Energia

  • Nuovo polo digitale per rafforzare l’industria nucleare europea

    Il Centro comune di ricerca (JRC) ha varato un nuovo polo di modellizzazione volto a fornire modelli e dati nucleari affidabili alle parti interessate in tutta Europa. Lo scopo di questa modellizzazione digitale è descrivere e prevedere il comportamento dei reattori nucleari in condizioni critiche.

    Il polo di modellizzazione mira ad aiutare l’industria nucleare europea a sviluppare e diffondere applicazioni come i piccoli reattori modulari, che possono contribuire alla decarbonizzazione dell’economia dell’Unione europea, in particolare nell’industria pesante. Il polo è inoltre uno strumento utile per i responsabili politici, in quanto funge da piattaforma centralizzata per sostenere la progettazione e la valutazione delle politiche europee all’intersezione tra energia, ambiente ed economia.

    Il nuovo polo trae slancio dai punti di forza unici del Centro comune di ricerca, combinando strumenti informatici avanzati con decenni di esperienza nella ricerca nucleare.

  • L’Ue studia vie legali per rescindere i contratti di gas russo senza penali

    La Commissione europea sta valutando opzioni legali che permettano alle aziende europee di recedere dai contratti di lungo termine con fornitori russi di gas senza dover pagare penali. Lo riporta il quotidiano britannico “Financial Times”, citando funzionari coinvolti nel dossier. Tra le ipotesi allo studio figura la possibilità di invocare la forza maggiore, basata sulla guerra in Ucraina, per annullare gli obblighi contrattuali. Tuttavia, fonti dell’Ue ammettono che potrebbe non essere giuridicamente sufficiente, data la natura riservata e diversificata dei contratti. L’obiettivo è ridurre a zero l’importazione di combustibili fossili dalla Russia entro il 2027. Nel periodo compreso fra febbraio 2024 e febbraio 2025, l’Ue ha pagato 21,9 miliardi di euro a Mosca per petrolio e gas, secondo il Centre for Research on Energy and Clean Air. Ad oggi, il gas russo rappresenta l’11% delle forniture via gasdotto dell’Ue (quasi due quinti nel 2022), ma l’import di gas naturale liquefatto (Gnl) dalla Russia è aumentato del 60% in 3 anni, con i principali snodi di importazione che si trovano in Francia, Spagna e Belgio.

    Il piano europeo, inizialmente previsto per marzo, è stato rinviato per l’opposizione attesa da Ungheria e Slovacchia, Paesi ancora fortemente dipendenti dal gas russo via tubo, e per le incertezze sul futuro del gasdotto Nord Stream, tornato al centro dell’attenzione nei colloqui diplomatici fra Usa e Russia. Nel frattempo, gli Stati Uniti restano il primo fornitore di Gnl dell’Ue e potrebbero rafforzare il loro ruolo in cambio di concessioni commerciali, nel contesto dei negoziati per contrastare la politica tariffaria dell’amministrazione Trump. Un’alternativa sostenuta dal centro studi Bruegel è l’introduzione di dazi sulle importazioni di gas russo, che richiederebbero solo una maggioranza qualificata per essere approvati, a differenza delle sanzioni, che necessitano l’unanimità. Secondo un diplomatico Ue, la situazione resta fluida: “È un pasticcio. Come si inseriscono gli Usa in tutto questo? Come diversifichiamo?”. Intanto, secondo quanto dichiarato dalla presidente Ursula von der Leyen, la Commissione punta a pubblicare il piano entro “tre o quattro settimane”.

    In una conferenza stampa il primo ministro slovacco, Robert Fico, insieme alla ministra dell’Economia, Denisa Sakova ha ribadito che Bratislava riconosce l’obiettivo strategico di ridurre la dipendenza energetica dell’Ue dagli altri Paesi, ma è preoccupata per l’aumento dei prezzi del gas e ritiene che le conseguenze saranno maggiori per l’Ue che per la Russia. Interpellato sulle possibili conseguenze della risoluzione dell’accordo slovacco con il fornitore russo Gazprom, la cui validità è prevista fino al 2034, il premier slovacco ha risposto che attualmente non è possibile prevedere quello che accadrà. La Slovacchia pretende “che si tenga conto delle sue specificità, ed è in questo modo che ha dato istruzioni ai diplomatici slovacchi”, ha chiarito. La Commissione europea ha proposto di vietare nuovi contratti per la fornitura di gas russo e di sospendere i contratti spot esistenti entro la fine del 2025. Secondo la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, le misure garantiranno che entro la fine dell’anno le restanti forniture di gas russo all’Unione saranno ridotte di un terzo. Il piano prevede, inoltre, di bloccare tutte le importazioni di gas russo entro la fine del 2027. L’anno scorso l’Ue ha acquistato energia dalla Russia per un valore di 23 miliardi di euro, una cifra superiore agli aiuti destinati alla difesa dell’Ucraina.

