Energia

  • Il nucleare a Venezia?

    Una delle più grandi città turistiche del mondo, Venezia, vive uno spopolamento senza precedenti, ormai gli abitanti sono sotto la soglia del 50.000, proprio perché l’economia turistica non sostiene la popolazione indigena ma anzi la spinge ad abbandonare la città a favore di locazioni turistiche.

    Nello specifico a Venezia si aggiunge una situazione economica e sociale della vicina Mestre, oggetto di una involuzione senza precedenti legata all’azzeramento economico ed  industriale.

    Il declino di Mestre nasce perché una città che era  nata attraverso la crescita esponenziale della occupazione grazie allo sviluppo di Porto Marghera e della sua zona industriale, una volta venuti meno questi  fattori di crescita si è ritrovata abbandonata al proprio destino caratterizzato da una balorda economia turistica che assicura delle semplici rendite di posizione ma rende la città sempre più povera e vittima della delinquenza di strada. Una deriva sociale ed economica di conio turistico talmente semplice da prevedere e invece sostenuta in passato proprio da chi oggi, fingendosi innovatore, parla di nucleare che, tuttavia, maggioranza ed  opposizione non intendono affrontare per una palese mancanza di cultura industriale ed economica.

    L’ultima boutade di Brunetta relativa alla creazione di una centrale nucleare dimostra, ancora una volta, quanto ancora oggi possa mancare una visione complessiva delle problematiche cittadine economiche industriali e del porto.

    L’energia nucleare, o meglio una centrale nucleare, potrebbe o dovrebbe essere intesa come il veicolo o la motivazione principale per attirare imprese, molto più propositiva della pluriennale attesa  di una  definizione dell’area in ZeS (zona economica speciale) o ZlS (zona logistica semplificata), le quali, potendo sfruttare l’energia prodotta dalla centrale stessa, avrebbero tutta la convenienza nell’allocare le proprie produzioni avendo per di più il porto disponibile. Si creerebbe un sistema complesso industriale ed intermodale integrato unico nel suo genere. In questo contesto, allora, ecco che l’idea di una centrale nucleare potrebbe risultare decisamente positiva in quanto espressione di un fattore di nuovo sviluppo e di conseguenza di nuova occupazione, attraverso la quale si potrebbe in qualche modo fermare il declino di una città come Mestre che merita ben altri scenari futuri di quelli che sta vivendo in questo periodo, e magari liberandolo anche in parte Venezia dalla morsa turistica con nuove residenzialità legate alle professionalità del nuovo polo industriale.

    Viceversa, utilizzata solo come strumento ideologico di sfruttamento del territorio,  si comprende ancora una volta di più quali siano le reali motivazioni del declino economico tanto della zona industriale di Marghera quanto del suo porto.

    La visione complessiva è frutto di una cultura economica ed industriale che in questo periodo potrebbero sposare una politica energetica ed intermodale, ma evidentemente sconosciute ancora oggi dalle intere “elite” culturali ed istituzionali locali. Un dato confermato dal solito fuoco di sbarramento già avviato dalle opposizioni del PD e dei verdi ai  quali risulta ancora oggi di difficile comprensione il legame tra lavoro, economia e sviluppo sociale di una città.

  • Accordo tra società europee ed algerine per produrre idrogeno verde

    Sonatrach (Algeria), Sonelgaz (Algeria), Vng (Germania), Snam (Italia), SeaCorridor (partnership tra Eni e Snam) e Verbund Green Hydrogen (Austria) hanno firmato il 14 ottobre un memorandum d’intesa per condurre gli studi necessari e valutare la fattibilità e la redditività di un progetto integrato per la produzione di idrogeno verde in Algeria al fine di rifornire il mercato europeo attraverso il SoutH2 Corridor. Lo si apprende da un comunicato stampa di Sonatrach. La cerimonia di firma si è svolta presso il Centro congressi di Orano ed è stata presieduta dal ministro dell’Energia e delle Miniere algerino, Mohamed Arkab, alla presenza del presidente e amministratore delegato del Gruppo Sonatrach, Rachid Hachichi, del presidente e amministratore delegato di Sonelgaz, Mourad Adjal, del Chief International Officer di Snam, Sergio Molisani, del presidente e amministratore delegato di SeaCorridor, Francesco Caria, dell’amministratore delegato di Verbund Green Hydrogen, Franz Helm, e di Hans-Joachim Polk, membro del Consiglio di amministrazione di Vng.

