Energia

  • Ok di Tunisia e Algeria: il corridoio del gas per rifornire Italia, Austria e Germania può partire

    Tunisia e Algeria si aggiungono al patto tra Italia, Austria e Germania per trasportare idrogeno tra le due sponde del Mediterraneo. Con la firma, il 21 gennaio a Roma, di una nuova dichiarazione comune di intenti tra i cinque paesi, il progetto del Corridoio Sud dell’Idrogeno inizia a fare qualche passo avanti concreto.

    L’intesa siglata a Villa Madama non aggiunge né modifica le linee fondamentali del progetto SouthH2 Corridor. Punta invece a rafforzare la cooperazione, soprattutto a livello tecnico, tra tutti iPpaesi interessati dai 3.300 chilometri di gasdotti adatti a trasportare anche idrogeno. Roma, Vienna e Berlino avevano già compiuto un passo del genere a fine maggio 2024. L’accordo prevedeva di trasformare il supporto politico in lavori tecnici e cooperazione tra gli stakeholder rilevanti dei 3 Paesi. La dichiarazione d’intenti firmata il 21 gennaio 2025 estende il perimetro dell’iniziativa a Tunisia e Algeria. Prevede per i 5 Paesi l’impegno di riunirsi semestralmente a livello di gruppo di lavoro tecnico per monitorare e sostenere l’attuazione del progetto.

    Finora, la tabella di marcia è rispettata. L’intesa allargata a Tunisia e Algeria era prevista nella prima metà del 2025. Entro fine 2025 dovrà avvenire lo sviluppo di un rapporto di definizione dell’ambito del SouthH2Corridor. E l’ok allo status di Progetti di reciproco interesse (PMI) nell’ambito del regolamento sulla rete transeuropea per l’energia (TEN-E) nel settimo elenco PCI/PMI europeo.

    Il Corridoio Sud dell’Idrogeno prevede la costruzione di nuove pipeline, o il riadattamento di condutture esistenti, per trasportare in Europa l’idrogeno prodotto in Nord Africa. Il SouthH2 Corridor rientra nella strategia europea per il vettore energetico, che prevede di importare dall’estero entro il 2030 almeno 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile.

    Da progetto, la pipeline di 3.300 km dovrebbe trasportare 4 milioni tonnellate di idrogeno l’anno, il 40% del target Ue. Idrogeno che dovrebbe essere generato in Algeria (manca però adeguata capacità rinnovabile affinché sia H2 verde) e trasportato via Tunisia fino a Mazara del Vallo, dove sarebbe immesso nella rete italiana per poi accedere ai mercati dell’Europa centrale attraverso Tarvisio. Con una possibile diramazione attraverso la Svizzera (Passo Gries), paese che ha il ruolo di osservatore nel progetto. Il segmento italiano sarà quello principale: lungo 2.300 chilometri, circa 70% dei quali da ottenere tramite riconversione delle condutture gas esistenti e 30% da costruire ex novo.

    A inizio dicembre 2024, il Corridoio Sud dell’Idrogeno è stato inserito nella lista dei progetti bandiera dell’Ue per il 2025 sotto l’iniziativa Global Gateway, che facilita finanziamenti e realizzazione dell’opera. In precedenza, era già stato inserito nella lista dei progetti di interesse europeo.

  • Accordo con un autocrate che è anche un buffone quando serve

    Talvolta il comportamento pragmatico è necessario; ma chi cerca di fare di necessità virtù, conclude poco, anzi spesso peggiora quello che è chiamato a riparare.

    Ralf Dahrendorf, Per un nuovo liberalismo, 1987

    Le numerose favole di Esopo, un noto scrittore della Grecia antica, vissuto circa ventisei secoli fa, sono state e continuano ad essere una fonte di ispirazione. Favole che, per il loro valore educativo e morale, continano ad essere attuali e rappresentano una fonte di insegnamento per molti. Ebbene, dai tanti insegnamenti di Esopo ce n’è uno che si riferisce alle false amicizie. La sua saggezza ci insegna e ci ammonisce che un amico incerto è peggio di un nemico dichiarato. Un insegnamento, sempre attuale per il genere umano. Un insegnamento dal quale devono imparare anche tutti coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali, sia a livello locale che internazionale.