  • La sostituzione digitale

    I recenti palazzi residenziali sicuramente negli ultimi decenni  hanno dimostrato in ogni ambito una notevole evoluzione. Le attuali tecniche costruttive, infatti, permettono una maggiore velocità  di realizzazione ed assicurano un minore impatto ambientale dei lavori di realizzazione. In più, queste residenze necessitano di minore energia per riscaldarle e ne disperdono in quantità  inferiori, in modo da migliorare la loro efficienza energetica e resa economica (*).

    Contemporaneamente, ed in particolar modo nell’ultimo decennio, anche la società nella propria componente  sociale ed economica ha avviato un processo di evoluzione verso una tecnologica  digitale, la quale, tuttavia, presenta delle caratteristiche diverse rispetto allo sviluppo del settore edilizio. La digitalizzazione assoluta, infatti, richiede un sempre maggiore apporto energetico, rendendo di conseguenza assolutamente ridicola  e prettamente ideologica  ogni teoria relativa alla riduzione nell’utilizzo dell’energia proprio grazie all’innovazione digitale.

    In altre parole, la  iperconnettività, se da una parte illude sulla facilità di una accessibilità ad un mercato globale, dall’altra presenta dei costi energetici molto superiori rispetto persino al modello precedente e soprattutto non tenuti nella giusta considerazione (**).

    In un simile contesto Il solo concetto di transizione energetica come di  decarbonizzazione dell’economia, obiettivo fissato al 2050, all’interno del quale la transizione digitale rappresenterebbe uno dei fattori determinanti,  è un’utopia la quale può essere raggiunta solo ed esclusivamente attraverso l’azzeramento dei principali settori industriali  e, di conseguentenza, della loro domanda di energia, come l’automotive.

    Solo in questo modo si può spiegare il trasferimento di ogni attenzione politica ed istituzionale europea a favore di un modello economico basato sulla gestione dei flussi commerciali piuttosto che sulla tutela della catena di formazione del valore che l’industria viceversa garantisce.

    In questo senso va interpretata la ideologica perseveranza verso l’applicazione di una mobilità elettrica che favorisce solo ed esclusivamente il sistema industriale cinese, sostenuto dalle 1.161 centrali elettriche a carbone grazie all’importazione di cinque (5) miliardi di tonnellate di coke che forniscono il 72% dell’energia elettrica necessaria al sistema industriale cinese. La stessa Unione Europea, quindi, attraverso l’applicazione del Green Deal favorisce non solo  il modello  economico più inquinante al mondo ma sostiene il progetto di  espansionismo politico del gigante rosso il quale  intende, attraverso  il settore automotive, aumentare il proprio perimetro di controllo ed ingerenza politica.

    Tornando alla metafora edilizia, tuttavia, per quanto si possano esprimere concetti innovativi rispetto al passato, mai nessun architetto o  ingegnere ha mai ipotizzato di realizzare degli  edifici privi delle “vecchie ma obsolete” scale, pur adottando ascensori sempre più performanti e sofisticati anche sotto il profilo energetico.

    Viceversa, in ambito economico, l’Unione Europea ha scelto di raggiungere i propri obiettivi ideologici attraverso un modello economico  che non prevede comunque “il mantenimento quantomeno di una sicurezza che le scale assicurano”, quindi in grado di  aggiungersi al modello già esistente, ma invece si punta  sulla  sostituzione del modello precedente attraverso la realizzazione dei soli  ascensori.

    L’esempio in Spagna, nel quale si è voluto adattare un sistema con nuove fonti energetiche alternative, con il risultato di un terribile blackout, è quantomeno evidente.