    Il memorandum d’intesa consentirà alle parti di esaminare congiuntamente l’opportunità di realizzare un progetto integrato multi-stakeholder lungo la catena del valore dell’idrogeno verde utilizzando il SoutH2 Corridor, si legge nella stessa nota. Il corridoio “svolgerà un ruolo fondamentale nella riduzione della dipendenza energetica dalle energie fossili e nella promozione di una transizione energetica verso un’economia sostenibile e a basse emissioni di carbonio. La realizzazione di questo ambizioso progetto ha il potenziale per soddisfare il fabbisogno europeo di energia verde e permetterà di rafforzare la posizione dell’Algeria come importante fornitore di energia all’Europa”, conclude la nota.

  • La Bei eroga 166 milioni per 17 centrali solari

    La Banca europea per gli investimenti (Bei) e il produttore di energia Bnz hanno sottoscritto un prestito da 166 milioni di euro per la realizzazione di 17 centrali solari fotovoltaiche in Spagna, Italia e Portogallo. Si tratta della prima tranche di un prestito complessivo da 500 milioni di euro approvato dalla Bei a favore di Bnz per sostenere la generazione di 1,7 GW di energia solare fotovoltaica in Europa meridionale entro la fine del 2026. Bnz è un produttore indipendente di energia, controllato da Nuveen Infrastructure, che sviluppa, costruisce e gestisce progetti nell’ambito del solare fotovoltaico. Le 17 centrali fotovoltaiche genereranno energia verde in grado di soddisfare il consumo energetico medio annuo di oltre 390mila famiglie. Questi nuovi impianti saranno per lo più ubicati nelle regioni di coesione, dove il reddito pro-capite è inferiore alla media dell’Ue, confermando l’impegno della Bei a favore della crescita economica e della convergenza tra regioni. Il finanziamento contribuisce al raggiungimento degli obiettivi climatici della Bei, rafforzandone la posizione come ‘banca del clima’, una delle principali priorità delineate nella tabella di marcia strategica 2024-2027 del Gruppo Bei.

    “Questo nuovo investimento è un chiaro esempio di come la Bei stia promuovendo la transizione energetica, contribuendo a un modello energetico più sostenibile e sfruttando il grande potenziale offerto dai paesi dell’Europa meridionale in termini di energie rinnovabili, ha affermato Alessandro Izzo, direttore della Bei responsabile per le operazioni di equity, growth and project finance. “Il progetto rafforzerà la sicurezza dell’approvvigionamento energetico e contribuirà all’autonomia strategica dell’Europa riducendo la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili”. Il progetto sostiene gli obiettivi di decarbonizzazione del green deal europeo ed è anche parte del piano d’azione della Bei a supporto di RePowerEu, il programma dell’Ue per porre fine alla dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili incrementando l’efficienza energetica e la produzione da fonti rinnovabili. Il finanziamento della Bei è sostenuto da InvestEu, il programma di punta con cui l’Ue mira a rendere disponibili oltre 372 miliardi di euro in investimenti aggiuntivi provenienti da fondi pubblici e privati per contribuire al raggiungimento degli obiettivi strategici dell’Unione nel periodo 2021-2027.

    Luis Selva, amministratore delegato di Bnz, ha osservato: “la nuova fase segnata dalla sottoscrizione del finanziamento mostra la solidità della nostra azienda e l’ambizione dei nostri programmi, oltre ad aprire nuovi scenari che ci consentono di sperimentare sul fronte della diversità tecnologica e geografica e di crescere in termini di volume e di team, con l’obiettivo di diventare uno dei maggiori produttori indipendenti di energia sul mercato. Vogliamo continuare a costruire un futuro più pulito e più sostenibile e l’appoggio di istituzioni finanziarie così importanti dimostra che condividiamo la stessa visione di lungo termine per un mondo migliore”. Secondo Francesco Cacciabue, responsabile a livello globale degli investimenti in energie pulite per Nuveen Infrastructure, “questo importante investimento segna un passo fondamentale per il progresso nel settore delle infrastrutture energetiche sostenibili nell’Europa meridionale. L’iniziativa darà un apporto significativo al raggiungimento degli obiettivi della Spagna, dell’Italia e del Portogallo in materia di energia da fonti rinnovabili e, più in generale, degli obiettivi climatici dell’Unione europea”.

