Energia

  • Una app per scoprire quanto si può risparmiare sulla bolletta installando pannelli fotovoltaici a casa

    Dal 1990 ad oggi le attività economiche sono cresciute del 60% mentre le emissioni inquinanti sono calate del 30% e quindi gli scenari disastrosi sulle sorti del pianeta si sono già fatti meno probabili. A dirlo sono i ricercatori del JPR di Ispra, uno dei sei centri di ricerca dell’Unione europea che fanno capo direttamente alla Commissione europea e che forniscono all’esecutivo dell’Ue l’expertise tecnico-scientifica (non solo in tema ambientale) sulla base della quale vengono implementate le politiche comunitarie ed emanati regolamenti e direttive perché gli Stati vi diano seguito.

    L’obiettivo della neutralità climatica che la Ue si è posta per il 2050 resta però, a detta degli stessi ricercatori, estremamente ambizioso (e infatti la Cina l’ha fissato per il 2060 e l’India per il 2070), perché le misure per conseguirlo devono fare i conti con la realtà delle cose. Le emissioni legate alla produzione industriali hanno subito un deciso calo in seguito alla crisi economico-finanziaria del 2008, ma la maggior aleatorietà delle prospettive che il comparto produttivo vive da allora disincentiva chiaramente investimenti in maggior efficienza energetiche delle apparecchiature produttive, mentre il trasporto pubblico paga il suo stesso successo come alternativa meno inquinante per la mobilità: la maggior efficienza dei consumi conseguita è stata infatti tutta consumata dall’incremento della domanda di trasporto collettivo, Come dire che le singole corse consumano meno energia e dunque comportano meno emissioni, ma poiché le corse stesse sono aumentate per far fronte alla maggior richiesta il risultato finale in termini di impatto sull’ambiente non è sostanzialmente mutato.

    Discorso analogo vale anche per le abitazioni: la maggior efficienza dei consumi energetici per riscaldare ed illuminare gli spazi abitati (siano case piuttosto che uffici) è aumentata, ma nel contempo sono aumentati anche gli immobili. Diversamente che nel caso dei trasporti, però, per gli immobili l’incremento dei volumi abitati non ha ancora assorbito completamente le migliorie sul fronte dei consumi energetici e dunque il saldo è positivo: a fronte di un maggior numero di case e uffici, oggi, il loro impatto ambientale complessivo è inferiore a quanto si registrava in passato.

    Aiutano, su questo fronte, le migliorie dei pannelli fotovoltaici: più potenti e meno costosi man mano che la tecnologia progredisce, oggi sono venduti dai produttori con una garanzia di funzionamento di 30 anni e anche dopo 30 anni sono di norma in grado di avere un’efficienza pari all’80% di quella di un pannello appena uscito dalla fabbrica.

    Il Joint Research Center ha peraltro messo a punto un’applicazione, PVGIS (la si trova all’indirizzo web https://joint-research-centre.ec.europa.eu/photovoltaic-geographical-information-system-pvgis_it o semplicemente facendo una ricerca su Google digitando PVGIS) che consente di verificare quale è l’esposizione al sole di ogni singolo immobile, in base a dove esso si trova, e calcolare di conseguenza quanta energia si possa ricavare tramite l’installazione di pannelli fotovoltaici. Il calcolo tiene conto della radiazione solare, della temperatura, della velocità del vento, e del tipo di impianto fotovoltaico usato; l’utente può inoltre scegliere come sono montati i moduli (su un telaio a terra oppure integrati nella superficie di un edificio) e PVGIS può anche calcolare l’angolo e l’orientamento ottimale con le quali l’energia prodotta è il massimo su base annuale.

  • La Germania e le politiche energetiche

    Il governo della Germania ha deciso di adottare un taglio delle tasse sull’energia per oltre 12 miliardi di euro all’anno. Questa strategia nasce dalla volontà governativa di garantire alle imprese tedesche di poter contare su un costo di 70 euro a MWh (contro i 129 euro in Italia).

    In Italia le due ultime manovre sul presunto taglio del cuneo fiscale (governo Draghi 8.7 miliardi e governo Meloni 11 miliardi circa) hanno ottenuto un vantaggio netto in busta paga di circa 27 euro il primo e poco meno di 30 il secondo, in più a crescere in rapporto alle fasce di reddito (600 lordi), quasi 19 miliardi che otterranno per un vantaggio reale irrisorio, basti pensare come lo sconto sulle accise del governo Draghi costasse circa quattro (4) miliardi.