    Nell’ultimo decennio, quindi, sostanzialmente si è dimostrato come l’evoluzione tecnologica  non rappresenti più la sintesi di un processo legato alla crescita e quindi alla somma della conoscenza e delle competenze umane in unione e supportate dalla  tecnologica  digitale. Viceversa questa “evoluzione” esprime semplicemente una volontà politica ed uno schema ideologico che presentano le classiche caratteristiche di una vera e propria imposizione che si manifesta con una vera e propria “Sostituzione Digitale”.

    Un processo, però, che non presenta nulla di evolutivo o innovativo ma esprime la sola   volontà massimalista, molto lontana, se non agli antipodi, rispetto ad una qualsiasi e normale crescita umana accompagnata dalla evoluzione della conoscenza.

    (*) Nulla a che vedere con il ridicolo bonus facciate e relativi cappotti termici .

    (**)  In Irlanda i Data Center consumano più delle abitazioni e Microsoft e Google più della Croazia.

  • Astronaute miliardarie e caminetti spenti

    Bene! Un equipaggio di sei donne ha viaggiato nello spazio, undici minuti in orbita per il team della futura moglie di Bezos.

    Dopo che tanti hanno festeggiato poniamoci qualche domande, se è ancora lecito porsi delle domande: quanto è costato questo viaggio in termini di denaro e in termini di inquinamento e cosa ha prodotto in termini di conquista dello spazio?

    Astronaute, compresa la nostra Cristoforetti, ce ne sono già state e una addirittura, per un errore del sistema spaziale, è rimasta in orbita nove mesi. Perciò, che cosa significa un viaggio di undici minuti di sei turiste dello spazio? Forse che d’ora in poi, in effetti era già successo, i miliardari potranno decidere di farsi un giretto per guardare la terra dall’alto vomitando sulla stessa terra tutto quell’inquinamento che dovremmo cercare di eliminare perché l’universo intero sta soffocando.

    In sintesi: chi ha un caminetto non lo può accendere, periodicamente si parla anche di eliminare i forni a legna per la pizza, la macchina diesel è sul punto di essere definitivamente bandita, salvo poi spedirla nei Paesi poveri come se l’inquinamento dell’aria avesse delle barriere continentali, ma se sei multimiliardario e collegato ai pochi giri che ormai contano, da Musk a Bezos, puoi fare quello che ti pare perché con i soldi ormai, alla faccia della democrazia e della giustizia, puoi tutto.

    In questa società nella quale ogni giorno le violenze aumentano, come pure aumentano le disparità e le ingiustizie, prima o poi qualcuno dirà basta.

    Forse è il momento che ciascuno di noi cominci a dire basta.

  • Japan to increase reliance on nuclear energy in post-Fukushima shift

    Japan says it will increase its reliance on nuclear energy in a major policy shift as it seeks to meet growing demand from power-hungry sectors like AI and semiconductors.

    An energy plan approved by the cabinet on Tuesday called for “maximising the use of nuclear energy” and dropped reference to “reducing reliance on nuclear energy”.

    The energy plan, written by the Ministry of Economy, Trade and Industry says that by 2040, nuclear energy should account for 20% of Japan’s grid supply in 2040, more than double the 8.5% share in 2023.

    It comes as the Fukushima nuclear plant disaster from 14 years ago continues to hang over the country, conjuring painful memories.

    In March 2011, a 9.0-magnitude earthquake near Japan’s north-east coast spawned a tsunami that killed more than 18,000 people, wiping out entire towns and flooding the reactors of the Fukushima Daiichi plant.

    Japan now operates 14 commercial nuclear reactors, compared to 54 before the Fukushima disaster when 30% of the country’s energy was from nuclear sources.

    The plan still needs approval by parliament, where it will be discussed in the coming months.

    The country, which imports 90% of its fuel, needs to look to nuclear sources as part of its plan to cut back on carbon and be self-reliant on energy, said Daishiro Yamagiwa, an MP who was part of a government advisory committee on the energy plan.

    “Because of the conflict in Ukraine and the war in the Middle East, even fossil fuels have become difficult to buy,” he told the BBC. “Japan is a country without energy resources, so we must use whatever is available in a balanced way.”

    Yamagiwa added that energy burdens are growing because of demand from AI data processing centres and semiconductor factories around the country.

    But experts say increasing reliance on nuclear energy will be both risky and costly.

    Japan will need to import uranium, which is expensive and will make the country reliant on other countries, said Professor Kenichi Oshima at the faculty of policy science at Ryukoku University.

    Prof Oshima told the BBC the main concern is that increasing the number of nuclear power plants also raises the risk of potentially disastrous accidents.

