capri era stata a suo tempo accorpata ad Ischia (competente anche per Procida) ed i profili critici devono essere moltiplicati per altre due isole, seppur più piccole.

    Molti anni fa, per ragioni diverse, ad Anacapri fu chiusa anche la Casa Mandamentale, cioè un piccolo carcere locale, ma di questo si lamentarono solo i pochissimi detenuti che trovavano molto chic espiare la pena nell’Isola Azzurra.

  • In attesa di Giustizia: attenti agli spifferi

    Come riporta l’autorevole quotidiano “La Stampa” affrontando l’argomento del clima arroventato che caratterizza l’attuale confronto sulle riforme e del prestigio della Magistratura, il Presidente neo eletto dell’A.N.M., attribuendone ogni responsabilità ad altri è riuscito con tutta probabilità nel compito non agevole di farne precipitare ancor più l’indice di fiducia da parte dei cittadini che nel 2024 era già sceso al 31,2%: vedremo come in chiusura di questo commento.

    I cittadini, lato loro, quando vengono intervistati dai sondaggisti di EURISPES non possono esprimersi altro che sulla base di ciò che sentono in qualche dibattito televisivo, al più di ciò che leggono sui quotidiani  ma quello che meno conoscono è il sottobosco di interessi, guerre intestine, indulgenze o  rigori disciplinari che caratterizzano le lotte per il potere combattute dalle correnti della Magistratura pur avendone appreso dai libri a firma Palamara-Sallusti che hanno venduto centinaia di migliaia di copie. Soprattutto non ne conoscono i dettagli come quello che questa settimana la rubrica offre al voltastomaco dei lettori, tratto da una nota del lontano marzo 2010 inviata da un Procuratore Aggiunto all’allora Capo dell’Ufficio che – però – da lì a poco sarebbe passato ad altro incarico. Quale Ufficio di Procura? Quello di Milano, che teme il “contesto eversivo” dell’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario degli Avvocati Penalisti e declina l’invito a parteciparvi, quale se no?

    In tale nota veniva richiamata e confermata la conversazione intervenuta tra quel Procuratore Aggiunto con un Collega il quale, a fronte di un disaccordo sulla suddivisione dei compiti nei diversi dipartimenti, gli aveva ricordato che al Plenum (del C.S.M., N.d.R.) sei stato nominato Aggiunto per un solo voto di scarto e che questo è un voto di ***********. Avrei potuto dire ad uno dei miei Colleghi (di corrente…) al Consiglio che tu mi rompevi i coglioni e di andare a fare la pipì al momento del voto, così sarebbe stata nominata la ******* che poi avremmo sbattuto ad occuparsi di esecuzione…questo è il mondo e tutti sappiamo che va così.

    E ancora vogliamo sostenere la tesi di un prestigio messo in crisi dalle riforme con il rischio di subalternità alla politica e di avvocatura e eversiva e di indipendenza dell’Ordine Giudiziario quando le sorti della amministrazione della giustizia dipendono dagli inciuci correntizi.

    Quanto ci farebbero comodo in questo periodo due magistrati morti…il consenso arriva ai massimi livelli quando c’è la tangibile prova di questa testimonianza della magistratura!  Così parlò Cesare Parodi, eccolo lì il Presidente dell’A.N.M. di cui in esordio sono state preannunziate le gesta, alla presentazione di un libro dedicato ai magistrati vittime del terrorismo e della mafia: una frase mai smentita che seppur espressa con intervento provocatorio è un eufemismo definire infelice, rivoltante per chi – come il sottoscritto – ricorda la ferma stretta di mano di Giovanni Falcone ad un Convegno, il saluto da lontano a Paolo Borsellino in Procura a Palermo ed ha ancora negli occhi la pozza di sangue raggrumato dalla segatura là dove era stato ucciso Emilio Alessandrini e dove, ancora studente di giurisprudenza, era andato a posare un fiore e rendere onore a un martire: oggi, con buona pace del prestigio destinato a precipitare nell’abisso dopo queste espressioni, i magistrati sembrano rischiare di più la salute per gli spifferi delle correnti.