    L’autore di queste righe ha pienamente condiviso l’articolo di Cristiana Muscardini “La sicurezza, i dati sensibili, Musk”, pubblicato su “Il Patto Sociale” l’8 gennaio scorso. Lei, dopo aver trattato il tema della sicurezza nazionale e quello delle “amicizie con i grandi del mondo”, logicamente si poneva la domanda: “È possibile che di fronte al potere, al miraggio di una tecnologia sempre più oltre, al desiderio di sentirsi amici ed apprezzati da chi, da uomo più ricco, si sta trasformando nell’uomo più potente del mondo, chi ci governa sia accecato, incapace di comprendere i pericoli immediati ed a lungo termine, vanificando le speranze che tanti avevano avuto, speranze di libertà, indipendenza, democrazia vera?”. Una domanda sulla quale si deve riflettere.

    Dal 14 al 16 gennaio scorso ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, si è svolto il Vertice mondiale sull’Energia del futuro (World Future Energy Summit; n.d.a.). Durante quel vertice, il 15 gennaio, è stato firmato anche un’Accordo tra l’Italia, gli Emirati Arabi Uniti e l’Albania. Si tratta di un accordo per la produzione di energia rinnovabile in Albania con impianti prodotti negli Emirati da esportare poi in Italia, tramite un elettrodotto sottomarino. L’accordo, che dovrebbe essere operativo tra tre anni, sarà valido per cinque anni ed avrà un costo di circa 1 miliardo di Euro. L’accordo prevede la produzione fino a 3 GW di energia elettrica da fonti rinnovabili. Fonti che, secondo un comunicato congiunto dei tre Paesi firmatari, sono “il fotovoltaico solare, l’eolico e delle soluzioni ibride con potenziale di accumulo tramite batterie”.

    Nella cerimonia della firma dell’accordo erano presenti l’anfitrione, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia ed il primo ministro dell’Albania. L’accordo, per gli Emirati Arabi Uniti è stato firmato dal ministro dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati il quale, allo stesso tempo, è anche il presidente di Masdar, una nota impresa privata a livello mondiale nel settore delle energie rinnovabili. Ma lui però è anche l’Amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, la compagnia statale per l’estrazione del petrolio negli Emirati Arabi Uniti. Per l’Italia l’Accordo è stato firmato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, mentre per l’Albania dalla vice primo ministro e ministro delle Infrastrutture e dell’Energia. E dopo la firma dell’accordo hanno fatto le loro dichiarazioni sia la Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ed il suo omologo albanese, sia il ministro dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati Arabi Uniti. Dichiarazioni che sono state riportate dai media in Italia ed il nostro lettore ha avuto la possibilità di conoscerle.

    In Albania non si sapeva niente dell’accordo energetico firmato il 15 gennaio scorso ad Abu Dhabi. Ma ormai questo fatto da anni non è più una novità, Perciò questo modo di agire del Primo Ministro albanese non stupisce nessuno. Tutto si è saputo soltanto dopo che in Italia i media hanno parlato di questo accordo. Quanto è accaduto in Italia, riferendosi proprio al sopracitato accordo, comprese le reazioni critiche, soprattutto da parte dei rappresentanti dell’opposizione, ma anche dai media, ormai è di dominio pubblico anche in Albania. Invece nessuna reazione in difesa dell’accordo da parte del Primo Ministro, che non perde occasione, anche per delle cose futili, di reagire e di dire la sua. Purtroppo non c’è stata nessuna notizia e/o reazione neanche dai media controllati e vergognosamente ubbidienti.

    Appena è stata resa nota pubblicamente in Italia la firma dell’accordo sono state immediate anche le reazioni in Albania. Reazioni fatte da quei pochi media ancora non controllati dal primo ministro e/o da chi per lui. Reazioni che denunciavano la totale mancanza di trasparenza sull’accordo, sul suo contenuto ed altro. Ma sia i media che ne hanno parlato, sia i rappresentanti dell’opposizione politica, nelle loro reazioni critiche, hanno altresì sottolineato che in Albania questo “modo di procedere”, e cioè la totale mancanza di trasparenza in casi del genere, è ormai una consuetudine. Il primo ministro albanese, da autocrate onnipotente qual è diventato, calpesta consapevolmente gli obblighi costituzionali e quelli delle leggi in vigore. Lui ignora ormai da anni tutte le istituzioni e decide da solo e/o con quei pochi suoi stretti collaboratori ed alcuni oligarchi, suoi clienti. Ma nella memoria collettiva in Albania è ancora presente un altro caso simile, quello dell’accordo sui migranti firmato il 6 novembre 2023 a Roma. Anche in quel caso è stata verificata la stessa totale mancanza della dovuta ed obbligatoria trasparenza, come la scorsa settimana, dopo che si è saputo del sopracitato accordo energetico. Ragion per cui in quasi tutte le reazioni molto critiche fatte in Albania si faceva riferimento, oltre che all’accordo energetico firmato il 15 gennaio scorso, anche all’accordo sui migranti e al suo fallimento, almeno fino ad ora.