    He cited the 2024 New Year’s Day earthquake in the Noto peninsula, where two decades ago, a plan to build a nuclear plant was scrapped because locals opposed it.

    “If there had been a nuclear power plant there, it is quite clear that it would have caused a major accident,” he said.

    Fukushima looms large

    In Japan, any mention of nuclear energy inevitably brings back difficult memories of the nuclear meltdown at the Daiichi power plant.

    “We all had such a terrible experience at the time of the Fukushima quake,” Tokyo resident Yuko Maruyama told the BBC.

    “How could I support it [the nuclear energy plan]? I want the government to rely on other sources of energy,” she added.

    “As a mother I think of the children, of their safety. I cannot help but think about what would happen in the future.”

    The meltdown at Fukushima is considered the world’s worst since that of Chernobyl in 1986.

    It stirred fresh controversy in 2023, when Japan started releasing treated water from the site of the Fukushima plant. This drew protests from Japan’s neighbours, including China, over safety concerns.

    The United Nations atomic energy regulator IAEA said the waste water was safe and would have a “negligible” impact on people and the environment.

    In response to the new energy plan announced this week, Greenpeace said promoting nuclear energy is “outrageous” when the fallout from Fukushima is still ongoing.

    “There is no justification for continuing to rely on nuclear energy, which remains toxic for tens of thousands of years, produces radioactive waste that requires long-term management, and carries risks like earthquakes and terrorism,” the group said.

    To meet the government’s goal, experts say 33 reactors must be put back online, but the current pace of safety checks as well as residents’ objections in some areas will make this difficult.

    Many of these nuclear plants are old and will need to be refitted with new technology for them to function safely.

    “That most difficult problem is that each nuclear power plant is in a different location and will need its own safety protocol and infrastructure,” Yamagiwa said.

    “We must check each of them carefully. It still takes time.”

    In recent months, regulators have given several old reactors approval to keep operating.

    In October 2024 Japan’s oldest reactor, Takahama nuclear power plant, was given the go-ahead to continue operations, making it the first reactor in the country to get approval to operate beyond 50 years.

  • Ok di Tunisia e Algeria: il corridoio del gas per rifornire Italia, Austria e Germania può partire

    Tunisia e Algeria si aggiungono al patto tra Italia, Austria e Germania per trasportare idrogeno tra le due sponde del Mediterraneo. Con la firma, il 21 gennaio a Roma, di una nuova dichiarazione comune di intenti tra i cinque paesi, il progetto del Corridoio Sud dell’Idrogeno inizia a fare qualche passo avanti concreto.

    L’intesa siglata a Villa Madama non aggiunge né modifica le linee fondamentali del progetto SouthH2 Corridor. Punta invece a rafforzare la cooperazione, soprattutto a livello tecnico, tra tutti iPpaesi interessati dai 3.300 chilometri di gasdotti adatti a trasportare anche idrogeno. Roma, Vienna e Berlino avevano già compiuto un passo del genere a fine maggio 2024. L’accordo prevedeva di trasformare il supporto politico in lavori tecnici e cooperazione tra gli stakeholder rilevanti dei 3 Paesi. La dichiarazione d’intenti firmata il 21 gennaio 2025 estende il perimetro dell’iniziativa a Tunisia e Algeria. Prevede per i 5 Paesi l’impegno di riunirsi semestralmente a livello di gruppo di lavoro tecnico per monitorare e sostenere l’attuazione del progetto.

    Finora, la tabella di marcia è rispettata. L’intesa allargata a Tunisia e Algeria era prevista nella prima metà del 2025. Entro fine 2025 dovrà avvenire lo sviluppo di un rapporto di definizione dell’ambito del SouthH2Corridor. E l’ok allo status di Progetti di reciproco interesse (PMI) nell’ambito del regolamento sulla rete transeuropea per l’energia (TEN-E) nel settimo elenco PCI/PMI europeo.

    Il Corridoio Sud dell’Idrogeno prevede la costruzione di nuove pipeline, o il riadattamento di condutture esistenti, per trasportare in Europa l’idrogeno prodotto in Nord Africa. Il SouthH2 Corridor rientra nella strategia europea per il vettore energetico, che prevede di importare dall’estero entro il 2030 almeno 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile.

