aziende

  • Addii senza fine, Piazza Affari sempre più magra

    Non si arresta l’emorragia di società in uscita da Piazza Affari. La tendenza che il disegno di legge Capitali, una volta approvato dal Parlamento, proverà a fermare incoraggiando le aziende a quotarsi in Borsa e a restarci, ha toccato il suo record negativo l’anno scorso quando la Borsa di Milano ha registrato il maggior numero di addii e il peggior saldo tra entrate e uscite dal 2010.

    In 15 hanno lasciato il listino principale a fronte di solo 6 nuovi ingressi. Il dato è contenuto nella relazione annuale della Consob e conferma il ‘dimagrimento’ della Borsa. Se nel 2010 poteva contare su 272 quotate italiane, nel 2022 sono scese a 220 (-19%).

    Dalla fotografia sull’attività svolta nell’ultimo anno dall’authority di vigilanza sui mercati finanziari emerge poi che le sanzioni irrogate dalla Commissione sono state pari nel complesso a 5,2 milioni di euro, il valore più basso dal 2005.  Ridotta anche la platea dei destinatari, nel complesso 65 soggetti, il minimo dal 2001. Si tratta di numeri lontani dal record di multe da 43 milioni del 2007 per sanzionare i ‘furbetti del quartierino’ protagonisti della stagione delle scalate bancarie e di quella a Rcs, nonché l’equity swap Ifil-Exor sulle azioni Fiat. Se si guarda all’ultimo anno le sanzioni più salate sono invece legate al crac dell’ex unicorno delle bioplastiche Bio-on (1,67 milioni) e all’insider trading nell’opa Snaitech (1,05 milioni).

    Sul calo delle multe incide fra l’altro il mutato approccio della Consob per disinnescare in anticipo, attraverso il dialogo con i soggetti vigilati, i comportamenti illeciti. In linea peraltro con l’idea promossa anche dal governo di una vigilanza non solo sanzionatoria.

  • Chinese factories boom while Japan’s are in reverse

    Manufacturers in Asia’s two biggest economies are performing very differently after the pandemic.

    Factory activity in China expanded last month at the fastest pace in more than a decade, official figures show.

    However, in Japan manufacturing activity shrank in February at the fastest pace in over two years.

    Firms around the world are balancing reopening as Covid restrictions ease against rising costs of everything from energy to workers’ wages.

    China’s manufacturing purchasing managers’ index (PMI) rose to 52.6 from 50.1 in January, according to China’s National Bureau of Statistics. It was the highest monthly reading since April 2012.

    PMIs are a measure of economic trends which provide businesses, central banks, governments and investors important information about current and future business conditions.

    The PMI is shown as a number from 0 to 100. A reading above 50 shows expansion in activity compared to the previous month. A number below 50 indicates contraction. The further the figure is away from 50 the greater the amount of change.

    China’s much better-than-expected performance came after the strict coronavirus measures in the world’s second largest economy were eased late last year.

    The country saw one of its worst years in nearly half a century in 2022 due to widespread lockdowns and outbreaks of Covid-19.

    Meanwhile, in Japan a private manufacturing PMI fell to 47.7 in February from January’s 48.9, marking the fastest fall since September 2020.

    The data underscored the major issues faced by businesses in the country – which is the world’s third largest economy – including a global slowdown, the soaring cost of raw materials and calls for firms to raise wages for their workers to help ease a cost of living crisis.

    The figures came a day after Japanese government data showed the country’s factories, notably car makers and computer chip producers, cut output in January at the fastest rate in eight months.

  • La Commissione approva una modifica al regime italiano di sostegno alle imprese del Friuli Venezia Giulia

    La Commissione europea ha approvato una modifica a un regime italiano esistente a sostegno delle imprese attive nella Regione Friuli Venezia Giulia nel contesto della guerra della Russia contro l’Ucraina.