    In Albania le reazioni critiche, legate all’accordo energetico firmato mercoledì scorso ad Abu Dhabi, si riferivano anche ad alcuni passaggi delle dichiarazioni del primo ministro albanese. Dopo la firma dell’accordo lui ha detto, tra l’altro, che “l’Albania è al 100% con l’energia rinnovabile. Ora stiamo diversificando con il solare”. Ma, come sempre, da innato bugiardo qual è, il primo ministro non ha detto tutta la verità. Sì perché la verità è che quasi tutta la produzione dell’energia elettrica in Albania, circa il 98%, è quella idroelettrica! Ovviamente non ha parlato neanche dei clamorosi ed evidenziati abusi legati alla vendita, sotto prezzo, dell’energia elettrica generata in Albania e l’acquisto, con prezzi non giustificabili dell’energia elettrica dal mercato energetico internazionale. Perché l’Albania non riesce a produrre tutto il suo fabbisogno energetico. Il primo ministro non ha neanche ammesso che l’Albania non ha una strategia nazionale approvata per l’energia.

    Dai media italiani si è saputo che durante il Vertice mondiale sull’Energia del futuro ad Abu Dhabi il primo ministro albanese ha approfittato dell’occasione per fare, come spesso accade in simili casi, anche il buffone. Si perché proprio il 15 gennaio era anche il 48o compleanno della presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. Lui le aveva portato un regalo. Inginocchiandosi davanti alla sua “cara sorella”, l’ha chiamata “Her Majesty” e le ha presentato un foulard di seta bianco con delle strisce in grigio e nero. Questo e tutto il resto hanno messo in difficoltà la festeggiata. Ma lui ha molto bisogno di apparire a fianco di qualche “grande del mondo”, facendo anche il buffone, soprattutto adesso, prima delle elezioni politiche dell’11 maggio prossimo. E soprattutto in un così difficile momento per lui, dovuto agli innumerevoli scandali che coinvolgono, lui, alcuni suoi familiari molto stretti ed altri. Ragion per cui l’appoggio della sua “cara sorella” diventa vitale.

    Chi scrive queste righe trova però molto significativo l’insegnamento di Esopo, secondo cui un amico incerto è peggio di un nemico dichiarato. Egli trova altresì saggio quanto scriveva il noto sociologo, politologo e politico Ralf Dahrendorf. E cioè che talvolta il comportamento pragmatico è necessario; ma chi cerca di fare di necessità virtù conclude poco, anzi spesso peggiora quello che è chiamato a riparare. Ad ognuno però la propria scelta. Ma anche le inevitabili conseguenze!

  • Lo “spread energetico”

    Lo spread indica il differenziale di rendimento tra i titoli del debito pubblico italiani e quelli tedeschi. Il suo basso livello attuale, che viene erroneamente interpretato come una valutazione positiva relativa alla strategia economica del governo in carica, dipende invece dal fatto che la Germania si conferma in recessione. In altri termini, nonostante il valore dello spread sia come detto assolutamente sostenibile, le condizioni economiche all’inizio del 2025 risultano molto simili a quelle del novembre 2011, alle quali vanno aggiunti oltre 1.000 miliardi di debito pubblico, avendo raggiunto e superato quota 3000 miliardi.

    Questo principio del confronto tra valori andrebbe adottato anche nel campo dei costi energetici, e stiamo parlando dello spread energetico, inteso come il differenziale tra i diversi costi energetici praticati alle famiglie e alle imprese, tra due Paesi che, nello specifico, possono essere rappresentati dalla Francia e dall’Italia. Ecco allora come questo differenziale risulti in forte crescita, esprimendo quindi il maggiore costo energetico pagato e subito in Italia, le cui ragioni sono interamente addebitabili alla mancanza di una politica energetica negli ultimi 30 anni, e confermata anche dal governo in carica che continua nella cessione di asset delle aziende energetiche.