  • La Banca mondiale finanzia l’elettrodotto tra Italia e Tunisia

    Il progetto Elmed, il piano per costruire un’interconnessione elettrica tra Tunisia e Italia, è stato al centro delle discussioni tra la ministra tunisina dell’Industria, delle Miniere e dell’Energia Fatma Thabet Chiboub e i vertici della Banca mondiale. Durante l’incontro, cui hanno partecipato Ahmadou Moustapha Ndiaye, direttore regionale per il Maghreb e Malta, e Paul Noumba, direttore esecutivo per il Nord Africa e il Medio Oriente, è emersa l’importanza di Elmed come “ponte energetico” tra le due sponde del Mediterraneo.

    Elmed collegherà i sistemi elettrici dell’Europa e del Nord Africa, grazie alla sinergia e alla cooperazione tra Terna, gestore della rete italiana, e Steg, la controparte tunisina. La Banca mondiale ha approvato un finanziamento di 268,4 milioni di dollari per sostenere questo progetto strategico, destinato alla costruzione di una stazione di conversione e al rafforzamento della rete elettrica tunisina. Inoltre, il progetto è parte del Country Partnership Framework (Cpf) tra Tunisia e Banca mondiale per il periodo 2023-2027.

    Il progetto Elmed prevede un investimento totale di circa 850 milioni di euro, di cui oltre 300 milioni finanziati dal Connecting Europe Facility (Cef), il fondo dell’Unione europea per lo sviluppo delle infrastrutture energetiche. La Commissione europea ha dimostrato l’importanza strategica di Elmed, destinando oltre la metà del budget disponibile del bando 2022 al progetto. L’elettrodotto si estenderà per circa 220 chilometri, collegando la stazione elettrica di Partanna, in Sicilia, a quella di Mlaabi, nella penisola di Capo Bon in Tunisia. Di questi, circa 200 chilometri saranno coperti da un cavo sottomarino, con una potenza prevista di 600 megawatt e una profondità massima di circa 800 metri lungo il Canale di Sicilia. Un’infrastruttura di questa portata non ha precedenti in termini di coordinamento tra gestori di rete, istituzioni, banche e territori coinvolti.

    Il progetto Elmed punta a garantire una maggiore sicurezza, sostenibilità e resilienza nell’approvvigionamento energetico, favorendo anche l’incremento degli scambi di elettricità prodotta da fonti rinnovabili tra Europa e Nord Africa. Questo si inserisce nella più ampia strategia energetica della Tunisia, che mira a ridurre le emissioni di carbonio del 45 per cento entro il 2030 e a promuovere la crescita economica attraverso investimenti in tecnologie pulite. La Tunisia sta accelerando il suo percorso verso un futuro energetico sostenibile, con l’obiettivo di portare l’energia rinnovabile al 35 per cento del consumo totale entro il 2030, rispetto all’attuale 7 per cento. A tal fine, l’esecutivo tunisino sta incoraggiando investimenti sia nazionali che internazionali, in collaborazione con il settore privato, per sviluppare progetti in linea con l’accordo di Parigi sul clima.

    Durante l’incontro, Ndiaye ha ribadito l’impegno della Banca mondiale a sostenere la Tunisia nella sua transizione energetica, mentre Chiboub ha sottolineato l’importanza del supporto tecnico e finanziario internazionale. La Tunisia ambisce a garantire un approvvigionamento energetico sicuro e accessibile per tutti, mentre sviluppa infrastrutture per l’uso di energie rinnovabili nel settore pubblico, come edifici e illuminazione municipale. Infine, il governo tunisino ha raccomandato la creazione di un decreto che obblighi le istituzioni pubbliche all’uso delle rinnovabili, con un potenziale risparmio energetico di oltre 200 milioni di euro e una riduzione delle emissioni di gas serra pari a 147mila tonnellate di CO2 equivalente.