    La Commissione ha approvato il regime iniziale nell’agosto 2022. Nell’ambito del regime, gli aiuti assumono la forma di i) aiuti di importo limitato; ii) sostegno alla liquidità sotto forma di garanzie; iii) sostegno alla liquidità sotto forma di prestiti agevolati; e iv) aiuti per i costi aggiuntivi dovuti ad aumenti eccezionalmente marcati dei prezzi del gas naturale e dell’energia elettrica. L’Italia ha notificato le seguenti modifiche al regime esistente: i) un aumento di bilancio di 240 milioni di €; ii) una proroga del regime fino al 31 dicembre 2023; e iii) un aumento dei massimali di aiuto, in linea con il quadro temporaneo di crisi modificato il 28 ottobre 2022.

  • La Commissione approva un regime italiano da 96 milioni di € a sostegno delle imprese in Lombardia

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano da 96 milioni di € a sostegno delle imprese della regione Lombardia nel contesto dell’invasione russa dell’Ucraina. Il regime è stato approvato nell’ambito del quadro temporaneo di crisi per gli aiuti di Stato, adottato dalla Commissione il 23 marzo 2022 e modificato il 20 luglio 2022.

    La misura sarà accessibile a tutte le imprese attive in Lombardia, indipendentemente dalle loro dimensioni e dall’attività svolta. Sono tuttavia esclusi gli enti creditizi e gli istituti finanziari, nonché le imprese attive nei settori dell’agricoltura primaria e della pesca. Questo provvedimento fa seguito ad altri regimi italiani a sostegno dei settori dell’agricoltura, della silvicoltura, della pesca e dell’acquacoltura, come quello approvato dalla Commissione il 18 maggio 2022 (SA.102896).

    Il regime mira a garantire che le imprese colpite dall’attuale crisi geopolitica e dalle conseguenti sanzioni e controsanzioni continuino a disporre di liquidità sufficiente, in modo da poter proseguire l’attività economica in questo difficile contesto. Nell’ambito del regime, i beneficiari ammissibili avranno diritto a ricevere aiuti di importo limitato sotto forma di sovvenzioni dirette, garanzie e prestiti.

    La Commissione ha constatato che il regime è in linea con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi. In particolare, l’aiuto i) non supererà i 500 000 € per impresa; e ii) sarà concesso entro il 31 dicembre 2022.

    La Commissione ha concluso che il regime italiano è necessario, adeguato e proporzionato per porre rimedio al grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, in linea con l’articolo 107, paragrafo 3, lettera b), TFUE e con le condizioni stabilite nel quadro temporaneo di crisi. Su queste basi la Commissione ha approvato la misura di aiuto in conformità delle norme dell’Unione sugli aiuti di Stato.

    Fonte: Commissione europea

  • Il nuovo film del 2023: “The retourn of relocations”

    Già dal mese di gennaio del nuovo anno 2023, caratterizzato dalle conseguenze determinate dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, le imprese italiane, soprattutto quelle  industriali  ed  esponenti del Made in Italy,  si presenteranno alle fiere internazionali con le proprie collezioni e le gamme di prodotti dei quali è già ora difficile preparare un listino prezzi in considerazione della imprevedibilità degli effetti dell’escalation dei costi energetici.

    Operando sempre all’interno di questa problematica situazione  va comunque ricordato  come, già da anni, il Made in Italy sconti i costi burocratici assolutamente anticompetitivi che nessuna crescita della produttività industriale potrà mai compensare. A questa diseconomia strutturale  per le  imprese italiane si aggiunga, già dopo la pandemia, l’esplosione dei costi energetici e delle materie prime, successivamente amplificati dalla guerra.

    Il quadro economico  per i produttori  del Made in Italy risulta così assolutamente insostenibile e senza una possibilità di visione strategica futura: in altre parole, l’intera filiera non è più in grado di attrarre alcuna tipologia di investimenti.

    In questo contesto si ricorda come, per le attività produttive italiane, il costo del gas naturale risulti cresciuto del +1609% (*) mentre quello dell’energia elettrica del +862% (*), del cotone del +88% (*) dell’acciaio del +50% (*).