    La decisione tedesca avvia il processo di azzeramento della stessa Unione Europea azzerando l’applicazione del principio della “concorrenza come fattore di sviluppo economico” applicato a garanzia dell’utenza e contemporaneamente evapora lo stesso concetto istitutivo della stessa Unione Europea, sia economica che politica. Inoltre il concetto di aiuti di Stato diventa una leva politica valida solo se pensata in italiano.

    Nel frattempo in Italia Eni presenta la migliore trimestrale della propria storia grazie alla propria attività speculativa nella erogazione del proprio servizio e soprattutto come espressione di una volontà di garantire gli investimenti del proprio azionariato composto in maggioranza da fondi privati.

    La risultante di questo disastro strategico determinerà per il sistema manifatturiero italiano una ulteriore riduzione della propria competitività rispetto a quello tedesco ma anche rispetto a tutti gli altri europei in quanto l’Italia è l’unico Paese che già nella finanziaria in corso di approvazione eliminerà ogni sostegno agli esorbitanti costi energetici per imprese e famiglie: basti pensare all’azzeramento delle clausole del mercato energetico tutelato.

    La decisione tedesca dovrebbe determinare delle precise reazioni del mondo politico europeo anche in relazione al contraddittorio mantenimento in vita di una Istituzione Europea priva ormai degli stessi principi fondativi o quantomeno della semplice applicazione di principi liberali (gli aiuti di Stato) validi solo e sempre a scapito dall’Italia. Ma soprattutto dovrebbe suscitare ed avviare un dibattito nel nostro Paese nel quale il ceto politico italiano, che dovrebbe tutelare innanzitutto interessi nazionali, risulta ancora oggi troppo distratto dalle varie transizioni ecologiche ed ideologiche.

    Contemporaneamente la classe politica nazionale si preoccupa, ancora oggi, di bonus di ogni foggia come della sempre più difficile quadratura del sistema pensionistico invece di occuparsi del futuro del sistema economico ed Industriale attraverso l’adozione di una seria politica energetica.

    Un atteggiamento confermato dalla indifferenza con la quale Stellantis chiude e mette in vendita lo stabilimento Maserati voluto da Marchionne, mandando già i macchinari in Marocco, non suscitando alcuna reazione del ministro “delle imprese e del Made in Italy” e del governo.

  • Il dilemma africano tra fossili e rinnovabili

    L’Africa paradiso mondiale delle energie rinnovabili, che attraverso i “crediti di carbonio” si fa finanziare i suoi progetti green dai paesi più ricchi. Oppure l’Africa nuova frontiera delle fonti fossili, petrolio e gas, sempre più ricercate da un mondo in crisi energetica. Quindi, puntare sulle rinnovabili o sulle fossili per sostenere lo sviluppo del continente? E’ questo il dilemma intorno al quale ruota il primo Africa Climate Summit, che si è aperto a Nairobi. Un vertice sul clima al quale partecipano gli stati africani, ma anche leader dei Paesi ricchi che nel continente possono e vogliono investire.

    Al summit di Nairobi va in scena lo scontro fra i Paesi che non hanno grossi giacimenti di idrocarburi, e quindi puntano sulle rinnovabili, come Kenya, Sudafrica, Egitto ed Etiopia, e quelli che invece hanno ricche riserve di gas e petrolio, e vogliono sfruttarle per sostenere il loro sviluppo, come Nigeria, Senegal, Angola e Mozambico. I primi vogliono sviluppare in Africa il mercato dei Carbon Credit, cioè il finanziamento di progetti green nel continente per compensare le emissioni dei paesi ricchi, e vogliono imporre una carbon tax a livello globale, per sostenere la finanza verde. Gli stati africani ricchi di oil&gas invece non vogliono perdere questa bonanza, e chiedono vincoli meno stringenti sulle emissioni e nessuna carbon tax.