    Da progetto, la pipeline di 3.300 km dovrebbe trasportare 4 milioni tonnellate di idrogeno l’anno, il 40% del target Ue. Idrogeno che dovrebbe essere generato in Algeria (manca però adeguata capacità rinnovabile affinché sia H2 verde) e trasportato via Tunisia fino a Mazara del Vallo, dove sarebbe immesso nella rete italiana per poi accedere ai mercati dell’Europa centrale attraverso Tarvisio. Con una possibile diramazione attraverso la Svizzera (Passo Gries), paese che ha il ruolo di osservatore nel progetto. Il segmento italiano sarà quello principale: lungo 2.300 chilometri, circa 70% dei quali da ottenere tramite riconversione delle condutture gas esistenti e 30% da costruire ex novo.

    A inizio dicembre 2024, il Corridoio Sud dell’Idrogeno è stato inserito nella lista dei progetti bandiera dell’Ue per il 2025 sotto l’iniziativa Global Gateway, che facilita finanziamenti e realizzazione dell’opera. In precedenza, era già stato inserito nella lista dei progetti di interesse europeo.

  • Accordo con un autocrate che è anche un buffone quando serve

    Talvolta il comportamento pragmatico è necessario; ma chi cerca di fare di necessità virtù, conclude poco, anzi spesso peggiora quello che è chiamato a riparare.

    Ralf Dahrendorf, Per un nuovo liberalismo, 1987

    Le numerose favole di Esopo, un noto scrittore della Grecia antica, vissuto circa ventisei secoli fa, sono state e continuano ad essere una fonte di ispirazione. Favole che, per il loro valore educativo e morale, continano ad essere attuali e rappresentano una fonte di insegnamento per molti. Ebbene, dai tanti insegnamenti di Esopo ce n’è uno che si riferisce alle false amicizie. La sua saggezza ci insegna e ci ammonisce che un amico incerto è peggio di un nemico dichiarato. Un insegnamento, sempre attuale per il genere umano. Un insegnamento dal quale devono imparare anche tutti coloro che hanno delle responsabilità pubbliche ed istituzionali, sia a livello locale che internazionale.

    L’autore di queste righe ha pienamente condiviso l’articolo di Cristiana Muscardini “La sicurezza, i dati sensibili, Musk”, pubblicato su “Il Patto Sociale” l’8 gennaio scorso. Lei, dopo aver trattato il tema della sicurezza nazionale e quello delle “amicizie con i grandi del mondo”, logicamente si poneva la domanda: “È possibile che di fronte al potere, al miraggio di una tecnologia sempre più oltre, al desiderio di sentirsi amici ed apprezzati da chi, da uomo più ricco, si sta trasformando nell’uomo più potente del mondo, chi ci governa sia accecato, incapace di comprendere i pericoli immediati ed a lungo termine, vanificando le speranze che tanti avevano avuto, speranze di libertà, indipendenza, democrazia vera?”. Una domanda sulla quale si deve riflettere.

    Dal 14 al 16 gennaio scorso ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, si è svolto il Vertice mondiale sull’Energia del futuro (World Future Energy Summit; n.d.a.). Durante quel vertice, il 15 gennaio, è stato firmato anche un’Accordo tra l’Italia, gli Emirati Arabi Uniti e l’Albania. Si tratta di un accordo per la produzione di energia rinnovabile in Albania con impianti prodotti negli Emirati da esportare poi in Italia, tramite un elettrodotto sottomarino. L’accordo, che dovrebbe essere operativo tra tre anni, sarà valido per cinque anni ed avrà un costo di circa 1 miliardo di Euro. L’accordo prevede la produzione fino a 3 GW di energia elettrica da fonti rinnovabili. Fonti che, secondo un comunicato congiunto dei tre Paesi firmatari, sono “il fotovoltaico solare, l’eolico e delle soluzioni ibride con potenziale di accumulo tramite batterie”.

    Nella cerimonia della firma dell’accordo erano presenti l’anfitrione, il presidente degli Emirati Arabi Uniti, la presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia ed il primo ministro dell’Albania. L’accordo, per gli Emirati Arabi Uniti è stato firmato dal ministro dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati il quale, allo stesso tempo, è anche il presidente di Masdar, una nota impresa privata a livello mondiale nel settore delle energie rinnovabili. Ma lui però è anche l’Amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, la compagnia statale per l’estrazione del petrolio negli Emirati Arabi Uniti. Per l’Italia l’Accordo è stato firmato dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, mentre per l’Albania dalla vice primo ministro e ministro delle Infrastrutture e dell’Energia. E dopo la firma dell’accordo hanno fatto le loro dichiarazioni sia la Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Italia ed il suo omologo albanese, sia il ministro dell’Industria e delle Tecnologie Avanzate degli Emirati Arabi Uniti. Dichiarazioni che sono state riportate dai media in Italia ed il nostro lettore ha avuto la possibilità di conoscerle.