    La sintesi finale di questa mancanza ultra decennale di competenza in ambito energetico determinerà un diverso destino economico e sociale riservato alla Francia rispetto a quello assicurato all’Italia.

    Come anticipato nel maggio 2023, le prospettive “energetiche” dei due Paesi erano già allora chiaramente differenti (*) ma quanto sta avvenendo nel gennaio 2025 conferma clamorosamente il trend a favore dell’economia francese. L’autorità energetica francese infatti ha deciso di ridurre del -15% il costo dell’elettricità praticato tanto alle famiglie quanto alle imprese francesi (**), mentre nel nostro Paese le aspettative relative al costo energetico sono di una crescita fino ad un +30%.

    Come logica conseguenza si prospetta un difficile futuro per le famiglie e per le imprese italiane, le quali vedranno aumentare di 30/45 punti lo spread energetico, a favore dei consumatori e delle imprese francesi.

    Questo, infatti, è l’effetto combinato della diminuzione decisa dall’autorità transalpina (-15%) e l’immediato aumento in Italia già in bolletta del +15%, destinato in più ad arrivare nei prossimi tre mesi addirittura ad un +30% portando quindi lo spread energetico finale ad un +45 punti.

    In questo contesto le famiglie italiane vedranno ancora una volta ridurre la propria disponibilità economica, ed inevitabilmente di consumo, drenata dai maggiori costi energetici, la quale si tradurrà con una ulteriore riduzione dei consumi ed ovviamente della crescita economica complessiva.

    Le imprese, viceversa, espressione del made in Italy o di filiere complesse internazionali, dovranno subire una ulteriore diminuzione della propria competitività in un mercato globale sempre più concorrenziale. Le ventidue flessioni consecutive della produzione industriale vanno interpretate anche come un effetto diretto di questa mancata tutela energetica.

    L’unica politica industriale rimane quella energetica, da troppo tempo dimenticata o, peggio, addirittura caratterizzata dalla cessione di asset fondamentali nazionali ai fondi internazionali che adottano inevitabilmente la propria logica speculativa. Per le famiglie e le imprese italiane quindi lo scenario futuro si tinge, una volta di più, di fosche tinte.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

    (**) https://www.francetvinfo.fr/economie/pouvoir-achat/electricite-la-commission-de-regulation-de-l-energie-annonce-une-baisse-de-15-en-moyenne-du-tarif-reglemente_7017836.html

  • La Cina balza al secondo posto mondiale per le riserve di litio

    La Cina ha compiuto notevoli progressi nell’esplorazione dei depositi di litio, emergendo come il secondo maggiore detentore di riserve di litio al mondo. Il China Geological Survey, alle dipendenze del ministero delle Risorse naturali cinese, ha riferito oggi che le riserve di litio nazionali sono aumentate dal 6 al 16,5 per cento del totale globale, portando il Paese dalla sesta alla seconda posizione nella classifica mondiale. Il balzo riflette la stata scoperta una cintura di depositi di litio spodumene di classe mondiale che si estende per 2.800 chilometri nell’ovest della Cina.

    Le risorse di litio note nei laghi salati dell’altopiano Qinghai-Tibet sono aumentate a loro volta in misura sostanziale, posizionando la Cina come la terza più grande base di risorse di litio da laghi salati a livello globale. Inoltre, i ricercatori cinesi hanno superato importanti sfide tecniche nell’estrazione del litio dalla lepidolite, un minerale ad alto contenuto di litio che finora ha presentato sfide in termine di costi di lavorazione. Il litio è un elemento cruciale per una vasta gamma di settori emergenti, tra cui veicoli elettrici, sistemi di stoccaggio energetico, comunicazioni mobili, trattamenti medici e combustibile per reattori nucleari.