  • Accordo Webulid-Ansaldo per i mini reattori nucleari

    Contribuire ad accelerare la transizione verso un futuro a basse emissioni di carbonio: con questo obiettivo Webuild e Ansaldo Nucleare hanno firmato un memorandum d’intesa per sviluppare potenziali soluzioni modulari all’avanguardia, sicure, sostenibili e flessibili, nel settore dell’energia. L’intesa – riferisce una nota – si inserisce in un quadro promettente per il settore nucleare, per cui si attendono investimenti crescenti con nuovi impianti attesi su scala globale che puntano a garantire un totale di circa 650 Gw di capacità al 2050.

    L’accordo definisce l’interesse delle parti a collaborare nei prossimi cinque anni per lo sviluppo, la commercializzazione e l’implementazione di tecnologie nucleari all’avanguardia, combinando competenze complementari dei due gruppi industriali. Obiettivo della collaborazione sarà favorire lo sviluppo ed espandere la presenza e l’adozione su scala globale degli Small modular reactor (Smr), reattori a fissione nucleare di piccola taglia (circa 300 Mw), modulari e flessibili, e successivamente degli Advanced modular reactor (Amr), reattori a fissione nucleare derivati dalle tecnologie di quarta generazione, attualmente in fase di studio, che utilizzeranno nuovi sistemi di raffreddamento, come ad esempio metalli fusi, per offrire prestazioni migliori e nuove funzionalità (cogenerazione, produzione di idrogeno, soluzioni per la chiusura del ciclo del combustibile e la gestione dei rifiuti nucleari).

    Con questo importante accordo di collaborazione, Ansaldo Energia e la sua controllata Ansaldo Nucleare fanno un ulteriore passo avanti nel percorso di sviluppo di nuove competenze a beneficio della sicurezza e della transizione energetica. Grazie a costi di investimento iniziale significativamente più bassi rispetto a quelli delle attuali tecnologie, alla flessibilità operativa, alla modularità di realizzazione e alla serializzazione dei processi produttivi e alla conseguente semplificazione del processo di certificazione, gli Smr (e successivamente gli Amr) costituiranno a partire dai prossimi anni uno strumento fondamentale a beneficio della produzione di un’energia economica, programmabile e decarbonizzata. Grazie alle sue competenze, il gruppo Ansaldo Energia si propone come presidio tecnologico nazionale di riferimento della filiera della power generation, mettendo a fattor comune le sue competenze in ambito ingegneristico e manifatturiero e forte di oltre 280.000 Mw di potenza installata nel mondo (con turbine a gas e a vapore), della sua esperienza pluridecennale in ambito nucleare e dello sviluppo di soluzioni innovative per la produzione di idrogeno e per la microgenerazione.

    Il settore energetico si conferma di grande valenza strategica per Webuild, che vanta un track record su scala globale di 313 dighe e impianti idroelettrici, per una capacità installata complessiva di 52.900 Mw. L’attenzione al settore energy è stata rafforzata negli ultimi anni anche con l’acquisizione di Clough, società australiana specializzata nel comparto. Tra i progetti per la produzione di energia pulita rientrano il Grand Ethiopian renaissance dam project (Gerdp), sul Nilo Azzurro, progettato e costruito per soddisfare il fabbisogno energetico interno dell’Etiopia e guidarne lo sviluppo attraverso l’export di energia verso i paesi limitrofi; il Progetto idroelettrico di Rogun in Tagikistan, con la diga più alta del mondo, che raddoppierà la produzione energetica del paese; Snowy 2.0 in Australia, impianto idroelettrico destinato a essere tra i più efficienti al mondo, che sarà in grado di produrre energia elettrica in base ai picchi di domanda, con un tempo di risposta di appena 90 secondi.