    I Paesi africani producono solo il 4% della CO2 mondiale, ma sono i più colpiti dagli effetti del riscaldamento globale, cioè desertificazione ed eventi climatici estremi. Fenomeni che in quei paesi provocano morte, miseria, guerre, e migrazioni. L’Africa, continente assolato e ricco di foreste, ha enormi potenziali per lo sviluppo delle fonti rinnovabili, che potrebbero dare energia a buon mercato e milioni di posti di lavoro ai suoi abitanti. Alla Cop27 di Sharm el-Sheikh dell’anno scorso, Paesi africani e istituzioni finanziarie hanno lanciato la Africa Carbon Markets Initiative: un’alleanza per arrivare nel 2030 all’emissione nel continente di 300 milioni di crediti di carbonio all’anno, per generare 6 miliardi di dollari di reddito annui. Ma al tempo stesso, molti Paesi africani galleggiano su gas e petrolio, ricercatissimi dai paesi ricchi, e ancora più da quelli emergenti. Fonti fossili che peggiorano l’effetto serra, ma che generano ricchezza immediata. Una ricchezza che permette di far uscire dalla miseria larghi strati della popolazione africana, e quindi generare consenso politico ai governanti.

  • Le riserve autoctone dell’Italia per ridurre la dipendenza dalla Cina per le materie prime

    Le materie prime strategiche – in inglese Critical Raw Materials (CRMs) – sono ormai parte del dibattito pubblico che investe i temi dell’indipendenza tecnologica e strategica ma anche della transizione energetica e digitale. Se ne parla diffusamente dal 2011, quando la Commissione europea pubblicò la prima lista che ne elencava 14. Queste materie sono infatti di estrema rilevanza per molteplici ecosistemi industriali: l’industria ad alta intensità energetica, le tecnologie chiave per la politica energetica, economica, industriale, digitale, per la difesa e l’aerospazio. Per questo motivo il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha tracciato la strategia del governo che contempla, tra le altre cose, la riaperture delle miniere italiane di terre rare abbandonate nei decenni scorsi per esaurimento o perché non più convenienti rispetto ai costi di importazione. Capire cosa si può trovare nel territorio nazionale non è cosa semplice perché la presenza di un giacimento, cioè di un quantitativo di minerali tale da poter essere sfruttato, è da valutare tramite nuove ricerche ed analisi. L’ultimo aggiornamento della lista della Commissione elenca 34 CRMs di cui fanno parte le Terre Rare, utilizzate nei principali settori industriali, quali l’eolico, la robotica, l’Ict ma anche nella costruzione di droni, motori a trazione, pannelli fotovoltaici e celle a combustibile. Il problema? Semplice: sono materiali rari e a volte di difficile estrazione (con effetti collaterali dal punto di vista ambientale), per i quali dipendiamo dal nostro competitore più temibile, la Cina. Pechino è il principale fornitore europeo per il 56 per cento delle materie prime critiche, con implicazioni rilevanti per i target energetici al 2030. Se ad esempio interrompesse la fornitura di terre rare all’Europa, da qui al 2030 sarebbero a rischio 241 GW di eolico (47 per cento del totale) e 33,8 milioni di veicoli elettrici (66 per cento del totale), rendendo impossibile il raggiungimento degli obiettivi legati alle linee guida europee. Inoltre la Cina ha investito in giacimenti minerari in Paesi terzi (oltre 80 miliardi di euro dal 2005 al 2021) e in capacità di raffinazione.

    In Italia il fabbisogno di materie prime strategiche per la produzione delle tecnologie chiave è stato di circa 2.782 tonnellate nel 2020. Inoltre, noi utilizziamo 17 delle materie prime critiche considerate come strategiche dall’Unione Europea. Circa il 44% del fabbisogno italiano di materie prime strategiche nel 2020 è rappresentato dal rame, utilizzato in maniera significativa in ognuna delle tecnologie chiave. E nel futuro la nostra domanda salirà in modo esponenziale: di cinque volte in uno scenario spinto, di 2,7 volte in quello a bassa intensità. Ovviamente il Paese è sprovvisto di queste risorse. Secondo gli ultimi dati dell’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, “per i CRMs metallici l’Italia è totalmente dipendente dai mercati esteri, ma diversi di loro sono stati sfruttati in passato sul territorio nazionale in circa 1000 siti localizzati nell’arco alpino ed in Liguria, nella fascia costiera tirrenica tosco-campana, in Calabria ed in Sardegna”. Nonostante le concessioni vigenti, a fronte di sole 94 concessioni minerarie ancora in vigore, 76 sono realmente in produzione soprattutto in Toscana, Piemonte e Sardegna mentre è nulla l’estrazione di materie prime critiche. Delle 17 le materie prime critiche definite strategiche dalla Commissione Ue, nel nostro Paese sono presenti rame, magnesio, manganese, tungsteno, cobalto e titanio. Per lo più le regioni dell’arco alpino, la Toscana, il Veneto, la Liguria e la Sardegna. Inoltre, il litio, preziosissimo per la riconversione energetica (batterie), si troverebbe in aree vulcaniche come il Lago di Bracciano nel Lazio e i Campi Flegrei in Campania. Una situazione che ha spinto il governo ad attivare a febbraio il Tavolo nazionale per le materie critiche, promosso dal ministero delle Imprese e del Made in Italy e dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica. Il problema è che la ripresa dell’attività estrattiva in Europa prevede tempi autorizzativi molto lunghi. E nel confronto con i nostri competitori non c’è partita. Il tempo necessario per passare dalla scoperta di un nuovo sito minerario all’estrazione vera e propria raggiunge i 15/17 anni, contro i tre mesi della Cina. Per rimettere in funzione i siti estrattivi in Europa occorrono tempi lunghi, in quanto sono necessarie valutazioni economiche e ambientali che possono essere soggette a sospensione o revoca per motivi di interesse pubblico. Per fare un esempio, a Sakatti, in Finlandia, nel febbraio 2018 è stato richiesto un permesso di estrazione dei metalli del gruppo del platino; ad oggi la decisione è ancora pendente e sono già stati accumulati quattro anni di ritardo.

