La dottrina economica cattolica giudica legittima che ogni impresa cerchi il proprio profitto ma ricorda anche che si tratta pur sempre di un’attività sociale. In altre parole, ogni imprenditore, sia esso un individuo o una entità con più soci, oltre a perseguire un utile non deve mai dimenticare la valenza sociale e quindi il valore e la funzione che rappresenta per tutta la società. Avendo io lavorato sia in imprese pubbliche che private (prima di essere attivo politicamente) mi sento di aggiungere che mentre le scelte strategiche restano di spettanza dei titolari o dei massimi dirigenti i risultati, buoni o cattivi che siano, sono il frutto del lavoro di tutti: dirigenti, impiegati e semplici operai. Se la maggioranza dei dipendenti lavora con coscienza e capacità e si ottiene un risultato positivo per l’azienda, il merito non è soltanto di chi ha effettuato le giuste scelte di mercato ma anche di chi ha contribuito a realizzarle. Naturalmente vale anche il contrario nel caso gli esiti dell’attività fossero negativi.
Se si condivide quanto sopra non può che fare specie sentire notizie come quelle che hanno accompagnato le dimissioni del Chief Executive Officer di Stellantis, il signor Carlos Tavares. A detta delle notizie di stampa, tale personaggio che ha guidato il gruppo industriale verso l’insuccesso lascerebbe con una liquidazione di circa 100 milioni di dollari (o euro, ma la differenza è irrisoria) dopo aver percepito tutto il tempo un compenso annuale di circa 40 milioni.
Sappiamo tutti che questo non è l’unico caso di liquidazioni e di compensi stellari e che tanti altri CEO (in Italia li chiamiamo Amministratore Delegato) di grandi società hanno ricevuto e ricevono compensi simili, magari pur portando le aziende che guidano verso il fallimento, ma il numero di costoro non rende il metodo più accettabile. Che nella stessa azienda ci sia chi, al vertice, possa essere retribuito duemila volte più dell’ultimo dipendente dimostra che qualcosa di storto si è innescato nel nostro sistema economico. Ovviamente, chi ha maggiori responsabilità e, probabilmente, competenze più ampie e valide è giusto che abbia un riconoscimento anche economico maggiore, ma nessuno può affermare con un minimo di realismo e di sincerità che un pur bravo Amministratore Delegato valga umanamente e professionalmente duemila volte di più di un qualunque fattorino od operaio che lavori nella stessa azienda. La cosa ancora più scioccante è che, mentre quel vertice incassa cifre da capogiro, la stessa azienda licenza centinaia o migliaia di altri lavoratori. Già riducendo della sola metà le cifre erogate quanti posti di lavoro si sarebbero salvati?
Comunque sia non si tratta soltanto di una questione morale o di giustizia sociale: tali circostanze coinvolgono la tenuta in equilibrio di intere società. In tutta la storia conosciuta dell’umanità quando le differenze tra i diversi livelli economici e sociali all’interno delle stesse popolazioni hanno cominciato a essere percepiti come esagerati sono nati disordini sempre più violenti. È vero che a ribellarsi a ciò che viene ritenuto ingiusto sono sempre delle minoranze, poiché le maggioranze sono disponibili a sopportare di tutto, ma il numero degli insofferenti seppur lentamente è destinato a crescere. E con loro l’instabilità sociale.
Nell’immediato dopoguerra, in tutto il mondo occidentale si realizzò un grande sviluppo economico e, quasi ovunque, le differenze tra i più ricchi e i più poveri diminuirono consentendo anche un notevole incremento delle classi medie. Il fenomeno portò, almeno in quei Paesi, alla contemporanea diminuzione della povertà assoluta e alla speranza per tutti i giovani di allora che il futuro non potesse che essere perfino migliore di quello dei loro genitori. Era la famosa “mobilità sociale”. O almeno la speranza che potesse realizzarsi. Purtroppo, dagli anni ottanta tutte le società economicamente sviluppate hanno invertito quella tendenza e il gap tra i più benestanti e gli svantaggiati è andato invece aumentando, così come i numeri di chi vive in povertà assoluta. Pochi sono i giovani di oggi che vivono con quella passata speranza fatti salvi, naturalmente, i figli della classe dirigente che grazie ai redditi elevatissimi dei loro genitori sono cooptati facilmente nelle classi dirigenti del futuro.
È vergognoso che negli Stati Uniti ove il reddito “medio” pro-capite è il più alto del mondo esistano, secondo le statistiche ufficiali, almeno 30 milioni di “poveri assoluti”. Il fenomeno non è però solo il loro: anche in Europa, seppur con percentuali per ora inferiori, sta succedendo la stessa cosa.
Siamo davvero convinti che comunità con gli evidenti divari di cui sopra siano nel naturale ordine delle cose e, soprattutto, si potrà continuare così per lungo tempo? Non sarebbe più opportuno e più sicuro per tutti (anche per i privilegiati) ripensare perché si è arrivati a quel punto e cercare di correggersi?
Ciò che più spaventa è che la classe politica europea, di qualunque parte stia a parole, sembra non capire che si sta preparando una bomba che prima o poi esploderà trascinando sia ricchi sia poveri nella stessa polvere e in una nuova miseria collettiva.