  • La Commissione approva la modifica del regime italiano a sostegno degli investimenti in pannelli fotovoltaici nel settore agricolo

    La Commissione europea ha approvato, ai sensi delle norme dell’UE in materia di aiuti di Stato, una modifica di un regime italiano, messo a disposizione attraverso il dispositivo per la ripresa e la resilienza, a sostegno degli investimenti in pannelli fotovoltaici nel settore agricolo.

    Il regime è stato inizialmente approvato dalla Commissione nel luglio 2022. La sua modifica è stata approvata nel giugno 2023. Il regime mira a sostenere gli investimenti delle imprese agricole, agroalimentari e agroindustriali nell’uso delle energie rinnovabili, Il piano sarà in vigore fino al 31 dicembre 2026.

    L’Italia ha notificato una modifica del regime, vale a dire un aumento della dotazione di bilancio di 785 milioni di €, portando la dotazione complessiva del regime a 1,6 miliardi di €.

  • Transizione energetica, un grande prato verde dove nascono speranze che costano care

    Il tempo passa ma i problemi sembrano rimanere gli stessi, per questo vi proponiamo quanto l’On. Dario Rivolta aveva già scritto

    Chi non sarebbe contento di vivere in un mondo con l’aria pulita, senza drastico sfruttamento di risorse non rinnovabili e senza la minaccia dell’aumento delle temperature? Evidentemente nessuno.

    Arrivare a questa situazione certamente idilliaca sembra essere finalmente diventata la meta comune di tutti i governi di quei Paesi che si sono riuniti prima a Roma e poi a Glasgow, concordando (chi più, chi meno) sul progetto di “Transizione Verde”.

    L’obiettivo è sicuramente molto ambizioso, ma sembrerebbe che oramai la strada sia stata imboccata e tutti dovremmo esserne contenti.

    Purtroppo, i saggi decisori, che si aspettano comunque di essere applauditi, ci hanno taciuto (o forse hanno considerato poco importante dircelo) che questa bellissima transizione dall’energia derivante dai fossili a quella basata soltanto su fonti rinnovabili non è quel paradiso che molti di noi sognano.

    Il lato oscuro del “verde”

    Il percosso verso la decarbonizzazione, in effetti, sarà molto più industriale ed energivoro di quanto gli ottimisti sembrano credere. Per realizzarla servono infatti molti minerali complicati da estrarre e sarà necessaria la creazione di nuove strutture a latere.

    Per dare qualche esempio, la costruzione di un parco eolico da 100 megawatt richiede trentamila tonnellate di minerali ferrosi, cinquantamila tonnellate di cemento e almeno novecento tonnellate di plastica e resina.

    In un impianto solare della stessa potenza il ferro e l’acciaio necessari sono tre volte tanto e solo il cemento sarà impiegato in quantità minore che nell’eolico.

    Nel progetto lanciato dall’Unione Europea la produzione di energia elettrica derivante da questi impianti dovrebbe passare dai 1500 gigawatt di oggi ad 8000 GW entro il 2030. Il calcolo dei materiali necessari che bisognerà estrarre dalla terra è presto fatto. E lo si dovrà fare con i vecchi metodi industriali.

    Inoltre, molti dei componenti che dovranno essere utilizzati appartengono al gruppo di quei minerali che vanno sotto il nome di “terre rare”.

    Alcune di loro portano nomi sconosciuti come i lantanidi, lo scambio, l’ittrio, l’eurobio, il lutezio ecc.

    Di altri minerali abbiamo forse già sentito parlare: niobio, tantalio, tungsteno, litio, tellurio, selenio,  indio, gallio.

    Oltre a queste, per creare l’elettricità e stoccarla nelle batterie occorrono anche grandi quantità di cobalto, manganese, nickel, stagno, grafite, rame ecc.

    Nella maggior parte dei casi, nonostante l’aggettivo (rare) attribuito ad alcune di queste materie, non si tratta di presenze scarse sul nostro pianeta ma sono minerali dispersi all’interno di rocce che devono essere estratte e lavorate.

    Che spreco!