    Tornando quindi all’appuntamento fieristico, accanto agli stand italiani nella medesima fiera esporranno i concorrenti francesi e tedeschi i quali hanno usufruito del blocco dell’aumento della energia elettrica al +4% i primi, mentre le aziende germaniche, pure nella difficoltà europea, possono avvalersi di forniture del medesimo gas russo ad un costo pari ad 1/3 rispetto a quello imposto alle imprese italiane.

    A questi fattori di maggiore competitività si aggiungono anche gli effetti dell’accordo bilaterale, sempre tra la  Francia e la Germania, che  che prevede appunto lo scambio tra le due realtà economiche di gas in cambio di energia elettrica  a prezzi calmierati.

    In questo contesto catastrofico ovviamente ogni plus relativo all’unicità dei prodotti della filiera  italiana, espressione del Made in Italy e del know how sintesi di eccellenze produttive e professionali, unito al continuo sviluppo di una maggiore competitività e produttività si dimostrerà assolutamente insufficiente a compensare le diseconomie strutturali del nostro Paese.

    La totale mancanza di visione strategica degli ultimi governi che non hanno saputo neppure utilizzare i proventi (gli oltre quaranta miliardi del fiscal drag) per compensare la perdita di competitività delle imprese italiane hanno determinato questo scenario futuro.

    Viceversa, si è optato come strumento di contrasto alla crescita delle bollette la solita elemosina del bonus, delle più disparate ispirazioni, lasciando così per le aziende gli effetti della crisi energetica sostanzialmente invariati.

    Questo nuovo film, sugli schermi il prossimo anno ed intitolato “2023: the retourn of relocation”, vedrà ancora una volta protagonista il fenomeno delle delocalizzazioni produttive incentivate anche dagli insostenibili costi energetici e come attori principali avrà le aziende italiane, le quali, anche  se forti di una buona capitalizzazione ed in grado di riuscire a non sospendere l’attività negli ultimi due anni, non avranno altra soluzione se non delocalizzare a causa della insostenibilità della crisi energetica. Gli spettatori, ovviamente, saranno le decine di migliaia di professionisti che assisteranno all’azzeramento del proprio know how oltre alla cancellazione dei propri posti di lavoro.

    Va ricordato, inoltre, come  per  la realizzazione di questo film si debbano ringraziare tutte le autorità istituzionali, ed in  particolare i Presidenti del Consiglio dal 2020 alla fine del 2022, assieme alle istituzioni di ogni ordine e grado.

    Una menzione particolare, tuttavia, va ai parlamentari tutti, ammesso che conoscessero quanto stavano votando, i quali si sono dimostrati molto più preoccupati di eliminare il tetto ai compensi ad alcuni manager pubblici che delle sorti del ceto produttivo italiano.

    (*) fonte Confindustria

  • Nonostante le sanzioni 13 imprese italiane fanno ancora affari con Mosca

    Risulterebbe che queste aziende continuino ad operare in Russia, quali sono le eventuali sanzioni europee? certo con quello che Putin continua a fare in Ucraina, bombardando case di civile abitazione ed uccidendo cittadini inermi, viene istintivo pensare che almeno noi dovremmo rinunciare ai prodotti di quelle aziende che, nonostante le sanzioni, continuano a fare affari con un paese che ha stravolto e calpestato ogni regola democratica.

    https://www.wallstreetitalia.com/podcast/russia-13-imprese-italiane-si-rifiutano-di-lasciarla-non

  • Pmi: strategie per uscire dalla crisi (2a parte)

    Gentilissimo Dott. Ielo, nella nostra precedente intervista ha descritto una situazione delle PMI in Italia tutt’altro che rosea. In particolare ci ha ricordato come i molteplici vincoli normativi, l’ingente pressione fisale (tra le più alte in Europa) e l’arretratezza del “sistema Italia” sul piano commerciale rappresentino degli ostacoli difficilmente superabili se non si attuano rapidamente delle riforme fiscali ed economiche lungimiranti e se, nel breve periodo, le aziende non si rivolgono a professionisti esperti. Cosa intende per una riforma fiscale lungimirante?