  • In attesa di Giustizia: liberté, egalité, fraternité

    Si è appena insediato il nuovo Presidente dell’ANM ed è subito contestazione tra gli stessi iscritti all’Associazione per aver osato suggerire l’apertura di un dialogo con il Governo in merito alle riforme sulla giustizia: un atteggiamento che fa il paio con quello assunto durante le Inaugurazioni dell’Anno Giudiziario, compreso quello – di cui la rubrica si è occupata nello scorso numero – dell’Unione delle Camere Penali. Muro contro muro: di alternative le Toghe non ne vogliono sentir parlare e chissà che non chiedano al nuovo vertice del sindacato di dichiararsi apertamente antifascista o, quantomeno, allinearsi al pensiero di Elodie al Festival di Sanremo esplicitando che piuttosto che votare Giorgia Meloni si farebbe tagliare una mano.

    E’ vero che anche noi abbiamo tradizioni rivoluzionarie rammentate da qualche valoroso episodio risorgimentale come le Cinque Giornate di Milano ma certamente nulla di comparabile agli accadimenti del 1789 che, al netto di soperchierie come il processo a Re Luigi (da consegnare ad ogni costo alla “Madame”), gettarono le fondamenta per fare della Francia una solida democrazia. Anche ai giorni nostri, in un contesto politico e di riforma della Giustizia si registrano alcune analogie ma – soprattutto – delle differenze: da un anno circa al Ministero della Giustizia d’Oltralpe siede Eric Dupond-Moretti: avvocato penalista di grande notorietà, figura sgradita, per usare un eufemismo, alla magistratura francese che – detto per inciso non ha le carriere separate ma il Pubblico Ministero dipende dall’esecutivo ad ulteriore dimostrazione della infondatezza delle ansie italiche che dovrebbero, tutt’al più,  basarsi su presupposti diversi e, peraltro, insussistenti.

    E perché mai questo gentiluomo di chiara fama è così inviso all’Ordine Giudiziario tanto quanto il nostro carlo Nordio con l’aggravante di essere un avvocato? A causa, anch’egli, del programma di riforme che sta portando avanti sorretto però dall’appoggio bipartisan di tutte le forze politiche, nessuna delle quali è subalterna ai desiderata della magistratura associata, dei manutengoli della carta stampata che hanno giurato fedeltà alla Repubblica delle Procure e dei sodali di presunti avvocati transitati ineffabilmente dalla consolle di una discoteca a via Arenula e dei manettari con i polsi degli altri.

    Eric Dupond Moretti, inoltre, non subisce il condizionamento di magistrati fuori ruolo insediati in ruoli chiave al Ministero, come accade da noi, ed il potere politico è libero di esprimersi in linea con il programma di governo senza renderne conto se non al Parlamento ed ai cittadini: vuole una riforma delle regole per la diffusione delle immagini videoregistrate dei processi che non deve essere un diritto di cronaca assoluto ed incondizionato, ma deve essere preventivamente vagliata la sussistenza dell’interesse pubblico prima di dare il via ad una totalizzante gogna mediatica e deve essere munita di comprensibili e corrette spiegazioni all’ opinione pubblica delle peculiari regole processuali che vengono rappresentate…e tutto ciò mai prima che vi sia una sentenza definitiva, e le immagini non più replicabili dopo un periodo di cinque anni dalla sentenza e con il previo consenso delle persone interessate: altro che Quarto Grado, Chi l’ha visto? (o, meglio, Chi l’ha fatto?), Porta a Porta con i plastici delle scene del crimine e pseudo esperti d’accatto che argomentano di colpevolezza con disinvoltura da bar sport commentando il campionato di calcio.

    Un’altra area di intervento è la durata delle indagini, che il Ministro – ragionevolmente – non vuole che superino i tre anni, prorogabili a tre con adeguata motivazione solo se riguardano la criminalità organizzata.

    Violenta, poi, è stata la opposizione alla proposta di riforma del segreto professionale con divieto assoluto di intercettazione delle conversazioni tra cliente e difensore, anche quando questi rivesta il ruolo di mero consulente con un gruppo di lavoro all’opera per realizzare un protocollo ed un sistema tecnologico in grado di immediatamente interrompere il flusso comunicativo del soggetto intercettato quando questi entra in contatto con il proprio difensore.