    Accanto alla ripresa delle estrazioni un’altra risorsa sulla quale puntare è quella dell’economia circolare e del riciclo, con la filiera dei Raee – i rifiuti elettrici ed elettronici – che è quella con maggiori opportunità. A fronte dell’incremento dei fabbisogni di materie prime strategiche, lo studio di The European House–Ambrosetti ha identificato e approfondito tre leve per ridurre la dipendenza dell’Italia da Paesi terzi: la prima è ridurre il consumo e sostituire le materie prime strategiche, certamente una strada percorribile nel medio-lungo termine, considerando però che l’innovazione tecnologica non può comunque essere “programmata”; aumentare le estrazioni minerarie europee, una criticità in termini di dipendenza dell’Italia dalle risorse minerarie europee, di costi di estrazione e raffinazione elevati, di impatti negativi sull’ambiente; la terza leva è lo sfruttamento del riciclo come soluzione alternativa, un obiettivo implementabile a brevissimo termine con investimenti iniziali inferiori rispetto a quelli dell’estrazione, con benefici economici derivanti dalla riduzione delle importazioni ed effetti positivi sull’ambiente. È infatti incredibile – ma vero – che l’Italia mandi all’estero il 90 per cento dei nostri rifiuti che vengono lavorati e da cui vengono estratti oro, palladio rame e poi vengono rivenduti. L’analisi di The European House–Ambrosetti conferma la risorsa del riciclo nel contribuire al problema dell’approvvigionamento. In particolare, l’economia circolare ha il potenziale di raggiungere il target europei del 15 per cento del fabbisogno soddisfatto dal riciclo entro il 2030 nello scenario accelerato. Il target è raggiunto solamente nel 2035 nello scenario prudenziale. Raggiungere gli obiettivi nei tempi previsti necessita di investimenti significativi in dotazioni impiantistiche. Gli investimenti comporterebbero un ritorno importante dal punto di vista del valore dell’economia circolare. Le stime dimostrano come nello scenario accelerato, il 32% del fabbisogno italiano di materie prime strategiche può essere soddisfatto dal riciclo. In confronto, il valore rispettivo per lo scenario prudenziale si attesta al 20 per cento. Il tesoro c’è e va sfruttato senza perdere altro tempo.

  • La Ue punta ad avere 150 gigawatt di elettricità da centrali nucleari per il 2050

    Su input della Francia che ha trovato adesione di 16 paesi europei per la “Alleanza nucleare”, l’Ue dovrebbe dotarsi di un’industria nucleare europea integrata che raggiunga 150 gigawatt (GW) di energia entro il 2050.

    Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Finlandia, Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Slovenia, Slovacchia, Estonia, Svezia e ovviamente Francia i Paesi più attivi, l’Italia partecipa all’alleanza come osservatore e il Regno Unit (fuori dalla Ue) come ospite.

    Fuori la Germania, che a marzo ha chiuso le sue ultime centrali atomiche ancora aperte, l’alleanza include invece la Finlandia che sta realizzando quello che sarà il più grande impianto d’Europa per l’energia atomica, mentre la Francia è attualmente il Paese che più ricorre a questo tipo di impianti per produrre elettricità. Oltralpe sono attive 56 centrali e la crisi ucraina ha spronato ulteriormente Parigi a puntare sull’atomo.