    In genere si dice lungimirante quella persona che ha la capacità di prevedere gli sviluppi futuri di una o più situazioni. Nel nostro caso, definisco una riforma fiscale lungimirante quell’insieme di norme che possono mantenere e far accrescere la ricchezza degli italiani tenendo conto di come gli orientamenti produttivi e dei consumi (per costume e per necessità) stiano cambiando rapidamente e radicalmente in questo Paese e nel Mondo.

    Il debito italiano è di circa 2.700 miliardi di euro e l’evasione fiscale è stimata (e ripeto, stimata) intorno ai 100 miliardi di euro all’anno. Questo è il presente. E il futuro? Di certo sappiamo che la spesa per affrontare le emergenze ambientali, agricole, alimentari, sociali ed economiche aumenteranno. Di conseguenza, per essere lungimiranti, qualunque azienda o persona orienti le proprie attività per migliorare questa situazione deve essere fortemente aiutata sul piano fiscale, oltre che incentivata o finanziata. Al contrario, chi non fa nulla in questa direzione deve essere disincentivato. Ogni euro non speso per la tutela dell’ambiente, o per la tutela della salute, equivale a cento, mille, diecimila euro di spesa pubblica per cercare di risolverlo. E ancora, tassare in modo esponenziale chi produce, indifferentemente da cosa e come lo produce, e, di contro, dare sempre più sussidi direttamente a chi non produce nulla (è fuori dubbio che ci sono persone che ne hanno davvero diritto) senza avere adeguati strumenti di controllo e senza alcuna reale progettualità, alla lunga porterà dei grossi scompensi economici. Sono alcune delle contraddizioni che credo meritino di essere affrontate con urgenza e con lungimiranza, appunto.

    Se lei domani fosse nominato Ministro delle Finanze, che cosa farebbe da subito?

    Partendo dal presupposto che siamo in emergenza e che è tempo di essere italiani ancor prima che appartenenti ad un partito politico, istituirei innanzitutto un tavolo di lavoro per condividere le informazioni sulla situazione attuale e futura delle casse dello Stato con i più importanti enti di rappresentanza del mondo del lavoro (a livello nazionale e regionale) e non solo (penso anche al terzo settore). Scopo di questo tavolo quello di elaborare in tempi brevi una strategia condivisa sui più urgenti interventi di correzione, in positivo, delle proiezioni più negative. In secondo luogo istituirei un altro tavolo di lavoro, composto da comprovati professionisti, per raccogliere, studiare ed analizzare i “sistemi fiscali” di altri paesi. E lo scopo dell’iniziativa è quello di creare un confronto su scala internazionale sul tema perché oggi non esiste solo il “pianeta” Italia ma esiste un sistema economico globalizzato e globalizzante con il quale è impossibile non fare i conti. In terzo luogo creerei un altro tavolo di lavoro per studiare il modo per alleggerire e semplificare tutto il sistema fiscale delle PMI e delle partite iva. La vera forza economica e culturale di questo paese. All’analisi darei corso fattivamente ad una strategia attuativa.

    Più che una riforma del fisco mi sembra una vera e propria rivoluzione. Non pensavo fosse così ottimista.

    Con gli amici spesso ci diciamo che “In Italia è bello vivere solo da turisti”. È solo una battuta che cela la tanta amarezza e tristezza che alberga nei nostri cuori. Stiamo ritornando ad essere un paese di emigranti. Stanno via via scomparendo i piccoli agricoltori custodi di biodiversità, i piccoli artigiani custodi di multiculturalità e tutti i piccoli geniali inventori che hanno fatto di questo paese uno dei più belli e ricchi al mondo. C’è qualcosa che non va. Mi trovo perfettamente d’accordo con Piero Angela quando afferma che l’Italia è un paese morto perché non ci sono punizioni per chi sbaglia né premi per chi merita. Tuttavia, alla possibilità di sedermi nel punto più alto della scala decisionale, come ha potuto sentire, non mi tirerei di certo indietro e cercherei di fare di tutto per rianimare questo paese allo stremo.