    E su questi temi il confronto si surriscalda: “Gli studi legali sono dei luoghi sacri, non può esistere difesa senza segreto professionale”, dice il Ministro. “È in malafede e sta lavorando per i suoi amici avvocati”, accusa la locale Associazione dei magistrati; “Difendo lo Stato di diritto contro dei metodi da spie”, replica Dupond – Moretti, senza troppi giri di parole.

    Tutto il mondo è paese e non si può escludere che qualcuno, come accadrebbe da noi, che qualcuno alluda che così il Ministro “mette in pericolo la sicurezza del Paese”, o “favorisce la Mafia”; ma, la differenza non banale è che da noi, il Parlamento francese vota in coscienza ed assoluta autonomia in piena condivisione della riforma.

  • In attesa di Giustizia: tic toc…tic toc…

    Saranno senz’altro tutte coincidenze, ma se qualcuno, in piena bagarre per il corso che ha preso la riforma sulla separazione delle carriere, pensa a giustizia ad orologeria magari farà peccato ma può essere che non si sbagli.

    Ecco servita l’informazione di garanzia collettiva alla Premier, al sottosegretario alla Presidenza Mantovano ed ai ministri Nordio e Piantedosi e la domanda delle domande è: atto dovuto o voluto? Cerchiamo di fare chiarezza con i lettori evitando di commentare le parole dei diretti interessati ma andando a spiegare ricordando che una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 2009 ha individuato l’obbligo del Pubblico Ministero di iscrivere una notizia di reato e il nome dell’indagato nel relativo registro solo a fronte di una notizia “qualificata” e non in presenza di qualunque esposto, denuncia o querela. Il che vuol dire dopo avere svolto un minimo di accertamento sui presupposti: tanto più accorto quanto più delicata sia la materia.

    Questo principio è stato recepito dal legislatore che nel 2022 ha modificato l’articolo 335 del codice di procedura penale, prevedendo che si debba trattare “di un fatto, determinato e non inverosimile riconducibile in ipotesi a una fattispecie incriminatrice e per il quale risultino indizi a carico della persona alla quale il reato è attribuito”. Per, appunto, indagarla formalmente previa iscrizione.

    Tra la decisione della Cassazione e la modifica normativa, proprio a Roma, vi era stata anche una circolare del Procuratore Capo di allora del 2 ottobre 2017 che escludeva “iscrizioni automatiche basate su una lettura meccanica della normativa che poterebbero ad attribuire impropriamente alla polizia giudiziaria – o addirittura al privato denunciante – il potere di disporre in ordine alle iscrizioni”.

    Dunque il pubblico ministero è onerato di verificare se le condotte descritte nell’eventuale esposto possano essere ritenute, anche solo astrattamente, penalmente rilevanti, e ove questo giudizio dia esito negativo, non deve procedere ad alcuna iscrizione.

    La legge costituzionale numero 1 del 1989 prevede poi, per i reati che si ipotizza siano stati commessi dal Presidente del Consiglio o dai Ministri nell’esercizio delle loro funzioni, l’obbligo di avviso alle persone interessate e la trasmissione al Tribunale dei Ministri ma deve essere letta alla luce della regola generale.

    Ne discende che non esistono automatismi.

    A nessuno può sfuggire che, ogni interpretazione contraria ad una disciplina molto chiara darebbe luogo ad esiti paradossali e la più insensata, infondata e fantasiosa denuncia verrebbe destinata al Tribunale dei Ministri determinando l’avvio delle indagini.

    Sorprende (ma non troppo…), dunque, la lettura data dall’ANM secondo la quale la scelta del Procuratore Lo Voi di iscrivere nel registro delle notizie di reato la Presidente del Consiglio, il Ministro della Giustizia, il Ministro dell’Interno e il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sarebbe un “atto dovuto” perché non è affatto dovuta l’iscrizione di una notizia che non abbia un minimo di fondamento e tale valutazione spetta, appunto, al Pubblico Ministero che non può recepire acriticamente una denuncia.

    L’8 agosto dell’anno scorso, per fare un altro esempio, l’On. Roberto Giachetti ha presentato un esposto-denuncia contro il Ministro Nordio e i sottosegretari Andrea Delmastro e Andrea Ostellari, ritenuti responsabili di condotte omissive in relazione ai 65 suicidi di detenuti all’interno degli istituti di pena.