  • La Polonia spinge la Ue a bandire il gas liquefatto russo

    La Polonia e altri nove paesi dell’Unione europea stanno esercitando pressioni per rafforzare le sanzioni contro la Russia, proponendo restrizioni più severe sulle esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl). L’obiettivo di tale misura è ridurre le capacità di finanziamento di Mosca che, perlopiù, vengono utilizzate per sostenere i costi del conflitto in Ucraina. In una proposta congiunta, visionata dall’edizione europea di “Politico”, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca, Romania e Irlanda hanno chiesto ulteriori azioni per colpire le vendite di combustibili fossili russi e porre fine ad alcune scappatoie esistenti rispetto alle sanzioni attualmente in vigore. La Polonia, che ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Ue dal primo gennaio, secondo “Politico” è il Paese firmatario della proposta di maggior rilievo e più in grado di influenzare l’agenda a Bruxelles. Secondo il documento, la Russia ha incassato 200 miliardi di euro dalle vendite di combustibili fossili all’Ue dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio del 2022. Nonostante gli impegni europei di ridurre la dipendenza energetica da Mosca, le importazioni di Gnl dalla Russia sono aumentate dell’11% nella prima metà del 2024, secondo i dati riportati da “Politico”.

    “È necessario vietare l’importazione di gas e Gnl russi il prima possibile”, si legge nella proposta, che suggerisce anche sanzioni contro la flotta di petroliere russe e il divieto di attracco nei porti dell’Ue. Il pacchetto proposto include ulteriori restrizioni sull’importazione di metalli come l’alluminio, una riduzione della dipendenza dal combustibile nucleare russo, misure per rafforzare i controlli alle frontiere e sanzioni contro istituti finanziari di Paesi terzi che aiutano la Russia ad aggirare le sanzioni. Le restrizioni sull’uso delle criptovalute sono state indicate come un altro strumento da approfondire. Con la Polonia alla guida del Consiglio dell’Ue, la Commissione europea dovrebbe presentare un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia entro febbraio, in vista del terzo anniversario dell’invasione. Tuttavia, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha promesso di opporsi a nuove misure che potrebbero avere dei riflessi sul settore energetico, mentre la Slovacchia sta spingendo per aumentare le importazioni di gas russo dopo l’interruzione delle forniture che transitavano attraverso il territorio ucraino.

  • Quale politica industriale

    L’Unione Europea si trova all’interno di una crisi industriale senza precedenti dal dopoguerra ad oggi, espressione di una incapacità assoluta di comprendere come il mondo globale abbia modificato i mercati e contemporaneamente di una cieca applicazione dei precetti ideologici di natura ambientalista. Questa incapacità si esprime anche attraverso le analisi che ora, e solo ora, vengono propinate sulle soluzioni per evitare le ormai devastanti conseguenze, in termini occupazionali e sociali, che questa crisi inevitabilmente sta già producendo.

    Da qualche tempo si sente affermare come l’Italia in particolare, ma vale anche per l’intero continente europeo, risulti deficitaria di una vera politica industriale, una affermazione sostanzialmente corretta che parte da una errata presunzione. È opinione diffusa che una strategia industriale espressa dai maggiori vertici istituzionali ed accademici si espliciti attraverso la scelta di privilegiare determinati settori industriali e di penalizzarne altri in quanto considerati indifendibili, come nel passato fu, per esempio, per il tessile abbigliamento. Quando, invece, una corretta politica industriale si dovrebbe esplicitare nella ricerca di assicurare le migliori condizioni all’interno delle quali il libero mercato possa premiare le eccellenze industriali che le diverse culture professionali ed industriali nazionali riescono ad esprimere.

    Per realizzare, quindi, un “ambiente” favorevole allo sviluppo di ogni potenzialità industriale e professionale molti individuano nella riduzione della burocrazia la principale soluzione, la quale certamente rappresenta il peso della intrusione delle istituzioni europee e nazionali nelle dinamiche economiche.

    Tuttavia la vera politica industriale non è rappresentata dalla scelta di quali settori privilegiare, come ora si ipotizza nel voler dirottare le competenze dall’automotive verso il settore aerospaziale, quando invece la sola politica industriale si traduce in una precisa ed articolata strategia di approvvigionamento energetico che possa assicurare le migliori condizioni di disponibilità energetica a costi competitivi e, di conseguenza, favorire ogni settore industriale all’interno del mercato globale.

    In questo senso, la stessa scelta di Stellantis di privilegiare la produzione di auto in Spagna (1.000.000) rispetto alla riduzione sotto le 500.000.000 auto prodotte in Italia (livello del 1956) nasce proprio dal costo energetico spagnolo che risulta inferiore del – 53% rispetto a quello pagato in Italia.

    Solo una politica energetica assicura quindi le condizioni favorevoli allo sviluppo delle potenzialità professionali, artigianali ed industriali di una nazione o di un continente, che, poi, altro non è se non la strategia energetica che Enrico Mattei aveva adottato con l’obiettivo di assicurare uno sviluppo al sistema industriale italiano attraverso un costo energetico competitivo.