    Per dare degli esempi: per ottenere un chilo di vanadio bisogna lavorare otto tonnellate di rocce; per un chilo di gallio ne occorrono cinquanta mentre per ottenere il lutezio in eguale quantità bisogna raffinarne ben duecento tonnellate.

    Tutte queste lavorazioni si fanno con l’impiego di grandi quantità di acqua e di solventi.

    La lavorazione necessaria è così deleteria per l’ambiente circostante che si spiega perché la maggior parte dei Paesi del mondo ha rinunciato ad estrarli, lasciando che sia la Cina ad occuparsi della produzione (e relativa fornitura) di almeno due terzi della domanda mondiale.

    Auto elettrica, quanto mi costi

    Un altro esempio: in una macchina a propulsione elettrica circa duecento chili di quanto pesa in totale sono indispensabili per il funzionamento della batteria e per la sua protezione.

    Si tratta di un quantitativo corrispondente a sei volte quello presente nelle auto tradizionali.

    I suddetti minerali non sono usati solo per le centrali elettriche ecc. o per le auto ma sono sempre più fondamentali per il funzionamento di tutti i prodotti elettronici (smartphone, computer ecc.), negli elettrodomestici, nelle pompe di calore e nelle reti di distribuzione dell’elettricità.

    Alle complicazioni di quanto sopra si deve aggiungere che per la trasmissione dell’elettricità derivante dagli impianti solari, eolici e dall’idrogeno, le reti di distribuzione oggi esistenti saranno riutilizzabili solo in parte.

    Serviranno enormi quantità extra di rame per gli elettrodotti e migliaia di tonnellate di acciaio per le nuove tubature necessarie al trasporto dell’idrogeno.

    C’è allora da aspettarsi che il prezzo dei materiali necessari per affrontare in soli trent’anni (questa è l’intenzione della Commissione europea) una così grande trasformazione diventi oggetto di una forte pressione inflattiva dovuta all’enorme quantità di domanda, ristretta su tempi relativamente brevi in relazione alle capacità dei rifornimenti.

    In altre parole, è molto probabile che i prezzi schizzeranno alle stelle, causando una nuova e lunga inflazione anche su tutti i prodotti a valle.

    Al nuovo ingente (e tuttavia necessario) sfruttamento delle risorse naturali per procedere verso la “transizione verde” vanno aggiunte le conseguenze socio-economiche all’interno delle nostre società. L’Europa (così come- forse- gli Stati Uniti) si è data l’obiettivo di passare ai nuovi sistemi entro il 2035 e completare il processo entro il 2050, mentre la Cina ha dichiarato che raggiungerà il picco delle proprie emissioni di CO2 solo nel 2030 e raggiungerà l’obiettivo finale non prima del 2060. Per l’India il passaggio richiederà ancora più tempo.

    È allora evidente che, negli anni che faranno la differenza, si creerà un divario crescente nei costi di produzione industriali tra i due mondi e certo non a vantaggio delle imprese europee. Con conseguenti crisi che colpiranno molti lavoratori e molte aziende.

    Dalla padella alla brace

    Sotto l’aspetto politico va anche aggiunto che, pur riuscendo a liberarci dall’oligopolio dei produttori di gas e petrolio, ci metteremmo, noi europei, totalmente nelle mani dei nostri nuovi fornitori di minerali rari e materie prime.

    Secondo Larry Fink amministratore di Blackrock (un grande fondo di investimenti che sta già facendo profitti di milioni di dollari proprio sulla “transizione Verde”): “Se la nostra unica soluzione sarà creare un mondo green avremo un’inflazione ancora più grande perché non abbiamo ancora tutte le tecnologie. A un certo punto diventerà una questione politica: accetteremo una maggiore inflazione per accelerare la trasformazione energetica?”

    La risposta dovremmo chiederla a tutti quelli che dovranno sostituire le loro caldaie per il riscaldamento, tuttora a gas o gasolio, con pompe di calore azionate dall’energia elettrica da fonti rinnovabili.

    E anche a tutti quegli automobilisti che dovranno rottamare i loro veicoli a benzina, a gasolio o ibridi per sostituirli con autovetture solo elettriche che però, con la tecnologia attuale, non consentiranno loro di andare da Milano a Roma senza fermarsi qualche ora per ricaricare le batterie.