    Si ha notizia che il Procuratore di Roma li abbia iscritti nel registro degli indagati e abbia trasmesso gli atti al Tribunale dei Ministri previo avviso agli interessati? Trovate le differenze e sarebbe istruttivo conoscere il pensiero dell’ANM a riguardo.

    Insegnava Platone: “Il capolavoro dell’ingiustizia è di sembrare giusta senza esserlo”.

    Almeno per questa volta il capolavoro però, per quanto ci si sforzi, non pare sia riuscito.

  • In attesa di Giustizia: buon anno

    Buon 2025 a voi lettori e buon anno, soprattutto, ai cittadini milanesi che – grazie alla ennesima iniziativa green – del sindaco Sala potranno disporre di un presidio in più a tutela della loro salute: il divieto di fumo all’aperto se tra il vizioso di turno e l’astante più vicino intercorre uno spazio inferiore ai dieci metri.

    Cosa c’entra tutto ciò con la giustizia? C’entra, c’entra perché avverso le contravvenzioni amministrative è possibile, a seconda dei casi, fare ricorso al Giudice di Pace o al T.A.R.  e c’è da prevedere un intasamento senza precedenza dei ruoli di udienza da parte di fumatori colti in flagrante accensione di sigaretta in un contesto in cui evitare la sanzione sarà per un verso pressochè impossibile e per altro diabolico da dimostrare il mancato rispetto della distanza.

    A prescindere dalla considerazione che in alcuni luoghi il divieto dovrebbe ritenersi sostanzialmente assoluto per le caratteristiche di pedonabilità ed affollamento in determinati giorni ed orari, in particolare nelle grandi arterie commerciali come Corso Vittorio Emanuele piuttosto oppure nelle zone della movida sul genere dei Navigli, proviamo ad immaginare cosa potrebbe accadere, per esempio, ad un residente in Corso Buenos Aires che rientra a casa dal lavoro, sotto sera in una condizione di maggiore tranquillità…

    …I negozi sono chiusi o prossimi alla chiusura ed anche i bar si stanno spopolando degli appassionati di quella tradizione tipicamente milanese che è l’aperitivo, persino il traffico veicolare si va riducendo ed il nostro immaginario cittadino dopo una giornata in ufficio decide di godersi una fumatina, appena uscito dalla metropolitana o disceso da un tram, lungo l’ultimo tratto a piedi: dovrà, tuttavia, procedere a zig zag per schivare, mantenendo la distanza, i pedoni che gli vengono incontro, forse dotandosi di un paio di smart glasses muniti di telemetro. La mancanza di specchietti retrovisori montati sul cappotto volti ad  adocchiare  quelli provenienti alle spalle comporta il rischio di esporli  a micidiali esalazioni durante l’avvicinamento e l’eventuale sorpasso. Permane, tuttavia, la difficoltà di tutelare da una mezza boccata di Marlboro quelle specie protette che sono i ciclisti o centauri in monopattino che sfrecciano e sbucano da ogni dove, incuranti di semafori, senso di marcia, attraversamenti pedonali e rischiano di terminare la giornata spiattellandosi contro una Tesla (sia pure munita di benedizione da Palazzo Marino dell’autista cultore dell’elettrico) che silenziosamente impegna un incrocio o una fiancata del tram 9.

    Che ne sarà di costui? Ci saranno ronde di cittadini salutisti pronti a chiamare le Forze dell’Ordine dopo aver immortalato l’inquinatore con il telefono, posti di blocco della Polizia Locale dotati di apposita strumentazione laser per calcolare le distanze oppure si andrà a occhio?  E che dire del momento della contestazione?

    “Concilia?”  “No, guardi, signor Vigile, secondo i miei Ray Ban Meta erano dieci metri e otto centimetri e non nove e novanta come dice lei”…e, come osserverebbero i giuristi più raffinati: quid juris se le  potenziali “vittime” fossero fumatori a loro volta, che magari avevano appena spento la lor sigaretta? il divieto vale anche nei loro confronti? Bisognerebbe, forse interpellare come testimoni tutti i presenti prima di redigere il verbale e sentire anche la loro versione circa la distanza? Sono solo alcuni esempi di ciò che potrebbe accadere.