    In Albania non si sapeva niente dell’accordo energetico firmato il 15 gennaio scorso ad Abu Dhabi. Ma ormai questo fatto da anni non è più una novità, Perciò questo modo di agire del Primo Ministro albanese non stupisce nessuno. Tutto si è saputo soltanto dopo che in Italia i media hanno parlato di questo accordo. Quanto è accaduto in Italia, riferendosi proprio al sopracitato accordo, comprese le reazioni critiche, soprattutto da parte dei rappresentanti dell’opposizione, ma anche dai media, ormai è di dominio pubblico anche in Albania. Invece nessuna reazione in difesa dell’accordo da parte del Primo Ministro, che non perde occasione, anche per delle cose futili, di reagire e di dire la sua. Purtroppo non c’è stata nessuna notizia e/o reazione neanche dai media controllati e vergognosamente ubbidienti.

    Appena è stata resa nota pubblicamente in Italia la firma dell’accordo sono state immediate anche le reazioni in Albania. Reazioni fatte da quei pochi media ancora non controllati dal primo ministro e/o da chi per lui. Reazioni che denunciavano la totale mancanza di trasparenza sull’accordo, sul suo contenuto ed altro. Ma sia i media che ne hanno parlato, sia i rappresentanti dell’opposizione politica, nelle loro reazioni critiche, hanno altresì sottolineato che in Albania questo “modo di procedere”, e cioè la totale mancanza di trasparenza in casi del genere, è ormai una consuetudine. Il primo ministro albanese, da autocrate onnipotente qual è diventato, calpesta consapevolmente gli obblighi costituzionali e quelli delle leggi in vigore. Lui ignora ormai da anni tutte le istituzioni e decide da solo e/o con quei pochi suoi stretti collaboratori ed alcuni oligarchi, suoi clienti. Ma nella memoria collettiva in Albania è ancora presente un altro caso simile, quello dell’accordo sui migranti firmato il 6 novembre 2023 a Roma. Anche in quel caso è stata verificata la stessa totale mancanza della dovuta ed obbligatoria trasparenza, come la scorsa settimana, dopo che si è saputo del sopracitato accordo energetico. Ragion per cui in quasi tutte le reazioni molto critiche fatte in Albania si faceva riferimento, oltre che all’accordo energetico firmato il 15 gennaio scorso, anche all’accordo sui migranti e al suo fallimento, almeno fino ad ora.

    In Albania le reazioni critiche, legate all’accordo energetico firmato mercoledì scorso ad Abu Dhabi, si riferivano anche ad alcuni passaggi delle dichiarazioni del primo ministro albanese. Dopo la firma dell’accordo lui ha detto, tra l’altro, che “l’Albania è al 100% con l’energia rinnovabile. Ora stiamo diversificando con il solare”. Ma, come sempre, da innato bugiardo qual è, il primo ministro non ha detto tutta la verità. Sì perché la verità è che quasi tutta la produzione dell’energia elettrica in Albania, circa il 98%, è quella idroelettrica! Ovviamente non ha parlato neanche dei clamorosi ed evidenziati abusi legati alla vendita, sotto prezzo, dell’energia elettrica generata in Albania e l’acquisto, con prezzi non giustificabili dell’energia elettrica dal mercato energetico internazionale. Perché l’Albania non riesce a produrre tutto il suo fabbisogno energetico. Il primo ministro non ha neanche ammesso che l’Albania non ha una strategia nazionale approvata per l’energia.