    Per lavoro è molto spesso a Roma ma vive in una città del Sud. Cosa farebbe se diventasse assessore delle attività produttive della sua città? 

    Si, vivo a Messina, una delle principali culle storiche della cultura mediterranea. Mi concentrerei, nelle stesse modalità poc’anzi descritte, per rilanciare nell’immediato la cultura della “condivisione” fra imprenditori (in primis di obiettivi di sistema) per procedere all’istituzione di un sistema di offerta integrata in grado di proporsi sui mercati domestici e locali (con particolare riferimento a quello dell’indotto turistico) e sui mercati internazionali dei paesi cosiddetti “ricchi” dove ancora il made in Italy è sinonimo di eccellenza qualitativa ed il rapporto dei prezzi è per noi maggiormente vantaggioso. È solamente uniti e con obiettivi comuni che si può concorrere e vincere! Affermo con fermezza che è arrivato il momento di abbandonare le retoriche di difesa (di cosa poi? i nostri imprenditori e le famiglie ad essi collegate hanno perso praticamente tutto in questi ultimi anni). Vanno abbracciate nuove logiche di rinascita economica, soprattutto a livello locale, degne di rappresentare la nuova vera opportunità che tutti quanti aspettiamo.

    Strategie di breve periodo per uscire da questa cristi energetica ed economica?

    In Italia siamo esperti risparmiatori ma pessimi investitori. Dalla singola persona fino ad arrivare, purtroppo, ai piani alti. Si stima che nelle nostre banche ci siano depositati quasi 1.200 miliardi di euro e che a dichiarare un reddito annuo sotto i 30.000 Euro siano circa la metà degli Italiani. Per quanto il divario tra ricchi e poveri stia aumentando i conti non tornano (o meglio, i soldi non girano, per lo meno in Italia). C’è una situazione di stallo. Tra le incertezze sul futuro e la pressione fiscale, fare impresa o investire in questo Paese diventa molto difficile. Tuttavia io sono tra quelli che pensa che è proprio in questi momenti che bisogna avere il coraggio di impiegare le proprie risorse, anche economiche, in progetti che portino i loro frutti a medio e lungo periodo. E non mi riferisco solo a iniziative imprenditoriali o a prodotti finanziari e bancari (per i quali, come detto anche nella prima parte dell’intervista, bisogna rivolgersi solo a persone di comprovata esperienza) ma anche a piccoli progetti di miglioramento della propria vita (dal fare l’orto al fare ginnastica, dall’abbonamento a teatro alla beneficienza di quartiere). Se tutti quanti, infatti, facciamo “girare” anche piccole somme di denaro destinate alla salute, alla cultura e all’ambiente ne gioverà da subito la nostra persona e le persone a noi più care famiglia e a medio periodo anche tutto il sistema perché una lungimirante prevenzione rimane sempre una delle forme di risparmio più intelligente a tutti i livelli.

  • Brand in fuga da Mosca

    Di giorno in giorno si allunga la lista delle aziende che interrompono i business con la Russia, sia per testimoniare la vicinanza al popolo ucraino sia per motivi economici, visto che il conflitto sta causando anche gravi interruzioni della catena di approvvigionamento e delle condizioni commerciali. Come spiega Ikea, ultima in ordine di tempo ad aver sospeso oggi tutte le operazioni con Mosca e anche con la Bielorussia.