    A livello mondiale, peraltro, a fronte dei 93 impianti che fanno degli Usa il primatista mondiale, si registra una corsa all’atomo sempre più incalzante da parte della Cina, che grazie a venti nuove realizzazioni punta a scalzare gli Usa entro il 2030 quanto a elettricità ricavata dall’uranio, seguita da India (8 impianti in costruzione), Turchia (4) Corea e Russia (3). Anche il Giappone sta costruendo un impianto.

    La nuova frontiera delle centrali atomiche è rappresentata dallo small nuclear reactor, che comporta impianti con capacità inferiore ai 300 megawatt e quindi meno costosi. Qualcosa, e non solo il ministro Matteo Salvini con le sue dichiarazioni, si muove anche in Italia: sia Eni che Enel stanno portando avanti partnership per lo sviluppo della produzione di elettricità tramite energia atomica, facendo attenzione a mantenere fuori dai confini nazionali – dove sono tuttora banditi – gli insediamenti produttivi dove portare avanti questo progetto.

  • “Nucleare, si può fare?”, la sfida del ritorno italiano all’atomo. Torna la iWeek a Milano e Roma

    “Nucleare, si può fare?”, la sfida del ritorno italiano all’atomo. Questo il focus della IV edizione della iWeek, promossa da V&A – Vento & Associati e Dune, che torna in due giornate, 5 ottobre a Milano e 11 ottobre a Roma.

    A Milano il 5 ottobre con la presentazione del sondaggio SWG “Il rapporto tra gli italiani e il nucleare” parte un confronto tra aziende e istituzioni per discutere la reintroduzione della produzione di energia atomica in Italia. A Roma l’11 ottobre la sostenibilità finanziaria della svolta nucleare e la geopolitica dell’atomo saranno al centro del dibattito.

    Dal trattamento delle scorie alla soluzione del dilemma NIMBY, dalla filiera italiana del nucleare fino alle nuove tecnologie degli small modular reactors al centro delle due giornate di lavoro. Aziende e istituzioni a confronto sulle opportunità e le conseguenze della reintroduzione della produzione di energia atomica in Italia.

    Diversi protagonisti del mondo produttivo, dell’energia, della finanza, della cybersicurezza e delle istituzioni discutono dell’opzione nucleare in un contesto in cui sono sempre più forti i segnali di un ritorno alla produzione di energia nucleare in Italia. La duplice necessità di tenere sotto controllo costi e equilibri energetici nazionali dopo la crisi del gas russo e di diminuire le emissioni di CO2 in osservanza del green deal europeo sta infatti riorientando il termometro politico sulla questione, anche a fronte di un’accelerazione sulle rinnovabili che tarda ad arrivare.

    Il quadro sembra favorito dalla neutralità tecnologica delle nuove generazioni di italiani, temporalmente distanti dai fatti di Chernobyl che nel 1987 portarono alla vittoria dei referendum antinucleare e legittimamente preoccupati dal riscaldamento globale. Anche a livello europeo, un caso su tutti i Verdi finlandesi, non mancano i sostenitori bipartisan delle opportunità offerte dal nuovo nucleare, che rispetto al passato può essere considerato una fonte sicura, affidabile, economicamente competitiva nel lungo periodo e in grado di integrarsi con il gas e in futuro l’idrogeno per compensare le rinnovabili, rese discontinue e interrompibili da Madre Natura. Insomma, uno scenario in piena evoluzione che, se le promesse dei modelli attualmente in produzione e dei prototipi in fase di sviluppo, compresi quelli sulla fusione, si trasformeranno in realtà, potrebbero disegnare nuovi scenari energetici, geopolitici e industriali a livello europeo e globale.

    La prima giornata si è tenuta a Milano il 5 ottobre nella sala Pirelli dell’Istituto per il Commercio Estero in corso Magenta 59, dove dopo la relazione “Quale energia per il futuro?” del componente del Collegio dell’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, Gianni Castelli, i lavori sono proseguiti in tre tavole rotonde, dedicate alla trasmutazione e gestione delle scorie della IV generazione di reattori nucleari, alla filiera italiana della sicurezza e del decommissioning e alla risposta del dilemma NIMBY. Previsti anche interventi sulla cybersicurezza del comparto nucleare e sull’importanza dell’energia atomica per la siderurgia italiana. SWG presenterà inoltre in questa occasione i risultati del sondaggio “Il rapporto tra gli italiani e il nucleare”.