    Non comprendere la validità di questa strategia rappresenta il peccato originale imputabile ancora oggi all’intera classe governativa quanto alla minoranza liberale, entrambe incapaci di comprendere le dinamiche speculative innescate dalla cessione di asset attraverso privatizzazioni o infantili liberalizzazioni ai fondi privati.

    Lo stesso approvvigionamento energetico dovrebbe rappresentare quindi settore di sostegno a favore delle più diverse realtà industriali e non una occasione di speculazione anche finanziaria come la Borsa di Amsterdam ancora una volta sta confermando.

    Anche perché solo il sistema industriale è in grado di avviare il moltiplicatore del valore aggiunto.

    In ultima analisi, l’unica politica industriale in grado di assicurare lo sviluppo ad un sistema industriale è rappresentata da una strategia di approvvigionamento energetico che esprima delle visioni a medio e lungo termine, e quindi lontana anni luce dai deliri ambientalisti, per altro assolutamente non tenuti in alcuna considerazione dalla principale economia in termini di emissioni: la Cina.

  • L’atomo in Italia? A Caorso ci sarà fino al 2036

    Doveva essere la centrale atomica più potente d’Italia, ma a tutt’oggi la centrale di Caorso resta una cattedrale nel deserto, un rottame di cui ci si deve ancora disfare. Inservibile per produrre energia dal momento in cui l’atomo è stato bandito in Italia, deve essere ancora dismessa, con tutti gli accorgimenti necessari vista la tipologia di impianto e il problema delle radiazioni.

    La struttura contiene tremila tonnellate di ferro e settemila di macchinari, valvole, tubature, bulloni, motori ampiamente made in Italy (a realizzare l’impianto hanno collaborato Ansaldo, Breda, Fochi, Enel e Cnen) e tenerla ferma e è costato quasi 300 milioni al giorno. C’è gente che ci ha lavorato, o meglio è stata stipendiata fino alla pensione, senza mai vedere la centrale in funzione. Oggi Viviana Cruciani guida la squadra di Sogin (azienda specializzata nello smantellamento di impianti simili) che deve smontare pezzo per pezzo l’impianto e poi tagliare, svitare, decontaminare, riciclare, mettere in sicurezza tutto quanto.

    La dismissione degli impianti atomici italiani per i quai era stata creata appositamente la Sogin doveva doveva essere in realtà completata per il 2019, ma scadenze e costi sono stati ridefiniti più volte e la chiusura del ciclo è stata posticipata prima al 2025, poi al 2032; ora si parla già di 2036. L’impegno finanziario per smantellare l’intero parco nazionale, da Caorso a Latina, da Garigliano a Trino Vercellese, è passato da 5,7 miliardi a 7,5 miliardi. Per quanto riguarda specificamente Caorso ci sono voluti sette anni per costruirla, quattro per aggiustarla e renderla più sicura, cinque per vederla funzionare. E venti per tenerla ferma. I cost preventivati all’epoca ammontavano a 140 miliardi di vecchie lire e salirono a 740. Ora  ci vogliono 460 milioni di euro per smantellarla.

    Lo smantellamento produrrà 322 mila tonnellate di materiali, tra metallo e calcestruzzo. Come 3 portaerei, 40 torri Eiffel o l’intero l’Empire State Building. «Di queste tonnellate almeno 300 mila composte da metalli e calcestruzzo saranno inviate a recupero», dice Cruciani.

    Il futuro, una volta compiuta la dismissione, è una sorta di via Gluck a contrario: lì dove c’era il cemento ci dovrebbe essere il verde. Sogin, la societa pubblica responsabile della dismissione degli impianti nucleari in Italia e della gestione dei rifiuti radioattivi, si è impegnata nella riqualificazione e nel riequilibrio ambientale dell’area. Gian Luca Artizzu, amministratore delegato di Sogin, dice che «la nuova vita dei siti nucleari va resa disponibile in ottica di economia circolare». Primo obiettivo è la minimizzazione dei rifiuti radioattivi. Impresa che deve fare i conti con un’incognita che pesa sulla politica: dove mettere le scorie. In Italia non c’è il sito per lo stoccaggio. Non c’è mai stato. Quelle di Caorso riprocessate e ridotte sono in attesa del deposito nazionale. La carta delle aree idonee di Sogin ha indicato 51 località. Il ministero dell’Ambiente deve valutarne l’impatto sul territorio. Per anni si era parlato di Scanzano Ionico. Oggi è fuorigioco. Si palleggiano altre aree in provincia di Torino, Alessandria e Viterbo.