    Il mondo verde del futuro è molto bello e desiderabile e, poiché tutti i grandi del mondo lo vogliono, non sarò certo io a poterlo ostacolare.

    Tuttavia, sarebbe bene che i vari ambientalisti, esultanti come lo siamo noi, si rendano conto che nella vita nulla è gratuito e che ogni paradiso presuppone anche un proprio inferno.

    Va bene comunque?

  • Eni fa il pieno in Africa di materie prime per produrre biofuel in Italia

    Il Piano Mattei dà una spinta ai biofuel dell’Eni, che proprio in Africa avrà una fonte imprescindibile di materie prime per sviluppare i biocarburanti destinati alla decarbonizzazione dei trasporti.

    Il 17 maggio, riporta il Corriere della Sera, è stato dato l’annuncio del finanziamento, da 210 milioni di dollari, ricevuto per espandere la produzione e la lavorazione della controllata in Kenya da parte di due istituzioni: l’International Finance Corporation, l’agenzia della Banca Mondiale nata per promuovere lo sviluppo delle industrie private nei Paesi in via di sviluppo, e il Fondo Italiano per il Clima del governo italiano gestito da Cdp e creato per finanziare progetti che contribuiscono a raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali. Il prestito consentirà di aumentare sia la produzione di materie prime avanzate (agrifeedstock) coltivate in Kenya sia la capacità di lavorazione attraverso la costruzione di nuovi impianti di spremitura. La produzione di semi oleaginosi, che è la materia prima principale, dovrebbe aumentare da 44mila tonnellate all’anno a 500mila tonnellate nei prossimi anni.

    Il progetto sarà replicato in altri Paesi tra cui Angola, Congo, Costa d’Avorio, Mozambico, Ruanda, Kazakistan e Vietnam, che sta già dando parte della materia prima. L’obiettivo di Eni è creare una filiera integrata in grado di offrire oltre settecentomila tonnellate l’anno di olio vegetale nel 2027, che corrisponderanno a oltre il 35% del feedstock processato nelle bioraffinerie italiane. L’attività di lavorazione si svolgerà delle materie prime in Italia nelle raffinerie petrolifere che Eni ha riconvertito o sta riconvertendo. Gela sarà operativo entro fine anno, Venezia dall’anno prossimo.

    Le prospettive sono rosee, forse anche troppo, tanto che si ipotizza un eccesso di domanda rispetto all’offerta. In uno scenario di zero emissioni nette entro il 2050, si prevede che l’uso di biocarburanti nei trasporti raddoppierà, raggiungendo il 9% entro il 2030.

  • I costi energetici della “democrazia”

    Non passa giorno nel quale le più alte cariche istituzionali nazionali ed europee non intervengano sul pericolo derivante dalle fake news considerate in grado, attraverso la forza dei social media, di condizionare l’opinione pubblica e, di conseguenza, sembrerebbe addirittura le elezioni.

    A questo appello comune tanto alla maggioranza che all’opposizione ovviamente fa riscontro una volontà di creare una sorta di controllo dell’universo mediatico attraverso istituti che applicherebbero un protocollo creando un controllo molto simile ad una sorta di censura.

    All’interno di questo contesto, quindi, con un presunto attacco alla democrazia, l’Italia si sta dilaniando a causa della contrapposizione squisitamente ideologica sulla riforma del Premierato e dell’Autonomia differenziata. Due involucri ancora vuoti al loro interno in quanto la prima non indica neppure il sistema elettorale attraverso il quale i cittadini potrebbero esprimere il proprio eventuale consenso, mentre la seconda rappresenta solo una cornice all’interno della quale non sono ancora chiaramente definiti non solo gli attori che dipingeranno la tela ma neppure i colori.

    Facendo un passo indietro rispetto all’attuale confusione istituzionale, nel maggio 2023 feci presente i pericoli ai quali sarebbe andato incontro il nostro Paese in relazione alla politica energetica adottata dal governo in carica, confrontandola con quella francese (*).