    Delle due l’una: o nessuno verrà mai multato vanificando la rigorosa scelta del Primo Cittadino oppure – anche nel malcelato intento di fare cassa – vi saranno raffiche di sanzioni che saranno puntualmente impugnate soffocando definitivamente di ricorsi gli uffici giudiziari deputati ad esaminarli.

    E il Sindaco come reagirà? A Dio piacendo non potrà candidarsi per un ulteriore mandato, e siccome manca ancora un po’ di tempo alla fine di questo, qualcuno potrebbe dargli un suggerimento: perché, in luogo di queste iperboliche idiozie non dispone un censimento degli impianti di riscaldamento delle Case ALER e spende un po’ di soldi per sostituirli, posto che ancora funzionano quasi tutti a gasolio (qualcuno, non è da escludere, persino a carbone) ognuno dei quali in un’ora inquina più del Titanic con le macchine a tutta forza per tentare di evitare l’iceberg?

    Nel frattempo, Buon Anno di cuore a tutti voi: fumatori e non, ciclisti virtuosi e possessori di diesel Euro 6 che dovreste vergognarvi di avere.

  • In attesa di Giustizia: Buon Natale

    I lettori probabilmente si ricordano di uno degli antieroi di questa rubrica, l’ex Pubblico Ministero di Trani Michele Ruggiero, ma riassumiamo: trasferito a fare il giudice civile in Piemonte dopo una prima condanna per i metodi con cui interrogava i testimoni – tecnicamente definiti “tentativo di violenza privata”-  è stato  ritenuto colpevole anche in un successivo processo perché i verbali di interrogatorio li falsificava pure quando la sua moral suasion non era sufficiente a farsi dire quello che voleva per spedire qualcuno in carcere. Il totale è di quasi cinque anni di galera che dovrà scontare se saranno confermate le sentenze nei gradi successivi di giudizio. Dopo la seconda e più recente condanna il C.S.M. lo ha sospeso dalle funzioni per due anni ma…tranquilli, il panettone a tavola lo potrà mettere comunque perché la regola vuole che gli venga comunque corrisposto un assegno “alimentare” pari a circa 4.500 euro al mese che sono calcolati sul suo più elevato trattamento stipendiale di quando era in servizio: Buon Natale, quindi a Michele Ruggiero che non patirà la fame, pagato per non fare nulla, o meglio, pagato meno di quanto percepiva per, come sembra, faceva il suo lavoro ma, se non altro, senza nuocere.

    Buon Natale anche a Luca Turco, P.M. di Firenze che compie i 70 anni proprio come Gesù Bambino il 24 dicembre e in quella data andrà in pensione al culmine di una carriera che è stata costellata da una serie imbarazzante di flop: l’ultima delle sue inchieste, cosiddetta “Open” a carico di Matteo Renzi ed altri dieci imputati, si è conclusa dopo cinque anni con una sentenza  del G.U.P. di non luogo a procedere nei confronti di tutti, il che equivale a dire che il giudice non ha rilevato il benchè minimo elemento che potesse giustificare l’avvio di un processo con una anche minima possibilità di condanna per qualcuno. Per dare la misura del fallimento di quella indagine basti dire che il proscioglimento in udienza preliminare è una decisione talmente infrequente che gli avvocati la considerano una sorta di prova della esistenza di Dio. Nel palmares di Turco, però, non vanno dimenticate – tanto per fare altri esempi – l’inchiesta  per truffa e riciclaggio in danno del sistema sanitario a carico di Alberto e Lucia Aleotti, patron della “Menarini” avviata nel 2011 e conclusa dopo nove anni con assoluzioni definitive e per non parlare di quella su presunti concorsi universitari truccati a carico di quarantaquattro professori e ricercatori di diritto tributario in tutta Italia con sette arresti, ventidue interdizioni all’insegnamento: tutte le posizioni sono state addirittura archiviate (a Venezia perché aveva sbagliato grossolanamente ad individuare la competenza di Firenze) non senza aver subito anche la gogna mediatica, pregiudizi di immagine e progresso in carriera. Infine Turco, in quella che sembra essere una forma di ossessione nei confronti della famiglia Renzi, ha indagato e fatto arrestare per false fatturazioni e bancarotta i genitori e la sorella del leader di Italia Viva…tutti assolti. Sotto l’albero, tuttavia, questo P.M. troverà una sostanziosa liquidazione per i suoi quarant’anni in magistratura (malcontati circa 350.000 euro) e una dignitosa pensione sui 9.500 euro lordi al mese, ovviamente con tanto di tredicesima, al culmine di una carriera rimasta illibata sol perché un procedimento disciplinare nei suoi confronti sembra che al C.S.M. sia andato perduto e dopo il pensionamento Turco non è più giudicabile sotto questo profilo.