    La seconda giornata si svolgerà a Roma il prossimo 11 ottobre a Palazzo Altieri in piazza del Gesù, 49 dove verranno affrontati i temi della geopolitica nucleare con le nuove alleanze dei 12 paesi UE favorevoli all’introduzione del nucleare nella tassonomia green e con il cambio del portafoglio energetico italiano ed europeo; della sostenibilità finanziaria della svolta nucleare; e delle nuove tecnologie che vanno dai moderni small modular reactors ai prossimi micro modular reactors, estremamente versatili e sicuri.

    Il programma completo è disponibile in allegato e per ulteriori informazioni si invita a visitare il sito di iWeek al seguente indirizzo https://i-week.it/.

  • Dalla Banca europea per gli investimenti 1,7 miliardi di € di finanziamenti per la costruzione di nuove centrali solari in Spagna, Italia e Portogallo

    La Banca europea per gli investimenti ha approvato un quadro di finanziamento di 1,7 miliardi di € a favore di Solaria, al fine di sostenere la costruzione di circa 120 centrali fotovoltaiche in Spagna, Italia e Portogallo. Il finanziamento è sostenuto dal programma InvestEU.

    Le centrali fotovoltaiche avranno una capacità totale di circa 5,6 GW e produrranno circa 9,29 TWh all’anno. Si prevede la messa in funzione delle centrali elettriche entro la fine del 2028. Questa operazione sosterrà il conseguimento degli obiettivi strategici dell’UE nell’ambito del Green Deal europeo e del piano REPowerEU, fornendo energia elettrica equivalente alla domanda media annua di circa 2,5 milioni di famiglie e riducendo le emissioni di gas a effetto serra di circa 3 milioni di tonnellate di CO2 all’anno. Oltre un terzo della capacità installata sarà situato in regioni meno sviluppate con un PIL pro capite inferiore al 75% della media dell’UE. Secondo le stime della BEI, il progetto promuoverà in modo significativo l’occupazione nelle zone in cui saranno costruiti gli impianti, creando circa 11 100 posti di lavoro all’anno durante la fase di costruzione.

    “Questo importante accordo è una grande dimostrazione della capacità di InvestEU di sostenere in modo significativo la transizione europea verso la neutralità climatica e l’indipendenza energetica!” – ha dichiarato Il Commissario per l’Economia, Paolo Gentiloni. !Metterà a disposizione 1,7 miliardi di € di finanziamenti per nuove centrali fotovoltaiche in Spagna, Italia e Portogallo. Si tratta di una buona notizia sia per il clima sia per l’economia: non solo fornirà energia pulita a milioni di famiglie, ma nelle regioni interessate creerà anche migliaia di posti di lavoro nella fase di costruzione”.

    Il programma InvestEU fornisce all’UE finanziamenti a lungo termine attraverso fondi pubblici e privati a sostegno delle priorità strategiche dell’UE. Nell’ambito del programma, il fondo InvestEU è attuato mediante partner finanziari che investiranno in progetti utilizzando la garanzia dell’UE, mobilitando così almeno 372 miliardi di € di investimenti aggiuntivi.

  • 450

    Questo numero rappresenta i blackout registrati nella città di Milano nell’ultimo mese, mentre città come Roma, Napoli e Palermo si trovano anch’esse alle prese con l’emergenza elettrica.

    Un situazione critica causata dalla prima ondata di calore dell’anno che spinge all’utilizzo massivo dei condizionatori d’aria.

    Mai come in questo frangente emerge evidente la assoluta insostenibile visione espressa da una ideologica, imposta in Italia quanto in Europa, di una transizione ecologica ed energetica. Basti pensare che se anche avessimo un parco circolante solo del 20% di auto elettriche, quindi poco più di 7,8 milioni, l’intera rete elettrica non sarebbe in grado di sostenere la richiesta di energia aggiuntiva risultando già sotto stress per l’utilizzo dei condizionatori d’aria.

    La realtà, ancora una volta, dimostra come l’approccio puramente massimalista applicato alla vita quotidiana rappresenti una deriva ideologica da evitare in quanto insostenibile (luglio 2019 https://www.ilpattosociale.it/attualita/linquinamento-ideologico/).

    In altre parole, la prima forma di inquinamento è sempre rappresentata da una deriva ideologica, priva di ogni collegamento con la realtà ed utilizzata come strumento per imporre una visione politica.

    L’ambientalismo contemporaneo in definitiva rappresenta l’extrema ratio per il conseguimento di un progetto di economia pianificata espressione di uno Stato etico e socialista.