  • Il dumping ideologico

    Le forme di dumping possono essere molteplici e la consapevolezza dovrebbe influenzare la politica economica e strategica dell’Unione Europea. Il costo del lavoro in Cina risulta inferiore del -77% rispetto al costo medio occidentale, fornendo così un vantaggio strutturale all’economia cinese e conseguentemente incrinando ogni modello di libero mercato votato alla semplice e scolastica applicazione del principio della concorrenza. Tuttavia questo differenziale viene determinato non solo da un basso livello retributivo ma anche dalla assenza di tutele dell’intero sistema produttivo e per questo assolutamente non paragonabile a quanto il mondo occidentale invece garantisce.

    A questo “dumping retributivo” che già ha distrutto, all’inizio del terzo millennio, il sistema tessile abbigliamento, europeo anche grazie alla volontà speculativa di molte aziende che hanno delocalizzato la propria produzione, ora se ne aggiunge un secondo il quale da solo azzera ogni valore strategico alla politica europea per la “tutela dell’ambiente”.

    Va infatti ricordato che in Cina ogni anno vengano importati cinque miliardi di tonnellate di carbone usato come combustibile per assicurare il 60% dell’energia elettrica fornita appunto dalle centrali a carbone. In questo modo vengono alimentati i sistemi industriali ed in particolare quello dell’automotive i cui prodotti, come l’auto elettrica, paradossalmente in Europa vengono invece considerati a “basso impatto ambientale”.

    La forma più inquinante di produzione energetica quindi, quella a carbone, viene utilizzata dal settore automotive cinese il quale, proprio per questo motivo, è espressione di un ciclo produttivo a fortissimo impatto ambientale legato appunto all’utilizzo del carbone, un fattore determinante nella valutazione di impatto ambientale complessivo di un prodotto ed assolutamente non considerato all’interno dell’Unione Europea.

    Prova ne sia che la stessa Unione Europea non solo omette di considerare e premiare il basso impatto ambientale della produzione di autoveicoli europei che utilizzano fonti energetiche sicuramente meno inquinanti di quella di origine carbonifera cinese, In più dal 2025 imporrà alle case automobilistiche europee il pagamento di sanzioni per tutte quelle aziende che non rispettasse i limiti di emissioni già arbitrariamente definiti. In questo modo non si valuta la qualità complessiva del ciclo produttivo dell’intero settore automotive europeo il cui impatto ambientale risulta minimo rispetto a quella cinese, ma addirittura lo si penalizza sulla base di valori ridicoli legati alle emissioni degli autoveicoli, quindi a valle della filiera produttiva.

    In altre parole, la tecnologia automobilistica europea che ha permesso la riduzione negli ultimi vent’anni del – 97% delle emissioni di PM10 e del -92 % del NOx, attraverso l’applicazione di multe basate sul mancato rispetto di valori delle emissioni assolutamente ideologici, favorirà la concorrenza cinese e la sua produzione ad altissimo impatto ambientale. L’automobile cinese così viene doppiamente incentivata dal regime cinese attraverso la fornitura di energia in “dumping ambientale” oltre ai finanziamenti pubblici alle stesse case automobilistiche, ma anche la stessa Unione Europea la favorisce ulteriormente in quanto penalizza fiscalmente il settore automotive europeo.

    Si passa, così, da un “dumping” relativo al costo del lavoro a quello energetico il quale al proprio interno contiene ed esprime in più articolato “dumping ideologico” la cui matrice politica si conferma di origine socialista ed in questo molto simile a quella adottata dal colosso cinese. Basti ricordare come l’Unione Europea possa essere considerata come la massima esponente di questo interventismo in ambito economico, in quanto risulta l’unica istituzione ad avere adottato il divieto, dal 2035, alla produzione ed alla vendita dei motori endotermici.

    Il percorso intrapreso nell’Unione Europea  da un sistema economico europeo espressione di valori liberali ed occidentali ad una società socialista è già stato avviato attraverso l’adozione dei principi ideologici del dumping ideologico.