    Buon Natale, infine, anche al Procuratore Generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, che da Procuratore Capo di Agrigento si fece un giretto sulla Open Arms per vedere cosa stava succedendo e poi se ne tornò tranquillamente in ufficio a ragionare su come e con quale incriminazione mettere sotto processo Matteo Salvini. I migranti vennero fatti sbarcare settimane dopo (ma non direttamente grazie a lui) e nel frattempo Patronaggio aveva indagato il Ministro dell’Interno per sequestro di persona senza rendersi conto che, nel suo ruolo, avrebbe dovuto impedire che si protraesse anche solo di un minuto l’ipotizzato sequestro di persona: il che, per il nostro codice penale, equivale ad esserne complici. Ma non c’è più nulla da temere per l’ex Procuratore, che è stato anche avanzato di grado, perché tanto Salvini è stato assolto perché il fatto non sussiste (tradotto: inesistenza originaria del delitto attribuito) e, d’altro canto, nessuno si è mai interrogato – neppure dopo che il fascicolo è passato per competenza a Palermo – se, nel caso, ci fossero anche altri compartecipi del presunto reato…Buon Natale, quindi anche a Giuseppe Conte e Danilo Toninelli che con Salvini condividevano certamente una responsabilità collegiale ma sarebbero stati assolti anche loro: se non altro, si sono risparmiati anni di tormenti giudiziari…di ciò se ne compiacciano.

    Buon Natale, di cuore, a voi lettori.

                                                                                  

  • In attesa di Giustizia: lui è peggio di me

    Questo era il titolo di un film di una trentina di anni fa interpretato da Andriano Celentano e Renato Pozzetto: ovviamente regalava il sorriso, cosa che non sono in grado di fare Marco Travaglio e Andrea Del Mastro…tanto per scegliere una coppia di impresentabili da commentare in questo numero de Il Patto Sociale.

    Il primo dei due, sempre pronto a commentare come ferite non rimarginabili alla giustizia e democrazia tutte le sentenze che non rechino la parola “condanna”, è – per il momento – rimasto silente a proposito dell’esito del terzo grado di giudizio a carico di Piercamillo Davigo, una notizia che, impropriamente, la maggior parte dei quotidiani ha riportato inserendo nel titolo “Appello bis per Davigo”: vero, ma così si mimetizza una realtà non banale e cioè che l’annullamento della sentenza di condanna da parte della Cassazione è stato solo parziale, essendo divenuta definitiva una parte della sentenza della Corte d’Appello di Brescia che ha condannato l’ex P.M. di Mani Pulite per rivelazione di segreto d’ufficio, una rivelazione senza uguali precedenti  come annotano i giudici bresciani usando proprio il corsivo per meglio evidenziare il concetto.

    Davigo, dunque, nuovamente a giudizio solo per alcune delle condotte contestate che la Corte d’Appello dovrà rivalutare ma ciò non significa che verrà automaticamente assolto mentre risulta definitivamente condannato per altre. Tecnicamente lo si deve definire un pregiudicato ma non si può dire commentando oltre la superficie la notizia di quel parziale successo che significherebbe, per amor di verità (una virtù, peraltro, raramente coltivata dal Fatto Quotidiano), affrontare, la parte meno gradevole della decisione.

    La famiglia Travaglio è in lutto e questo, forse, spiega il silenzio del Direttore che, a suo tempo, sentenziò in anticipo che “Davigo non deve rispondere di nulla perché è riuscito a tutelare il segreto”, una difesa preventiva con inattesi sussulti garantisti che è stata smentita. Questa volta, però, la condanna, sia pure parziale non è motivo di festa come se, in base al metro di giudizio standard di Travaglio, Davigo fosse improvvisamente diventato motivo di imbarazzo, una brutta persona poiché condannato, e fosse preferibile nascondere la circostanza come quando si butta la polvere sotto al tappeto… il che non è: Piercamillo Davigo è uno con cui non avrei mai voluto avere a che fare come imputato e non è stato piacevole neppure da difensore ma non è una brutta persona tantomeno perché è pregiudicato come non lo sono tanti che lui stesso ha fatto condannare da P.M. o condannato con le sue mani quando è passato alle funzioni giudicanti.