  • La lezione non compresa

    Mentre l’Italia e l’intera Unione Europea sono ancora all’interno di una economia di guerra, e contemporaneamente cercano di riparare ai disastrosi effetti economici e sociali della pandemia, il nostro Paese conferma di non avere compreso alcuna lezione ma soprattutto di non avere alcuna visione relativa al futuro sviluppo economico.

    Mentre i nostri competitor europei varano delle azioni concrete con l’obiettivo di rafforzare gli asset strategici in modo da trasformarli in fattori competitivi a favore del sistema economico ed industriale, nel nostro Paese si continua con la scolastica applicazione dei principi tardo liberali del secolo scorso e di matrice accademica. Tutti esprimono la modesta espressione di “competenze” obsolete ed ampiamente ridicolizzate dal mercato globale.

    In altre parole, scendendo nel mondo reale, la Francia ha varato a maggio 2023 un piano finanziario operativo nel campo energetico, la nazionalizzazione di Edf, con il dichiarato obiettivo di offrire nelle prossime stagioni al sistema industriale ed alle famiglie francesi il più basso costo dell’energia (*).

    Viceversa, in Italia continua l’opera di sciacallaggio dei fondi privati, come Bkackrock, interessata all’acquisizione di quote di multiutility locali, che creeranno alte rendite di posizione in quanto estranee ad ogni possibile applicazione del principio della concorrenza.

    In questo contesto, diversamente da quanto accadrà in Francia, l’aumento delle tariffe rappresenterà il vero ed unico fattore di crescita della remunerazione del Roi (Return of Investiment) e si manifesterà come il maggiore fattore anticompetitivo per il nostro sistema industriale ed economico.

    In più, l’esito di questa deriva “energetica” si rivelerà come una vera e propria catastrofe per le famiglie italiane che già dal 10 gennaio 2024 vedranno abrogato il mercato tutelato per l’energia elettrica ed il gas.

    Mai come ora si avverte, tanto a livello nazionale quanto locale, una imperdonabile incapacità nella comprensione ed elaborazione di strategie che possano assicurare un supporto allo sviluppo economico del nostro Paese e contemporaneamente un aiuto alle famiglie.

    Le opportunità di crescita future dovrebbero essere individuate ora e poste all’interno del programma del PNRR (invece si pensa di approvare il Mes) con l’obiettivo di ottenere dei benefici generali nel prossimo futuro come conseguenze di scelte odierne.

    Nel silenzio, invece, tanto dell’attuale governo quanto dei due precedenti, in relazione alla miopia ideologica parlamentare accecata da argomenti etici e morali, il nostro Paese si avvia alla sua ultima discesa verso un irrimediabile declino economico e sociale.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

  • Nucleare no! O nucleare (per forza) sì?

    Da illuso ambientalista, il fatto che si ritorni a parlare del nucleare come di una probabile e imminente soluzione al fabbisogno energetico del Paese mi rattrista non poco. Soprattutto dopo che per ben due volte, nel referendum del 1987 e in quello del 2011, noi italiani abbiamo fortemente espresso la nostra volontà per abrogarne il suo utilizzo. Tuttavia non possiamo che prendere atto del fatto che il consumo di energia elettrica sta crescendo in modo esponenziale e che la produzione delle nostre centrali termoelettriche, idroelettriche e geotermoelettriche, anche se sommata a quella degli impianti eolici e fotovoltaici, è ben lontana dal soddisfare la domanda. Per questo motivo siamo costretti ad acquistare energia elettrica dall’estero. Stessa cosa per gli idrocarburi liquidi e gassosi necessari al nostro fabbisogno (importiamo quasi l’80% delle nostre esigenze). Per risolvere il problema qualcuno ha ritirato fuori il dibattito sul nucleare. Qualcun altro la proposta di sfruttare al massimo i giacimenti di petrolio e di gas presenti sul nostro territorio. Qualcun altro l’idea che si debbano investire maggiori risorse economiche nelle energie alternative. Insomma, nessuno o quasi, sembra mettere in discussione il fatto che si debba continuare a consumare (senza darsi un limite) sempre più energia, elettrica in primis. Tutt’altro. Il Governo Italiano, come altri Governi europei, continua a stanziare ingenti somme di denaro (nell’ordine di miliardi di euro) per “calmierare” le sempre più care bollette e allo stesso tempo a riconsiderare l’apertura o la riapertura di impianti di estrazione di risorse naturali nei propri territori. Come dicono i portoghesi, non è possibile avere il sole in cortile e la pioggia sull’orto (noi diremmo, la botte piena e la moglie ubriaca) pertanto fino a quando non ci sarà una inversione della crescita dei consumi questo è l’unico scenario possibile.