    Dai media italiani si è saputo che durante il Vertice mondiale sull’Energia del futuro ad Abu Dhabi il primo ministro albanese ha approfittato dell’occasione per fare, come spesso accade in simili casi, anche il buffone. Si perché proprio il 15 gennaio era anche il 48o compleanno della presidente del Consiglio dei ministri dell’Italia. Lui le aveva portato un regalo. Inginocchiandosi davanti alla sua “cara sorella”, l’ha chiamata “Her Majesty” e le ha presentato un foulard di seta bianco con delle strisce in grigio e nero. Questo e tutto il resto hanno messo in difficoltà la festeggiata. Ma lui ha molto bisogno di apparire a fianco di qualche “grande del mondo”, facendo anche il buffone, soprattutto adesso, prima delle elezioni politiche dell’11 maggio prossimo. E soprattutto in un così difficile momento per lui, dovuto agli innumerevoli scandali che coinvolgono, lui, alcuni suoi familiari molto stretti ed altri. Ragion per cui l’appoggio della sua “cara sorella” diventa vitale.

    Chi scrive queste righe trova però molto significativo l’insegnamento di Esopo, secondo cui un amico incerto è peggio di un nemico dichiarato. Egli trova altresì saggio quanto scriveva il noto sociologo, politologo e politico Ralf Dahrendorf. E cioè che talvolta il comportamento pragmatico è necessario; ma chi cerca di fare di necessità virtù conclude poco, anzi spesso peggiora quello che è chiamato a riparare. Ad ognuno però la propria scelta. Ma anche le inevitabili conseguenze!

  • Lo “spread energetico”

    Lo spread indica il differenziale di rendimento tra i titoli del debito pubblico italiani e quelli tedeschi. Il suo basso livello attuale, che viene erroneamente interpretato come una valutazione positiva relativa alla strategia economica del governo in carica, dipende invece dal fatto che la Germania si conferma in recessione. In altri termini, nonostante il valore dello spread sia come detto assolutamente sostenibile, le condizioni economiche all’inizio del 2025 risultano molto simili a quelle del novembre 2011, alle quali vanno aggiunti oltre 1.000 miliardi di debito pubblico, avendo raggiunto e superato quota 3000 miliardi.

    Questo principio del confronto tra valori andrebbe adottato anche nel campo dei costi energetici, e stiamo parlando dello spread energetico, inteso come il differenziale tra i diversi costi energetici praticati alle famiglie e alle imprese, tra due Paesi che, nello specifico, possono essere rappresentati dalla Francia e dall’Italia. Ecco allora come questo differenziale risulti in forte crescita, esprimendo quindi il maggiore costo energetico pagato e subito in Italia, le cui ragioni sono interamente addebitabili alla mancanza di una politica energetica negli ultimi 30 anni, e confermata anche dal governo in carica che continua nella cessione di asset delle aziende energetiche.

    La sintesi finale di questa mancanza ultra decennale di competenza in ambito energetico determinerà un diverso destino economico e sociale riservato alla Francia rispetto a quello assicurato all’Italia.

    Come anticipato nel maggio 2023, le prospettive “energetiche” dei due Paesi erano già allora chiaramente differenti (*) ma quanto sta avvenendo nel gennaio 2025 conferma clamorosamente il trend a favore dell’economia francese. L’autorità energetica francese infatti ha deciso di ridurre del -15% il costo dell’elettricità praticato tanto alle famiglie quanto alle imprese francesi (**), mentre nel nostro Paese le aspettative relative al costo energetico sono di una crescita fino ad un +30%.

    Come logica conseguenza si prospetta un difficile futuro per le famiglie e per le imprese italiane, le quali vedranno aumentare di 30/45 punti lo spread energetico, a favore dei consumatori e delle imprese francesi.

    Questo, infatti, è l’effetto combinato della diminuzione decisa dall’autorità transalpina (-15%) e l’immediato aumento in Italia già in bolletta del +15%, destinato in più ad arrivare nei prossimi tre mesi addirittura ad un +30% portando quindi lo spread energetico finale ad un +45 punti.

    In questo contesto le famiglie italiane vedranno ancora una volta ridurre la propria disponibilità economica, ed inevitabilmente di consumo, drenata dai maggiori costi energetici, la quale si tradurrà con una ulteriore riduzione dei consumi ed ovviamente della crescita economica complessiva.

    Le imprese, viceversa, espressione del made in Italy o di filiere complesse internazionali, dovranno subire una ulteriore diminuzione della propria competitività in un mercato globale sempre più concorrenziale. Le ventidue flessioni consecutive della produzione industriale vanno interpretate anche come un effetto diretto di questa mancata tutela energetica.