    Dal settore automobilistico a quello dell’hi-tech, da quello dell’intrattenimento a quello della moda e delle spedizioni, a quello petrolifero, è fuga dal “regno” di Vladimir Putin. Dall’Italia, il settore bancario riflette sul da farsi mentre Sace (che opera nel settore assicurativo-finanziario) lancia un allarme sul “rischio di credito delle controparti pubbliche e private” di Mosca dopo le sanzioni imposte da numerosi Paesi che ostacolano i pagamenti nelle relazioni commerciali con l’estero e avverte anche su un “rischio espropri come ritorsione». Assicurazioni Generali ha deciso di lasciare i tre posti nel board di Ingosstrakh, la compagnia russa di cui detiene il 37,5%: escono Paolo Scaroni, Luciano Cirinnà, responsabile dell’area Austria Centro Est Eurpa e Russia del Leone Giorgio Callegari, ex numero uno di Generali Russia. Il gruppo italiano chiude inoltre l’ufficio di rappresentanza a Mosca e le attività di Europ Assistance nel Paese.

    Il gruppo Intesa Sanpaolo che conta 28 filiali ed oltre 900 dipendenti in Russia ha detto che la sua presenza lì “è oggetto di valutazioni strategiche”. Anche Unicredit monitora la situazione e ribadisce che la banca in Russia rappresenta circa il 3% dei ricavi e del capitale allocato del gruppo. Da Leonardo, che con la Russia non ha relazioni commerciali per le attività nella Difesa, fanno sapere che nel civile seguiranno ogni indicazione del governo. Pirelli fa un monitoraggio costante della situazione ma allo stato attuale non prevede di fermare la produzione in nessuno stabilimento mentre Michelin ha sospeso alcune attività in impianti in Europa per difficoltà logistiche.

    Fabbriche chiuse e numerose interruzioni di attività nei giorni scorsi da parte di diversi big internazionali di vari settori economici. Oggi si è fatto indietro anche il colosso svedese dell’arredamento Ikea, che ha sospeso produzione, vendita, import ed export, con un impatto diretto su 15.000 collaboratori in Russia e Bielorussia. Si fermano altre fabbriche come quella dell’auto Volkswagen che sospende anche le esportazioni in terra russa; blocco anche dalle principali case automobilistiche giapponesi da Toyota per criticità legate all’approvvigionamento delle forniture nello stabilimento di San Pietroburgo (100.000 veicoli all’anno), a Honda che ha deciso di fermare l’invio delle proprie auto in Russia per le difficoltà nel sistema dei pagamenti in quanto le vetture vengono trasferite dagli Stati Uniti, a Mazda che bloccherà le forniture di parti di ricambio.

    Attività commerciali sul territorio russo e on line chiuse da Apple e Nike, mentre Eni ha deciso di vendere la sua quota nel gasdotto Bluestream con Gazprom. Nel settore energetico Bp era stata la prima a rompere le fila annunciando di voler dismettere la sua quota di quasi il 20% in Rosneft, anche a fronte di una perdita stimata in 25 miliardi di dollari. Shell vuole uscire dalla joint venture con Gazprom e ha preso le distanze da Mosca anche Exxon pianificando una uscita graduale dal paese. La norvegese Equinor ha cessato le partnership con Rosneft, e ha detto addio a Putin anche la danese Orsted.

    Sul fronte della grande industria a fare un passo indietro sono state da Boeing che ha sospeso supporto tecnico e manutenzione dei suoi aerei alla compagnie russe a Bmw che ha bloccato le esportazioni, passando per Ford e Mercedes che hanno sospeso le attività, a Renault che ha chiuso l’impianto di Mosca, Daimler Truck ha interrotto la partnership con Kamaz e si è fermata anche la tedesca Siemens.

  • Scudo Ue contro le scalate di Paesi terzi alle aziende

    L’Europa alza lo scudo contro le scalate ostili e sfodera il suo ‘golden power’. Con una proposta di legge ormai pronta ad essere svelata il prossimo 5 maggio dalla vicepresidente Margrethe Vestager, Bruxelles avverte le potenze straniere, soprattutto a Oriente: chi nel post-pandemia vorrà fare ‘shopping’ selvaggio dei gioielli strategici europei, fiaccati dalla crisi, dovrà prima vedersela con norme più rigide. Non si tratta, dicono i funzionari Ue, di scoraggiare gli investimenti esteri, ma di garantire condizioni uguali per tutti. Questo significa innanzitutto riempire il vuoto legislativo che regola gli aiuti di Stato pompati dai governi stranieri nelle casse di società spesso controllate con l’obiettivo di depredare gli asset più preziosi del Vecchio Continente.