    Ma veniamo a noi. In quante case oltre a tutte le luci interne ed esterne troviamo vari cellulari, uno o più telefoni cordless, uno o più tablet, uno o più computer, l’impianto wi-fi, una o più TV, il decoder, l’impianto stereo, gli amplificatori bluetooth, le cuffie bluethooth, una stampante, uno scanner, una telecamera, una o più macchine fotografiche, la lavatrice, l’asciugatrice, il phon, il rasoio elettrico, il frigorifero, il congelatore, il forno elettrico, il forno a microonde, i piani a induzione, il frullatore, la friggitrice, il tostapane, il coltello elettrico, il minipimer, la gelatiera, lo spremiagrumi, il robot da cucina, lo scalda acqua, la macchinetta del caffé elettrica, il tritarifiuti elettrico, l’aspirapolvere, il robot da pavimenti, la scopa elettrica, i condizionatori d’aria, il deumidificatore elettrico, il depuratore d’aria elettrico, i ventilatori, la stufetta elettrica, la coperta elettrica, il citofono, il sistema di allarme, la pompa per lavare l’auto, il tagliaerba elettrico, la sega elettrica, il trapano elettrico, l’avvitatore elettrico, giocattoli e videogiochi, un drone, un monopattino elettrico, una bicicletta elettrica, una moto elettrica, un’auto elettrica, il cancello elettrico, la porta del garage elettrica, etc. etc. etc. Se così stanno le cose e si prospettano sempre più strumenti e mezzi e automezzi elettrici sarà difficile intraprendere la via di una decrescita razionale e sostenibile. Le stesse energie cosiddette “alternative”, per quanto oggetto di grande attenzione, mai riusciranno da sole a soddisfare l’attuale domanda a meno che non riempiamo il Paese di pale eoliche e di pannelli fotovoltaici. Tutte cose comunque che hanno un ciclo di vita alquanto breve e quindi da rimpiazzare (con quali risorse?) entro pochi anni.

    Nucleare sì o nucleare no allora? Al momento e al di là di qualsiasi nostra opinione al riguardo, pare che i lunghi tempi di realizzazione di impianti nucleari di nuova generazione e i loro enormi costi stiano facendo desistere gli speculatori di settore (e quelli finanziari). Per ciò, grazie a questi problemi e non di certo a ragioni di tipo ambientale e sociale, pare che sul discorso del nucleare possiamo stare tranquilli per qualche anno. Tuttavia, come detto sopra, vista l’ingente e urgente domanda di energia, il metodo più rapido per immettere sul mercato altra energia sia quella di fare altre dighe, altri inceneritori e di trivellare, ovunque lo si riesca ancora a fare, nel mare, sulle coste, in pianura, in collina, lungo le vallate e sui monti. E allora, nuova domanda: nuove dighe, inceneritori e trivelli sì o no? La risposta è sempre quella del portoghese. Se non pensiamo e non ci prepariamo ad un modello di vita più sobrio e sostenibile la risposta è necessariamente sì. Vi ricordate tutte le battaglie per non avere le antenne dei cellulari vicino casa? Nessuno dice più una parola perché tutti vogliamo e usiamo il cellulare. Stessa cosa sarà per i nuovi impianti di estrazione degli idrocarburi solidi e liquidi e le centrali elettriche. Da una parte aumentiamo i consumi e dall’altra parte vogliamo un ambiente più pulito e pagare sempre di meno per le bollette. Non è possibile. Vivendo in un Paese che importa circa l’85% del suo fabbisogno di energia primaria la conclusione della storia la conosciamo già. Dopo alcuni timidi focolai di protesta (da parte delle comunità direttamente interessate da nuovi progetti di inceneritori come di trivelle, etc.) tutto tornerà come prima, o meglio, continuerà a peggiorare l’ambiente più di prima.

    Se una scimmia accumulasse più banane di quante ne può mangiare quando la maggioranza delle altre scimmie muore di fame, gli scienziati studierebbero quella scimmia per scoprire cosa diavolo le stia succedendo. Quando a farlo sono gli esseri umani, li mettiamo sulla copertina di Forbes.”

    Emir Simão Sader, sociologo brasiliano

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