    Un bel tacer non fu mai scritto e – detta tutta – l’ammutolimento su dettagli non secondari di questa vicenda è di gran lunga preferibile alle giustificazioni che, invece, ha ritenuto di dare il sottosegretario alla Giustizia Andrea Del Mastro Delle Vedove: uno con il cognome che evoca la fantozziana contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare ma anche in questo caso non fa per nulla ridere. Ripugna.

    Ripugna, la notizia non è nuovissima, la sua affermazione secondo la quale è una intima gioia non lasciare nemmeno respirare chi viene trasportato dal nuovo blindato della Polizia Penitenziaria riservato ai detenuti in regime di alta sicurezza o al 41 bis ritenendo che gli agenti della PolPen condividano il suo medesimo entusiasmo ad incalzare chi siede su quel veicolo. Sottosegretario, lei ha forse studiato diritto costituzionale al buio? Forse non ha mai avuto notizia che il precedente motto degli Agenti di custodia era “Vigilando redimere” che – se pure in latino fosse un po’ zoppicante come in diritto costituzionale – non ha bisogno di essere tradotto?

    Ma forse è troppo pretendere da costui che abbia anche solo sfogliato qualche pagina scritta da Cesare Beccaria o letto, figuriamoci capito, cosa sottintende l’articolo 27 della Costituzione dove afferma che le pene devono ispirarsi al senso di umanità…però, almeno qualche giornale oltre la pagina dello sport lo avrà occhieggiato, magari avrà visto un telegiornale che riportava la notizia del soffocamento da parte di agenti della polizia di Minneapolis di un nero, John Floyd, durante l’ arresto per il presunto impiego di una banconota falsa da venti dollari: un presunto innocente martoriato e ucciso senza motivo e sebbene gridasse la sua disperazione “non respiro!” perchè gli agenti, con un ginocchio premuro sul collo, facevano qualcosa che al poco Onorevole Del Mastro sembra provocare orgasmi incontenibili invece che farlo riflettere sulla circostanza che quei poliziotti sono stati processati e l’autore materiale dell’omicidio, commesso tenendo per più di otto minuti il ginocchio sul collo di Floyd che implorava pietà, è stato condannato a ventidue anni di carcere. Probabilmente ignora anche questo e con opportuno uso del participio può definirsi un ignorante.

    “Volevo dire che è alla mafia che non diamo respiro”, ha provato a giustificarsi Del Mastro: la classica pezza peggiore del buco perché quello che ha detto in una occasione pubblica ha un significato inequivocabile. Tranne per chi, oltre a Beccaria (figuriamoci Pietro Verri e Carlo Cattaneo), alla Costituzione e forse al latino, probabilmente non conosce nemmeno l’uso della lingua italiana.

  • In attesa di Giustizia: ossimori

    Il rischio è quello di sembrare ripetitivi ma una saga è scandita in più puntate, come quella del processo truccato noto come “ENI NIGERIA” riguardante – secondo la Procura di Milano – una mazzetta di entità mai vista ed impareggiabile in un raggio esteso sino ai confini della galassia, caso mai girassero tangenti anche su Nettuno e Plutone.

    Ne abbiamo ricordato alcuni passaggi ed evoluzioni nel numero della settimana scorsa e proprio in questi giorni sono state depositate le motivazioni delle condanne a otto mesi di reclusione dei P.M. Spadaro e De Pasquale, ormai protagonisti assoluti di questa rubrica: motivazioni che fanno riflettere.

    Non v’è dubbio che l’Autorità Giudiziaria di Brescia, competente per i reati attribuiti a magistrati di Milano, non si sia lasciata condizionare dall’altisonanza dei nomi iscritti sul registro delle notizie di reato né si sia fatta scrupoli nel rinviare a giudizio e pronunciare condanne ma…una differenza si nota proprio nelle motivazioni: implacabili con Davigo, ormai in pensione, e – invece –  vagamente contraddittorie in alcuni passaggi della “sentenza De Pasquale”, ancora in servizio come Spadaro, si direbbe quasi in ossequio al noto principio “cane non mangia cane”.