    L’unica politica industriale rimane quella energetica, da troppo tempo dimenticata o, peggio, addirittura caratterizzata dalla cessione di asset fondamentali nazionali ai fondi internazionali che adottano inevitabilmente la propria logica speculativa. Per le famiglie e le imprese italiane quindi lo scenario futuro si tinge, una volta di più, di fosche tinte.

    (*) https://www.ilpattosociale.it/attualita/il-diverso-destino-di-italia-e-francia/

    (**) https://www.francetvinfo.fr/economie/pouvoir-achat/electricite-la-commission-de-regulation-de-l-energie-annonce-une-baisse-de-15-en-moyenne-du-tarif-reglemente_7017836.html

  • La Cina balza al secondo posto mondiale per le riserve di litio

    La Cina ha compiuto notevoli progressi nell’esplorazione dei depositi di litio, emergendo come il secondo maggiore detentore di riserve di litio al mondo. Il China Geological Survey, alle dipendenze del ministero delle Risorse naturali cinese, ha riferito oggi che le riserve di litio nazionali sono aumentate dal 6 al 16,5 per cento del totale globale, portando il Paese dalla sesta alla seconda posizione nella classifica mondiale. Il balzo riflette la stata scoperta una cintura di depositi di litio spodumene di classe mondiale che si estende per 2.800 chilometri nell’ovest della Cina.

    Le risorse di litio note nei laghi salati dell’altopiano Qinghai-Tibet sono aumentate a loro volta in misura sostanziale, posizionando la Cina come la terza più grande base di risorse di litio da laghi salati a livello globale. Inoltre, i ricercatori cinesi hanno superato importanti sfide tecniche nell’estrazione del litio dalla lepidolite, un minerale ad alto contenuto di litio che finora ha presentato sfide in termine di costi di lavorazione. Il litio è un elemento cruciale per una vasta gamma di settori emergenti, tra cui veicoli elettrici, sistemi di stoccaggio energetico, comunicazioni mobili, trattamenti medici e combustibile per reattori nucleari.

  • La Polonia spinge la Ue a bandire il gas liquefatto russo

    La Polonia e altri nove paesi dell’Unione europea stanno esercitando pressioni per rafforzare le sanzioni contro la Russia, proponendo restrizioni più severe sulle esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl). L’obiettivo di tale misura è ridurre le capacità di finanziamento di Mosca che, perlopiù, vengono utilizzate per sostenere i costi del conflitto in Ucraina. In una proposta congiunta, visionata dall’edizione europea di “Politico”, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Danimarca, Svezia, Finlandia, Repubblica Ceca, Romania e Irlanda hanno chiesto ulteriori azioni per colpire le vendite di combustibili fossili russi e porre fine ad alcune scappatoie esistenti rispetto alle sanzioni attualmente in vigore. La Polonia, che ha assunto la presidenza del Consiglio dell’Ue dal primo gennaio, secondo “Politico” è il Paese firmatario della proposta di maggior rilievo e più in grado di influenzare l’agenda a Bruxelles. Secondo il documento, la Russia ha incassato 200 miliardi di euro dalle vendite di combustibili fossili all’Ue dall’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio del 2022. Nonostante gli impegni europei di ridurre la dipendenza energetica da Mosca, le importazioni di Gnl dalla Russia sono aumentate dell’11% nella prima metà del 2024, secondo i dati riportati da “Politico”.

    “È necessario vietare l’importazione di gas e Gnl russi il prima possibile”, si legge nella proposta, che suggerisce anche sanzioni contro la flotta di petroliere russe e il divieto di attracco nei porti dell’Ue. Il pacchetto proposto include ulteriori restrizioni sull’importazione di metalli come l’alluminio, una riduzione della dipendenza dal combustibile nucleare russo, misure per rafforzare i controlli alle frontiere e sanzioni contro istituti finanziari di Paesi terzi che aiutano la Russia ad aggirare le sanzioni. Le restrizioni sull’uso delle criptovalute sono state indicate come un altro strumento da approfondire. Con la Polonia alla guida del Consiglio dell’Ue, la Commissione europea dovrebbe presentare un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia entro febbraio, in vista del terzo anniversario dell’invasione. Tuttavia, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha promesso di opporsi a nuove misure che potrebbero avere dei riflessi sul settore energetico, mentre la Slovacchia sta spingendo per aumentare le importazioni di gas russo dopo l’interruzione delle forniture che transitavano attraverso il territorio ucraino.

Pulsante per tornare all'inizio