  • L’UE si riconferma leader a livello mondiale in materia di finanza sostenibile

    A più di tre anni dalla prima emissione, l’UE ha emesso oltre 65 miliardi di euro in obbligazioni verdi di NextGenerationEU, il che potrebbe renderla il più grande emittente di obbligazioni verdi al mondo.

    In linea con l’annuncio della Presidente Von der Leyen nel suo discorso del 2020 sullo stato dell’Unione, la Commissione europea continuerà ad adoperarsi per emettere il 30% dei finanziamenti di NextGenerationEU mediante obbligazioni verdi, che dovrebbero coprire 264,6 miliardi di euro di investimenti nei trasporti puliti, energia pulita ed efficienza energetica, a conferma del ruolo di primo piano dell’UE nella finanza sostenibile.

    Secondo le stime, la piena attuazione nei prossimi anni di tutte le misure che possono essere finanziate mediante obbligazioni verdi di NextGenerationEU fornirà un contributo significativo alla transizione verde dell’UE, riducendo le emissioni di gas a effetto serra di 55 milioni di tonnellate all’anno. Si tratta dell’1,5% di tutte le emissioni di gas a effetto serra nell’UE, pari alle emissioni combinate di 15 milioni di famiglie europee o alla sostituzione con veicoli elettrici di 38 milioni di automobili a combustione interna sui 250 milioni in circolazione nell’UE,

  • Dalla Ue altri 5,5 miliardi di euro per l’ambiente del Mediterraneo

    La Commissione Europea ha finanziato con 5,5 milioni di euro la terza fase del progetto meetMed, sviluppato da Medener per accelerare la transizione verso economie più sostenibili e climaticamente neutre nella sponda sud del Mediterraneo. Medener è l’Associazione delle Agenzie nazionali per l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili del Mediterraneo, che vede come presidente il direttore generale Enea Giorgio Graditi e come segretario generale Roberta Boniotti, sempre dell’Enea; dal 2018 a oggi ha coordinato le prime due fasi del progetto meetMed, coinvolgendo otto paesi del Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Giordania, Palestina e Libano). MeetMed III si propone due obiettivi principali: promuovere città più sostenibili e rafforzare le azioni di mitigazione climatica nel settore energetico, supportando le autorità locali nello sviluppo dei Paesc (Piani di azione per l’Energia sostenibile e il Clima) e dei Sump (Piani di mobilità urbana sostenibile), anche per favorire l’affiliazione alla sezione mediterranea del GCoM (Patto Globale dei Sindaci). Le attività prevedono: capacity building; strumenti per l’accesso ai finanziamenti; organizzazione di forum Sei (Investimenti in Energia Sostenibile); monitoraggio delle politiche energetiche; assistenza tecnica per l’attuazione di strategie locali di adattamento e mitigazione; misure di efficienza energetica, con particolare attenzione al settore edilizio, tramite supporto alle politiche, sviluppo e monitoraggio di strumenti per l’efficienza, e collaborazione con il progetto Peeb Med (Programma per Edifici Efficienti nel Bacino del Mediterraneo); facilitare l’accesso ai finanziamenti per progetti di efficienza energetica attraverso i forum Sei; promuovere lo scambio di best practice tra i membri della rete meetMed Ren (Rete di Esperti Regionali).

    “Questo importante risultato testimonia non solo l’impegno della Commissione Europea a favore della transizione energetica nella regione del Mediterraneo, ma anche la qualità del lavoro svolto da Medener”, dichiara Giorgio Graditi, presidente di Medener e direttore generale Enea. “Il riconoscimento – aggiunge – rafforza inoltre ruolo e posizionamento dell’Italia nel contesto europeo e mediterraneo, rappresentando una rilevante opportunità per ampliare la missione del progetto, a favore di un approccio multilaterale e integrato, dal livello nazionale a quello locale, indispensabile per il percorso di transizione energetica in una regione particolarmente esposta ai cambiamenti climatici come quella mediterranea”. “Questa nuova fase del progetto meetMed evidenzia la crescente rilevanza delle Agenzie energetiche nazionali di Medener nel dare vita a contesti socioeconomici più stabili ed efficienti, in grado di garantire una maggiore resilienza ai cambiamenti climatici”, spiega segretario generale di Medener Roberta Boniotti. “Le Agenzie – conclude – rappresentano i punti focali per supportare l’implementazione delle politiche energetiche nazionali a livello locale, garantendo allo stesso tempo il confronto e lo scambio di best practice tra i Paesi della regione”.

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