    Nella decisione bresciana è dato leggere, infatti, che De Pasquale e Spadaro nel processo a carico dei vertici dell’ENI hanno selezionato “chirurgicamente” gli elementi a favore della loro tesi stralciando quelli a discolpa degli indagati deliberatamente tacendo l’esistenza di risultanze investigative  in palese ed oggettivo contrasto con i portati accusatori e ciò nonostante le esortazioni contrarie ricevute da altro magistrato in servizio presso la medesima Procura, Paolo Storari, che chiedeva – anche per iscritto con e-mail acquisite al giudizio e richiamate nella sentenza – di utilizzare i verbali da cui risultava che il grande accusatore dei manager ENI fosse un calunniatore…verbali che De Pasquale  chiese che venissero “chiusi in un cassetto” perché ritenuti irrilevanti. Il Tribunale di Brescia ricorda che al P.M. non compete una simile valutazione arrogandosi una sfera illimitata di insindacabilità: è al giudicante che spetta ogni considerazione sulla rilevanza, affidabilità delle prove ed il conseguente impatto sul giudizio finale.

    La sentenza di cui si tratta riporta nel dettaglio le prove “truccate” utilizzate nel processo Paolo Scaroni + Altri a partire dalla perizia su una chat attribuita all’AD di ENI che ne dimostrava la falsità, opportunamente esclusa dal fascicolo, alla “dimenticanza” della corruzione di un teste nigeriano da parte di Vincenzo Armanna (sempre lui!) per affermare il falso contro gli amministratori dell’azienda petrolifera per tacere, infine, del tentativo di far deporre costui per screditare lo sgradito Presidente del Tribunale che li stava giudicando facendolo apparire come corruttibile dai difensori degli imputati.

    Un quadro inquietante, stomachevole, preoccupante per qualsiasi cittadino che dovesse anche lontanamente temere di finire nel tritacarne di questa…chiamiamola giustizia, senza offesa per la Dea Temi. Il Tribunale di Brescia definisce oggettivamente gravi questi comportamenti da parte dei P.M. milanesi ma subito dopo riconosce incomprensibilmente una buona fede di cui, negli elementi a carico che abbiamo sintetizzato (e non sono nemmeno tutti) non vi è traccia. E’ dato leggere che “tutto ciò non significa che si sia inteso perseguire ingiustamente degli innocenti e, quantomeno all’inizio, potevano esserci elementi investigativi che giustificavano il sospetto”. Già, all’inizio…ma poi? Quando si sono palesate evidenze contrarie al teorema accusatorio sono state cestinate ed allora il sospetto che si alimenta è ben altro.

    Ma quale buona fede, ma mi faccia il piacere! Direbbe il Principe De Curtis, il Tribunale di Brescia invece sembra tentare di salvare il salvabile anche sostenendo che la oggettiva gravità delle condotte è attenuata dalla incensuratezza e che è ragionevole aspettarsi per il futuro la cessazione di comportamenti illeciti: a prescindere che con la legislazione attuale l’incensuratezza come valore fruibile per attenuare la responsabilità penale non potrebbe essere utilizzata neppure per nostro Signore prima di crocifiggerlo, aspettarsi che un servitore dello Stato si astenga in futuro dal commettere altri reati è il minimo sindacale, anzi, non avrebbe dovuto commetterli neanche prima e  proprio per le qualità personali, il ruolo e la funzione svolta, lo spergiuro sulla costituzione, quelli già commessi “oggettivamente gravi” dovrebbero essere sanzionati con significativo rigore e non con una pena molto vicina al minimo previsto dal codice.

    Leggendo la sentenza di cui è stato offerto un sunto sembra di poter ricavare due conclusioni: che questa volta non dovrebbero esserci colpevoli che l’hanno fatta franca nonostante una tendenza nel finale al cerchiobottismo e gli “ossimori scomposti” della motivazione. In fondo anche questa volta cane non mangia cane, però qualche morso pur sempre fastidioso è stato dato…morsi che De Pasquale e Spadaro non sono riusciti a dare al cane a sei zampe nemmeno barando.

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