    Dopo poco più di un solo anno, nel giugno 2024, emergono evidenti gli effetti di quella disastrosa strategia energetica, confermata ancora oggi dall’intenzione di cedere altre quota delle principali società energetiche partecipate dal governo (**).

    In buona sostanza, dal 2023 al 2024 il differenziale pagato in più per l’energia elettrica dalle imprese quanto dalle famiglie italiane è passato, rispetto alla Francia, da un +27% (2023) ad un +71% (2024). Contemporaneamente lo stesso differenziale con la Spagna si è innalzato da un + 30% (2023) ad un +68% (2024) e con la Germania si passa da un +23% ad un +29% tra il 2023/24.

    Andrebbe, poi, ricordato come nel medesimo anno il costo dell’energia elettrica sia scesa in Italia del -10%, mentre in Germania si è ridotta del -18%, in Spagna del -59%, infine in Francia del -69%.

    All’interno di un contesto internazionale difficile e articolato, caratterizzato ancora dagli effetti della pandemia e da due conflitti in corso, questi numeri dimostrano come il futuro del nostro Paese sia fortemente compromesso da una scellerata politica energetica, basata sul principio speculativo nel quale i fondi privati esercitano un ruolo attivo acquisendo sempre maggiori quote delle principali società energetiche italiane.

    Risulta inevitabile e giustificata, allora, la flessione di 15 mesi consecutivi della produzione industriale e soprattutto la mancanza di uno scenario futuro proprio a causa di simili costi energetici rispetto alla stessa concorrenza europea.

    Mentre la politica si fronteggia su embrionali riforme costituzionali, contemporaneamente dimostra il proprio disinteresse rispetto ai disastrosi effetti causati dalla propria politica energetica, perfettamente in linea con quella dei governi precedenti, dimostrando, ancora una volta, di operare per il solo  rafforzamento del proprio potere i cui oneri ricadranno sulle spalle dei cittadini come costi aggiuntivi nelle bollette, i quali indeboliranno ancora di più il potere d’acquisto e, di conseguenza, la domanda interna, diventando così  la stessa politica energetica un elemento di stagnazione economica. Mentre le imprese italiane dovranno subire un ulteriore indebolimento della propria capacità competitiva all’interno di un mercato globale ed ovviamente una minore attrattività per gli investimenti esteri nel territorio italiano.

    Questo è il modello di “fake democracy”, intesa come una sorta di moto perpetuo, all’interno della quale la classe politica opera solo ed esclusivamente per il mantenimento delle proprie posizioni con costi sempre più insostenibili.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

    (**) https://www.ilnordestquotidiano.it/2024/06/19/energia-elettrica-il-costo-italiano-tra-i-piu-alti-deuropa/

  • La Commissione approva un regime italiano di aiuti di Stato per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili

    La Commissione europea ha approvato un regime italiano volto a sostenere la produzione di un totale di 4 590 MW di nuova capacità di energia elettrica a partire da fonti rinnovabili.

    L’Italia ha notificato alla Commissione l’intenzione di avviare un regime per sostenere la produzione di elettricità da fonti energetiche rinnovabili. La misura, che rimarrà in vigore fino al 31 dicembre 2028, sarà finanziata mediante un prelievo dalle bollette elettriche dei consumatori finali.

    Il regime sosterrà la costruzione di nuove centrali utilizzando tecnologie innovative e non ancora mature, quali l’energia geotermica, l’energia eolica offshore (galleggiante o fissa), l’energia solare termodinamica, l’energia solare galleggiante, le maree, il moto ondoso e altre energie marine oltre al biogas e alla biomassa. Si prevede che le centrali immetteranno nel sistema elettrico italiano un totale di 4 590 MW di capacità di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili. A seconda della tecnologia, il termine per l’entrata in funzione delle centrali varia da 31 a 60 mesi.

    I progetti saranno selezionati mediante una procedura di gara trasparente e non discriminatoria, in cui i beneficiari presenteranno un’offerta relativa alla tariffa incentivante (il prezzo di esercizio) necessaria per realizzare ogni singolo progetto.

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