    La mossa guarda in modo distinto alle aziende di Pechino che, gonfie di sussidi governativi, sono ormai da anni indaffarate in scalate sul territorio europeo approfittando della disastrata situazione economica. Non a caso, tra gli Stati membri c’è anche chi si è già mosso: soltanto una ventina di giorni fa, il governo Draghi ha deciso di fare uso del proprio golden power per bloccare l’acquisizione della lombarda Lpe, attiva nel settore dei chip, da parte della cinese Shenzhen Investment.

    Stando ai primi dettagli del disegno di legge Ue, anticipati da alcuni media internazionali, sono 2 le principali novità che la Commissione si appresta a introdurre rispetto al passato. Innanzitutto, il suo potere d’intervento: l’antitrust Ue avrebbe per la prima volta diritto di veto sulle acquisizioni di aziende europee alimentate da aiuti pubblici esteri. Non solo: così come già accade per le operazioni che coinvolgono le società europee, qualora Bruxelles riscontrasse che un’acquisizione facilitata da sussidi di Paesi terzi nuoce alla concorrenza, avrebbe il potere di chiedere impegni correttivi alle società, come la vendita di attività. Sarebbe poi introdotto l’obbligo di notifica anticipata per le operazioni dalla portata potenzialmente più distorsiva. Si tratterebbe, secondo quanto indica il Financial Times, di tutte quelle acquisizioni che superano i 500 milioni di euro. Mentre per Reuters, a essere assoggettate all’obbligo di notifica sarebbero le imprese straniere che, forti di aiuti pubblici di oltre 10 milioni di euro, acquisiscono più del 35% del capitale di una società europea con un fatturato di oltre 100 milioni di euro. L’esecutivo Ue è ancora al lavoro per definire la soglia critica per le sovvenzioni estere capaci di distorcere il mercato, ma con tutta probabilità sarà superiore ai 5 milioni di euro.

    Alcuni tipi di aiuti, come le garanzie illimitate, saranno considerati particolarmente nocivi. L’obbligo di notifica ex-ante dovrebbe poi riguardare anche gli appalti pubblici per contratti da almeno 250 milioni di euro. Qui, notava già un anno fa Bruxelles nel suo libro bianco che anticipa la proposta, i sussidi potrebbero distorcere la concorrenza permettendo alle imprese estere di gareggiare al ribasso.

  • La Commissione approva il regime italiano modificato per sostenere le aziende colpite dall’epidemia di coronavirus

    La Commissione europea ha riscontrato che la modifica dell’attuale regime italiano di sovvenzioni dirette per supportare le aziende attive a livello internazionale colpite dall’epidemia di coronavirus è in linea con il quadro temporaneo. Il regime originale è stato approvato dalla Commissione il 31 luglio 2020. Il 10 dicembre 2020 la Commissione ha approvato la proroga del regime fino al 30 giugno 2021. L’Italia ha notificato un aumento del bilancio totale stimato del regime di 828 milioni di euro, il che significa un aumento del bilancio totale da 300 milioni di euro a 1,128 milioni di euro. Analogamente al regime originale, il regime modificato continuerà a sostenere le società ammissibili facilitando il loro accesso alla liquidità e non assumerà la forma di aiuti all’esportazione condizionati alle attività di esportazione in quanto non è vincolato a contratti di esportazione concreti. La Commissione ha concluso che il regime, così come modificato, resta necessario, appropriato e proporzionato per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro, in linea con l’articolo 107 e le condizioni stabilite nel quadro temporaneo. In particolare, il sostegno continuerà a non superare gli 800.000 euro per impresa e il regime è limitato nel tempo fino al 30 giugno 2021. Su questa base, la Commissione ha approvato la misura ai sensi delle norme UE sugli aiuti di Stato.

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